Materialismo dialettico e psicanalisi secondo Wilhelm Reich
Parigi, secondo semestre 2001, pp. 217-234.
Secondo Bernard Görlich [1], il freudo-marxismo non sarebbe che la realizzazione del progetto freudiano di una "psicologia del profondo" applicata alle scienze sociali [2]. Il freudo-marxismo in generale e quello di Reich in particolare, si concepirebbero come dei tentativi che "per mezzo dell'integrazione della psicanalisi alla teoria sociale marxista volevano soprattutto forgiare uno strumento per la spiegazione del fascismo nascente". Questa interpretazione ci sembra troppo formale e troppo generale per caratterizzare il freudo-marxismo. È evidentemente impossibile sviluppare la storia del freudo-marxismo nel quadro di questo testo. Ci atteremo al solo pensiero di Wilhelm Reich e mostreremo, contro Görlich, che il freudo-marxismo non si riduce ad una psicanalisi applicata, esclusivamente determinata dalla spiegazione sociologica del fascismo.
Il nostro intento sarà quello di mostrare che il freudo-marxismo di Reich nasce da una vera articolazione teorica dei pensieri di Freud e di Marx; articolazione il cui senso e portata superano il quadro storico della critica del fascismo. In quanto alla questione di una psicanalisi applicata ai fenomeni sociali, la posizione di Reich è chiara e del tutto contraria alle affermazioni di Görlich. Il freudo-marxismo di Reich non è d'altronde toccato dalle critiche che Marcuse e Adorno formulano nei confronti del neo-freudismo di Karen Horney e di Fromm. Il Freudo-marxismo di Reich non è né un neo-freudismo né una concezione culturalista della psicanalisi. Al contrario, egli anticipa, in una certa misura, la "teoria critica" della Scuola di Francoforte e degli psicanalisti vicini alla Scuola di Francoforte come Alexander Mitscherlich e Alfred Lorenzer.
Per meglio comprendere il legame che Reich stabilisce tra Freud e Marx, limiteremo la nostra analisi a quel che consideriamo essere il testo originario del freudo-marxismo: Materialismo dialettico e psicanalisi [3]. Lungi dal voler dare qui un giudizio definitivo sul "caso Reich", ci limiteremo ad abbozzare un'immagine più giusta della sua concezione di freudo-marxismo della psicanalisi.
Nell'epilogo di Eros e civiltà [4], Herbert Marcuse sviluppa una critica virulenta del neo-freudismo di Horney, Fromm, Thompson e Sullivan. La sua analisi parte da una constatazione epistemologica. La psicanalisi è nata da una prassi, condizionata da una relazione tra due individui. La teoria psicanalitica non ha altro materiale che questo singolare materiale. Sembra dunque di colpo inconcepibile allargare il campo della psicanalisi in modo da farne una psicologia sociale. Oltre a questo limite epistemologico, Marcuse ricorda anche il pessimismo politico di Freud. Secondo Freud, la base repressiva della società si rivela inalterabile e la pratica psicanalitica deve risolversi in una dimissione efficace [5].
Il paziente è guarito quando riesce a "funzionare" in una società malata, senza tuttavia abbandonarvisi. Secondo Marcuse, l'interesse sociologico della psicanalisi non risiede né nelle sue applicazioni né nella sua prassi. Esso si situa a livello della sua teoria, della sua metapsicologia ed anche della sua "metafisica". È nelle sue analisi individuali così come nella riflessione teorica su queste analisi che si situa il vero potenziale critico della psicanalisi. Infatti, essa rivela, senza volerlo, le antinomie sociali in seno allo stesso individuo. Tentare di socializzare i concetti della psicanalisi equivarrebbe a tagliare la psicoanalisi dalle sue possibilità critiche. Inserendo delle nozioni sociologiche nella teoria psicanalitica, la scuola neofreudiana (Fromm, Horney, Sullivan, Thompson) si rende colpevole di una confusione dei generi e livella la psicanalisi al suo contesto sociale.
