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10 giugno 2017 6 10 /06 /giugno /2017 05:00

Da Marx al bolscevismo: Partiti e consigli

I. Un'eredità ambigua

RugeVi è in Marx una diffidenza, addirittura un disprezzo nei confronti della politica, di cui si può trovare la spiegazione romantica in un testo del 1844, data alla quale non immaginava indubbiamente di associarsi a un qualunque partito [1]. Si tratta della sua controversia con Ruge nel Vorwaerts parigino: l'articolo di Marx è, insieme all'indirizzo sulla Comune, il testo di base della concezione "spontaneista" del movimento operaio; dunque la critica fondamentale del feticismo del partito. Ridotta all'essenziale, la tesi marxiana pone che nessuna politica di Stato è capace di risolvere il problema del pauperismo, "l'esistenza dello Stato e l'esistenza dello schiavismo sono inseparabili". Più lo spirito politico è sviluppato, meno è capace di capire le tare sociali - vedere gli eroi della Rivoluzione francese; vedere la Convenzione, questo modello di energia e di intelligenza politica.

Bakunin, disegno di Clifford HarperBakunin - allora amico intimo di Marx - ha dovuto riceverne la lezione: si trattava in questa controversia di afferrare il significato della rivolta dei tessitori della Slesia. Per Ruge, la miseria sociale è testimonianza di un'imperizia politica della società tedesca; Per Marx, la rivolta slesiana prova la superiorità sui loro fratelli inglesi e francesi - perché? Perché essi hanno avuto coscienza della portata universale della loro miseria, perché hanno la vocazione della rivoluzione sociale. La rivolta dei tessitori prova il genio teorico del popolo tedesco: "Un popolo filosofo non può trovare che nel socialismo la prassi che gli conviene, e nel proletariato l'elemento attivo della sua emancipazione".

Marx evidenzia finemente la differenza tra la rivoluzione sociale e la rivoluzione politica: "Una rivoluzione sociale - quand'anche non si producesse che in un solo distretto industriale - possiede un carattere di universalità perché costituisce una protesta dell'uomo contro la vita inumana... L'anima politica di una rivoluzione, è presso le classi prive d'influenza politica, nella loro volontà di porre fine all'isolamento in cui si trovano di fronte allo Stato e del potere... Una rivoluzione di cui l'anima è politica organizza, conformemente alla natura limitata e divisa di quest'anima, una sfera dominante della società a spese della società".

tessitori della Slesia

Una rivoluzione sociale che possiede un'anima politica non è una rivoluzione. Ma il socialismo non potrebbe realizzarsi senza un atto politico che distrugge e dissolve l'antico potere. "Tuttavia là dove inizia la sua attività organizzatrice, in cui si manifesta il suo scopo proprio, la sua anima, il socialismo respinge il suo velo politico".

Questo testo è nello stile romantico dei manoscritti parigini del 1844, detti economico-filosofici, ma il suo spirito è quello dell'Indirizzo sulla Comune del 1871: la Selbsttätigkeit storica dei lavoratori, di cui parla il Manifesto comunista, è per Marx la sola garanzia di riuscita per il movimento emancipatore della classe lavoratrice, la politica di partito non essendo che un mezzo, che si deve subordinare allo scopo.

Marx e Engels hanno testimoniato un profondo interesse alle rivolte contro l'assolutismo zarista. Marx accetta di essere il segretario-corrispondente, al Consiglio generale dell'Internazionale, del primo gruppo di rivoluzionari russi formato a Ginevra nel 1870. La sua sfiducia dei Russi aveva qualcosa di patologico, e il suo primo gesto fu di raccomandare a questo primo gruppo di marxisti russi: l'aiuto ai Polacchi per ottenere la loro indipendenza nazionale, e liberare così l'Europa dalla vicinanza moscovita.

Russia batellieri

Nel 1867, aveva proposto senza successo, al Congresso dell'Internazionale una risoluzione che affermava la necessità del mantenimento delle forze armate nei paesi europei per contenere il pericolo russo. Tuttavia, dopo l'emancipazione dei servi (1861), aveva creduto di intravedere in Russia l'inizio di una rivoluzione che sarebbe stata il punto di partenza di una rivoluzione occidentale. Da allora, non vi è che una sola spiegazione per la russofobia permanente di Marx: il suo odio per l'autocrazia statale di cui lo zarismo rappresentava il modello più compiuto [2].

