MARX LIBERTARIO
Maximilien Rubel
Nel centenario della morte di Marx questo saggio, pubblicato dieci anni fa, avrebbe bisogno di una revisione, per rinforzarne la tesi centrale: la fondazione da parte di Marx di una teoria politica dell'anarchismo [1].
Se si astrae dalla tradizionale critica di carattere puramente formale, di cui questa teoria è oggetto da parte di ideologi anarchici e libertari, occorre ammettere che il vero dibattito sui modi di transizione delle società dominate dal capitale e dallo Stato è molto lontano dall'essere iniziato. Di massima, il verbalismo prende il posto di argomento privilegiato nei due campi, anarchico e marxista, senza che sia preso realmente in considerazione l'insegnamento del principale interessato. Il fatto che la quasi totalità delle risoluzioni "politiche", redatte da Marx per i successivi congressi dell'Internazionale operaia, abbiano ottenuto l'accordo unanime dei delegati, basta, tuttavia, per riconoscere l'inanità delle critiche sedicenti antiautoritarie. In realtà gli "antiautoritari" non erano certo meno "marxisti" dei loro oppositori, poiché, votando queste risoluzioni di cui essi probabilmente ignoravano l'autore, rendevano omaggio all'autorità di quest'ultimo [2].
E che dire del voto unanime, da parte dell'insieme delle sezioni dell'A.I.T., a favore dell'indirizzo sulla guerra civile in Francia, in cui il "vero seguito" della natura della Comune è rivelato in questi termini: "Essenzialmente è un governo della classe operaia, il risultato della lotta della classe dei produttori contro la classe degli accaparratori, la forma politica infine disvelata sotto la quale si compirà l'emancipazione economica del lavoro" [3].
Come fare a non stupirsi di una fraseologia "antiautoritaria" sempre rifiorente, quando si sa che questa concezione del carattere politico della Comune fu condivisa senza riserve sia dagli adepti di Proudhon sia da quelli di Bakunin, il quale, poco tempo dopo, si è ingegnato a diffondere fra i suoi compagni di lotta alcuni libelli in cui Marx è trattato da "rappresentante del pensiero tedesco", da "ebreo tedesco", da "capo dei comunisti autoritari della Germania", come chi si comporta da "dittatore-messia", da partigiano fanatico del "pangermanesimo" [4]. Che dire di quei "Documenti probanti" in cui Marx è descritto, da una parte come un "economista profondo... appassionatamente votato alla causa del proletariato", come "l'iniziatore e l'ispiratore principale della fondazione dell'Internazionale" e, d'altra parte, come un dottrinario che "è giunto a considerarsi molto seriamente come il papa del socialismo, o piuttosto del comunismo?". Il che significa in altri termini, che, "per l'intera sua teoria, egli è un comunista autoritario, che vuole come Mazzini... l'emancipazione del proletariato attraverso la potenza centralizzata del proletariato". Che cosa pensare di un "anarchico" o di un "comunista rivoluzionario" che crede ed afferma che l'ebreo Marx è circondato da una "folla di piccoli giudei", che "tutta questa gente ebrea", questo "popolo sanguisuga" è "intimamente organizzato al di là di ogni differenza sul piano delle opinioni politiche", che esso è "in gran parte a disposizione di Marx, da un lato, e di Rothschild dall'altro?" [5].
Come prendere sul serio un "anarchismo" che, "anti-autoritario" per essenza e per proclama, attribuisce proprio a Marx il glorioso merito di aver redatto "le così belle e profonde considerazioni degli statuti", e d'aver "dato corpo alle aspirazioni istintive, unanimi del proletariato in quasi tutti i paesi d'Europa col concepire l'idea e proporre l'istituzione della Internazionale negli anni 1863/1864", dimenticandosi dunque o fingendo di dimenticarsi che la Carta dell'Internazionale fu un documento politico, un manifesto che conferisce alla lotta politica della classe dei produttori il carattere di un imperativo categorico, condizione assoluta e mezzo ineludibile dell'emancipazione umana [6].
Non Marx, ma Bakunin praticava il principio della liberazione "dall'alto verso il basso", esaltando la costituzione di un'autorità centralizzata e segreta, di un'élite avente per missione l'esercizio di una "dittatura collettiva ed invisibile" al fine di far trionfare "la rivoluzione ben diretta" [7].