La scuola neofreudiana parte dalla constatazione che l'individuo e la sua nevrosi sono, in un'ampia misura, determinati dalle caratteristiche dell'ambiente. Ma strappando l'individuo alla sua storia naturale e eliminando la teoria della libido a beneficio di una psico-sociologia irriflessa, i neofreudiani finiscono con il mascherare questi stessi problemi che vedevano all'origine della sofferenza e della malattia. La teoria delle pulsioni e la teoria della libido sono sostituite con una concezione sociologica dell'individuo che impronta in fin dei conti i suoi concetti alla società criticata. Vi ritroviamo, tra l'altro, i concetti di salute, di efficacia sociale, di riuscita professionale, di gioia del consumo [6]; nozioni che reintroducono i tratti della morale sociale che la psicanalisi era autorizzata a combattere. In questo senso, la snaturalizzazione ed il sociologismo del neofreudismo trasformano, senza volerlo e soprattutto senza saperlo, la cura analitica in una pratica di adattamento sociale cieco. Dopo Marcuse, la sociologizzazione della psicanalisi conduce, paradossalmente, ad un annullamento dell'interesse sociologico della psicanalisi.
La lettura di Materialismo dialettico e psicanalisi, evidenzia che nel 1927, quasi trenta anni prima di Eros e civiltà, Reich intravedeva già il problema dell'articolazione della psicanalisi e della sociologia marxista allo stesso modo. In questo testo, Reich evidenzia immediatamente che la psicologia individuale, poggiante su una teoria della libido, cioè su una teoria della natura pulsionale dell'individuo, non deve essere confusa né con una sociologia né con una psicologia sociale. Non bisogna tentare di superare la divisione del lavoro tra sociologia e psicologia da una parte, tra analisi dei fenomeni di massa e dei fenomeni individuali dall'altra. Rifiutando la sociolizzazione della psicanalisi, il freudo-marxismo di Reich evita lo scoglio del neofreudismo. Reich riconosce il pericolo di una confusione dei generi. La sua domanda è la seguente: come avvicinare una psicologia individuale alla sociologia, tenuto conto della differenza fondamentale delle loro categorie? Con questa domanda, Reich entra in urto con le critiche degli psicoanalisti, a quelle dei marxisti ufficiali ed a quelle dei comunisti.
Come adottare infatti un punto di vista puramente storico, economico o politico, spiegare il fatto che il partito che rappresenta gli interessi degli operai venga all'improvviso malvisto da costoro e ciò non tanto in ragione di una protesta quanto per l'avvento di un entusiasmo che non ha potuto essere né anticipato né spiegato dalla dottrina marxista? Reich risponde a questa domanda in qualità di psicanalista "ortodosso": se i proletari si ingannano sul loro vero destino rivoluzionario è per via di una sessualità repressa che trova nelle figure di punta del fascismo una forma di espressione perversa e particolarmente efficace. Reich inaugura qui un orientamento di ricerca che né Adorno né Marcuse rimetteranno in causa.
La psicanalisi condivide la situazione storica e sociale della dottrina marxista. Ciò che la distingue dal marxismo da questo punto di vista, è il fatto che essa mette a nudo la contraddizione sociale all'interno dell'individuo stesso. Per quel che è riguarda il supposto idealismo della psicanalisi, esso evidenzia piuttosto l'ignoranza dei suoi detrattori [9] che la verità della teoria freudiana. Si possono senz'altro trovare degli effetti secondari e delle digressioni idealiste in psicanalisi, ma la stessa cosa è vera per il marxismo. Ora, se ci si rifiuta di giudicare il marxismo unicamente per i suoi errori si deve fare la stessa cosa per la psicanalisi.
Notiamo tuttavia che nella sua argomentazione, Reich si rivolge meno agli psicanalisti quanto ai marxisti. Perché sarebbe del tutto possibile affrontare allo stesso tempo una interpretazione psicanalitica di questi tipo di pregiudizio. Per i pregiudizi della borghesia reazionaria, Reich non ne fa a meno ad ogni modo [12]. È chiaro che è più prudente con i suoi interlocutori marxisti che con gli psicoanalisti che, come regola generale, fanno parte della borghesia o come Reich stesso della piccola borghesia. La prospettiva dell'indagine diventa più chiara: per Reich, il valore e lo statuto epistemologico della psicanalisi si misurano con il metro del marxismo.
