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3 agosto 2011 3 03 /08 /agosto /2011 10:11

Dall'anarchismo al federalismo

 

 

Proudhon, Nadar Articolazione tra diritto e Stato nel sistema politico di Proudhon

 

di Fawzia Tobgui

 

louis_blanc.jpgNel corso degli anni, lo statuto che Proudhon accorda allo Stato si modifica considerevolmente, come testimoniano due estratti, l'uno tratto da Polémique contre Louis Blanc et Pierre Leroux [1], nel quale egli manifesta senza equivoco una posizione anarchica, e l'altro, tratto da  De la Justice dans la révolution et dans l’Église   (La giustizia nella rivoluzione e nella Chiesa) [2], che sfuma considerevolmente la sua prima presa di posizione.

pierre-leroux In Polémique contre Louis Blanc et Pierre Leroux, Proudhon afferma che: "Lo Stato è la costituzione esterna della potenza sociale. Attraverso questa costituzione esterna della sua potenza e sovranità, il popolo non si governa da sé: è, a volte un individuo, a volte diversi, che, a titolo elettivo o ereditario, sono incaricati di governarlo, di gestire i suoi affari [...]. Lo Stato deve esistere ancora quando la questione del lavoro e del capitale sarà operata? In altri termini, avremo sempre, come l'abbiamo avuto sino ad ora, una Costituzione politica al di fuori della costituzione sociale? Rispondiamo negativamente. Sosteniamo che, il capitale ed il lavoro una volta identificati, la società sussiste da sé e non ha più bisogno di governo. Siamo, di conseguenza, e lo abbiamo proclamato più di una volta, degli anarchici. L'anarchia è la condizione di esistenza delle società adulte, come la gerarchia è la condizione delle società primitive [...]. Louis Blanc e Pierre Leroux affermano il contrario: oltre alla loro qualità di socialisti, essi conservano quella di politici; sono degli uomini di governo e d'autorità, degli uomini di Stato. Noi neghiamo il governo e lo Stato perché affermiamo, alla qual cosa i fondatori di Stati non hanno mai creduto, la personalità e l'autonomia delle masse [...]. Affermiamo, infine, che quest'anarchia, che esprime, come lo vediamo ora, il più alto grado di libertà e d'ordine [3] al quale l'umanità possa giungere, è la vera formula della Repubblica, lo scopo al quale ci spinge la rivoluzione di febbraio" [4].

voix_du_peuple.jpgIl giornale La Voix du Peuple, fondato e diretto da Proudhon

dal 1° ottobre 1849 sino al 14 maggio 1850


Questo primo testo, apparso nel dicembre 1849 in La Voix du Peuple, è essenziale per capire la posizione politica del Proudhon degli anni post rivoluzionari; nel 1850, Proudhon lo riprese inoltre in un'opera intitolata Actes de la révolution: Louis Blanc et Pierre Leroux  [5], il che attesta l'importanza che egli gli accordava. Eppure, alcuni anni dopo, nel 1858, un passaggio di La Justice sembra rimettere in questione il progetto di una soppressione radicale dello Stato: "È un fatto che non cercherò di sminuire, che la società, a giudicare dalle apparenze, non può far a meno di governo [...]. Ovunque la potenza pubblica è proporzionale alla civiltà, o, se lo si preferisce, la civiltà è in ragione del suo governo. Senza governo, la società cade al di sotto dello stato selvaggio: per le persone, nessuna libertà, proprietà, sicurezza; per le nazioni, niente ricchezza, niente moralità, niente progresso. Il governo è al contempo lo scudo che protegge, la spada che vendica, la bilancia che determina il diritto, l'occhio che vigila. Alla minima agitazione, la società si contrae e si raggruppa intorno al suo capo; la moltitudine si aspetta da lui la sua salvezza. Tali parole sulle mie labbra non sono sospette, e potete prendere atto, per il futuro, di questa concessione decisiva. L'anarchia, secondo la testimonianza costante della storia, non ha più valore nell'umanità quanto il disordine nell'universo" [6].

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Nove anni separano la pubblicazione di questi due testi. Nel primo, Proudhon afferma la tesi che libertà e potere sono opposti e che un sistema della libertà non è realizzabile che con la sparizione di tutto il potere statale. Infatti, tutte le Costituzioni politiche andrebbero contro la nozione di libertà. Come Proudhon sottolinea all'inizio del testo, invece di salvaguardare la libertà individuale, lo Stato imporrebbe dall'alto un sistema e svolgerebbe un ruolo repressivo. Nelle opere della giovinezza, l'accento è posto sul fatto che "la libertà basta a sé stessa e non ha bisogno di Stato", ed inoltre, che lo Stato è una "contraddizione" poiché "pretende di fare della libertà [la sua] creazione", mentre è esso "che deve essere una creazione della libertà" [7]. In quegli anni, Proudhon cerca di pensare ad un'associazione che poggerebbe sulla dinamica sociale [8]. Tuttavia, al termine della sua critica allo Stato, Proudhon si trova faccia a faccia con il pesante compito di provare che la libertà da sola può costituire un principio politico. Questo postulato poggia su un'idea già sviluppata nella  Première Mèmoire  [Prima Memoria], e cioè che il grado di civiltà è funzione dell'impresa dello Stato sui cittadini: "Così, in una data società, l'autorità dell'uomo sull'uomo è in ragione inversa dello sviluppo intellettuale al quale questa società è giunta [...]. L'uomo cerca la giustizia nell'eguaglianza, la società cerca l'ordine nell'anarchia" [9].

Un altro passaggio della Prima Memoria, esprime un punto di vista analogo: "E in quanto allo Stato, poiché [...] la conclusione definitiva è che il problema della sua organizzazione si confonde con quello dell'organizzazione del lavoro, si può, si deve dedurne anche che verrà tempo in cui, il lavoro essendo organizzato da se stesso, secondo la legge che gli è propria, e non avendo più bisogno di legislatore né di sovrano, l'officina farà sparire il governo" [10]. L'estratto di La Giustizia, che segna una netta distanza in rapporto all'affermazione di principi radicalmente anarchici, deve condurci a chiederci se Proudhon non si sarebbe trovato ad un dato momento di fronte a delle difficoltà teoriche che l'avrebbe portato ad attenuare le sue prese di posizione. Come conseguenza al passaggio di La Giustizia citato, sviluppando la sua argomentazione sul governo, Proudhon aggiunge, sempre a proposito di quest'ultimo, che il "saggio se ne allontana" e che il "filosofo" [11] lo considera come un "male necessario" [12].

