La Giovinezza di Proudhon
Daniel Halévy
http://www.archive.org/stream/lajeunessedeprou00hal#page/n5/mode/2up
I
LA FAMIGLIA
I PRIMI ANNI
Pierre-Joseph Proudhon, scrisse un giorno, su di un foglio, i principali ricordi della sua infanzia e della sua giovinezza. Prendiamo questo foglio, e, solleciti nel lasciarlo parlare ogni volta che potremo farlo, citiamo; poi commenteremo [1]:
Sono nato a Besançon, il 15 gennaio 1809, da Claude-François Proudhon, bottaio, birraio, nativo di chasnens, vicino a Pontarlier, dipartimento del Doubs; e da Catherine Simonin di Cordiron, parocchia di Burgille-les-Marnay, stesso dipartimento.
I miei antenati paterni e materni furono tutti contadini liberi, esenti da corvée e da manomorta da tempo immemorabile. Jean Claude Simonin, mio nonno per parte materna, soprannominato Tornési perché aveva fatto le guerre dell'Hannover nel reggimento che portava questo nome [in aggiunta: abbiamo conservato a lungo, come reliquia, un Nuovo Testamento in francese, che gli era stato dato dal cappellano del suo reggimento], fu famoso nel suo villaggio per la sua audacia a resistere alle pretese dei signori, per il suo matrimonio con Marie Gloron, figlia unica, ricercata per la sua bellezza e le sue maniere ricercate, e per i suoi litigi con le guardie forestali, agenti dei signori, che lo rovinarono a forza di multe, ma di cui uno pagò per tutti. In un affare che si svolse senza testimoni, il nominato Brézet fu picchiato da J. C. Simonin, e morì a causa dei colpi ricevuti nel giro di pochi giorni, senza accusare nessuno. Sul suo letto di morte riconosceva lo strumento della vendetta celeste per mano di Tornési. Ma ahimè! chi di spada colpisce, di spada perisce. Mio nonno morì di morte violenta: rimase ucciso sulla strada, nell'inverno dell'89, chiamato dalle nostre parti l'anno del grande ghiaccio, andando a far visita alla minore delle sue figlie, mia madre, a servizo in un villaggio vicino. Aveva tredici anni, e pianse suo padre per due anni e mezzo. Ciò accadde alla vigilia della Rivoluzione. Più tardi, mia madre, cuoca, famosa per le sue virtù e le sue idee repubblicane.
[In aggiunta: ecco cos'è la nobiltà di razza. Sono nobile, io!]
Per parte di padre, alcuni titoli di famiglia sembrano fare i Proudhon originari di Milano, da cui una famiglia di emigrati dal nome di Prodoni sarebbe andata a stabilirsi nelle montagne del Giura. Confesso di non poter credere a questa origine, per due ragioni: la prima che il nome di Proud'hon, Prud'hom, Prud'homme, Preudhomme, Prudhon, Prudent, ecc., è volgare in Franca-Contea e sul versante opposto del Giura, nella contea di Neufchâtel: la seconda, che sembra più conforme alle regole della derivazione e dell'etimologia di far derivare Prodoni dalla corruzione di Proudhon, che Proudhon da Prodoni. Da cui si dovrebbe concludere che sono dei Proudhon ad essere andati a stabilirsi a Milano; non dei Prodoni da Milano ad essere andati da Milano in Franca-Contea. Sia quel che sia, io sono di puro calcare giurassico. Il mio incarnato pallido rivela la mia origine! La Bibbia che chiamò il primo uomo Terra-rossa mi ha chiamato... (parola illeggibile).
La famiglia dei Proudhon, non fu meno notevole di quella dei Simonin, di carattere fieri, energici, e arditi. Mi propongo dio conservarne alcuni tratti. - Un Proudhon si distinse in un torneo a Orgelet, e un altro rapì sua moglie. - Mio zio, detto Brutus o il Cudot, tipo di ostinazione.
La maggiore di cinque figli, di cui il terzo e il quarto morirono in tenera età, e il secondo al reggimento, non ho conservato che il mio fratello cadetto, oggi maresciallo fabbro. La mia nascita e la mia prima giovinezza non ebbero nulla di notevole, se non forse l'estrema piccolezza del mio cervello, a cui nessuno dei miei fratelli si avvicinò. Crescendo, le proporzioni sono cambiate; e sono ben lungi dal poter indossare in capo cose così stretto come loro. Gli amanti della frenologia ammirano anche la mia fronte.
Ho conservato a lungo dei quaderni di scrittura in bella copia del 1815: mi ricordo di aver compitato: ma allora ero in vestaglia, il che fa risalire quest'epoca verso il mio terzo anno.
Queste sono dunque le persone, i luoghi, tra i quali Proudhon comincerà a vivere. Buone e brave persone, bei e buoni luoghi. Ecco Besançon, la vecchia capitale provinciale, attiva e grave. Il fiume Doubs la contiene del tutto in una delle sue anse, la racchiude tra le sue acque rapide e le altezze della cittadella.
Ecco, sulla riva opposta, i tetti stretti di Battant. Per dare un po' d'aria alla città che fortificava, per legarla alle sue campagne, Vauban armò questo sobborgo. Scavò dei fossati, eresse i contrafforti intorno a delle umili abitazioni metà contadine; ritirò le porte dietro delle cuspidi, delle fortificazioni ben studiate; e questi magnifici trinceramenti, invasi dalle erbe alte e dagli alberi, animati dai soli bambini e i giochi, continuano la loro funzione guerriera. -La piccola casa dove nacque Pierre-Joseph Proudhon si trova in basso a questi contrafforti: è l'ultima del sobborgo. Una strada, affatto larga, la separa dalle salite erbose che salgono verso il cammino di ronda. Nessuna vettura passa lì; nessun rumore vi giunge; è già il silenzio e l'aria libera dei campi.
Passeggiamo in questo vecchio sobborgo. Dopo cento anni, non è affatto cambiato: nessuna fabbrica, case alte né caserme, nulla che assomigli a quel popolo operaio che si affolla oggi alle porte delle nostre città, e fabbrica per esse. Un sobborgo, era, nell'antica Francia (ed è ancora, qui, forse), tutt'altra cosa: una specie di legame tra la città e la campagna; l'inizio di quest'ultima, non l'uscita della prima; una via aerata e presto una strada. Le case erano basse e molte avevano i loro giardini.
Numerosi ortolani, contadini, vignai, trovavano comodo alloggiare così, non lungi dalla città borghese. Vi trovavano il loro guadagno, ma riservavano la loro vita, e ora fedelmente, all'ombra della città, le usanze rurali, il loro vernacolo. Così era, all'inizio del XIX secolo, il sobborgo di Battant: "Il puro vernacolo bousse-bot," diceva Proudhon, "è nella nostra strada che bisogna andare ad ascoltarlo".
Questa razza dei Proudhon, secondo i lavori, le stagioni, è urbana o campagnola. La terra è a Burgille, la bottega a Battant. Vignaiolo, mercante di vino, bottaio, Proudhon padre lavora a Burgille per la vendemmia e il taglio del suo bosco, a Battant per fabbricare e vendere.
L'inverno in città, l'estate nei campi, così vivono i gentiluomini, tra il loro castello e il loro palazzo in città; vi sono alcune differenze, ma le condizioni sono tutte eguali e buone per chi sa accomodarsi.
La famiglia è antica: ha dei ricordi e delle tradizioni. Respira, nella sua povertà, una grande aria di nobiltà popolare. Conoscono molto bene il loro passato, questi Proudhon, e ritornano a volte nel loro paese di montagna da cui essi traggono la loro origine. Essi hanno buona volontà di durare ancora e di perpetuare il loro valore e il loro nome. Rappresentano degnamente quella vecchia razza di contadini proprietari, molto libera, occupata, non assillata dalla vita. Proudhon ce l'ha detto: "I miei antenati di padre e di madre furono tutti contadini liberi, esenti da corvée e da manomorta, da tempo immemore".
Tali famiglie potevano elevarsi nella gerarchia sociale attraverso gli affari e gli affari legati all'amministrazione della giustizia (basoche), o attraverso la carriera ecclesiastica. Alla fine del XVIII secolo, un cugino del padre di Proudhon, chiamato François-Victor, studiò diritto, si fece un nome come giureconsulto e entrò, con tutti quelli del suo ramo, nella borghesia di Besançon. Non era una persona malvagia, che rinnegava i suoi cugini. Ma sembra che i suoi cugini poveri non erano dell'umore di lasciarsi aiutare. La loro fierezza contadina era più ombrosa, più rude, della fierezza borghese del parente professore. Non valevano quanto lui? Chi essi non valevano? Non erano del più puro sangue della Franca Contea, lavoratori liberi nelle libere montagne? Avevano terre, vigne e bottega, dovevano tutto solo al loro lavoro e si toglievano il cappello davanti a chi sembrava loro valido. Una divisione dei destini e dei doni si era effettuata tra questi parenti divisi: agli uni la saggezza, la considerazione, il benessere, il sapere libresco, la religione esatta e dovutamente predicata; agli altri l'andamento veloce, le audacie della povertà, le violenze della passione, l'esperienza, la sottigliezza contadina, e quel temperamento popolare, che non disturba del tutto la credenza, ma che non predispone alle genuflessioni. Erano degli ostinati, litigiosi e sempre tra i processi; avevano il pensiero pronto, inventivo, e non demordevano mai dalle loro invenzioni. Una parola, in dialetto bousse-bot, designa questa specie di uomo: cudot. I nostri Proudhon furono cudot, se mai ve ne furono. "C'è una goccia di sangue cattivo presso i Proudhon," diceva François-Victor, il giureconsulto, "è passata da quella parte". Quelli di quella parte, credo, non avrebbero detto di no a questo giudizio. Non avevano vergogna di se stessi e consideravano la loro rudezza come nobiltà. Si sapevano cudot, ne erano molto fieri. Proudhon anche, che ripete il nome di suo cugino, non sembrava infastidito.
Ciò che essi ne dicevano, egli scrive, non veniva da malevolenza, al contrario: mai rifiutò servizio né consiglio a questi testardi parte in causa del ramo cadetto: era pura impazienza.
Le riunioni famigliari erano rare: chi poteva desiderarle? Eppure, vi erano occasioni tali, matrimoni, anniversari, semplici giorni di festa o di vacanza, in cui le due razze di Proudhon, la borghese e la contadina, si incontravano. Incontri pericolosi, lo si capisce facilmente; i saggi respiravano quando esse erano trascorse. Non avvenne forse un giorno, ad esempio, che la voce divertente di un Proudhon contadino, interrompendo con una battuta le preghiere comuni, costrinse tutti i Proudhon a ridere?
Avevo appena trascorso una settimana di vacanze in campagna con i miei cugini alla lontana, racconta Proudhon. Il caso volle che ci trovassimo alloggiati in un fienile
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NOTE
[1] Questo foglio è di proprietà della signora Henneguy, figlia di Proudhon. Gliene sono infinitamente grato per la liberalità con la quale mi ha permesso di consultare i suoi archivi familiari. Che mi consenta di esprimerle ora la mia riconoscenza ed il mio ringraziamento.
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