Per dimostrare il carattere materialista e dialettico della psicanalisi e per sottolineare la sua utilità per il marxismo, Reich procede attraverso diverse tappe. Si interessa dapprima alla natura epistemologica della teoria psicanalitica stessa, per sviluppare in seguito la natura dialettica dell'oggetto della psicanalisi, e cioè la vita psichica. Infine enumera i ruoli politici che la psicanalisi potrebbe adottare in seno ad una società socialista.
Il fatto che la psicanalisi sia una psicologia non permette di concludere che essa sia idealistica. La psicanalisi si oppone certamente al materialismo "ingenuo", al materialismo meccanicistico che Reich riconosce presso alcuni critici marxisti. Tuttavia, da questo punto di vista, tutto porterebbe a credere che la teoria marxista stessa sarebbe idealista, perché il materialismo marxiano non somiglia in nulla al materialismo meccanicistico del XIX secolo. Reich ricorda che nella prima tesi su Feuerbach, Marx stesso respingeva questo tipo di materialismo e riconosceva parzialmente il contributo critico dell'idealismo. Marx vi fa notare infatti che il materialismo tradizionale si limita a considerare la realtà sotto forma d'oggetto o di intuizione. L'idealismo ha tuttavia permesso di comprendere in quale misura quest'oggetto non rileva soltanto del dato naturale, ma anche della "produzione umana". Per essersi arrestato ad una concezione astratta, intellettuale di questa produttività, l'idealismo ha contribuito ad un superamento del materialismo "ingenuo" e di conseguenza, alla nascita del materialismo dialettico.
Marx non respingeva inoltre affatto la realtà del pensiero. Se ci si attiene alla concezione marxiana del materialismo così com'è presentata nelle prime pagine di L'ideologia tedesca, si potrebbe infatti pensare che per Marx, esiste una relazione di causalità gerarchica che parte dal materiale e dal biologico e che sfocia nei fenomeni intellettuali [13]. Ma Reich ricorda a giusto titolo che nella terza tesi su Feuerbach, Marx considera la pratica intellettuale tra i fattori costitutivi dell'essere umano. In mancanza di un cambiamento naturale evolutivo delle condizioni sociali, sarebbe inconcepibile ignorare la necessità dell'educazione di coloro che si suppone debbano fare la rivoluzione. Ne consegue che se la condanna marxista della psicanalisi riprende la critica meccanicistica della psicologia in generale, non ricorre a dei principi propriamente marxiani. La confutazione marxiana del materialismo "ingenuo" permette così di riabilitare la validità e la necessità dell'oggetto della psicanalisi, cioè la vita psichica. Reich è molto sottile e dà prova di un certo umorismo quando sostiene che la critica "marxista" dei detrattori della psicanalisi si oppone in primo luogo al pensiero marxiano. A ciò, aggiunge l'idea che senza psicologia, il marxismo non potrebbe concepire né la sofferenza umana né la coscienza di classe. Attraverso questo rovesciamento dialettico della situazione, sembra non soltanto difficile squalificare la psicanalisi, ma quest'ultima sembra quasi diventata inevitabile per il marxismo.
La psicanalisi, evidenzia Reich, si fonda su una dottrina delle pulsioni e quest'ultime, in quanto concetti limiti tra lo psichico ed il somatico, dipendono dal concetto di libido. E, resta fedele a Freud quando osserva che la libido dipende dai processi chimici dell'organismo. Sicuramente, in Reich, così come in Freud d'altronde, si tratta meno di un'ipotesi scientifica da corroborare che di una dichiarazione di principio, di un orientamento "filosofico". Per riprendere la formula di Marx, potremmo dire che quel che conta da un punto di vista filosofico, è l'idea che lo spirito sia di colpo colpito dalla maledizione del materiale e del carnale [14]. Lo spirito, l'intelletto, lo psichismo nel loro insieme sono pieni di corporeità. Le prove sperimentali sono altamente apprezzate, ma né Freud né Reich le ricercano particolarmente.