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Con i problemi da lui sollevati, questo testo assume un interesse del tutto particolare. Quale senso accordare alle parole di Proudhon? Bisogna intenderle letteralmente, come Karl Hahn nel suo libro sul federalismo, Föderalismus [13], che vi vede l'augurio di una legittimazione dell'autorità politica? O bisogna individuarvi, come fa Pierre Ansart, nella sua opera intitolata Proudhon, testi e dibattiti [14], una dimensione ironica, che mostrerebbe come Proudhon è "cosciente" del ruolo salvifico che occupa lo Stato nello spirito dei suoi contemporanei? Redatto appena prima dei grandi scritti sul federalismo, questo passaggio di La Giustizia, è di transizione tra gli scritti anarchici e federalisti. Le ultime righe della citazione sono, a questo proposito, del tutto significativi: "tali parole in bocca mia non sono sospette, e potete prendere atto, per il futuro, di questa decisiva concessione".

Sembra infatti che Proudhon sia giunto ad ammettere l'esistenza dello Stato come un "male necessario", perché senza la sua mediazione, nessun ordine è possibile. Mentre in precedenza "ordine" e "anarchia" [15] andavano di pari passo, essi sono oramai dissociati, e lo Stato diventa il garante del diritto. È innegabile che verso la fine degli anni 50 del XIX secolo, Proudhon modifica la sua accezione della nozione di Stato, questa questione è stata ampiamente studiata dai critici [16], e non vi torneremo sopra. Per contro, cercheremo di determinare da un punto di vista teorico le ragioni che lo hanno condotto a sfumare la sua posizione anarchica. A questo scopo, saremo portati a studiare l'articolazione tra diritto e Stato, così come il ruolo devoluto allo Stato nel sistema federalista. Se Proudhon considera lo Stato come una "concessione", un "male necessario", possiamo inferirne che lo considera, come "un'istituzione storica transitoria" [17], destinata a sparire una volta instaurato il sistema federalista?

 

1. Passaggio dall'anarchia al federalismo

 

Il percorso intellettuale che porta Proudhon a sfumare la sua posizione anarchica e che sfocia nel federalismo è da mettere in parallelo con la maturazione della sua riflessione teorica, in altri termini, con la sua visione più complessa del problema dell'articolazione tra il sociale ed il politico, strettamente legata allo sviluppo della teoria dialettica [18] ed all'elaborazione di una teoria del diritto. Infatti, l'insieme dell'opera di Proudhon non si capisce che a partire dalla dialettica che la sottende e ne lega le diverse parti. La dialettica trova il suo compimento nel regno della libertà ed il federalismo. La messa a punto dello schema dialettico costringerà Proudhon a rimaneggiare profondamente il suo pensiero. Cosciente della svolta che sta per operare, egli scrive già nel 1855 ad un amico che la sua attività intellettuale si divide essenzialmente in due grandi periodi: "dal 1839 al 1852, ho avuto quel che si chiama il mio periodo di critica [...]. Poiché un uomo non deve ripetersi e che tengo essenzialmente a non sopravvivermi, assemblo i materiali di nuovi studi e mi dispongo ad iniziare ben presto un nuovo periodo che chiamerò, se lo volete, il mio periodo positivo o di costruzione. Esso durerà tanto quanto il primo, dai tredici ai quattordici anni. Devo chiarire tutti quei problemi che da venticinque anni ha travolto il movimento intellettuale in Francia" [19].


Courbet-ritratto-diProudhon

 

Nel 1862, egli associa il suo periodo anarchico ad una tappa compiuta del suo pensiero e la collega a ciò che egli chiama il periodo critico [20] Il "nuovo periodo" al quale Proudhon fa allusione è quello nel corso del quale egli affinerà la sua teoria dialettica ed elaborerà il sistema federalista. Per afferrare la correzione che Proudhon apporta al suo pensiero negli anni 1855-58, conviene ricordare brevemente gli elementi della sua dialettica, determinanti per la comprensione della sua concezione dello Stato. Il fondamento della teoria dialettica eleborata da Proudhon poggia su una legge che egli considera universale, la legge dell'antinomia, che governerebbe la natura, il pensiero e la società. Sarebbe dalla "opposizione inerente a tutti gli elementi" [21] che compongono il mondo che "risultano la vita ed il movimento nell'universo" [22]. La principale difficoltà risiede nella risoluzione degli elementi in opposizione. Il primo abbozzo della dialettica elaborata da Proudhon è posteriore al soggiorno parigino avvenuto tra 1839 e 1841 [23], periodo di apprendistato nel corso del quale egli scopre i filosofi tedeschi, allora al centro delle sue letture e delle sue preoccupazioni, come testimoniano i suoi taccuini di lettura [24] e la sua corrispondenza [25]. A contatto con la sinistra hegeliana, Proudhon si avvicina verso il 1845-1846 alle tesi hegeliane, cosa evidente in particolare in Système des contradictions économiques e nella soluzione proposta per la risoluzione dell'antinomia.

proudhon-Systeme--1850-copia-1.jpg

A quest'epoca, Proudhon ritiene che la struttura tesi-antitesi-sintesi può adeguatamente tradurre la sua "legge universale", ma non tarda a rivedere quest'opinione. A partire dal 1855, egli abbandona definitivamente il termine "sintesi", che implicherebbe secondo il modo in cui intende la sintesi hegeliana la soppressione dell'antagonismo, ora, egli scrive in  La Guerre et la Paix  [La Guerra e la Pace] , "la fine dell'antagonismo [...] vorrebbe dire [...] la fine del mondo" [26]. Da quel momento, la risoluzione dell'antinomia deve consistere per lui nell'equilibrio delle forze in lotta. L'antagonismo è conservato, ma perde il suo carattere conflittuale. Proudhon insiste sul fatto che tutte le forze in opposizione sono a egual titolo necessarie nell'equilibrio globale, perché esse si limitano e si correggono reciprocamente. Se una delle forze giunge a dominare, l'equilibrio è rotto. A differenza della natura che posiede un meccanismo di autoregolazione che la preservi dal caos, la società deve rimettersi all'uomo per sfuggire alla distruzione che la minaccia [27].

Da quel momento, vediamo profilarsi tutto il programma politico di Proudhon: la soluzione al problema politico poggia sull'uomo, dipende dall'uso che egli fa della sua libertà e non da una forza che proverrebbe dall'esterno a piegare il corso degli avvenimenti. Nelle opere dell'ultimo periodo, lo Stato da promuovere è una struttura non gerarchizzata, fondata sul pluralismo e l'egualitarismo e raggruppante dei cittadini liberi ed eguali di diritto.

Si tratta ora di studiare le ripercussioni di questa modificazione nella concezione della dialettica sulla sua visione del politico.