Cernysevskij - 1859A partire dal 1870, Marx volse la sua attenzione verso le prospettive rivoluzionarie in Russia, verso ciò che Berdiaev considerava come il problema fondamentale dei pensatori russi, così come lo ponevano altri autori populisti come Cernsevskij, Dobroliubov, Lavrov, Mikhailovski, Danielson, ecc.: il futuro sociale della Russia. Quest'ultima potrà sfuggire al destino dell'Europa occidentale, al capitalismo, alla proprietà privata, allo Stato borghese? Potrà portare a termine il compito originale di creare una società nuova fondata sulla proprietà comune e la produzione cooperativa della comune contadina?

Nel 1875, su richiesta di Marx, Engels pubblicò una risposta alle critiche di P. Tkatchev, adepto russo di Blanqui, che gli aveva rimproverato la sua ignoranza delle condizioni sociali e delle prospettive rivoluzionarie in Russia. Secondo Tkatchev, la Russia, senza borghesia né proletariato, ma con la comune contadine (mir, obchtchina), era il paese eletto dal socialismo; restava un problema politico: il rovesciamento dello zarismo e la conquista dello Stato da parte di una minoranza rivoluzionaria.

Ecco in sintesi la risposta di Engels: la Russia è certamente alla vigilia di una rivoluzione sociale, ma quest'ultima non potrà assumere un carattere socialista, visto l'assenza di un numeroso proletariato urbano e di una potente borghesia capitalista - vista l'insufficienza delle forze produttrici di cui lo sviluppo incombe al capitale e alla borghesia. La presenza in Russia di forme comunitarie di lavoro e di proprietà prova il profondo desiderio del popolo russo per un'economia cooperativa, ma non prova la sua vocazione al socialismo. Benché minacciato dai progressi del capitalismo in Russia, il mir potrebbe diventare la base del socialismo russo - ad una condizione: il trionfo preventivo della rivoluzione proletaria in Europa occidentale. Nell'attesa, i rivoluzionari russi (ed europei) non avevano che un solo compito: rovesciare lo zarismo.

In una risposta di Marx al sociologo e populista Mikhailovski, leggiamo questa predizione stupefacente: "Se la Russia tende a diventare una nazione capitalista per mezzo delle nazioni dell'Europa occidentale..., essa non vi riuscirà senza aver preventivamente trasformato una buona parte dei suoi contadini in proletari; e... una volta nel girone del regime capitalista, ne subirà le spietate leggi, come altre nazioni profane".

E' anche il senso della sua risposta a Vera Zasulič, nel 1881; lei lo interrogava ansiosamente sui "marxisti" che non lasciavano ai rivoluzionari russi che una sola prospettiva, quella di assistere impotenti allo sviluppo del capitalismo in Russia. Marx lo ripete un anno prima della morte, in una prefazione destinata all'edizione russa del Manifesto comunista: "Se la rivoluzione russa diventa il segnale di una rivoluzione operaia all'Occidente, di modo che le due rivoluzioni si completino, l'attuale proprietà comune russa può diventare può diventare il punto di partenza di una rivoluzione comunista".

Dopo la morte di Marx, Engels — che intratteneva delle relazioni sia con dei populisti sia con dei marxisti russi era sempre più scettico sulle opportunità di sopravvivenza della comune russa. Così in una delle sue ultime lettere a Danielson del 17 ottobre 1893, si legge: "Temo che questa istituzione non sia votata alla sparizione. Ma presentemente, il capitalismo apre delle nuove prospettive e delle nuove speranze. Vedete cosa ha realizzato e cosa ancora all'Ovest! Una grande nazione come la vostra sopravvive a tutte le crisi. Non vi è gran male nella storia senza un progresso storico che lo compensi... Che i destini si compiano!".

Più interessanti sono le critiche di Engels rivolte ai marxisti russi, che non vedono l'ora di vedere la socialdemocrazia giocare un ruolo preponderante nel loro paese. Così egli ricordava a Vera Zasulič (diventata "discepola" dopo essere stata populista) che la teoria storica di Marx non ammetteva per la Russia altra prospettiva che un "1789", ma che questo paese si prestava a meraviglia a delle avventure blanquiste. Il risultato? "Gli uomini che si sono vantati di aver fatto una rivoluzione hanno sempre capito il giorno seguente che non sapevano ciò che facevano, che la rivoluzione compiuta non somigliava affatto a quella che essi volevano fare". Così una volta conseguito il "1789", il "1793" non si farà attendere.