Precisiamo tuttavia, che il concetto freudiano di natura rimane ambiguo quando ci si attiene alla nozione di "destino della pulsione". Reich si serve di questa ambiguità per introdurre la sua concezione dialettica- nel senso marxiano del termine- della teoria della libido. Le pulsioni sono doppiamente dialettiche. Lo sono innanzitutto in ragione della loro divisione in due categorie opposte- le pulsioni libidinali e le pulsioni dell'Io, o le pulsioni libidinali e le pulsioni di morte- e lo sono in seguito in ragione della mediazione sociale che fissa il loro destino.
Lo sviluppo e la vita psichica dell'individuo sono animati dalla lotta di pulsioni antagonistiche e questa lotta si manifesta concretamente a partire dall'essere sociale. Così come Adorno lo formulerà a proposito del concetto di "fatto sociale" (Durkheim, 17), Reich valuta che la società, è ciò che fa male [16]. Attraverso la nozione di "principio di realtà", Freud ha riassunto tutte le restrizioni e necessità sociali che abbassano i bisogni o ne differiscono le soddisfazioni [17].
Il carattere sociale del principio di realtà rimane formale. osserva Reich, finché non ci si rifiuta di includere le caratteristiche della società in questione; la società in questione essendo, evidentemente, quella del modo di produzione capitalista.
Concretamente: il principio di realtà del capitalismo richiede da parte del proletario una restrizione massima dei bisogni, richiedendo a questo scopo delle ingiunzioni religiose di sottomissione e di umiltà. Richiede anche un rapporto sessuale monogamo ed altre restrizioni di questo tipo [18].
Ciò che vale per il principio di realtà, si conferma anche per il principio di piacere. Il principio di piacere a sua volta deve essere concepito come un dato naturale, formato dalla natura sociale dell'uomo. È il motivo per cui l'interesse della psicanalisi si porta ulteriormente sul destino della pulsione piuttosto che sul suo fondamento biologico, biochimico o fisiologico, di cui si può pensare che sia più o meno identico presso tutti gli esseri umani. Reich estende quest'articolazione dello psichico (ma anche del biologico) e del sociale al fondamentale concetto della metapsicologia freudiana, cioè al concetto dinamico dell'inconscio.
Molto evidentemente, questo cambiamento di modo della pulsione e della proibizione non permette di risolvere il conflitto, permette tutt'al più di spostarlo. La riapparizione del rimosso tiene conto sia della rivendicazione della pulsione che dell'obbligo del divieto. Reich evidenzia che il sintomo si concepisce come una negazione della negazione. Nel sintomo, la pulsione repressa ed il divieto reprimente sono rilevati (aufgehoben) da una nuova figura. Ma questo cambio (Aufhebung) non equivale ad una soluzione riuscita. In una certa misura, la pulsione ed il divieto sono stati soddisfatti dal sintomo, ma il conflitto non rimane per questo meno attivo. Il sintomo rimane ambiguo e lo spostamento della pulsione implica spesso, con ciò stesso, una decontestualizzazione (Alfred Lorenzer). Il sintomo appare come un "corpo estraneo", come un fenomeno psichico di disturbo, sprovvisto di senso.
Come abbiamo visto, questo conflitto psichico si concepisce come un conflitto tra l'io pulsionale o "l'io piacere" (Lust-Ich) del bambino e la rivendicazione dei genitori. I genitori, come rappresentanti di una società concreta, cioè di un modo specifico di produzione, conferiscono un senso sociale molto concreto a questo conflitto. La funzione protettrice della famiglia diminuisce e apre le sue porte agli imperativi sociali ed economici del "mondo esterno" (si tratta qui, secondo la formulazione di Marcuse, del "totalitarismo" delle civiltà avanzate [23]). Durante la socializzazione indispensabile del bambino, i genitori agiscono così come primi agenti ideologici. Il destino delle pulsioni non costituisce un dato puramente naturale, ma risulta, inclusione fatta delle sue differenti tappe, dei suoi differenti stadi, di conflitti psichici risvegliati in seguito al rifiuto della soddisfazione pulsionale [24]. Secondo il marxismo, la psicanalisi scopre che la coscienza dell'uomo è determinata dal suo essere; aggiungendovi tuttavia i dati concreti dello sviluppo del bambino.