 

a. La questione della risoluzione dell'antinomia


All'epoca in cui Proudhon qualificherà in seguito come "critica", il suo obiettivo è di trovare una forma di governo che corrisponde meglio ai criteri di giustizia e di libertà. Questo progetto è chiaramente definito in  Idée générale de la révolution au XIX siècle : "Trovare una forma di transazione che, riportando all'unità la divergenza degli interessi, identificando il bene particolare ed il bene generale, cancellando l'ineguaglianza di natura con quella dell'educazione, risolve tutte le contraddizioni politiche ed economiche; in cui ogni individuo sia ugualmente e sinonimicamente produttore e consumatore, cittadino e principe, amministratore ed amministrato; in cui la sua libertà aumenta sempre, senza che egli abbia bisogno di alienarsene mai nulla" [28].


proudhon_idee_generale_de_la_revolution.jpg

 

Proudhon si situa allora in una prospettiva di superamento e non di rimessa in causa della rivoluzione del '89; la sua iniziativa può essere intesa come un tentativo di decostruzione del modello giacobino, che rivendica uno Stato centralizzatore forte e di cui i socialisti sono gli eredi: "Louis Blanc e Pierre Leroux sostengono che dopo la rivoluzione economica, bisogna continuare lo Stato [...]. Per essi, la questione politica, invece di annichilirsi identificandosi con la questione economica, sussiste sempre: essi mantengono, ingigantendolo anche, lo Stato. il potere, l'autorità, il governo" [29]. Se Proudhon rimette in causa ogni sistema centralizzatore, è perché imponenedo un ordine dall'alto, la libertà, che costituisce l'essenza stessa dell'uomo, si troverebbe annichilita: "Il problema non è di sapere come saremo governati meglio, ma come saremo più liberi [...]. Per il resto, non ammettiamo il governo dell'uomo sull'uomo, quanto lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo" [30].

In un sistema dialettico dai contorni ancora sfumati, l'anarchia che sarebbe per eccellenza la forma politica che preserva la libertà è concepita come la sintesi delle due altre forme di società che sarebbero la comunità e la proprietà: "Questa terza forma di società, sintesi della comunità e della proprietà, la chiameremo libertà [...]. La libertà è anarchia" [31]. All'epoca in cui Proudhon concepisce la sintesi come la soppressione dell'antagonismo, può ancora attenersi ad una soluzione anarchica implicante la soppressione dello Stato ed affermare che "la vera forma di governo, è l'anarchia" [32].

In Idée générale de la révolution au XIX siècle , Proudhon specifica espressamente i principi sui quali ha fondato l'anarchismo, in particolare le tesi della perfettibilità dell'uomo e della cessazione dell'antagonismo: "Questa organizzazione, tanto essenziale alla società, quanto l'altra [l'apparato governativo] gli è estranea, ha come principi: 1. La perfettibilità indefinita dell'individuo e della specie; [...]. 5. La cessazione dell'antagonismo" [33].


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Tuttavia, molto rapidamente, Proudhon si accorgerà che l'anarchismo si integra male in uno schema dialettico, che egli ha certamente sempre voluto orientato verso l alibertà, ma di cui percepisce le debolezze. Si rende oramai conto che se avesse insistito in questa via, avrebbe condannato il suo modello politico a non essere che un'utopia. Infatti, se l'antagonismo è "principio di vita", la soppressione dell'antagonismo significherebbe la morte, come egli lo constata nel testo citato prima: "La fine dell'antagonismo [...] vorrebbe dire [...] la fine del mondo" [34].

Finché Proudhon aderisce allo schema vita (antagonismo) - morte (fine dell'antagonismo), è obbligato ad orientarsi verso un modello politico che, benché supposto guidare la praxis politica, rimane effettivamente inattingibile ed a cui non si può che avvicinarsi gradualmente. "Siamo nati perfettibili", scrive in La Giustizia, "non saremo mai perfetti: la perfezione, l'immobilità, sarebbe la morte" [35], perché in virtù della sua essenza di essere perfettibile, l'uomo non potrebbe raggiungere la perfezione. La realizzazione del modello politico indotto dalla sua prima concezione della sintesi si rivela non essere in definitiva che un'utopia. Per evitare di essere relegato al livello degli utopisti, Proudhon si vede obbligato a superare lo schema vita-morte ed elaborare un modello che prenda atto del cambiamento operato nella sua concezione della dialettica e che gli permetta di conservare la molteplicità nell'unità. La correzione già iniziata in La Giustizia, è affermata pienamente sin da La Guerra e la pace; Proudhon fa notare: "La pace non è la fine dell'antagonismo, il che vorrebbe dire, infatti, la fine del mondo; la pace è la fine del massacro, la fine del consumo improduttivo degli uomini e delle ricchezze" [36].

Non è più questione di sintesi o di soppressione di uno dei termini dell'antagonismo, la dialettica poggia oramai sulla nozione di equilibrio e non vi sono più ostacoli affinché l'ideale politico si realizzi [37]. Giungiamo così all'ultimo punto determinante per l'abbandono della teoria anarchica: ci resta da vedere quali sono le incidenze dell'evoluzione della teoria dialettica sullo statuto del diritto e sulla migliore forme di governo da adottare.

 

b. L’evoluzione dello statuto del diritto

 

Così come Proudhon non ha scritto nessun trattato sulla dialettica, non ha nemmeno lasciato nessuna opera sulla sua concezione del diritto. Eppure il diritto occupa un posto centrale in Proudhon, il suo peso assume ora un'influenza crescente negli anni della maturità [38]. In La Giustizia (1858) e La Guerra e la Pace (1861), Proudhon considera il diritto come il principio regolatore della società; in Il principio federativo (1862), fa di tutto il suo sistema una filosofia del diritto, della morale e della libertà [39]; infine in Théorie de la propriété [Teoria della proprietà] (1863-1864), enumerando i risultati positivi dei suoi lavori, fa apparire la teoria del diritto accanto alla dialettica ed alla morale tra le sue realizzazioni più importanti [40]. Lo sviluppo del diritto è ora legato alla implementazione della dialettica.

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Nella fase finale della teoria dialettica, la soluzione al problema sociale non consiste nel sopprimere l'autorità, ma a trovare un modo per trasformare ed equilibrare la relazione conflittuale tra l'autorità e la libertà. È alla soluzione giuridica che Proudhon si affida per definire un nuvo legame sociale sganciato di ogni autorità [41]: "equilibrare due forze, è sottoporle ad una legge, che tenendole in relazione l'una in rapporto all'altra, le accordi tra di loro. Chi ci fornirà questo nuovo elemento, superiore all'autorità ed alla libertà? Il contratto il cui contenuto fa diritto, e si impone egualmente alle due potenze rivali" [42].

In Il principio federativo, Proudhon nota che la libertà, spinta all'estremo, sfocerebbe sulla negazione di ogni principio governativo, mentre l'autorità assoluta sfocerebbe alla negazione di ogni vita personale. Queste due forze antinomiche non esistono in modo isolato nella società; esse non "possono costituirsi a parte, dare luogo ad un sistema che sia esclusivamente adatto ad ognuno [a]" [43]. Pone in evidenza che: "Tutti i governi di fatto, qualunque siano i loro motivi o riserve, si rapportano anch'essi all'una o all'altra di queste due formule: Subordinazione dell'Autorità alla Libertà, o Subordinazione della Libertà all'Autorità" [44].

proudhon_du_principe_federatif.jpg

La monarchia ed il comunismo sono le due forme di governo dell'autorità; la democrazia e l'anarchia, quelle della libertà. Tutte le forme di governo citate comportano, secondo Proudhon delle "contraddizioni" [45]. Il ruolo del contratto "mutualista" è dunque di conciliare con l'accordo delle libertà individuali queste due forze in contraddizioni, e di condurle all'equilibrio. Con "mutualismo", Proudhon intende un legame fondato sullo scambio e l'obbligazione "sinallagmatica"- detta anche reciproca- e "commutativa"- detta anche equivalente - degli uni verso gli altri [46]. Secondo Proudhon, "il principio di mutualità [...] è [...] certamente il legame più forte ed il più sottile che possa formarsi tra gli uomini. Né sistema di governo, né comunità o associazione, né religione, né giuramento, possono allo stesso modo, unendo così intimamente gli uomini, assicurare loro una simile libertà" [47].

Basandosi sulla libertà [48], il "principio di mutualità", che si oppone alla nozione di comunità, indica un rapporto di reciprocità, di scambio e di giustizia [49]. Mentre la comunità poggia su un sistema gerarchico centralizzato che implica la subordinazione degli individui, la mutualità, con il suo sistema di equilibrio delle forze, sarebbe, secondo Proudhon, il solo sistema che garantirebbe la libertà: "Affinché il contratto politico soddisfi la condizione [...] che l'idea di democrazia sinallagmatica e commutativa suggerisce [...]; bisogna che il cittadino, entrando nell'associazione, 1° abbia tanto da ricevere dallo Stato quanto egli gli sacrifica; 2° che conservi tutta la sua libertà, la sua sovranità e la sua iniziativa, tranne ciò che è relativo all'oggetto speciale per il quale il contratto è formato e di cui si chiede la garanzia allo Stato. Così regolato ed inteso, il contratto politico è quanto io chiamo una federazione" [50]. Il contratto "mutualistico" deve permettere di ricostruire lo spazio sociale e di preservare l'eguaglianza ad ogni livello. Esso costitusice la soluzione alla quale Proudhon giunge al termine della sua ricerca e si oppone alla posizione inizialmente sostenuta.

All'epoca della redazione del Cours d’économie [Corso di economia] [51], e cioè durante il suo periodo anarchico, Proudhon aveva difeso una concezione trascendentedella giustizia [52] e della morale [53]. È la società che è per l'uomo la fonte del diritto e della morale, o, per riprendere un termine spesso utilizzato da Proudhon, che "rivela" all'uomo ciò che è il diritto e la morale, rivelazione che ha luogo senza la minima partecipazione dell'individuo, "spontaneamente", secondo lui: "La ragione collettiva [54] è l'insieme delle idee che genera spontaneamente, come espressione della sua natura, il gruppo sociale, per la sua formazione, la sua azione, il suo sviluppo, la sua preservazione, la sua tendenza alla perfezione ed al benessere. Queste idee sono succo dell'individuo, a cui esse si rivelano con i progressi del gruppo, ma esse non provengono da lui; non le possiede affatto a priori; è incapace di produrle da se stesso" [55]. Questa tesi del primato del collettivo sull'individuo, che appare a diverse riprese nel Corso, è specificatamente rapportato alla morale [56], alla giustizia [57] ed al diritto: "Il diritto è l'idea propria dell'uomo collettivo che è infusa in ognuno di noi dalla nostra comunione con esso, la nostra obbligazione viene da lì. Siamo individui, e parte di un individuo superiore le cui leggi determinano le nostre, e cioè ci obbligano, né più né meno delle leggi del nostro proprio essere" [58].


proudhon-DaumierApostolo del socialismo, nemico della proprietà e suo distruttore brevettato. Caricatura di Daumier


La tesi della trascendenza della morale che si afferma negli scritti di quest'epoca conduce tuttavia Proudhon ad un'aporia. La difficoltà di cui ora egli stesso prende coscienza è la seguente: se la morale e la giustizia sono fondate sulla società, poiché la società evolve, Proudhon giunge ad affermare che non esiste verità, che tutto è fluttuante, anche il diritto. "Il diritto nell'umanità è essenzialmente mobile e variabile" [59]. Di conseguenza, è il suo intero sistema ad essere minacciato di dissoluzione storicista. La tesi eraclitea di un pensiero di puro divenire, non finalizzato [60], ed il relativismo moraleche ne è indotto non corrisponde alle convinzioni intime di Proudhon. Come infatti concepire la libertà, la sovranitàdell'individuo, se il suo ideale morale non significa nient'altro che una conformazione alla volontà collettiva. Se l'uomo non è il "soggetto della giustizia", la morale gli è estranea. Proudhon formula la stessa osservazione a proposito del diritto. Una fondazione del diritto fuori dall'uomo nega la libertà, nella misura in cui l'uomo non sarebbe autore ma semplice strumento della storia. "Porre il principio del diritto al di fuori del soggetto umano" è contrario alla libertà, nota in La Giustizia. Un sistema che affermi una tale trascendenza della morale e del diritto in rapporto all'essere umano priva l'individuo di ogni responsabilità: "In questo sistema, l'individuo non ha esistenzagiuridica; non è nulla in sé; Non può evocare dei diritti, non ha che dei doveri. La società lo produce come sua espressione [...], gli deve tutto, essa non gli deve nulla" [61].

Proudhon si vede nell'obbligo di apportare un'importante correzione al suo sistema; giunge persino ad operare una vera rivoluzione, invertendo il rapporto tra l'oggettivo ed il soggettivo [62]. Sin da La Giustizia, "morale" e "diritto" hanno il loro fondamento nella coscienza, e la società diventa un prodotto dell'uomo. Con La Giustizia, l'accento è posto sulla libertà e sulla responsabilità umana nel corso degli avvenimenti. Il diritto non è più subito [63], ciò significa che l'ordine giuridico non è più imposto dall'esterno, ma che poggia su una convenzione o un accordo, al quale ognuno deve liberamente sottoscrivere. Destituita del suo precedente potere, la società cambia di natura. Essa è oramai ritenuta essere una struttura non gerarchizzata che raggruppa delle individualità autonome e sovrane, che accettano liberamente di aderirvi. "Il popolo non è altra cosa che l'unione organica di volontà individuali libere e sovrane che possono e devono concertarsi, ma non abdicare mai" [64].

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L'ordine giuridico regolando la vita comunitaria poggia da quel momento sul mutuo riconoscimento dei diritti e dei doveri dei suoi membri, un tale riconoscimento non può che essere che il fatto stesso delal libertà. "Non c'è autorità legittima se non quella liberamente subita, così come non c'è comunità utile e giusta che quella alla quale l'individuo dà il suo consenso" [65]. A quale condizione il diritto deve rispondere affinché l'individuo accetti liberamente di aderirvi? La risposta di Proudhon è chiara: si tratta della considerazione degli interessi individuali. Il patto non potrà essere realizzato che con l'adozione di un modello che prenda in considerazione gli interessi di ognuno: "È nell'armonia [degli] interessi [delle volontà individuali, libere e sovrane che compongono il popolo] che questa unione deve essere ricercata" [66].