Insomma, ciò per cui Engels si mostrava scontento, erano gli attacchi ai quali si dedicavano i marxisti russi contro i rivoluzionari non marxisti. E' soprattutto contro  Plechanov che si esprimeva nelle sue conversazioni con Kautsky, Voden e Lopatin. Dopo aver letto il libello I Nostri disaccordi, Engels disse a Kautsky: "Ciò che c'è da fare oggi, non è un programma, ma la rivoluzione. Quando quest'ultima si metterà in moto, non saranno i socialisti, ma i liberali che prenderanno il potere in Russia. Ciò che oggi occorre in Russia, è riunire tutti gli elementi dinamici, senza distinzione di programma, in vista dell'azione. Plechanov ha torto nell'attaccare i populisti, che sono i soli per il momento a fare qualcosa in Russia".

Al rivoluzionario Lopatin, Engels dichiarava che non era il compito di un partito rivoluzionario russo di cercare in Russia dei seguaci per realizzare una teoria socialista qualsiasi. Tutto quel che si poteva fare, secondo Engels, era di spingere l'agitazione sino al punto in cui lo zar, intimidito, sarebbe stato costretto di convocare un'assemblea nazionale, che sarebbe stata il segnale di un rovesciamento politico e sociale, che avrebbe permesso alle masse di educarsi, dal momento che la vita popolare in Russia offriva delle risorse sufficienti per una trasformazione della società; quest'ultima sarebbe fatta spontaneamente da parte del popolo stesso, liberato dall'incubo zarista.

A un autore americano (I. A. Hourvitch) che gli aveva domandato la sua opinione sul ruolo della classe contadina nella futura rivoluzione, Engels scrisse che si riteneva incompetente; ma evoca le polemiche degli emigrati russi, che, negli ultimi anni, citano e interpretano dei passi di scritti e di lettere di Marx a torto e a traverso, "come se fossero dei testi di autori classici o del Nuovo Testamento". La parola "marxista", spiegava Engels a un visitatore russo, A. Voden, ha senso solo se ci si chiede ciò che Marx, in una certa situazione, avrebbe pensato,. invece di pescare qua e là delle citazioni nell'opera di Marx e nella sua.

Vi è nell'eredità politica di Marx un'ambiguità fondamentale. Lo vediamo prendersela con gli utopisti, che non hanno conosciuto il dinamismo inventivo del proletariato, la sua capacità di intervenire spontaneamente negli avvenimenti della storia, la sua volontà rivoluzionaria. Il sollevamento dei tessitori slesiani nel 1844, più tardi la Comune di Parigi, gli forniscono delle occasioni  per magnificare questa Selbsttätigkeit, meglio ancora, egli estende la sua fiducia ai contadini delle comuni russe (contropartita, indubbiamente, della sua russofobia, della sua credenza a un destino "mongolo" della Russia). In quanto al teorico del proletariato, non ha una coscienza a parte. Agli operai rivoluzionari, deve egli apportare, intellettuale borghese, una "coscienza socialista"? (Kautsky e il suo discepolo Lenin penseranno questo). No: può soltanto comunicare loro "degli elementi di cultura".

D'altra parte, Marx credeva alla possibilità di accelerare il corso della storia. Era il ruolo dei partiti operai e dei loro leader, che fissano la teoria del movimento per gli obiettivi politici nelle diverse fasi della lotta di classe. Questa convinzione, che si è detta essere giacobina, ha dettato a Marx e al "generale" Engels, il loro atteggiamento verso le guerre: Crimea, Italia, Germania, Secessione americana, conflitto franco-prussiano. In queste diverse congiunture, il "partito Marx" proclama che il proletariato deve agire secondo le prospettive tracciate dal teorico, che ritiene di sapere dove sono gli interessi remoti ma reali della rivoluzione. L'indipendenza nazionale, la formazione delle nuove nazioni, possono allora essere dei compiti urgenti, e prevalere l'interesse immediato del proletariato.

Engels, dopo la morte di Marx, propenderà sempre più per la democrazia parlamentare, considerata come il terreno veramente favorevole alla lotta di classe e alla rivoluzione. I teorici della socialdemocrazia tedesca hanno raccolto senza troppo scegliere il doppio lascito di Marx. Da cui il revisionismo di Bernstein (che si richiama ai suoi maestri) e le proteste di Kautsky (in nome degli stessi). Rimarchiamo tuttavia che Marx e Engels non hanno favorito la nascita di partiti "marxisti". Essi si sono opposti all'indottrinamento in nome dell'esperienza operaia.

Polemica presto bizantina: il partito tedesco ha già deciso, mette il riformismo in pratica. Marx vivo, e dopo la sua morte, Engels aveva spesso scritto ai primi discepoli francesi, italiani, americani, per dissuaderli di orientare a modo loro la classe lavoratrice: "Che essa abbia un proprio movimento, qualsiasi ne sia la forma, purché sia il loro movimento" (A Sorge, 20 novembre 1886) [3].

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

[SEGUE]

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