Questa dialettica permette di precisare la nozione di pulsione. La pulsione costituisce una "forma vuota", una spinta vuota riempita da contenuti sociali. A seconda del tipo di pulsione, il contenuto ed anche lo scopo della pulsione possono allontanarsi dalla determinazione biologica e portare al di là del principio del piacere. E potremo domandarci a giusto titolo con Lacan se, nella misura in cui il principio del piacere rappresenta l'aspetto biologico dell'uomo, una tale pulsione socializzata non si estende al di là del principio del piacere. La differenza tra la posizione lacaniana e quella difesa da Reich, da Horkheimer, Adorno e Marcuse consiste all'interpretazione della necessità di questo sradicamento del principio del piacere, cioè della scissione tra la natura biologica e la natura sociale dell'uomo.
In Lacan questa alienazione diventa necessaria in ragione dell'ipostasi di una struttura linguistica radicalmente autonoma e antistorica. Contrariamente a Lacan, Reich ed i pensatori della Scuola di Francoforte analizzano la mediazione economica e storica di quest'alienazione. Il divario conflittuale tra la natura biologica e la natura sociale risulta meno dalla natura aprioristica del linguaggio che da un rovesciamento storico e dialettico della "ragione". Da questo punto di vista, l'ipostasi lacaniana dell'alienazione costituirebbe, secondo i termini di Reich, una sottoscrizione non critica allo sfruttamento [25].
La dialettica psichica che Reich sviluppa aiuta a comprendere la dialettica sociale del transfert dell'ideologia. Marx sosteneva che l'essere materiale dell'uomo si trasforma in pensieri nella sua testa. La psicanalisi mostra che nella misura la socializzazione psichica costruisce questa traduzione, ma spiega anche come lo psichico, a sua volta si ripercuota sul sociale. In questo contesto, la teoria della sublimazione sembrava particolarmente importante. La sublimazione evidenzia un "destino della pulsione" che include la retroazione della socializzazione psichica sul sociale. Secondo la sua definizione freudiana, la sublimazione costituisce una "modificazione dello scopo e dell'oggetto della pulsione", una modificazione "che prende in conto la nostra valutazione sociale" [26]. Grazie alla sublimazione, le pulsioni sessuali possono essere spostate in modo da contribuire alle "creazioni culturali, artistiche e sociali più elevate dello spirito umano" [27].
Secondo Freud, la cultura, la civiltà, si istituiscono a partire dalla "Lebensnot" ed al prezzo della soddisfazione delle pulsioni sessuali. A questo proposito, è infatti possibile constatare una convergenza tra la concezione freudiana della civiltà e la concezione marxiana: per i tedeschi, liberati da ogni presupposizione, dobbiamo cominciare con il constatare la prima condizione di ogni esistenza umana e di ogni storia, cioè il fatto che gli uomini devono essere in misura di vivere per poter "fare la storia". Per vivere bisogna tuttavia innanzitutto mangiare e bere, bisogna abitare, vestirsi e così di seguito [28]. La Lebensnot ed il lavoro che essa richiede esigono una padronanza razionale delle pulsioni. Di questo fatto, le pulsioni sessuali sono votate sia alla repressione, sia la sublimazione. Esse sono quasi destinate in ragione della loro grande plasticità. Grazie alla sublimazione, le pulsioni sessuali, spostate al livello dell'oggetto e dello scopo, possono essere messe al servizio del lavoro. Ne risulta che la sublimazione contribuisce alla repressione.
Sull'esempio del Super-Io, la repressione sociale delle pulsioni si nutre aìcosì delle pulsioni che essa proibisce. È questo meccanismo di repressione-sublimazione-repressione che spiega, da un punto di vista psicologico, la nascita del divario tra il naturale ed il sociale nell'alienazione. Di conseguenza, la proibizione della soddisfazione delle puslioni si allontana sempre più dalla sua motivazione razionale- della Lebensnot-, per diventare ragione pura, distaccata dall'essere carnale dell'uomo. La "struttura simbolica" di Lacan rivendica il distacco e la purificazione più forte di questa razionalità, senza per questo riscriverla nel contesto economico e sociale che la condiziona. Così facendo, la teoria lacaniana si proibisce ogni vera critica sociale e lavora, sotto la sua maschera rivoluzionaria, alla conservazione dell'ordine "già stabilito" [29].