Così rivisto, il contratto sociale diventa un patto d'interessi, la comunità più giusta e più utile, la comunità mutualistica, è capace di ottimizzare questo calcolo di interessi. Il diritto, legittimato attraverso l'adesione di tutti gli individui sulla base di un tale calcolo di interessi, si vede da quel momento impartito come compito di mantenere questa "armonia di interessi" sulla quale poggia la coesione sociale, sia di assicurare la "protezione degli interessi individuali e della libertà" [67]. Il diritto diventa così il garante della libertà [68]. Ma poiché l'insieme dell'ordine giuridico poggia sulla libertà, possono verificarsi casi di deriva. Per rimediare agli abusi, Proudhon ammette l'esistenza di un diritto costrittivo, definendo un diritto d'intervento della società: "La libertà, è il diritto che appartiene all'uomo di usare le sue facoltà come gli piace. Questo diritto non giunge senz'altro sino a quello di abusare. [...] Finché l'uomo non abusa che contro se stesso, la società non ha il diritto di intervenire; se interviene, essa abusa" [69]. Ed è precisamente allo Stato [70] che spetta il ruolo di custode dell'equilibrio, come abbiamo appena visto.

Riassumendo, un'importante rivoluzione si verifica nel corso della produzione proudhoniana nella concezione del diritto e della morale. Ad una concezione trascendente che pone il fondamento di queste due discipline nell'essere collettivo, succede una concezione immanente che fa della coscienza la loro unica fonte. Questa evoluzione notevole si spiega con la preoccupazione di Proudhon di salvaguardare il sistema della libertà minacciato dalla dissoluzione storicista ed il relativismo morale indotto dalla sua posizione iniziale. Riassumendo, un'importante rivoluzione si verifica nel corso della produzione proudhoniana nella concezione del diritto e della morale. Ad una concezione trascendente che pone il fondamento di queste due discipline nell'essere collettivo, succede una concezione immanente che fa della coscienza la loro unica fonte. Questa evoluzione notevole si spiega con la preoccupazione di Proudhon di salvaguardare il sistema della libertà minacciato dalla dissoluzione storicista ed il relativismo morale indotto dalla sua posizione iniziale. A partire da La Giustizia, in conseguenza del riaggiustamento della teoria dialettica, non è più questione di soppressione dello Stato.

Inoltre, quest'ultimo diventa uno strumento indispensabile all'equilibrio sociale. Trasformata dall'idea di giustizia [71], la forza autoritaria propria del governo è rovesciata e posta al servizio degli interessi della libertà. La federazione proudhoniana diventa così un compromesso tra l'anarchia e lo statismo. Nelle pubblicazioni che seguono a La Giustizia, la necessità dello Stato è confermata. Proudhon si attarda tuttavia poco sul significato che gli accorda. È l'opuscolo  La Théorie de l'impôt  [Teoria dell'imposta], [72] che definisce ancora più chiaramentele attribuzioni dello Stato [73]. Proudhon vi difende tra l'altro l'idea che il ruolo dello Stato è di proteggere le libertà fondate sul riconoscimento dei diritti dell'uomo [74]. È allo studio delle attribuzioni dello Stato che sarà dedicata l'ultima parte di questo saggio.

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2. Le attribuzioni dello Stato nella soluzione federalista


Sapiamo da  Le Principe fédératif  che lo Stato non esiste che per libera volontà dei cittadini che lo compongono. Non è dunque più opposto alla società, poiché ne diventa l'espressione. Il suo campo è oramai quello dell'interesse pubblico; questo servizio è d'altronde monetizzato; infatti, Proudhon non è contrario al prelevamento di un'imposta, purché questo denaro serva alla collettività [75]. Le competenze dello Stato sono anche meno estese poiché, sul piano interno, quest'ultimo gestisce tutto ciò che riguarda il rispetto della legge [76] e dell'organizzazione dei servizi pubblici [77] (tra l'altro la gestione dei fondi pubblici, l'istruzione pubblica, la sicurezza sociale e una medicina sociale).

Quest'affermazione del ruolo dello Stato va di pari passo con la messa a punto di un sistema che mira ad evitare ogni centralizzazione: "Tutte le mie concezioni politiche si riducono ad una formula di questo genere: Federazione politica o Decentramento" [78]. La chiave dell'equilibrio da raggiungere risiede secondo Proudhon nella suddivisione in piccoli gruppi autonomi [79]. È indispensabile moltiplicare i corpi intermedi. Il federalismo è inteso come una forma di diritto pubblico, caratterizzato dalla divisione dei poteri tra le entità federate, la giusta ripartizione dei compiti mirante alla preservazione dell'unità nella diversità. Grazie ad una tale ripartizione equilibrata del potere all'interno dello Stato, il principio della federazione sarebbe di ostacolo ad ogni appropriazione del potere politico, si tratti di un gruppo di dirigenti o un capo di Stato.

Questa concezione federalista non riguarda unicamente il piano degli affari interni, ma è applicata anche alle relazioni internazionali. L'idea è di formare una confederazione [80] di piccoli Stati; infatti, la formazione di grandi Stati condurrebbe quasi inevitabilmente ad una centralizzazione del potere, incompatibile agli occhi di Proudhon, con la libertà. È la ragione per la quale egli non è favorevole ad una federazione unica sul piano internazionale. "L'idea di una confederazione universale è contraddittoria [...]. L'Europa sarebbe anche troppo grande per una confederazione unica: non potrebbe formare che una confederazione di confederazioni" [81]. Facendo allusione all'Italia ed alla Polonia, Proudhon dimostra che la formazione di grandi Stati a tendenza nazionalista costituisce un pericolo per la pace. La soluzione risiederebbe nella loro suddivisione in piccole entità.

"Si è parlato molte volte, tra i democratici di Francia, di una confederazione europea, in altri termini, degli Stati Uniti europei. Sotto questa designazione, sembra non si sia mai aver inteso altra cosa che un'alleanza di tutti gli Stati, grandi e piccoli, esistenti attualmente in Europa, sotto la presidenza permanente di un Congresso. È sottinteso che ogni Stato conserverebbe la forma di governo che gli converrebbe meglio. Ora ogni Stato disponendo nel Congresso di un numero di voti proporzionali allal sua popoilazione ed al suo territorio, i piccoli Stati si ritroverebbero presto, in questa pretesa confederazione, infeudati ai grandi [...]; una simile federazione non sarebbe dunque che un inganno o non avrebbe alcun senso" [82].

Se i raggruppamenti di dimensioni modeste sono la soluzione per preservare la libertà individuale, Proudhon non precisa la loro dimensione ideale, il loro grado di autonomia, così come i legami che li uniscono ad altri gruppi equivalenti. Pone semplicemente l'accento sulla necessità di anelli intermedi che permettano di conservare i particolarismi.

 

3. Conclusioni

 

Si possono notare nell'opera di Proudhon delle affermazioni contraddittorie sul ruolo dello Stato. Queste differenze non sono non sono dovute ad incoerenza da parte sua, ma ad una profonda evoluzione delle sue concezioni, che lo conducono da una posizione anarchica, che nega ogni legittimità allo Stato, ad una posizione federalista, che fa dell'autorità statale una delle condizioni necessarie alla vita in società.

Questo cambiamento di orientamento è la traduzione sul piano politico di due modifiche maggiori intervenute nelle fondamenta teoriche del pensiero proudhoniano, riguardante retrospettivemente lo statuto dell'antinomia e lo statuto del diritto. Ne consegue 1) che alla luce degli ultimi sviluppi della teoria dialettica, tutte le forze in opposizione sono dichiarate ad egual titolo necessarie all'equilibrio sociale, lo Stato si vede accordato nella soluzione federalista un ruolo di moderatore, mirante a mantenere l'equilibrio tra i diversi attori del campo sociale, sia ad impedire gli squilibri che nascerebbero dalla crescita unilaterale di uno di essi; 2) che l'ordine giuridico non è più imposto dall'esterno, ma poggia su una libera adesione e fa così intervenire la libertà, lo Stato, nella soluzione federalista, diventa il garante di un diritto di costrizione che conviene instaurare per porre ognuno al riparo dei possibili abusi della libertà. Incaricato di far rispettare le libertà individuali fondate sul riconocimento dei diritti dell'uomo, lo Stato è oramai al servizio dell'interesse pubblico.

 


Fawzia Tobgui

 

 

[Traduzione di Ario Libert] 

 

NOTE

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[1] Polémique contre Louis Blanc et Pierre Leroux [= Polémique], publicato come seguito di Idée générale de la révolution au XIX siècle [= Idée], Parigi, éd. Rivière, 1924.

[2] De la Justice dans la révolution et dans l’Église  (=justice), tomes I-IV, Paris, éd. Rivière, 1930.

[3] Cfr. anche Polémique, p. 420, “Il più alto grado d’ordine nella società si esprime con il più alto grado di libertà individuale, in una parola con l’ANARCHIA”.

[4] Polémique, pp. 365-369. Questa professione di fede anarchica figura già nei primi scritti, ma è nelle opere dell’epoca della rivoluzione del 1848 che essa trova la sua più chiara formulazione. Cfr. anche Qu’est-ce que la propriété Ier Mémoire [Cos’è la proprietà, Prima memoria], Paris, éd. Rivière, 1926, p. 335, “Quale forma di governo preferiamo? [...] – Repubblicano, sì, ma questa parola non significa nulla. Res publica, è la cosa pubblica. Ora chiunque si interessi alla cosa pubblica, sotto una qualunque forma di governo che sia, può dirsi repubblicano. Anche i re sono repubblicani. – Bene! Siete un democratico? –No- Cosa? Sareste forse un monarchico? –No- Costituzionalista? –Dio me ne guardi. – Siete un aristocratico? Nient’affatto- - Volete un governo misto? –Ma allora cosa siete?. –Un anarchico… Avete appena udito la mia professione di fede seria e maturamente meditata; benché molto amico dell’ordine, sono, nel senso più forte del termine, un anarchico”.

[5]  Actes de la révolution: Louis Blanc et Pierre Leroux  , Paris, Garnier, 1850

[6] Justice, tome II, p. 160.

[7] Polémique, p. 379, Proudhon aggiunge: "Infatti, se lo Stato si impone alla mia volontà, lo Stato è padrone; non sono libero".

[8] Polémique, p. 380: "Lo Stato è la costituzione esterna della potenza sociale. Questa costituzione suppone, in principio, che la società è un essere sprovvisto di spontaneità, di provvidenza, di unità, e che ha bisogno, per agire, di essere falsamente rappresentato da uno o più mandatari elettivi o ereditari".

[9]   Que-ce que la propriété? Premiera Mémoire , p. 339.

[10] Ibid., p. 395.

[11] Certamente, l’uso delle metafore del "saggio" e del "filosofo" servono ad esprimere in modo sviato [détournée] l’opinione di Proudhon in materia.

[12]  De la Justice dans la révolution et dans l’Église, t. II, p. 161.

[13] Karl Hahn, Föderalismus: Die demokratisdze Alternative: eine Untersuchung zu P. -J. Proudhons sozial-republikan-föderativem Freiheitsbegriff, Munich,Vôgel, 1975, p.161.

[14] A proposito dello stesso passaggio, Pierre Ansart scrive: "Per di più, Proudhon è molto cosciente dei pregiudizi tenaci, dovuto all’eredità dei secoli che velano l’alienazione politica e fanno considerare lo Stato come un fenomeno normale. Come egli stesso scrive ironicamente...", segue poi la citazione sulla giustizia; Pierre Ansart, Proudhon, textes et débats, Paris, Le Livre de poche, 1984.

[15] Cfr. Citazione sopra, nota 4.

[16] Cfr., tra gli altri, Pierre Ansart, op. cit., pp. 124-209, cit. p. 147: "Questa posizione anarchica che Proudhon sarà portato a sfumare nelle sue concezioni federaliste successive si inscrive in una ardente polemica degli anni 1848-1850. È portato, in questi pochi anni che egli trascorre in prigione, a precisare le sue tesi contro i democratici moderati che non richiedono altro che una riforma elettorale, contro i socialisti sostenitori di un capitalismo di Stato e contro il comunismo"; o anche: Pierre Ansart, La Sociologie de Proudhon, Paris, PUF, 1967, pp. 101-142, cit. p. 131: "Le due opere in cui Proudhon espone più ampiamente la sua concezione anarchica della società,  Les Confessions d'un révolutionnaire   Confessioni di un rivoluzionario] e Idée générale de la révolution au XIX siècle [Idea generale della rivoluzione nel XIX secolo], furono scritte nel periodo rivoluzionario dal 1848 al 1852. Dirette contro le minacce conservatrici e contro le tendenze statiste dei democratici, queste opere rivestono un carattere fortemente polemico che Proudhon doveva ulteriormente sfumare. Infatti, a partire dal 1858, più cosciente dell’importanza delle relazioni politiche internazionali, prosegue la sua critica dello Stato centralizzato, ma gli oppone, non più la distruzione dei governi, ma la loro limitazione in un sistema federale". Cfr. anche Karl Hahn, op, cit., pp. 153-337 e Bernard Voyenne, Le Fédéralisme de P-J. Proudhon, Paris, Presses d’Europe, tome IX, 1973, 206 p.

[17] Queste parole citate da Pierre Ansart non sono di Proudhon, ma di Bakunin; vi si potrebbero vedere una traduzione delle intnzioni di Proudhon. Bakunin era infatti molto vicino a Proudhon; egli ha ripreso in modo più approfondito alcuni temi affrontati da Proudhon. Pierre Ansart, op. cit., p. 158.

[18] La prima teoria dialettica di Proudhon è elaborata in seguito al suo soggiorno di studi a Parigi tra il 1839 ed il 1842. È in  De la création de l’ordre dans l’humanité  [Della creazione dell’ordine nell’umanità], [= Création], Paris, éd. Rivière, 1927 e  Système des contradictions économiques ou Philosophie de la misère   [Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della miseria], 2 tomi, Parigi, éd. Rivière, 1923, che egli espone i suoi primi sviluppi dialettici. Durante il periodo della rivoluzione del 1848, il progetto dialettico è posto in sospensione. La dialettica è tuttavia onnipresente negli scritti posteriori a La justice, Proudhon non le dedica nessun capitolo in particolare, ma nel corso delle pagine, precisa la sua teoria.

[19] Correspondance [Corrispondenza], [= Corr], tomo I-XIV, Paris, éd. Lacroix,1875, tomo VI, a Micaud, 25 dicembre 1855, pp. 285-286.

[20] "Se ho iniziato con l’anarchia, conclusione della mia critica governativa, è perché dovevo concludere con la federazione, base necessaria del diritto dei popoli europei, e, più tardi, dell’organizzazione di tutti gli Stati", Correspondance, tomo XII, a Milliet, 2 novembre 1862, p. 220.

[21] Correspondance,  Tomo VII, a Charpentier, 24 agosto 1856, p.117.

[22] Théorie de la propriété  [Teoria della proprietà], Parigi, éd. Lacroix, 1866, p. 213.

[23] Gli anni di studi a Parigi, finanziati dalla borsa Suard.

[24] Sulle note di lettura prese da Proudhon durante gli anni di studi a Parigi, preziosa testimonianza delle influenze subite, cfr. P. Haubtmann, Pierre Joseph Proudhon, sa vie et sa pensée, 1809-1849, Paris, Beauchesne, 1982, pp. 171-291 et P. Haubtmann, Proudhon, Marx et la pensée allemande, Grenoble, Presses universitaires de Grenoble, 1981, pp. 13-28.

[25] Nel 1839, Proudhon riferisce al suo protettore Pérennes: "Le mie giornate trascorrono tra Reid e Kant", Correspondance, tome I, a Pérennes, 16 dicembre 1839, p.163; l’anno seguente, egli scrive al suo amico Bergmann di leggere Kant “tutti i giorni”, Correspondance, tome I, a Bergmann, 10 novembre 1840, p. 248. Proudhon non leggeva il tedesco; ha potuto avere conoscenza dei testi non latini di Kant nelle traduzioni di Tissot.

[26]  La Guerre et la Paix , Parigi, éd. Rivière, 1927, p. 486.

[27] CorrespondanceTomo VII , a Charpentier, 24 agosto 1856, p. 117, Tutte le forze che costituiscono la società [...] si combattono e si distruggono se l’uomo, attraverso la sua ragione, non trova il mezzo di capirle, di governarle e di tenerle in equilibrio.

[28]  Idée générale  de la révolution au XIX siècle , p. 203.

[29] Polémique, p. 365.

[30] Les Confessions d’un révolutionnaire pour servir à l’histoire de la révolution de Février  [Le Confessioni di un rivoluzionario per servire alla storia della rivoluzione di Febbraio], [= Confessions], Parigi, éd. Rivière, 1929, p. 62.

[31] Premier Mémoire, p. 343.

[32]  Les Confessions d’un révolutionnaire, p. 174.

[33] Idée, p. 300.

[34]  La Guerre et la Paix , p. 486.

[35] Justice, tomo I, pp. 327-328.

[36]  La Guerre et la Paix , p. 486.

[37] Non è che questione di tempo: "Passeranno secoli prima che [l’ideale del governo umano] sia raggiunto, ma la nostra Legge è di procedere in questa direzione, di avvicinarci senza sosta allo scopo; ed è per questo […] che sostengo il principio della federazione", Correspondance, tomo XII, a Milliet, 2 novembre 1863, p. 221

[38] Cfr., in particolare La justice (1858) ; op. cit., La Guerre et la Paix (1861), op. cit.,  Le Principe fédératif  (1862), Parigi, éd. Rivière, 1959;  Théorie de la propriété   (1863-1864), op. cit.; De la capacité politique des classes ouvrières [= Capacité] (1864-1865), Parigi, éd. Rivière, 1924.

[39]  Le Principe fédératif , p. 267.

[40]  Théorie de la propriété  , pp. 215-216.

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[41] "Più progredisco, più sono convinto che tutta la giurisprudenza non è che l’arte di trovare l’equazione delle antinomie sociali", Correspondance,  Tomo VII,  a Beslay, 27 agosto 1856, p. 124.

[42]  Le Principe fédératif  , p. 325.

[43] Ibid., p. 306.

[44] Ibid., p. 298.

[45] Ibid., p. 299.

[46] Ibid., p. 319.

[47] Capacité, p. 222, cfr. anche I Mémoire, p. 343: "La libertà è anarchia perché non ammette il governo della volontà, ma soltanto l'autorità della legge".

[48] "La libertà di ognuno incontrando nella libertà dell'altro non più un limite, come nella Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1793, ma un sostegno, l'uomo più libero è colui che ha più relazioni con i suoi simili".  Les Confessions d'un révolutionnaire, mais un auxiliaire, l’homme le plus libre est celui qui a le plus de relations avec ses semblables. » Confessions, p. 249.

[49] Cfr. Capacité, p. 142. "Il mutualismo [...] consiste più nello scambio di buoni servizi e di prodotti che nel raggruppamento delle forze e la comunanza dei lavori".

[50]  Le Principe fédératif , p. 318.

[51] Cours d’économie [= Cours], opera inedita, composta da una serie di fogli redatti tra il 1851 ed il 1855. Pierre Haubtmann ne cita ampi estratti nel suo libro La Philosophie sociale de P.-J. Proudhon, Grenoble, Presses universitaires de Grenoble, 1980. Egli sostiene anche un'ipotesi per spiegare il motivo per il quale Proudhon non ha pubblicato il testo (cfr. pp. 131-177); per maggiori precisioni sulla storia di questi testi, cfr. pp. 102, 259-261.

[52] "La giustizia è dunque un'idea acquisita, non innata, comunicata all'individuo dalla società. È una rivelazione", Corso, foglio IV, 110, citato da Haubtmann, op. cit., p. 113. Cfr. anche: ibid, foglio IV, 108, Haubtmann, op. cit., nota 62, p. 264: "La legge di Giustizia è dunque precedente e superiore all'uomo".

[53] "La morale, signore [...], è una cosa sui generis; non è un prodotto del pensiero puro o della comprensione, come la teologia, ecc.; è una rivelazione della società", Corresondance, Tomo VII, a Cournot, 31 agosto 1853, pp. 370-371.

[54] Proudhon non concepisce la società come una totalità astratta; essa ha una realtà propria; fa una distinzione tra "forza individuale" e "forza collettiva". La realtà sociale è formata da una pluralità di forze collettive (associazione). Queste forze collettive non sono la somma delle forze individuali ma posseggono una dinamica propria. La società o "ragione collettiva" raggruppante l'insieme delle forze collettive si trova a sua volta nei confronti delle forze collettive nello stesso rapporto delle forze collettive nei confronti delle forze individuali.

[55] Corso, foglio XV, 59, citato da P. Haubtmann in La Philosophie sociale de P -J. Proudhon, op, cit., p.107.

[56] "È la nostra essenza di essere così impressionati e muti dalla società alla quale quale apparteniamo! Questa necessità imperativa esiste e diventa per l'uomo obbligo morale, dal giorno giorno in cui si conosce da se stesso come parte integrante e costituente di quest'organismo" Ibid. foglio XV, 73, p 112.

[57] "La giustizia è dunque un'idea acquisita, non innata, comunicata all'individuo dalla società. È una rivelazione", Ibid., foglio IV, 110, p. 113.

[58] Ibid., foglio, IV, 77, p. 112.

[59] Ibid., foglio IV, 77, p. 119.

[60] "Il nostro fine è la giustizia infinita", La Giustizia, tomo III, p. 423.« Notre fin est la justice infinie », La Giustizia, Tomo III, p. 423.

[61] Ibid., Tomo I, p. 299.

[62] Ibid., Tomo IV, p. 432.

[63] La legge diventa "lo statuto arbitrale della volontà umana", La Giustizia, Tomo III, p. 430.

[64] Idee, p. 328.

[65]    Théorie de la propriété , p. 80.

[66] Idee, p. 328.

[67] Cours, foglio XI, 17, citato da Haubtmann, op. cit., p. 109.

[68] Proudhon non vuole "imporre alla libertà altra difficoltà se non il diritto", La Giustizia, Tomo II, p. 73.

[69]    Théorie de la  propriété , p. 29.

[70]  Le Principe fédératif , p. 318

[71] "Non farò attendere ai miei lettori la soluzione. Così come abbiamo appena visto, riconduco ogni scienza politica ad una questione unica, quella della STABILITÀ [...]".

[72]  La Théorie de l'impôt  , Paris, éd. Lacroix, 1868.

[73] Come pone in evidenza Haubtmann nel suo libro, Pierre-Joseph Proudhon, sa vie, sa pensée, 1849-1865, tome II, p. 225.

[74] "Lo scopo suprmo dello Stato è la libertà, collettiva e individuale", Le Principe fédératif, p. 391.

[75] "Un'imposta è la quota-parte da pagare da parte di ogni cittadino per la spesa dei servizi pubblici. Da questa definizione, la sola che autorizza il diritto moderno, dobbiamo dedurre successivamente questi tre principi: 1. Che l'imposta è uno scambio; 2. Che questo scambio ha di particolare che esclude per lo Stato ogni idea di beneficio e deve essere effettuato da lui ad un prezzo di costo; 3. Che l'oggetto per il quale il contributo è richiesto deve essere di una utilità positiva",   La Théorie de l'impôt , p. 56.

[76] Ibid., p. 66, "Lo Stato sorveglia l'esecuzione delle leggi; è il guardiano della fede pubblica ed il garante dell'osservazione dei contratti". 

[77]  Le Principe fédératif , pp. 229-250.

[78] Ibid., p. 361.

[79] Ibid., p. 88.

[80] Proudhon compie a volte una distinzione tra i termini federazione, che riguarda l'organizzazione interna di uno Stato, e di confederazione, che designa un raggruppamento di Stati.

[81] Ibid., p. 335. La stessa idea si trova già in La Guerre et la Paix, p. 160 : "La fusione delle nazionalità può, deve giungere sino all'asorbimento del genere umano, in modo da formare una monarchia universale? Non sarebbe più giusto supporre che l'unità politica del genere umano consiste, sia in una gerarchia di Stati, sia in una confederazione? Nel primo di questi casi, quale sarà il rapporto gerarchico tra gli Stati? Nel secondo, il principio federativo non conduce, per via analogica alla risoluzione dei grandi Stati in province federate?".

[82] Ibid., nota di Proudhon, p. 336.

 

 

 


BIBLIOGRAFIA proudhoniana in lingua italiana, con indicazione di opere ancora inedite:

 

 

[1837] La celebrazione della domenica, Lanciano, Itinerari, 1980.

[1840] Che cos'è la proprietà? o ricerche sul principio del diritto e del governo, prima memoria, Milano, Zero in Condotta, 2000.

[1843] De la création de l'ordre dans l'humanité, ou Principes d'organisation politique, INEDITO.

[1846] Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria, Catania, Edizioni Anarchismo, 1975.

[1848] Programme révolutionnaire adressé aux électeurs de la Seine, INEDITO.

[1848] Organisation du crédit et de la circulation et solution du problème social, INEDITO.

[1848] Proposition relative à l'impôt sur le revenu présentée par le citoyen Proudhon, INEDITO.

[1848] Le droit au travail et le droit de propriété, INEDITO.

[1848] Résumé de la question sociale, INEDITO.

[1849] Idées revolutionnaires, INEDITO.

[1849] Les confessions d'un révolutionnaire, pour servir à l'histoire de la révolution de février, INEDITO.

[1851] L'idea generale di rivoluzione nel XIX secolo, Centro Editoriale Toscano, Firenze, 2001.

[1851] Philosophie du progrès, INEDITO.

[1852] La rivoluzione sociale dimostrata dal colpo di Stato del 2 dicembre, Catania, 1984.

[1858] La giustizia nella rivoluzione e nella Chiesa, nuovi principi di filosofia pratica], Torino, UTET, 1968.

[1861] La Théorie de l'impôt, INEDITO.

[1861] La Guerra e la pace, [Tr. it. parziale], Lanciano, Carabba, 2010.

[1862] Les majorats littéraires, INEDITO.

[1862] La federazione e l'unità in Italia, Perugia, Sana Utopia, 2011*.

[1863] Del principio federativo, Milano, Terziaria, 2000.

[1863] Les démocrates assermentés et les refractaires, INEDITO.

[1863] Si les traités de 1815 ont cessé d'exister, INEDITO.

[1865] La teoria della proprietà, Roma, SEAM, 1998.

[1865] La capacità politica delle classi operaie, Città di Castello, Il Solco, 1920

[1865] Du principe de l'art et de sa destination sociale, INEDITO.

[1867] La Bible annotée, Nouveau Testament: les Actes des apôtres, les Épitres, l'Apocalypse, INEDITO.

[1867] France et Rhin, INEDITO.

[1870]  Contradictions politiques, théorie du mouvement constitutionnel au XIXème siècle, INEDITO.

[1875] La pornocraia o le donne nei tempi moderni, Bari, Dedalo, 1979.

[1876] Amour et mariage, INEDITO.

[1883]  Césarisme et Christianisme (de l'an 45 avant J.-C. à l'an 476 après J.-C.), INEDITO.

[1896] Jésus et les origines du Christianisme, INEDITO.

[1900] Napoléon III, INEDITO.

 

* Richiedibile al seguente indirizzo: sanautopia@gmail.com


 

LINK al post originale:

De l'anarchisme au fédéralisme. Articulation entre droit et État dans le système politique de Proudhon  

 

LINK a tematiche pertinenti:

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Bakunin e i filosofi

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