Confidando nel movimento reale degli operai, Marx sottolineava l'importanza dei sindacati, delle cooperative e dei partiti politici in quanto creazioni "dal basso verso l'alto", mentre Bakunin, al contrario, ripercorrendo magistralmente la traiettoria di Mazzini, eroe delle spedizioni al margine della vita reale delle masse, progettava per i rivoluzionari italiani, chiamati a coordinare una "grande rivoluzione popolare", un piano d'azione per sollevare e spingere alla rivoluzione i contadini "necessariamente" federalisti e socialisti. Il programma prevedeva la formazione di un "partito attivo e potente", un'avanguardia, in realtà, che marciava "parallelamente" ai mazziniani, guardandosi bene dal congiungersi con loro e sorvegliando che essi non si infiltrassero nel nuovo partito, ecc. Non era certamente Marx che, di fronte alle persecuzioni dei governi e delle polizie di cui era vittima l'Internazionale in tutti i paesi del continente europeo, consigliava la creazione, "dentro le sezioni" di "nuclei" composti dai membri più sicuri, più devoti, più intelligenti e più energici, in una parola "i più intimi", con la "doppia missione" di formare "l'anima ispiratrice e vivificante di quest'immenso corpo che si chiama Associazione Internazionale dei Lavoratori in Italia, come altrove... Essi formeranno il ponte necessario fra la propaganda delle teorie socialiste e la pratica rivoluzionaria". Non era Marx che raccomandava agli Italiani così reclutati di formare "un'alleanza segreta" che "non avrebbe accettato nel suo seno che un piccolissimo numero di individui i più sicuri, i più devoti, i più intelligenti, i migliori, poiché in questo tipo di organizzazioni, "non è la quantità ma la qualità che occorre ricercare"; non occorreva imitare mazziniani e "reclutare soldati per formare piccole armate segrete, capaci di tentare colpi di mano", poiché, per la rivoluzione popolare, l'armata è il popolo. Non era certo Marx che suggeriva di formare "stati-maggiori", una "rete ben organizzata e ben ispirata di capi del movimento popolare", un'organizzazione per cui "non è assolutamente necessario avere una grande quantità di individui iniziati nell'organizzazione segreta" [8].
Si può immaginare quest'uomo, come la personificazione del "comunismo-autoritario", che si rivolge nel modo prima descritto ad una rete segreta di compagni o che impiega i suoi talenti di uomo di scienza e di militante per "convertire l'Internazionale in una specie di Stato, ben regolamentato, ben disciplinato, che obbedisce ad un governo unitario e di cui tutti i poteri sarebbero concentrati nelle sue mani [nel testo di Marx] [9]? Come spiegare il fatto che, per suffragare il loro dogma "antiautoritario", i sedicenti anarchici non possono fare altro che ricorrere all'invocazione ripetuta incessantemente, di alcuni passi del Manifesto Comunista od alla citazione di estratti di lettere private, così come, naturalmente, al richiamo delle manovre, ambigue e subdole, di Marx ed Engels, per far escludere Bakunin ed i suoi fedeli dall'Internazionale? Se è facile comporre un'antologia di scritti giacobini e blanquisti-babeuvisti a partire dall'opera di Bakunin, una simile impresa si rivela impossibile se tesa alla dimostrazione del "comunismo di Stato ipoteticamente esaltato da Marx.
La storia di Marx s'inscrive, da un capo all'altro, in un processo di militanza contro l'autorità. Lo Stato e la Chiesa di Prussia furono il principale ostacolo che il "dottore in filosofia" si trovò di fronte, ormai giunto alle soglie della professione di insegnante universitario: fu il primo insuccesso ma anche il primo stimolo a combattere contro l'autorità politica. Da allora la vita di Marx si confonde con una lotta politica condotta in tutti i luoghi d'esilio così come nel paese natale, dove egli poté tornare nel 1848, non come cittadino tedesco, ma come apolide. Ad eccezione dell'Inghilterra, luogo di relativa libertà, i paesi dove Marx ha soggiornato hanno sempre messo la polizia alle sue calcagna. Godendo del diritto di libera espressione in Gran Bretagna, egli non si astenne mai dal praticare un giornalismo schiettamente anti-autoritario ed a cercare contatti nell'ambiente del cartismo, allora senza grandi prospettive politiche. A Colonia, a Parigi, a Bruxelles ed a Londra, egli militò secondo le sue convinzioni socio-politiche, non come un avventuriero che fomentava cospirazioni di nessun effetto contro l'ordine stabilito, ma a viso scoperto, là dove le libertà borghesi erano assicurate, e nella clandestinità, quando la borghesia doveva ancora fronteggiare le vestigia dell'assolutismo feudale. In breve, la sua lotta era sempre diretta contro i regimi reazionari e, dunque, autoritari.
Un insieme di principi non merita di chiamarsi "teoria", se non sviluppa tesi empiricamente verificabili determinandone le norme di realizzazione in modo razionalmente formulabile. La teoria marxiana dell'anarchismo riunisce queste due caratteristiche: essa, da una parte, analizza i fenomeni storico-sociali nel loro sviluppo, col suffragio di testimonianze verificate e verificabili, dall'altra parte, formula pronostici relativamente credibili in funzione dei comportamenti umani e delle tendenze trasformatrici della realtà sociale. Analitica e normativa, questa teoria non può eguagliare l'esattezza delle scienze naturali, anche se l'epistemologia moderna rimette in questione i presupposti deterministici delle scienze cosiddette esatte, assicurando in qualche modo il trionfo postumo di quel principio del "rischio", chiave dell'atomismo epicureo (che fu il tema della tesi dello studente Marx, candidato al dottorato in filosofia). In opposizione alla maggioranza dei pensatori che si richiamano all'anarchismo od all'individualismo nichilista (Max Stirner!), scarsamente preoccupandosi, però dei mezzi pratici che possono condurre a norme di comunità liberate da quelle istituzioni di classe che favoriscono, invece, lo sfruttamento e la dominazione dell'uomo sull'uomo, Marx ha cercato di conoscere i modi di trasformazione rivoluzionaria delle società nel passato, per dedurre da queste esperienze storiche, insegnamenti generali. Quando egli affermava di aver assegnato alle sue ricerche l'obiettivo ambizioso di "rivelare la legge economica del movimento della società moderna", aveva già, dietro sé, quasi tre decenni di studi in molteplici campi del sapere. Non è dunque come specialista dell'economia politica che egli si poneva, nella pretesa di rivaleggiare con Adam Smith o David Ricardo ed i loro epigoni. L'originalità del suo metodo doveva esercitarsi nell'analisi dei rapporti umani che sottendono i cosiddetti fenomeni economici, tanto nella loro espressione teorica che nella loro manifestazione pratica. Separare il critico dell'economia politica dal teorico della politica rivoluzionaria, vuol dire precludersi la comprensione del senso profondo della sua opera, ma anche misconoscere l'influenza drammaticamente costrittiva delle condizioni "borghesi", più esattamente di quella "miseria borghese" che ha segnato tutta la sua carriera di paria intellettuale.
Abbiamo a disposizione molti indici per poter affermare che il Libro sullo Stato previsto nel piano dell'"Economia", definito da Marx nella Prefazione alla Critica dell'economia politica (1859), doveva esporre anche una "Teoria dell'Anarchismo". Quando, per commemorare il centenario della morte di Marx, un cronista si rammarica che l'economista abbia avuto la meglio sul teorico della politica, egli sembra proprio fondarsi su questo progetto che, però, a Marx non fu concesso di portare a compimento [10].
Ora, l'autore della "Critica" afferma di disporre di "materiali" destinati a cinque "rubriche" o "Libri"; parla anche di "monografie" suscettibili di modificarsi, con l'aiuto delle circostanze, in scritti elaborati conformemente allo schema delle due triadi da cui facilmente emerge il rapporto con il metodo dialettico di un Hegel precedentemente "raddrizzato" [11].
L'alone di leggenda che circonda l'opera di Marx ha finito per raggiungere un grado di mistificazione mai toccato, e bisogna necessariamente ammettere che "libertari" ed "anti-autoritari" hanno contribuiti per una parte non trascurabile a questo, facendosi anche complici, spesso involontari, degli ideologi liberali e democratici arruolati al servizio degli interessi del capitalismo vero contro quel socialismo, falso, che si cela sotto il vessillo del demone totalitario.
Per la verità, è proprio "il politico" che attraversa da un capo all'altro l'intera opera di Marx, rimasta frammentaria per ragioni evidenti. Per ciò che riguarda la "monografia" menzionata fra i materiali parzialmente redatti come testo provvisorio del "Libro", essa potrebbe essere ricostruita a partire da elementi sparsi ma numerosi in quasi tutti gli scritti, pubblicati e inediti, ormai accessibili, grazie alle edizioni e riedizioni di cui fu iniziatore Engels. Queste riedizioni si scaglionano, fin dalla sua comparsa, per più di otto decenni, all'inizio dei quali la questione posta da Kautsky a Marx nell'aprile del 1881 sembra infine ricevere una risposta definitiva grazie all'impresa editoriale più recente, la "Marx-Engels-Gesamtausgabe" [12].
[SEGUE]
[Traduzione di Marco Melotti]
NOTE
[1] Vedi Louis Janover e Maximilien Rubel, Materiali per un lessico di Marx - Stato, Anarchismo. Studi di Marxologia, “Quaderni dell’I.S.M.E.A.”, n. 19-20, gennaio/febbraio 1978, pp. 11/161.
[2] M. Rubel, La carta della Prima Internazionale. Saggio sul "marxismo" nella Associazione Internazionale dei lavoratori, in Marx critico del marxismo, Cappelli, Bologna 1981, pp. 67/68. Il Rapporto del Consiglio Centrale dell’A.I.T., redatto da Marx per il Congresso di Ginevra (1866), contiene, sotto il punto “Lavoro dei giovani e dei fanciulli – dei due sessi”, un paragrafo in cui è detto fra l’altro: “la parte più illuminata della classe operaia comprende benissimo che il suo avvenire come classe, e conseguentemente il futuro dell’umanità dipende dalla formazione della generazione che cresce. Sa che soprattutto i bimbi e i giovani lavoratori devono essere tenuti lontani dagli effetti distruttori del sistema presente. E ciò può essere realizzato soltanto attraverso la trasformazione della ragione sociale in forza sociale: e, nelle circostanze presenti, non possiamo fare ciò se non mediante leggi generali, che vengono attuate tramite il potere dello Stato. Facendo introdurre tali leggi, la classe operaia non accrescerà la forza del potere governativo. Come vi sono leggi per difendere i privilegi della proprietà, perché non ne dovrebbero esistere per impedirne gli abusi? Al contrario tali leggi trasformerebbero il potere diretto contro di esse in loro proprio agente. La classe operaia allora, tramite una misura generale, farà quanto essa tenterebbe invano di compiere con un numero altissimo di sforzi individuali”. A.I.T. “Resoconto del Congresso di Ginevra”, pubblicato nel “Corriere internazionale”, Londra 1867; cfr. G. M. Bravo, La Prima Internazionale, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 176. Votando a grande maggioranza questo rapporto, i delegati, indubbiamente, non si sono accorti di aderire alla teoria del “comunismo di Stato”, costruito più tardi dall’ostinata propaganda di Bakunin e dei suoi amici.
[3] Cfr. K. Marx, La guerra civile in Francia, in K. Marx, Scritti sulla Comune di Parigi, a cura di Paolo Flores d’Arcais, La Nuova Sinistra / Samonà e Savelli, Roma 1971, p. 53.
[4] Ci asteniamo qui dal produrre un florilegio di asserzioni razziste e germanofobe che la figura di Marx ha ispirato a Bakunin. Si possono trovare, fedelmente riportate ma scarsamente commentate, negli Archivi Bakunin, Vol.I, Michail Bakunin e l'Italia 1871-1872, 2a parte: “La prima Internazionale in Italia e il conflitto con Marx”, Leiden 1963. La prevenzione “antiautoritaria” dell’editore, A. Lehning, non favorisce un giudizio equilibrato e chiarificatore sul fondamento teorico d’un conflitto il cui studio dovrà essere ripreso fin dall’inizio, stante la confusione degli epigoni di entrambi i campi, “marxista” e “antimarxista”.
5) M. Bakunin, Rapporti personali con Marx. Documenti probanti n. 2, op. cit., pp. 124 e segg. “Ciò può sembrare strano. … Ah! E’ che il comunismo di Marx vuole la potente centralizzazione dello Stato, e là dove c’e centralizzazione dello Stato deve esserci necessariamente una Banca centrale dello Stato, e là dove esiste una simile Banca, la natura parassita degli Ebrei, speculando sul lavoro del popolo, troverà sempre modo di esistere” (ibid. p. 125).
6) Vedi la Lettera agli internazionalisti della Romagna, del 23-1-1972, Archivi Bakunin, Vol.I, 1963, op. cit. pp. 207/228. Bakunin qui fa il suo mea culpa per aver contribuito ad allargare i poteri del Consiglio generale dell’A.I.T. durante il Congresso di Basilea (1869) e aver rafforzato in tal modo l’autorità della “setta marxista”.
7) Michail Bakunin, Lettera ad Albert Richard, 1° aprile 1870, Archivi Bakunin, op. cit., p.XXXVI e segg. A. Lehning riassume, nella sua introduzione, le attività di Bakunin che tendono a “dare alle masse una direzione veramente rivoluzionaria”, moltiplicando le organizzazioni segrete.
8) M. Bakunin, Lettera a Celso Ceretti, del 13-27 marzo 1872, Archivi Bakunin, op.cit., pp.251 e segg.
9) M. Bakunin, Lettera agli internazionalisti della Romagna, cit., p. 220. Prima di usare l’espressione “marxista” per designare gli amici di Marx, Bakunin parlava di “marxiani” e di “nucleo marxiano”.
10) Cfr. Jacques Jullard, Marx morto e vivo, in “Le nouvel Observateur”, 25-31 marzo 1983, p. 60: Marx avrebbe “trascurato la teoria politica” a vantaggio di una “teoria dello sfruttamento economico [ … ] per nostra sfortuna”.
11) K. Marx, Opere, Pléiade-Gallimard, Tomo I.
[12] Questa edizione è dovuta all'iniziativa congiunta degli Istituti del Marxismo-leninismo di Mosca e di Berlino.
Marx libertario - Carmilla on line
di Maximilien Rubel - Traduzione e note di Marco Melotti [Vorrei ricordare Marco Melotti (nella foto) con un testo che egli stesso aveva curato, tradotto in italiano, e diffuso attraverso la rivista