Reich non sviluppa certamente questa interpretazione del divario alla maniera della Dialettica della ragione, ma non per questo non ne pone già il problema. Le poche osservazioni piuttosto allusive a questo proposito [30] riguardano soprattutto uno dei concetti fondamentali della psicoanalisi freudiana, e cioè il complesso di Edipio. Reich afferma, contro la biologizzazione e l'universalizzazione del complesso di Edipo da parte di Ernest Jones, che la forma concreta così come l'esistenza stessa del complesso poggiano su delle condizioni sociali particolari. Prima di Fromm, Reich sottoscrive la posizione di Malinowki, affermando che il complesso di Edipo caratterizza esclusivamente le società patriarcali. Ne consegue che una società socialista, che non si fonda più sulla famiglia patriarcale esclude con ciò stesso l'esistenza del complesso. La concezione freudiana dell'orda primitiva, ritenuta fondante del concetto del complesso di Edipo, trascura il fatto delle società matrilineari. Se la psicanalisi vuole restare fedele alle sue basi dialettiche, non deve escludere il complesso di Edipo dalla mediazione sociale [31].
Così, Reich risponde alla domanda dell'origine sociale della psicanalisi ed a quella della sua posizione sociale. Al modo del pensiero marxiano, il pensiero freudiano "è un prodotto dell'epoca capitalista" Ed anche se la psicanalisi si disinteressa delle basi economiche della società, essa non costituisce non di meno "una reazione al contesto culturale e morale in seno al quale vive l'uomo sociale". Secondo Reich, la psicanalisi è nata dalla metamorfosi reazionaria della borghesia, uscita dal consolidamento capitalsita durante il XIX secolo. Assumendo su di sé sia le abitudini ed i bisogni culturali della vita feudale sia la morale sessuale sostenuta dalla chiesa, la borghesia finiva di sotterrare le sue convinzioni rivoluzionarie e progressiste. Da un punto di vista psicanalitico, la classe borghese si caratterizza soprattutto per la ristrettezza della sua sessualità. La duplicità della "scelta dell'oggetto presso lìuomo", descritta da Freud [32], che frustra la borghesia dal rapporto sessuale e rende la proletaria tanto più desiderabile, trova le sue radici sociali nel ritorno della morale conservatrice. La ricusazione della patologia isterica- patologia sessuale per eccellenza- da parte degli uomini di sceinza è dovuta alle stesse ragioni [33]. Allo stesso modo per cui il marxismo si concepisce come una presa di coscienza delle leggi economiche, la psicanalisi si concepisce come una presa di coscienza della repressione sessuale della sessualità.
La psicanalisi freudiana, così come il marxismo, non suscita veramente l'entusiasmo della classe borghese- dei ricercatori scientifici, dei medici o degli psichiatri- né quello della piccola borghesia "più cattolica del papa" (päpstlicher als der Papst) [34]. Se accade che la psicanalisi vi sia accettata, è sempre al prezzo di un buon numero di "ma", e di cui il primo si rapporta sistematicamente al "mito fluido" della libido. Nella società capitalista, la psicanalisi è mutilata dall'eliminazione della sua teoria della libido e della sessualità infantile, per diventare una psicologia generale o una psicopatologia "scientifica".
Ora, poiché secondo Reich, soltanto il socialismo marxiano permette un libero sviluppo dell'intelligenza e della sessualità, la psicanalisi non ha avvenire che in seno ad una vera società socialista [35]. Non è che in seno ad una tale società che la psicanalisi potrebbe realizzare la sua vera vocazione, cioè quella di contribuire alla ricerca sulle origini dell'umanità, di contribuire all'igiene psichica, alla profilassi delle nevrosi ed al fondamento dell'educazione socialista in generale.
Se si fa astrazione di questa funzione politica utopica della psicanalisi, sembra difficile negare che il freudo-marxismo di Reich preceda ed anticipi la filosofia della Scuola di Francoforte. Il freudo-marxismo di Reich non è una psicanalisi applicata ai fenomeni sociali, ma un tentativo di concepire le possibilità critiche della psicanalisi per mezzo di una interpretazione marxiana della sua teoria. Reich concepisce la psicanalisi come una teoria ed una pratica critiche suscettibili di fornire un modello operativo per una critica dell'ideologia; idea sempre sostenuta da Habermas e da Karl-Otto Apel [36]. La critica del revisionismo psicanalitico intrapresa da Reich dimostra, ben prima di Adorno e Marcuse, che la soppressione della teoria della libido corrisponde ad un riconoscimento implicito e mascherato della dottrona delle pulsioni, essa permette allo stesso tempo di orientare una luce nuova sull'idea di una psicanalisi scientifica.
Actuel Marx N° 30, 2001.
[Traduzione di Ario Liberti]
NOTE
[2] Sigmund Freud, Zur Frage der Laienanalyse (1926); S. Freud, Studienausgabe Ergänzungsband, 1984, Francfort, Fischer.
[3] Wilhelm Reich, Dialektischer Materialismus und Psychoanalyse [Materialismo dialettico e Psicanalisi].
[4] Herbert Marcuse, Eros and Civilisation, 1955, 1956, Londra, Routledge & Keagan Paul, [Tr. it.: Eros e civiltà, Einaudi, Torino, 1964].
[5] Marcuse, op.cit.
[6] Vedere a proposito Th. W. Adorno, Minima Moralia, § 38, 1951, 1988, Francfort, Suhrkamp, p.73 [Tr. it.: Minima Moralia, Einaudi, Torino, 1954].
[7] È vero che Reich si augura esplicitamente di voler determinare in quale misura la psicanalisi può contribuire alla "rivoluzione proletaria ed alla lotta di classe". Ma questo contributo non sarà mai diretto, nel senso in cui la psicanalisi lavorerebbe ad specie di presa di coscienza delle verità marxiste. La questione è di sapere in quale misura la psicanalisi, in quanto psicanalisi, può contribuire alla rivoluzione.
[8] Bisogna notare che la posizione di Reich è molto differente in La Rivoluzione sessuale (1927) [Tr. it. La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, Milano, 1970; Roberto Massari Editore, Roma, 1992].
[9] Psychoanalyse und dialektischer Materialismus, p. 6. Reich menziona l'interpretazione della psicanalisi con quella di Mans, che Deborin confonde con la teoria freudiana (Ein neuer Feldzug gegen den Marxismus, in Unter dem Banner des Marxismus, Jhg. 2, quaderno 1/2).
[10] Ibid., p. 3.
[11] Verso la fine del quinto capitolo di Il disagio della civiltà ad esempio, Freud evidenzia che "il comunismo pensa di avere trovato la soluzione al disagio" grazie alla convinzione che l'uomo è fondamentalmente buono e che è stato unicamente pervertito dalla proprietà privata. Ora la pulsione aggressiva non data evidentemente dall'invenzione della proproetà privata e non sparirà con l'abolizione di questa. [Freud, Il disagio della civiltà (1929), Boringhieri, Torino, 1971].
[12] In Psicologia di massa del fascismo, Reich argomenta in quanto psicanalista. Vi si trova un'interpretazione del tutto tradizionale del rifiuto della teoria psicanalitica della sessualità. La difesa psichica vi è assimilata alla reazione politica.
[13] Marx-Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1975.
[14] Ibid.
[15] Odo Marquard, Transzendentaler Idealismus, romantische Naturphilosophie, Psychoanalyse, Verlag für Philosophie/Jürgen Dinter, 1986, Köln.
[16] Th. W. Adorno, Einleitung in die Soziologie, Nachgelassene Schriften IV, 15,1993, Francfort, Suhrkamp, corsi del 7 maggio 1968. Wilhelm Reich, op.cit., p.11. Questa concezione del mondo è di fatto del tutto "freudiana". Basta ricordarsi che in Triebe und Triebschicksale [Pulsioni e loro destini, Freud, Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino, 1976], Freud descrive il processo della costituzione del mondo esterno nel bambino a partire dell'opposizione piacere/ dispiacere. Il piacere è situato sul lato di un Lust-Ich, il dispiacere ed il dolore sul lato del mondo esterno, Cfr. Pulsioni e loro destini.
[17] "Con la sua formula di principio di realtà, Freud ha riassunto tutte le restrizioni e necessità sociali che abbassano i bisogni o ne differiscono le soddisfazioni", Psychoanalyse und dialektischer Materialismus, p. 11.
[18] Ibid., p. 11.
[19] Ibid., p.12.
[20] Ibid., p.16.
[21] È tutta la differenza tra la posizione del freudo-marxismo, che attribuisce l'alienazione a delle condizioni sociali e storiche particolari, e Lacan che, partendo dalla stessa constatazione, ipostatizza l'alienazione come effetto del linguaggio. Se si volesse sopprimere l'ambiguità della nozione di alienazione sulla quale giocano le formulazioni lacaniane, i due approcci potrebbero in effetti rivelarsi non contraddittorie. Ma è nel piccolo dettaglio che risiede la profonda differenza delle due posizioni. Lacan non è, come l'afferma Roudinesco (Pourquoi la psychanalyse?, p.165), un "erede diretto" della Scuola di Francoforte. Al contrario!
[22] Vedere Jacques Lacan, Écrits, 1966, Paris, Seuil, p. 24, [Tr. it.: Einaudi, Torino, 1979, 2 voll.].
[23] Grazie a Pierre Bourdieu, questa tesi è stata empiricamente corroborata. Nelle sue analisi del sistema delle grandi scuole e della "nobiltà di Stato" in Francia, Bourdieu ha dimostrato in modo convincente come una carriera coronata dal successo si prepara sin dalla più tenera infanzia. Vedere ad esempio Homo academicus, 1984, 1992, Paris, Minuit.
[24] Ibid., p. 24.
[25] Il che abbiamo cercato di dimostrare per mezzo di una lettura sistematica dei seminari inediti di Lacan in La psychanalyse théorique ou les coulisses du lacanisme, Éd. du Cerf, Collection « Passages », Paris 2000.
[26] Freud, Neue Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse [Introduzione allo studio della psicoanalisi, Astrolabio, Roma, 1965].
[27] Ibid.
[28] MEW 3, p.28.
[29] Vedere Séminaire IV, p. 50, Télévision, pp. 28, 51, etc. [Tr. it.: Il Seminario, Libro 4: La relazione oggettuale, 1956-1957, Torino , Einaudi, 2007]. Detto ciò, resta del tutto possibile interpretare gli aspetti più reazionari del pensiero lacaniano come indici di un sintomo sociale che resta da decifrare. Una tale rilettura si rivela tuttavia ben più difficile presso Lacan che presso Freud, perché così come i neo-freudiani, Lacan sgombera dalla teoria della libido per sostituirvi delle categorie linguistiche e socio-linguistiche.
[30] Reich, Psychoanalyse und dialektischer Materialismus, p. 29.
[31] Ibid., p. 30.
[32] Über einen besonderen Typus der Objektwahl beim Manne Gesammelte Werke VIII, 1978, Francfort, Fischer pp. 66-77, oppure Beiträge zur Psychologie des Liebeslebens, 1988, Francfort, Fischer, pp. 9-18, [Tr. it.: Contributi alla psicologia della vita amorosa: Su un tipo particolare di scelta oggettuale nell’uomo, In S. Freud: Opere. Torino, Boringhieri, 1974)], in cui Freud descrive il divario dalla rappresentazione della donna presso alcuni uomini. Da una parte, c'è la sposa rispettata, cioè idealizzata, dall'altra la prostituta o la "coquette".
[33] Cfr. Pierre-Henri Castel, La Querelle de l'hystérie, 1998, Paris, Puf.
[34] Ibid., p. 33.
[35] Reich, op.cit., p. 35.
[36] Cfr. per esempio Karl-Otto Apel, Transformation der Philosophie II, 1973, Francfort, Suhrkamp, pp. 123, 126-127, 143, 144, etc.
LINK al post originale:
Matérialisme dialectique et psychanalyse selon Wilhelm Reich
LINK all'edizione originale PDF di La Funzione dell'orgasmo di Reich: