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25 febbraio 2010 4 25 /02 /febbraio /2010 18:25

Materialismo dialettico e psicanalisi secondo Wilhelm Reich



di Thierry Simonelli

Apparso in: Actuel Marx N° 30, Les rapports sociaux de sexe, [I rapporti sociali di sesso]
Parigi, secondo semestre 2001, pp. 217-234.

freud.jpgSecondo Bernard Görlich [1], il freudo-marxismo non sarebbe che la realizzazione del progetto freudiano di una "psicologia del profondo" applicata alle scienze sociali [2]. Il freudo-marxismo in generale e quello di Reich in particolare, si concepirebbero come dei tentativi che "per mezzo dell'integrazione della psicanalisi alla teoria sociale marxista volevano soprattutto forgiare uno strumento per la spiegazione del fascismo nascente". Questa interpretazione ci sembra troppo formale e troppo generale per caratterizzare il freudo-marxismo. È evidentemente impossibile sviluppare la storia del freudo-marxismo nel quadro di questo testo. Ci atteremo al solo pensiero di Wilhelm Reich e mostreremo, contro Görlich, che il freudo-marxismo non si riduce ad una psicanalisi applicata, esclusivamente determinata dalla spiegazione sociologica del fascismo.

Marx.jpgIl nostro intento sarà quello di mostrare che il freudo-marxismo di Reich nasce da una vera articolazione teorica dei pensieri di Freud e di Marx; articolazione il cui senso e portata superano il quadro storico della critica del fascismo. In quanto alla questione di una psicanalisi applicata ai fenomeni sociali, la posizione di Reich è chiara e del tutto contraria alle affermazioni di Görlich. Il freudo-marxismo di Reich non è d'altronde toccato dalle critiche che Marcuse e Adorno formulano nei confronti del neo-freudismo di Karen Horney e di Fromm. Il Freudo-marxismo di Reich non è né un neo-freudismo né una concezione culturalista della psicanalisi. Al contrario, egli anticipa, in una certa misura, la "teoria critica" della Scuola di Francoforte e degli psicanalisti vicini alla Scuola di Francoforte come Alexander Mitscherlich e Alfred Lorenzer.


Alexander-Mitscherlich.jpgPer meglio comprendere il legame che Reich stabilisce tra Freud e Marx, limiteremo la nostra analisi a quel che consideriamo essere il testo originario del freudo-marxismo: Materialismo dialettico e psicanalisi   [3]. Lungi dal voler dare qui un giudizio definitivo sul "caso Reich", ci limiteremo ad abbozzare un'immagine più giusta della sua concezione di freudo-marxismo della psicanalisi.

Nell'epilogo di Eros e civiltà [4], Herbert Marcuse sviluppa una critica virulenta del neo-freudismo di Horney, Fromm, Thompson e Sullivan. La sua analisi parte da una constatazione epistemologica. La psicanalisi è nata da una prassi, condizionata da una relazione tra due individui. La teoria psicanalitica non ha altro materiale che questo singolare materiale. Sembra dunque di colpo inconcepibile allargare il campo della psicanalisi in modo da farne una psicologia sociale. Oltre a questo limite epistemologico, Marcuse ricorda anche il pessimismo politico di Freud. Secondo Freud, la base repressiva della società si rivela inalterabile e la pratica psicanalitica deve risolversi in una dimissione efficace [5].

Alfred-Lorenzer.jpgIl paziente è guarito quando riesce a "funzionare" in una società malata, senza tuttavia abbandonarvisi. Secondo Marcuse, l'interesse sociologico della psicanalisi non risiede né nelle sue applicazioni né nella sua prassi. Esso si situa a livello della sua teoria, della sua metapsicologia ed anche della sua "metafisica". È nelle sue analisi individuali così come nella riflessione teorica su queste analisi che si situa il vero potenziale critico della psicanalisi. Infatti, essa rivela, senza volerlo, le antinomie sociali in seno allo stesso individuo. Tentare di socializzare i concetti della psicanalisi equivarrebbe a tagliare la psicoanalisi dalle sue possibilità critiche. Inserendo delle nozioni sociologiche nella teoria psicanalitica, la scuola neofreudiana (Fromm, Horney, Sullivan, Thompson)  si rende colpevole di una confusione dei generi e livella la psicanalisi al suo contesto sociale.

La scuola neofreudiana parte dalla constatazione che l'individuo e la sua nevrosi sono, in un'ampia misura, determinati dalle caratteristiche dell'ambiente. Ma strappando l'individuo alla sua storia naturale e eliminando la teoria della libido a beneficio di una psico-sociologia irriflessa, i neofreudiani finiscono con il mascherare questi stessi problemi che vedevano all'origine della sofferenza e della malattia. La teoria delle pulsioni e la teoria della libido sono sostituite con una concezione sociologica dell'individuo che impronta in fin dei conti i suoi concetti alla società criticata. Vi ritroviamo, tra l'altro, i concetti di salute, di efficacia sociale, di riuscita professionale, di gioia del consumo [6]; nozioni che reintroducono i tratti della morale sociale che la psicanalisi era autorizzata a combattere. In questo senso, la snaturalizzazione ed il sociologismo del neofreudismo trasformano, senza volerlo e soprattutto senza saperlo, la cura analitica in una pratica di adattamento sociale cieco. Dopo Marcuse, la sociologizzazione della psicanalisi conduce, paradossalmente, ad un annullamento dell'interesse sociologico della psicanalisi.

Reich.jpgLa lettura di Materialismo dialettico e psicanalisi, evidenzia che nel 1927, quasi trenta anni prima di Eros e civiltà, Reich intravedeva già il problema dell'articolazione della psicanalisi e della sociologia marxista allo stesso modo. In questo testo, Reich evidenzia immediatamente che la psicologia individuale, poggiante su una teoria della libido, cioè su una teoria della natura pulsionale dell'individuo, non deve essere confusa né con una sociologia né con una psicologia sociale. Non bisogna tentare di superare la divisione del lavoro tra sociologia e psicologia da una parte, tra analisi dei fenomeni di massa e dei fenomeni individuali dall'altra. Rifiutando la sociolizzazione della psicanalisi, il freudo-marxismo di Reich evita lo scoglio del neofreudismo. Reich riconosce il pericolo di una confusione dei generi. La sua domanda è la seguente: come avvicinare una psicologia individuale alla sociologia, tenuto conto della differenza fondamentale delle loro categorie? Con questa domanda, Reich entra in urto con le critiche degli psicoanalisti, a quelle dei marxisti ufficiali ed a quelle dei comunisti.

Marcuse-tra-gli-studenti.-Berlino-1968-jLa psicanalisi è nata da una prassi particolare, da un rapporto tra due individui. Da quel momento essa tenta di superare questo quadro, si vede costretta, in quanto psicanalisi, ad estrapolare i suoi concetti, le sue categorie ed il suo metodo. Una riflessione psicoanalitica vertente su dei fatti sociali, culturali o storici si allontana da questa prassi che la legittima. Diventa una semplice teorica applicata e si mette a riprodurre gli errori dell'idealismo. Al di fuori del campo della sua pratica, la psicanalisi rischia di diventare una concezione del mondo psicologista. I fatti sociali, politici e storici sono ridotti a semplici fenomeni psichici e la psicologia, o la psicanalisi, si vedono elevate al rango di scienze universali.

alexander-libro-2.jpgUn problema simile si pone quando, in seno alla stessa analisi psicologica, la psicanalisi tende a render conto dei fenomeni della psicologia delle masse. Perché anche a questo livello, la psicanalisi si allontana dalla sua esperienza specifica e di condanna all'estrapolazione. Così, dei fatti come la coscienza di classe, i movimenti di massa, lo sciopero o la politica restano del tutto inaccessibili all'indagine psicanalitica. Diversamente accade per i fenomeni della psicologia sociale che includono degli aspetti individuali- Reich menziona la questione del Führer- o che poggiano sull'esperienza affettiva individuale.

Alexander-libro.jpgAccanto al problema epistemologico dell'articolazione della psicanalisi al marxismo, dobbiamo tener conto di una seconda difficoltà. Al contrario del marxismo, la psicanalisi non è e non vuole essere una pratica politica. Non si tratta di affermare con ciò che non abbia delle ripercussioni politiche o che non possa adattarsi ad alcuno orientamenti politici. Ma dal punto di vista della pratica politica, nessuna collaborazione tra marxismo e psicanalisi sembra affrontabile a priori. Reich precisa tuttavia a giusto titolo che anche il marxismo non potrebbe essere ridotto ad una pratica politica. All'interno dello stesso marxismo, occorre distinguere tra la prassi politica e la dottrina sociale. Da una parte, marxismo significa prassi militante, dall'altra, scienza e sociologia. Ed è esclusivamente in questo contesto che la psicanalisi potrebbe manifestare la sua affinità con il marxismo [7].

fromm-1.jpgSe il marxismo, in quanto metodo di indagine, si interessa dei fenomeni sociali, la psicanalisi, in quanto metodo di indagine, si interessa dei fenomeni psichici che si verificano in una società. La psicanalisi non è in grado di concepire le cause e gli effetti dell'economia capitalista e della sua organizzazione sociale e politica, così come il marxismo, non permette di capire le nevrosi, l'incapacità di lavorare o di avere delle relazioni sessuali [8].

adorno2.jpgMalgrado le profonde differenze che oppongono la psicanalisi ed il materialismo dialettico, Reich sostiene la possibilità, addirittura la necessità di una collaborazione dei due metodi di indagine. Se il marxismo si caratterizza per la sua preoccupazione di abbracciare la totalità dei fenomeni sociali nei loro rapporti ed interazioni reciproche, deve necessariamente riconoscere l'importanza del fatto psicologico accanto all'apprensione storica, economica e politica del sociale. Nel contesto storico della fine degli anni venti, questa idea doveva necessariamente sedurre i militanti comunisti, messi a confronto con l'interesse crescente della classe operaia per il fascismo.

Come adottare infatti un punto di vista puramente storico, economico o politico, spiegare il fatto che il partito che rappresenta gli interessi degli operai venga all'improvviso malvisto da costoro e ciò non tanto in ragione di una protesta quanto per l'avvento di un entusiasmo che non ha potuto essere né anticipato né spiegato dalla dottrina marxista? Reich risponde a questa domanda in qualità di psicanalista "ortodosso": se i proletari si ingannano sul loro vero destino rivoluzionario è per via di una sessualità repressa che trova nelle figure di punta del fascismo una forma di espressione perversa e particolarmente efficace. Reich inaugura qui un orientamento di ricerca che né Adorno né Marcuse rimetteranno in causa.

Reich tenta dunque di mostrare che la psicanalisi può colmare il vuoto epistemologico del marxismo perché attraverso i suoi fondamenti si concepisce come psicologia dialettica perfettamente compatibile con la dottrina sociale del materialismo storico. Se i marxisti non si interessano alla psicanalisi è perché essa appare loro ad un primo approccio non essere altro che una "scienza borghese" e di conseguenza, una scienza idealista. Secondo i marxisti, la psicanalisi sarebbe una manifestazione della decadenza (Untergang) della borghesia. Ora a questo proposito, Reich evidenzia il fatto che la stessa cosa si possa dire per la dottrina marxista che partecipa essa stessa a questa decadenza della borghesia in vista di sparizione. Non è inoltre che grazie a questa sua iscrizione in questa situazione storica particolare che Marx ha potuto vedere ed isolare la contraddizione che nutre la società.

La psicanalisi condivide la situazione storica e sociale della dottrina marxista. Ciò che la distingue dal marxismo da questo punto di vista, è il fatto che essa mette a nudo la contraddizione sociale all'interno dell'individuo stesso. Per quel che è riguarda il supposto idealismo della psicanalisi, esso evidenzia piuttosto l'ignoranza dei suoi detrattori [9] che la verità della teoria freudiana. Si possono senz'altro trovare degli effetti secondari e delle digressioni idealiste in psicanalisi, ma la stessa cosa è vera per il marxismo. Ora, se ci si rifiuta di giudicare il marxismo unicamente per i suoi errori si deve fare la stessa cosa per la psicanalisi.

FreudÈ in questo senso che bisogna capire il compito programmatico di Materialismo dialettico e psicanalisi: "Il compito di questo trattato consiste nell'analizzare se, ed in quale misura, la psicanalisi di Freud possiede dei legami con il materialismo dialettico di Marx e di Engels" [10]. Per Freud, il comunismo si nutre del fantasma del mutuo amore sottoposto a tutte le ambiguità della "folla artificiale" [11]. Inversamente, per i comunisti, la psicanalisi rappresenta la scienza dei ricchi borghesi nevrotizzati, liberi da ogni vero problema. Questa inoccupazione esistenziale spiegherebbe inoltre l'importanza che la psicanalisi accorda ai problemi sessuali, cioè sui problemi di persone che non conoscono né la fame né la precarietà materiale.

Notiamo tuttavia che nella sua argomentazione, Reich si rivolge meno agli psicanalisti quanto ai marxisti. Perché sarebbe del tutto possibile affrontare allo stesso tempo una interpretazione psicanalitica di questi tipo di pregiudizio. Per i pregiudizi della borghesia reazionaria, Reich non ne fa a meno ad ogni modo [12]. È chiaro che è più prudente con i suoi interlocutori marxisti che con gli psicoanalisti che, come regola generale, fanno parte della borghesia o come Reich stesso della piccola borghesia. La prospettiva dell'indagine diventa più chiara: per Reich, il valore e lo statuto epistemologico della psicanalisi si misurano con il metro del marxismo.

Per dimostrare il carattere materialista e dialettico della psicanalisi e per sottolineare la sua utilità per il marxismo, Reich procede attraverso diverse tappe. Si interessa dapprima alla natura epistemologica della teoria psicanalitica stessa, per sviluppare in seguito la natura dialettica dell'oggetto della psicanalisi, e cioè la vita psichica. Infine enumera i ruoli politici che la psicanalisi potrebbe adottare in seno ad una società socialista.

Il fatto che la psicanalisi sia una psicologia non permette di concludere che essa sia idealistica. La psicanalisi si oppone certamente al materialismo "ingenuo", al materialismo meccanicistico che Reich riconosce presso alcuni critici marxisti. Tuttavia, da questo punto di vista, tutto porterebbe a credere che la teoria marxista stessa sarebbe idealista, perché il materialismo marxiano non somiglia in nulla al materialismo meccanicistico del XIX secolo. Reich ricorda che nella prima tesi su Feuerbach, Marx stesso respingeva questo tipo di materialismo e riconosceva parzialmente il contributo critico dell'idealismo. Marx vi fa notare infatti che il materialismo tradizionale si limita a considerare la realtà sotto forma d'oggetto o di intuizione. L'idealismo ha tuttavia permesso di comprendere in quale misura quest'oggetto non rileva soltanto del dato naturale, ma anche della "produzione umana". Per essersi arrestato ad una concezione astratta, intellettuale di questa produttività, l'idealismo ha contribuito ad un superamento del materialismo "ingenuo" e di conseguenza, alla nascita del materialismo dialettico.

marcuse-.jpgMarx non respingeva inoltre affatto la realtà del pensiero. Se ci si attiene alla concezione marxiana del materialismo così com'è presentata nelle prime pagine di L'ideologia tedesca, si potrebbe infatti pensare che per Marx, esiste una relazione di causalità gerarchica che parte dal materiale e dal biologico e che sfocia nei fenomeni intellettuali [13]. Ma Reich ricorda a giusto titolo che nella terza tesi su Feuerbach, Marx considera la pratica intellettuale tra i fattori costitutivi dell'essere umano. In mancanza di un cambiamento naturale evolutivo delle condizioni sociali, sarebbe inconcepibile ignorare la necessità dell'educazione di coloro che si suppone debbano fare la rivoluzione. Ne consegue che se la condanna marxista della psicanalisi riprende la critica meccanicistica della psicologia in generale, non ricorre a dei principi propriamente marxiani. La confutazione marxiana del materialismo "ingenuo" permette così di riabilitare la validità e la necessità dell'oggetto della psicanalisi, cioè la vita psichica. Reich è molto sottile e dà prova di un certo umorismo quando sostiene che la critica "marxista" dei detrattori della psicanalisi si oppone in primo luogo al pensiero marxiano. A ciò, aggiunge l'idea che senza psicologia, il marxismo non potrebbe concepire né la sofferenza umana né la coscienza di classe. Attraverso questo rovesciamento dialettico della situazione, sembra non soltanto difficile squalificare la psicanalisi, ma quest'ultima sembra quasi diventata inevitabile per il marxismo.

freud_sigmund--Levine.gifLa psicanalisi, evidenzia Reich, si fonda su una dottrina delle pulsioni e quest'ultime, in quanto concetti limiti tra lo psichico ed il somatico, dipendono dal concetto di libido. E, resta fedele a Freud quando osserva che la libido dipende dai processi chimici dell'organismo. Sicuramente, in Reich, così come in Freud d'altronde, si tratta meno di un'ipotesi scientifica da corroborare che di una dichiarazione di principio, di un orientamento "filosofico". Per riprendere la formula di Marx, potremmo dire che quel che conta da un punto di vista filosofico, è l'idea che lo spirito sia di colpo colpito dalla maledizione del materiale e del carnale [14]. Lo spirito, l'intelletto, lo psichismo nel loro insieme sono pieni di corporeità. Le prove sperimentali sono altamente apprezzate, ma né Freud né Reich le ricercano particolarmente.

La differenza tra Freud e Reich risiede nel senso filosofico che essi accordano alla base naturale dell'essere umano. Se per Freud il concetto di natura resta preso nella storia della metamorfosi della filosofia trascendentale della natura, così come lo dimostra Odo Marquard [15], il concetto di natura in Reich sembra in modo evidente meno astratto per via del suo significato marxiano. Per riprendere l'espressione di Marquard, la filosofia della natura trascendentale può disporre di una filosofia politica, ma non può costituire una filosofia politica. In questo modo, può liberare la psicanalisi dall'astrazione di una natura non storica ed affrontare la natura (sociale) esterna senza il pessimismo freudiano.

Precisiamo tuttavia, che il concetto freudiano di natura rimane ambiguo quando ci si attiene alla nozione di "destino della pulsione". Reich si serve di questa ambiguità per introdurre la sua concezione dialettica- nel senso marxiano del termine- della teoria della libido. Le pulsioni sono doppiamente dialettiche. Lo sono innanzitutto in ragione della loro divisione in due categorie opposte- le pulsioni libidinali e le pulsioni dell'Io, o le pulsioni libidinali e le pulsioni di morte- e lo sono in seguito in ragione della mediazione sociale che fissa il loro destino.

Lo sviluppo e la vita psichica dell'individuo sono animati dalla lotta di pulsioni antagonistiche e questa lotta si manifesta concretamente a partire dall'essere sociale. Così come Adorno lo formulerà a proposito del concetto di "fatto sociale" (Durkheim, 17), Reich valuta che la società, è ciò che fa male [16]. Attraverso la nozione di "principio di realtà", Freud ha riassunto tutte le restrizioni e necessità sociali che abbassano i bisogni o ne differiscono le soddisfazioni [17].

Marx-Groenig.jpgIl principio di realtà risulta da un "apprendimento biologico" in Freud [18], ma è costruito con il contatto con il mondo esterno da cui riprende la forma. È la ragione per la quale il fatto di fare un passo in più nel senso dell'interpretazione sociale del principio di realtà non si oppone affatto alla definizione freudiana. Così, il significato sociologico e politico del conflitto individuale potrà manifestarsi. Tuttavia, non si tratta ancora in Reich di decifrare le antinomie sociali a partire dalle antinomie dell'individuo socializzato, così come faranno Adorno e Marcuse.

Il carattere sociale del principio di realtà rimane formale. osserva Reich, finché non ci si rifiuta di includere le caratteristiche della società in questione; la società in questione essendo, evidentemente, quella del modo di produzione capitalista.

Concretamente: il principio di realtà del capitalismo richiede da parte del proletario una restrizione massima dei bisogni, richiedendo a questo scopo delle ingiunzioni religiose di sottomissione e di umiltà. Richiede anche un rapporto sessuale monogamo ed altre restrizioni di questo tipo [18].

Ma oltre l'aspetto formale dell'adattamento al mondo ambientale, il principio di realtà si caratterizza per il suo contenuto sociale e storico concreti. È questa dimensione concreta che porta il significato politico del principio di realtà. Se il principio di realtà costituisce la "somma dei pregiudizi" (Lacan) sociali, la posizione che l'analista o che l'educatore adottano in rapporto a questo principio equivale ad una decisione politica: "Se si forma il proletario a questo principio di realtà, se non gli si impone ad esempio in quanto necessità culturale assoluta, si afferma e sottoscrive al suo sfruttamento, si sostiene la società capitalista [...]. Un tempo, il principio di realtà aveva altri contenuti rispetto ad oggi, e cambierà con i cambiamenti dell'ordine sociale [19].

Ciò che vale per il principio di realtà, si conferma anche per il principio di piacere. Il principio di piacere a sua volta deve essere concepito come un dato naturale, formato dalla natura sociale dell'uomo. È il motivo per cui l'interesse della psicanalisi si porta ulteriormente sul destino della pulsione piuttosto che sul suo fondamento biologico, biochimico o fisiologico, di cui si può pensare che sia più o meno identico presso tutti gli esseri umani. Reich estende quest'articolazione dello psichico (ma anche del biologico) e del sociale al fondamentale concetto della metapsicologia freudiana, cioè al concetto dinamico dell'inconscio.

adorno5.jpgCome i rappresentanti della Scuola di Francoforte, Reich insiste sul doppio carattere dell'Es freudiano. Da una parte, l'Es costituisce una specie di memoria generica, biologica della specie e dall'altra, in quanto risultato della rimozione, è sottoposto alla variabilità storica. Ora, la rimozione deriva dalle necessità dell'educazione. È in seno alla famiglia, in seno alla scuola e nei diversi gruppi sociali ai quali partecipa il bambino, che la repressione delle pulsioni trova la sua fonte. Evidentemente, per il fatto della sua origine corporea, la pulsione non può essere soppressa dalla rimozione. Nel migliore dei casi, la rimozione soffoca la sua prima forma di espressione (verschiebung) più o meno sintomatica. Freud sosteneva inoltre che tra le diverse pulsioni, la pulsione sessuale si rivela essere la pulsione più plastica. La fame e la sete non tollerano assolutamente vere rimozioni, e sono anche del tutto recalcitranti all'adattamento. In questa ottica, l'Io non costituisce più che una "zona tampone" tra le rivendicazioni "morali" della società, concentrandosi al livello del Super-Io, le necessità biologiche, ed i desideri che agitano l'Es.

Grazie a questa concezione dialettica dello psichismo, la psicanalisi riesce a risolvere il problema della trasmissione dell'ideologia che la dottrina sociale marxiana non è riuscita ad elaborare in modo soddisfacente. Attribuendo l'influenza ideologica alla famiglia, Reich inaugura un tema che caratterizza il freudo-marxismo nel suo insieme, e ciò, da Studi sull'autorità e la famiglia della Scuola di Francoforte alle teorie della socializzazione di Lorenzer.

Citiamo questo passaggio nel suo complesso: "La famiglia, impregnata di ideologie della società, costituendo il nucleo ideologico della società, è il primo rappresentante della società in generale per il bambino, e questo, prima ancora che egli vada ad integrare il processo produttivo. La relazione edipica non comporta soltanto i dati pulsionali, ma il modo in cui il bambino vive e supera il complesso di Edipo è determinato sia dall'ideologia sociale generale sia dalla posizione dei genitori nel processo produttivo. In fin dei conti, i destini del complesso di Edipo si rivelano, come tutto il resto, dipendenti dalla struttura economica della società" [20].

Eros-e-civilt-.gifQuesta interpretazione suppone implicitamente che ad una certa fase storica del processo di produzione, la cellula familiare non sia più in grado di proteggere il bambino contro la società. L'ideologia sociale informa di colpo i conflitti pulsionali più primitivi. In questa misura, la socializzazione del bambino equivale ad un'ideologizzazione, nel senso marxiano del termine e ad una alienazione [21]. Ora, sembra impossibile in questo caso concepire una posizione esterna all'ideologia. La critica marxista o freudo-marxista non potrà più invocare una natura naturale, una natura pura o una natura vergine come punto di ancoraggio della sua argomentazione. Di fronte alla mediazione ideologica assoluta, il ritorno del rimosso ed il sintomo sembrano costituire l'ultima possibilità di un al di qua dell'ideologia. Se la natura (sociale) equivale all'alienazione, solo il sintomo patologico permette di dare la misura di quel che potrebbe essere un'altra natura, non alienata. La Dialettica della ragione di Horkheimer e Adorno così come Eros e civiltà di Marcuse svilupperanno quest'idea e ne faranno la base della critica del neo-freudismo della Scuola di Francoforte.

reich-Wilhelm--by-Levine.gifPer Reich, la questione della natura epistemologica della psicanalisi sembra fuori questione. Lungi dall'essere una "scienza borghese" o idealista, la psicanalisi equivale ad una concezione materialista, nel senso marxiano del termine, dell'uomo. L'essere umano della psicologia psicoanalitica non è uno spirito o un essere di pura ragione, ma un essere di carne, un essere determinato da pulsioni. Le pulsioni stesse, al di fuori della loro origine biologica, sono determinate dalla mediazione sociale, cioè, più concretamente, dall'alienazione e dall'ideologia. Così, l'idea di una pulsione puramente naturale resta astratta, perché qualunque sia l'età  del bambino, o la cultura alla quale appartiene, il destino della pulsione si rivela sempre legato alle differenti tappe della socializzazione. Lo psichismo della psicanalisi si concepisce come articolazione della natura interna (biologica) e della natura esterna (sociale) dell'uomo. (Non dovremmo pensare, adottando questo punto di vista, che la nozione di "soggetto" appartiene necessariamente ad una teoria idealista della psicanalisi? Lacan ad ogni modo non se ne difende che a prezzo di un concetto di struttura e di discorso che conducono ad una idealizzazione del mondo in generale: Allo stesso modo del mondo hegeliano, l'idealismo si manifesta sotto la maschera di un materialismo "singolare" del significante [22]).

La concezione dinamica dell'inconscio è non soltanto materialista, ma è anche dialettica. Non basta un divieto o l'introiezione di un divieto per dar luogo ad un sintomo nevrotico. Affinché vi sia un sintomo, il rimosso deve risorgere e riprodurre la pulsione vietata sotto forma "spostata". L'Io debole del bambino fornisce il terreno più propizio per questo tipo di fenomeno. Posto a confronto con la proibizione, il bambino si ritrova diviso tra la tentazione a soddisfare la pulsione e soddisfare la domanda esterna venata di amore o timore. In questo conflitto psichico, l'"oblio" o il divenire inconscio opera come una prima tappa della risoluzione del problema.

Molto evidentemente, questo cambiamento di modo della pulsione e della proibizione non permette di risolvere il conflitto, permette tutt'al più di spostarlo. La riapparizione del rimosso tiene conto sia della rivendicazione della pulsione che dell'obbligo del divieto. Reich evidenzia che il sintomo si concepisce come una negazione della negazione. Nel sintomo, la pulsione repressa ed il divieto reprimente sono rilevati (aufgehoben) da una nuova figura. Ma questo cambio (Aufhebung) non equivale ad una soluzione riuscita. In una certa misura, la pulsione ed il divieto sono stati soddisfatti dal sintomo, ma il conflitto non rimane per questo meno attivo. Il sintomo rimane ambiguo e lo spostamento della pulsione implica spesso, con ciò stesso, una decontestualizzazione (Alfred Lorenzer). Il sintomo appare come un "corpo estraneo", come un fenomeno psichico di disturbo, sprovvisto di senso.

freud_sigmund-19650211_2.gifCome abbiamo visto, questo conflitto psichico si concepisce come un conflitto tra l'io pulsionale o "l'io piacere" (Lust-Ich) del bambino e la rivendicazione dei genitori. I genitori, come rappresentanti di una società concreta, cioè di un modo specifico di produzione, conferiscono un senso sociale molto concreto a questo conflitto. La funzione protettrice della famiglia diminuisce e apre le sue porte agli imperativi sociali ed economici del "mondo esterno" (si tratta qui, secondo la formulazione di Marcuse, del "totalitarismo" delle civiltà avanzate [23]). Durante la socializzazione indispensabile del bambino, i genitori agiscono così come primi agenti ideologici. Il destino delle pulsioni non costituisce un dato puramente naturale, ma risulta, inclusione fatta delle sue differenti tappe, dei suoi differenti stadi, di conflitti psichici risvegliati in seguito al rifiuto della soddisfazione pulsionale [24]. Secondo il marxismo, la psicanalisi scopre che la coscienza dell'uomo è determinata dal suo essere; aggiungendovi tuttavia i dati concreti dello sviluppo del bambino.

Questa dialettica permette di precisare la nozione di pulsione. La pulsione costituisce una "forma vuota", una spinta vuota riempita da contenuti sociali. A seconda del tipo di pulsione, il contenuto ed anche lo scopo della pulsione possono allontanarsi dalla determinazione biologica e portare al di là del principio del piacere. E potremo domandarci a giusto titolo con Lacan se, nella misura in cui il principio del piacere rappresenta l'aspetto biologico dell'uomo, una tale pulsione socializzata non si estende al di là del principio del piacere. La differenza tra la posizione lacaniana e quella difesa da Reich, da Horkheimer, Adorno e Marcuse consiste all'interpretazione della necessità di questo sradicamento del principio del piacere, cioè della scissione tra la natura biologica e la natura sociale dell'uomo.

In Lacan questa alienazione diventa necessaria in ragione dell'ipostasi di una struttura linguistica radicalmente autonoma e antistorica. Contrariamente a Lacan, Reich ed i pensatori della Scuola di Francoforte analizzano la mediazione economica e storica di quest'alienazione. Il divario conflittuale tra la natura biologica e la natura sociale risulta meno dalla natura aprioristica del linguaggio che da un rovesciamento storico e dialettico della "ragione". Da questo punto di vista, l'ipostasi lacaniana dell'alienazione costituirebbe, secondo i termini di Reich, una sottoscrizione non critica allo sfruttamento [25].

La dialettica psichica che Reich sviluppa aiuta a comprendere la dialettica sociale del transfert dell'ideologia. Marx sosteneva che l'essere materiale dell'uomo si trasforma in pensieri nella sua testa. La psicanalisi mostra che nella misura la socializzazione psichica costruisce questa traduzione, ma spiega anche come lo psichico, a sua volta si ripercuota sul sociale. In questo contesto, la teoria della sublimazione sembrava particolarmente importante. La sublimazione evidenzia un "destino della pulsione" che include la retroazione della socializzazione psichica sul sociale. Secondo la sua definizione freudiana, la sublimazione costituisce una "modificazione dello scopo e dell'oggetto della pulsione", una modificazione "che prende in conto la nostra valutazione sociale" [26]. Grazie alla sublimazione, le pulsioni sessuali possono essere spostate in modo da contribuire alle "creazioni culturali, artistiche e sociali più elevate dello spirito umano" [27].

Levine--freud_sigmund.gifSecondo Freud, la cultura, la civiltà, si istituiscono a partire dalla "Lebensnot" ed al prezzo della soddisfazione delle pulsioni sessuali. A questo proposito, è infatti possibile constatare una convergenza tra la concezione freudiana della civiltà e la concezione marxiana: per i tedeschi, liberati da ogni presupposizione, dobbiamo cominciare con il constatare la prima condizione di ogni esistenza umana e di ogni storia, cioè il fatto che gli uomini devono essere in misura  di vivere per poter "fare la storia". Per vivere bisogna tuttavia innanzitutto mangiare e bere, bisogna abitare, vestirsi e così di seguito [28]. La Lebensnot ed il lavoro che essa richiede esigono una padronanza razionale delle pulsioni. Di questo fatto, le pulsioni sessuali sono votate sia alla repressione, sia la sublimazione. Esse sono quasi destinate in ragione della loro grande plasticità. Grazie alla sublimazione, le pulsioni sessuali, spostate al livello dell'oggetto e dello scopo, possono essere messe al servizio del lavoro. Ne risulta che la sublimazione contribuisce alla repressione.

Sull'esempio del Super-Io, la repressione sociale delle pulsioni si nutre aìcosì delle pulsioni che essa proibisce. È questo meccanismo di repressione-sublimazione-repressione che spiega, da un punto di vista psicologico, la nascita del divario tra il naturale ed il sociale nell'alienazione. Di conseguenza, la proibizione della soddisfazione delle puslioni si allontana sempre più dalla sua motivazione razionale- della Lebensnot-, per diventare ragione pura, distaccata dall'essere carnale dell'uomo. La "struttura simbolica" di Lacan rivendica il distacco e la purificazione più forte di questa razionalità, senza per questo riscriverla nel contesto economico e sociale che la condiziona. Così facendo, la teoria lacaniana si proibisce ogni vera critica sociale e lavora, sotto la sua maschera rivoluzionaria, alla conservazione dell'ordine "già stabilito" [29].

freud_sigmund-19791108_2.gifReich non sviluppa certamente questa interpretazione del divario alla maniera della Dialettica della ragione, ma non per questo non ne pone già il problema. Le poche osservazioni piuttosto allusive a questo proposito [30] riguardano soprattutto uno dei concetti fondamentali della psicoanalisi freudiana, e cioè il complesso di Edipio. Reich afferma, contro la biologizzazione e l'universalizzazione del complesso di Edipo da parte di Ernest Jones, che la forma concreta così come l'esistenza stessa del complesso poggiano su delle condizioni sociali particolari. Prima di Fromm, Reich sottoscrive la posizione di Malinowki, affermando che il complesso di Edipo caratterizza esclusivamente le società patriarcali. Ne consegue che una società socialista, che non si fonda più sulla famiglia patriarcale esclude con ciò stesso l'esistenza del complesso. La concezione freudiana dell'orda primitiva, ritenuta fondante del concetto del complesso di Edipo, trascura il fatto delle società matrilineari. Se la psicanalisi vuole restare fedele alle sue basi dialettiche, non deve escludere il complesso di Edipo dalla mediazione sociale [31].

Così, Reich risponde alla domanda dell'origine sociale della psicanalisi ed a quella della sua posizione sociale. Al modo del pensiero marxiano, il pensiero freudiano "è un prodotto dell'epoca capitalista" Ed anche se la psicanalisi si disinteressa delle basi economiche della società, essa non costituisce non di meno "una reazione al contesto culturale e morale in seno al quale vive l'uomo sociale". Secondo Reich, la psicanalisi è nata dalla metamorfosi reazionaria della borghesia, uscita dal consolidamento  capitalsita durante il XIX secolo. Assumendo su di sé sia le abitudini ed i bisogni culturali della vita feudale sia la morale sessuale sostenuta dalla chiesa, la borghesia finiva di sotterrare le sue convinzioni rivoluzionarie e progressiste. Da un punto di vista psicanalitico, la classe borghese si caratterizza soprattutto per la ristrettezza della sua sessualità. La duplicità della "scelta dell'oggetto presso lìuomo", descritta da Freud [32], che frustra la borghesia dal rapporto sessuale e rende la proletaria tanto più desiderabile, trova  le sue radici sociali nel ritorno della morale conservatrice. La ricusazione della patologia isterica- patologia sessuale per eccellenza- da parte degli uomini di sceinza è dovuta alle stesse ragioni [33]. Allo stesso modo per cui il marxismo si concepisce come una presa di coscienza delle leggi economiche, la psicanalisi si concepisce come una presa di coscienza della repressione sessuale della sessualità.

La psicanalisi freudiana, così come il marxismo, non suscita veramente l'entusiasmo della classe borghese- dei ricercatori scientifici, dei medici o degli psichiatri- né quello della piccola borghesia "più cattolica del papa" (päpstlicher als der Papst) [34]. Se accade che la psicanalisi vi sia accettata, è sempre al prezzo di un buon numero di "ma", e di cui il primo si rapporta sistematicamente al "mito fluido" della libido. Nella società capitalista, la psicanalisi è mutilata dall'eliminazione della sua teoria della libido e della sessualità infantile, per diventare una psicologia generale o una psicopatologia "scientifica".

Ora, poiché secondo Reich, soltanto il socialismo marxiano permette un libero sviluppo dell'intelligenza e della sessualità, la psicanalisi non ha avvenire che in seno ad una vera società socialista [35]. Non è che in seno ad una tale società che la psicanalisi potrebbe realizzare la sua vera vocazione, cioè quella di contribuire alla ricerca sulle origini dell'umanità, di contribuire all'igiene psichica, alla profilassi delle nevrosi ed al fondamento dell'educazione socialista in generale.

marx_karl-19710701016F_2.gifSe si fa astrazione di questa funzione politica utopica della psicanalisi, sembra difficile negare che il freudo-marxismo di Reich preceda ed anticipi la filosofia della Scuola di Francoforte. Il freudo-marxismo di Reich non è una psicanalisi applicata ai fenomeni sociali, ma un tentativo di concepire le possibilità critiche della psicanalisi per mezzo di una interpretazione marxiana della sua teoria. Reich concepisce la psicanalisi come una teoria ed una pratica critiche suscettibili di fornire un modello operativo per una critica dell'ideologia; idea sempre sostenuta da Habermas e da Karl-Otto Apel [36]. La critica del revisionismo psicanalitico intrapresa da Reich dimostra, ben prima di Adorno e Marcuse, che la soppressione della teoria della libido corrisponde ad un riconoscimento implicito e mascherato della dottrona delle pulsioni, essa permette allo stesso tempo di orientare una luce nuova sull'idea di una psicanalisi scientifica.


Thierry Simonelli

Actuel Marx N° 30, 2001.


[Traduzione di Ario Liberti]


NOTE

[1] Bernard Görlich, Die Kuluralismus- Revisionismus-Debatte, B. Görlich; A. Lorenzer, A. Schmidt, Der Stachel Freud, 1980, Francfort, Suhrkamp, p.27.

[2] Sigmund Freud, Zur Frage der Laienanalyse (1926); S. Freud, Studienausgabe Ergänzungsband, 1984, Francfort, Fischer.

[3] Wilhelm Reich, Dialektischer Materialismus und Psychoanalyse [Materialismo dialettico e Psicanalisi].

[4] Herbert Marcuse, Eros and Civilisation, 1955, 1956, Londra, Routledge & Keagan Paul, [Tr. it.: Eros e civiltà, Einaudi, Torino, 1964].

[5] Marcuse, op.cit.

[6] Vedere a proposito Th. W. Adorno, Minima Moralia, § 38, 1951, 1988, Francfort, Suhrkamp, p.73 [Tr. it.: Minima Moralia, Einaudi, Torino, 1954].

[7] È vero che Reich si augura esplicitamente di voler determinare in quale misura la psicanalisi può contribuire alla "rivoluzione proletaria ed alla lotta di classe". Ma questo contributo non sarà mai diretto, nel senso in cui la psicanalisi lavorerebbe ad specie di presa di coscienza delle verità marxiste. La questione è di sapere in quale misura la psicanalisi, in quanto psicanalisi, può contribuire alla rivoluzione.

[8] Bisogna notare che la posizione di Reich è molto differente in La Rivoluzione sessuale (1927) [Tr. it. La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, Milano, 1970; Roberto Massari Editore, Roma, 1992].

[9] Psychoanalyse und dialektischer Materialismus, p. 6. Reich menziona l'interpretazione della psicanalisi con quella di Mans, che  Deborin confonde con la teoria freudiana (Ein neuer Feldzug gegen den Marxismus, in Unter dem Banner des Marxismus, Jhg. 2, quaderno 1/2).

[10] Ibid., p. 3.

[11] Verso la fine del quinto capitolo di Il disagio della civiltà ad esempio, Freud evidenzia che "il comunismo pensa di avere trovato la soluzione al disagio" grazie alla convinzione che l'uomo è fondamentalmente buono e che è stato unicamente pervertito dalla proprietà privata. Ora la pulsione aggressiva non data evidentemente  dall'invenzione della proproetà privata e non sparirà con l'abolizione di questa. [Freud, Il disagio della civiltà (1929), Boringhieri, Torino, 1971].

[12] In Psicologia di massa del fascismo, Reich argomenta in quanto psicanalista. Vi si trova un'interpretazione del tutto tradizionale del rifiuto  della teoria psicanalitica della sessualità. La difesa psichica vi è assimilata alla reazione politica.

[13] Marx-Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1975.

[14] Ibid.

[15] Odo Marquard, Transzendentaler Idealismus, romantische Naturphilosophie, Psychoanalyse, Verlag für Philosophie/Jürgen Dinter, 1986, Köln.

[16] Th. W. Adorno, Einleitung in die Soziologie, Nachgelassene Schriften IV, 15,1993, Francfort, Suhrkamp, corsi del 7 maggio 1968. Wilhelm Reich, op.cit., p.11. Questa concezione del mondo è di fatto del tutto "freudiana". Basta ricordarsi che in Triebe und Triebschicksale [Pulsioni e loro destini, Freud, Opere, vol. VIII, Boringhieri, Torino, 1976], Freud descrive il processo della costituzione del mondo esterno nel bambino a partire dell'opposizione piacere/ dispiacere. Il piacere è situato sul lato di un Lust-Ich, il dispiacere ed il dolore sul lato del mondo esterno, Cfr. Pulsioni e loro destini.

[17] "Con la sua formula di principio di realtà, Freud ha riassunto tutte le restrizioni e necessità sociali che abbassano i bisogni o ne differiscono le soddisfazioni", Psychoanalyse und dialektischer Materialismus, p. 11.

[18] Ibid., p. 11.

[19] Ibid., p.12.

[20] Ibid., p.16.

[21] È tutta la differenza tra la posizione del freudo-marxismo, che attribuisce l'alienazione a delle condizioni sociali e storiche particolari, e Lacan che, partendo dalla stessa constatazione, ipostatizza l'alienazione come effetto del linguaggio. Se si volesse sopprimere l'ambiguità della nozione di alienazione sulla quale giocano le formulazioni lacaniane, i due approcci potrebbero in effetti rivelarsi non contraddittorie. Ma è nel piccolo dettaglio che risiede la profonda differenza delle due posizioni. Lacan non è, come l'afferma Roudinesco (Pourquoi la psychanalyse?, p.165),  un "erede diretto" della Scuola di Francoforte. Al contrario!

[22] Vedere Jacques Lacan, Écrits, 1966, Paris, Seuil, p. 24, [Tr. it.: Einaudi, Torino, 1979, 2 voll.].

[23] Grazie a Pierre Bourdieu, questa tesi è stata empiricamente corroborata. Nelle sue analisi del sistema delle grandi scuole e della "nobiltà di Stato" in Francia, Bourdieu ha dimostrato in modo convincente come una carriera coronata dal successo si prepara sin dalla più tenera infanzia. Vedere ad esempio Homo academicus, 1984, 1992, Paris, Minuit.

[24] Ibid., p. 24.

[25] Il che abbiamo cercato di dimostrare per mezzo di una lettura sistematica dei seminari inediti di Lacan in La psychanalyse théorique ou les coulisses du lacanisme, Éd. du Cerf, Collection « Passages », Paris 2000.

[26] Freud, Neue Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse [Introduzione allo studio della psicoanalisi,  Astrolabio, Roma, 1965].

[27] Ibid.

[28] MEW 3, p.28.

[29] Vedere  Séminaire IV, p. 50, Télévision, pp. 28, 51, etc. [Tr. it.: Il Seminario, Libro 4: La relazione oggettuale, 1956-1957, Torino , Einaudi, 2007]. Detto ciò, resta del tutto possibile interpretare gli aspetti più reazionari del pensiero lacaniano come indici di un sintomo sociale che resta da decifrare. Una tale rilettura si rivela tuttavia ben più difficile presso Lacan che presso Freud, perché così come i neo-freudiani, Lacan sgombera dalla teoria della libido per sostituirvi delle categorie linguistiche e socio-linguistiche.

[30] Reich,  Psychoanalyse und dialektischer Materialismus, p. 29.

[31]  Ibid., p. 30.

[32] Über einen besonderen Typus der Objektwahl beim Manne Gesammelte Werke VIII, 1978, Francfort, Fischer pp. 66-77,  oppure Beiträge zur Psychologie des Liebeslebens, 1988, Francfort, Fischer, pp. 9-18, [Tr. it.: Contributi alla psicologia della vita amorosa: Su un tipo particolare di scelta oggettuale nell’uomo, In S. Freud: Opere. Torino, Boringhieri, 1974)], in cui Freud descrive il divario  dalla rappresentazione della donna presso alcuni uomini. Da una parte, c'è la sposa rispettata, cioè idealizzata, dall'altra la prostituta o la "coquette".

[33] Cfr. Pierre-Henri Castel, La Querelle de l'hystérie, 1998, Paris, Puf.

[34] Ibid., p. 33.

[35] Reich, op.cit., p. 35.

[36] Cfr. per esempio Karl-Otto Apel, Transformation der Philosophie II, 1973, Francfort, Suhrkamp, pp. 123, 126-127, 143, 144, etc.




LINK al post originale:
Matérialisme dialectique et psychanalyse selon Wilhelm Reich

LINK all'edizione originale PDF di La Funzione dell'orgasmo di Reich:

Die Funktion des Orgasmus, 1927

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23 febbraio 2010 2 23 /02 /febbraio /2010 08:00
Come ho conosciuto Franz Kafka
Michal MaresMichal Mareš
 


di Michal Mareš

Un idiota è un idiota; due idioti sono due idioti. Diecimila idioti sono un partito politico. 
Franz Kafka



kafka-franz--Levine-copia-1.gifIncontravo Franz Kafka quasi ogni giorno andando al lavoro. Egli era allora, negli anni precedenti la prima guerra mondiale, impiegato delle Assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro ed io ero impiegato in un ufficio tecnico in Niklasstrasse 22. In quella via, al n. 36, abitava anche Kafka con i suoi genitori e là lo incontrai, per la prima volta, nell'autunno 1909. Quindi quasi ogni giorno. Avevamo qualcosa in comune: un ampio feltro nero, come lo portavano un tempo i carbonari italiani. Inoltre ci distinguevamo tutti e due dal grigiore della mascolinità, portatrice di cravatta, con un fiocco nero di seta alla Verdi, allora di gran moda tra artisti e letterati, ma allo stesso tempo distintivo degli antimilitaristi, dei liberi pensatori e giovani socialisti.
kafka--Levine.gifCappello e fiocco, questa cosa in comune, e gli incontri giornalieri, ci indussero presto a scambiarci un gentile sorriso e infine, sempre senza conoscerci, ci rendemmo onore togliendoci il cappello, per così dire, con grandezza spagnola. Poi, un giorno, il nostro incognito fu violato, quando gli ficcai in mano un volantino che invitava ad una manifestazione contro l'esecuzione (il 13 ottobre 1909) dell'editore spagnolo, fondatore della Scuola Libera, Francisco Ferrer. Kafka venne, ma la riunione fu sciolta dalla polizia. Da allora diventammo amici. Io invitai kafka a tutte le manifestazioni ed egli ci venne spesso. Ecco alcune conferenze alle quali partecipò:

kafka--Robert-Crumb.jpgNel maggio 1910 (Café de Paris) una giovane anarchica, poi deputata comunista, parla sul tema 'libero amore'.
-Nel marzo 1911 commemorazione della Comune Parigina (locanda Alla città di Praga, Weinberge). -Alcune conferenze su Malthus.
-1911 una riunione contro la guerra, in cui le madri furono invitate a non mettere al mondo figli per protesta.
-1912 manifestazione di protesta (Alla città di Praga) contro [205] l'esecuzione del capo operaio parigino Liabeuf. La riunione fu sciolta, ma i partecipanti si opposero, con bicchieri di birra, bastoni e coltelli, alla polizia che fece irruzione all'arma bianca. Molte persone furono arrestate, anch'io mi trovai tra loro. Al commissariato di polizia ci furono scene tumultuose, finché Kafka comparve d'improvviso per garantire della mia "innocenza", con la sua testimonianza. Il funzionario in carica, evidentemente un conoscente di Kafka del tempo dell'università, disse che ci sarebbe stata solo una multa di cinque fiorini o un giorno di arresto per semplice inosservanza, ma Kafka volle versare subito la cauzione, infilandomi, dopo il mio rifiuto, i soldi nella tasca del cappotto [...]. In generale Kafka si dimostrò sempre un benevolo mecenate, contribuendo ad ogni manifestazione con cinque corone; per contraccambiare con un piccolo dono, una volta gli diedi di nascosto un esemplare, salvato dalla confisca, dei Discorsi di un ribelle di Kropotkin.

kafka_franz-dd1-W.jpgIn tali manifestazioni Kafka, frequentatore discreto e solitario, era solito ascoltare attentamente in qualche posto, in disparte. Le manifestazioni indette dal Klub mladých erano rivolte principalmente contro le correnti militaristiche e clericali, quelle dell'associazione Vilem Köber, invece, contro l'oppressione politica ed economica dei lavoratori. A ciò si aggiungevano questioni sindacali che erano propagate con intendimenti sindacalistici dal Movimento anarchico ceco [...]. A queste serate veniva spesso anche Rudolf Illowý con un gruppo di studenti marxisti e di esiliati russi (che avevano il loro club, chiamato Biblioteca Tolstoj). Tutti questi cuori ribelli si intendevano bene anche se spesso avvenivano violente discussioni.
Per quanto ne so, Kafka non era membro di nessuno dei club citati, ma, simpatizzava molto con essi, uomo di profondi sentimenti sociali qual era. Egli ebbe un grande interesse per queste riunioni, ma non intervenne mai personalmente nei dibattiti.

urante la mia amicizia con Kafka, dal 1919 al 1923, ci scrivemmo sempre in ceco. Tutti quei numerosi saluti e notizie, ad [206] eccezione di una cartolina postale, sono andati perduti nelle perquisizioni domiciliari, avvenute a suo tempo.
Solo una volta ho visto Kafka ridere di cuore: da Jaroslav Hašek.

kafka-israele.pngIl buon soldato Švejk non era ancora nato quando
Hašek aveva già la fama di uomo in gamba in centinaia di bettole praghesi. Ma in due locali si mise particolarmente in vista: un ristorante do periferia con giardino a Zizkov e ancor più il Kabaret Balkan, allora, sino allo scopiio della guerra mondiale covo di letterati, artisti, musicisti, attori con il loro seguito. Non era richiesto un biglietto d'entrata, ma spesso avevanoluogo aste di schizzi, quadri e anche manoscritti e il ricavo veniva speso subito in allegria. Ci portai Franz Kafka, modesto e riservato come sempre, che vi conobbe non solo Hašek, ma anche alcuni scrittori cechi, poi divenuti celebri: S. K. Neumann, Karel Toman, Frána Šramek e Gellner, il pittore Brunner e lo scultore Štursa, una compagnia di mattacchioni. A kafka piacque molto, e così il programma, artisticamente notevole e sempre vario. Riservato e spesso quasi chiuso, egli contemplava l'animazione con un dolce sorriso, come faceva incontrando dei conoscenti, sempre con una lieve ombra di tristezza. [207].
Sono passati molti anni da quel comizio e qualche perla dell'umorismo di Hašek può essermi sfuggita; ma allora Kafka, quest'uomo dal dolce sorriso, immerso in se stesso, rise sonoramente e di cuore; lo vidi ridere solo quella volta. E continuando a sorridere soddisfatto, ne parlò a Franz Werfel al Café Edison e poi anche al suo amico Max Brod [...]
franz kafka firma
Talvolta si poteva incontrare Kafka di notte mentre, assorto nei suoi pensieri, passava davanti ai palazzi, a chiese e sinagoghe, svoltando in una delle tante viuzze laterali, pittoresche e sconcertanti, che attraversavano Praga [...] E proprio quest'uomo silenzioso veniva così volentieri da noi ribelli [...]. Certe cose si spiegano se ripenso alle nostre conversazioni: quale simpatia per Hölderlin o per Malwida von Meysenbug, quale interesse per le opere non soltanto di Herzen, ma di [210] Przibiszewski, dei fratelli Reclus o di Domela Niewenhuis. Leggeva Wera Figner, Bakunin e Jean Grave; lo commuoveva particolarmente il destino dell'anarchico francese Léon Léger Ravachol o la tragicità di Emma Goldmann, direttrice di "Mother Earth", incatramata e ricoperta di piume; anche le Memorie di una idealista della Meysenbug gli fecero una forte impressione.

Né voglio tacere dell'amore di Kafka per i bambini [...]. E anche nel nostro ultimo incontro, due mesi prima della sua morte, lo trovai che giocava a palla sull'Altstädter Ring con la sua nipotina di cinque anni [...] Mi salutò con una stretta di mano, calde, altrimenti così fredde. Non pensai ancora a un addio, eppure fu l'ultimo incontro con il grande poeta, sognatore e gentleman [211].


[A cura di Ario Libert]


LINK pertinente alla tematica:
Franz Kafka e il socialismo libertario
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11 febbraio 2010 4 11 /02 /febbraio /2010 09:23
Saggio notevole questo di Michael Lowy. Invito soprattutto i lettori a procurarsi gli studi originali di questo ricercatore su Kafka di maggiori dimensioni e più riccamente articolati editi dalla casa editrice Eleuthera. Kafka, una delle più importanti figure della letteratura dell'intero XX secolo, una lettura doverosa per chi si consideri libertario. La complessa personalità e la profonda umanità dello scrittore sono poi a se tematiche degne di essere approfondite per meglio apprezzare l'opera e l'uomo Kafka. È per questo che abbiamo ritenuto doveroso allegare una breve ma ben mirata bibliografia in fondo al saggio.

Franz Kafka ed il socialismo libertario
kafka--caricatura-di-Levine.gifMichael Löwy
Kafka-a-13-anni.jpgVa da sé che non si può ridurre l'opera di Kafka ad una dottrina politica, qualunque essa sia. Kafka non produce dei discorsi, ma crea degli individui e delle situazioni ed esprime nella sua opera delle opinioni, degli atteggiamenti, un'atmosfera. Il mondo simbolico della letteratura è irriducibile al mondo discorsivo delle ideologie: l'opera letteraria non è un sistema concettuale astratto, sull'esempio delle dottrine filosofiche o politiche, ma creazione di un universo immaginario concreto di personaggi e cose [1]. Tuttavia, ciò non impedisce di esplorare i passaggi, le passerelle, i legami sotterranei tra il suo spirito antiautoritario, la sua sensibilità libertaria, le sue simpatie per l'anarchismo da una parte ed i suoi principali scritti dall'altra. Questi passaggi ci aprono un accesso privilegiato a ciò che potremo chiamare il paesaggio interno dell'opera di Kafka. Le inclinazioni socialiste di Kafka si sono manifestate molto presto: secondo il suo amico di gioventù e compagno di liceo Hugo Bergmann, la loro amicizia si era un po' raffreddata durante il primo anno scolastico (1900-1901), perché "il suo socialismo ed il mio sionismo erano troppo forti" [2]. Di quale socialismo si tratta?

 

Kafka-a-18-anni.jpgTre testimonianze di contemporanei cechi documentano la simpatia che lo scrittore praghese aveva per i socialisti libertari cechi e la sua partecipazione ad alcune delle loro attività. Agli inizi degli anni 30, nel corso delle sue ricerche in vista della redazione del romanzo Stefan Rott (1931), Max Brod raccolse delle informazioni da uno dei fondatori del movimento anarchico ceco, Michal Kacha. Esse concernono la presenza di Kafka alle riunioni del Klub Mladych (club dei Giovani), organizzazione libertaria, antimilitarista ed anticlericale, frequentata da molti scrittori cechi (S. Neumann, Mares, Hasek). Integrando queste informazioni- che gli furono "confermate da altre parti"- Brod scrive nel suo romanzo che Kafka "assisteva spesso, in silenzio, alle sedute del circolo". Kacha lo trovava simpatico e lo chiamava "Klidas" che  significa "il silenzioso" o più esattamente seguendo il gergo ceco "colosso di silenzio", Max Brod non ha mai posto in discussione la veridicità di questa testimonianza, che citerà di nuovo nella sua biografia su Kafka [3] .
Kafka-a-26-anni-.jpgLa seconda testimonianza è quella dello scrittore anarchico Michal Mares, che aveva fatto la conoscenza di Kafka in strada (erano vicini di casa). Secondo Mares- il cui documento fu pubblicato da Klaus Wagenbach nel 1958-, Kafka era venuto, su suo invito, ad una manifestazione contro l'esecuzione di Francisco Ferrer, l'educatore libertario spagnolo, nell'ottobre 1909. Nel corso degli anni 1910-12, avrebbe assitito a delle conferenza anarchiche sull'amore libero, sulla Comune di Parigi, sulla pace, contro l'esecuzione del militante parigini Liabeuf, organizzate dal Club dei Giovani, dall'associazione "Vilem Körber" (anticlericale ed antimilitarista) e dal Movimento anarchico ceco. Avrebbe anche, in diverse occasioni, pagato cinque corone di cauzione per far liberare il suo amico dalla prigione. Mares insiste, in modo analogo a Kacha, sul silenzio di Kafka: "A mia conoscenza, Kafka non apparteneva ad nessuna di queste organizzazioni anarchiche, ma aveva per esse le forti simpatie di un uomo sensibile ed aperto ai problemi sociali. Tuttavia, malgrado l'interesse che egli aveva per queste riunioni (vista la sua assiduità), non interveniva mai nelle discussioni".

Michal-Mares.jpgQuest'interesse si sarebbe manifestato anche nelle sue letture- le Parole di un ribelle di Kropotkin (regalo dello stesso Mares), così come degli scritti dei fratelli Reclus, di Bakunin e di Jean Grave- e nelle sue simpatie: "Il destino dell'anarchico Ravachol o la tragedia di Emma Goldmann che editò Mother Earth lo toccavano particolarmente..." [4] . Questa testimonianza era apparsa nel 1946, in una rivista ceca, sotto una versione un po' diversa, senza attirare l'attenzione [5] . Ma è dopo la sua pubblicazione in appendice di un notevole libro di Klaus Wagenbach sulla giovinezza di Kafka (1958)- la prima opera a mettere in luce i legami dello scrittore con gli ambienti libertari praghesi- che provocherà una serie di polemiche, miranti a porre in questione la sua credibilità.

kafka--madre.gifIl terzo documento sono le Conversazioni con Kafka di Gustav Janouch, apparso in prima edizione nel 1951 ed in una seconda, considerevolmente ampliata, nel 1968. Questa testimonianza, che si riferisce a degli scambi con lo scrittore praghese nel corso degli ultimi anni della sua vita (a partire dal 1920), suggerisce che Kafka conservava la sua simpatia per i libertari. Non soltanto qualifica gli anarchici cechi come uomini "molto gentili ed allegri", così "gentili ed amichevoli che si  trova obbligato a  credere ad ognuna delle loro parole", ma le idee politiche e sociali che egli esprime nel corso di queste conversazioni rimangono fortemente segnate dalla corrente libertaria. Ad esempio, la sua definizione del capitalismo come "un sistema di rapporti di dipendenza" in cui "tutto è gerarchizzato, tutto è incatenato" è tipicamente anarchica, per la sua insistenza sul carattere autoritario di questo sistema- e non sullo sfruttamento economico come fa il marxismo. Anche il suo atteggiamento scettico verso il movimento operaio organizzato sembra ispirato dalla diffidenza libertaria verso i partiti e le istituzioni politiche: dietro gli operai che sfilano "avanzano già i segretari, i burocrati, i politici professionali, tutti i sultani moderni di cui essi preparano l'accesso al potere... La rivoluzione sfuma, rimane soltanto allora la melma di una nuova burocrazia. Le catene dell'umanità torturata sono in carta ministeriale" [6].

Max-Brod.jpgNella sua seconda edizione (1968), ritenuta riprodurre la versione completa delle sue note, perdute nel dopoguerra e ritrovate più tardi. Janouch riporta il seguente scambio con Kafka: "Avete studiato la vita di Ravachol? Sì! E non soltanto quella di Ravachol, ma anche la vita di diversi autori anarchici. Mi sono tuffato nelle biografie e le idee di Godwin, di Proudhon, di Stirner, di Bakunin, di Kropotkin, di Tucker e di Tolstoj; ho frequentato diversi gruppi, assistito a delle riunioni, in breve ho investito in quest'affare molto tempo e denaro. Ho preso parte nel 1910 alle riunioni che tenevano gli anarchici cechi in una taverna di Karolinental chiamata "Zum Kanonenkreuz", in cui si riuniva il circolo anarchico detto Circolo dei Giovani... Max Brod mi accompagnò molte volte a queste riunioni, che in fondo non gli piacevano affatto, [...] Per me, si trattava di una cosa molto seria. Ero sulle tracce di Ravachol. Esse mi portarono in seguito ad Erich Mühsam, ad Arthur Holitscher ed all'anarchico viennese Rudolf Grossman [7] Cercavano tutti di realizzare la felicità degli uomini senza la Grazia. Li capivo. Tuttavia [...] non potevo continuare a lungo a camminare al loro fianco" [8]. 
Secondo l'opinione più diffusa dei commentatori, questa seconda versione è meno credibile della prima, soprattutto per la sua origine misteriosa (degli appunti perduti e ritrovati). Bisogna aggiungere, nel caso specifico che ci interessa, un errore evidente: Max Brod, di sua propria ammissione, non soltanto non ha mai accompagnato il suo amico alle riunioni del club anarchico, ma ignorava tutto della sua partecipazione alle attività dei libertari praghesi. L'ipotesi suggerita da questi documenti - l'interesse di Kafka per le idee libertarie - è confermata da alcuni riferimenti nei suoi scritti intimi.
 
Krop--Il-mutuo-appoggio.pngAd esempio, nel suo diario troviamo questo imperativo categorico: "Non dimenticare Kropotkin!"; e, in una lettera a Max Brod del novembre del 1917, manifesta il suo entusiasmo per un progetto di rivista (Foglio di lotta contro la volonta di potenza) proposto dall'anarchico freudiano Otto Gross [9]. Senza dimenticare lo spirito libertario che sembra  ispirare alcune delle sue dichiarazioni; ad esempio, la piccola osservazione caustica che egli fece un giorno a Max Brod, riferendosi al suo luogo di lavoro, l'Ufficio delle assicurazioni sociali (dove degli operai vittime di incidenti venivano a rivendicare i loro diritti): "Come sono umili questi uomini... Vengono a sollecitarci. Invece di prendere l'edificio d'assalto e mettere tutto a soqquadro, vengono a sollecitarci" [10].
Otto-Gross.gifÈ molto probabile che queste diverse testimonianze- soprattutto le due ultime- contengano delle inesattezze e delle esagerazioni. Klaus Wagenbach stesso riconosce (a proposito di Mares) che "alcuni dettagli sono forse falsi" o per lo meno "esagerati". Allo stesso modo, secondo Max Brod, Mares, come molti altri testimoni che hanno conosciuto Kafka, "tende ad esagerare", soprattutto per quanto concerne l'estensione dei suoi legami di amicizia con lo scrittore. In quanto a Janouch, se la prima versione dei suoi ricordi dà l'impressione "di autenticità e di credibilità", perché  essi "recano dei segni distintivi dello stile con il quale Kafka parlava", la seconda gli sembra molto meno degna di fiducia [11].
Ma una cosa è constatare le contraddizioni o le esagerazioni di questi documenti ed un'altra è il respingerli in blocco, qualificando come "pura leggenda" le informazioni sui legami tra Kafka e gli anarchici cechi. È l'atteggiamento di alcuni specialisti, tra i quali Eduard Goldstücker, Hartmut Binder, Ritchie Robertson ed Ernst Pawel- il primo un critico letterario comunista ceco e gli altri tre altri tre autori di biografie di Kafka di cui non si può negare il valore. Il loro tentativo di evincere l'episodio anarchico nella vita di Kafka merita di essere discussa nel dettaglio, nella misura in cui essa ha delle implicazioni politiche evidenti. Secondo E. Goldstücker- molto noto per i suoi sforzi miranti a "riabilitare" Kafka in Cecoslovacchia nel corso degli anni 60- i ricordi di Mares riediti da Wagenbach "appartengono al regno della finzione". Il suo argomento centrale, è che non è concepibile che dei rivoluzionari, degli anarco-comunisti, abbiano accettato nelle loro riunioni "un uomo che non conoscevano" e che per di più rimaneva sempre in silenzio (secondo Kacha e Mares).

 

KachaOra, ciò che Goldstücker sembra stranamente dimenticare, è che Kafka non era uno "sconosciuto" ma, al contrario, personalmente conosciuto da due dei principali organizzatoti di queste riunioni: Michal Kacha e Michal Mares (così come da altri partecipanti come Rudolf Illowy, il suo vecchio amico di studi al liceo). Tuttavia- in modo un po' contraddittorio con quanto detto detto in precedenza- Goldstücker finisce con l'ammettere la partecipazione di Kafka a delle attività anarchiche, sostenendo semplicemente che questa partecipazione non sarebbe durata alcuni anni come affermato da Mares, ma sarebbe stata limitata alla sua presenza ad "alcune riunioni". Ora, poiché Mares stesso non menziona concretamente che cinque riunioni, non si vede bene perché per quale ragione Goldstücker respinge categoricamente anche la sua testimonianza [12]. Hartmut Binder, autore di una biografia dettagliata e molto erudita di Kafka, è quello che sviluppa in modo più energico la tesi  secondo la quale i legami tra Kafka e gli ambienti anarchici praghesi siano una "leggenda" che appartiene "al regno dell'immaginazione". Klaus Wagenbach è accusato di aver utilizzato delle fonti "che erano in accordo con la sua ideologia" (Kacha, Mares et Janouch), ma che "mancano di credibilità o sono anche delle falsificazioni deliberate" [13].

Kafka--padre.pngIl primo problema con questo tipo di ragionamento è il seguente: perché le tre testimonianze considerate "poco credibili" coincidono nell'affermazione dei legami tra Kafka ed i libertari? Perché non troviamo delle testimonianze "fittizia" sulla partecipazione ripetuta di Kafka a delle riunioni sioniste, comuniste o socialdemocratiche? È difficile da comprendere- tranne immaginare una cospirazione anarchica- perché vi sarebbero unicamente delle "falsificazioni" in questa precisa direzione. Ma esaminiamo da più vicino gli argomenti di Binder- la cui diatriba contro Wagenbach non è priva di motivi "ideologici".

kafka-e-max-brod.jpgA suo parere, il semplice fatto che Brod non abbai saputo di queste pretese attività soltanto alcuni anni dopo la morte di Kafka, da parte di Michal Kacha, un vecchio membro  di questo movimento anarchico [...] testimonia contro la credibilità di questa informazione. Perché è quasi inimmaginabile che Brod, che a quest'epoca intraprese due viaggi di vacanze con Kafka e che lo incontrava quotidianamente [...], abbia potuto ignorare l'interesse del suo migliore amico per il movimento anarchico". Ora, se ciò è "quasi inimmaginabile" (constatiamo comunque che il "quasi" lascia un margine al dubbio), come mai il principale interessato, cioè Max Brod stesso, considerava quest'informazione come perfettamente attendibile, poiché l'ha utilizzata anche nel suo romanzo Stefan Rott che nella biografia del suo amico? La stessa cosa vale per un altro argomento di Binder: "ascoltare, in una birreria fumosa, delle discussioni politiche di un gruppo che agiva al di fuori della legalità... è una situazione inimmaginabile per la personalità di Kafka". Eppure, questa situazione non aveva nulla di strano agli occhi di Max Brod, che conosceva tuttavia qualcosa della personalità di Kafka. Comunque, nulla nell'opera di Kafka lascia intendere che egli avesse un rispetto così superstizioso per la legalità! [14].
ZadruhaPer tentare di sbarazzarsi una volta per tutte della testimonianza di Michal Mares, Binder si riferisce con insistenza ad una lettera di Kafka a Milena, in cui definisce Mares come "qualcuno incontrato per strada". Sviluppa il ragionamento seguente: Kafka sottolinea espressamente che la sua relazione con Mares è soltanto quella di un  Gassenbekanntschaft (conoscenza di strada). Questa è l'indicazione più netta che Kafka non ha mai partecipato ad una riunione anarchica" [15]. Il meno che si possa dire è che tra la premessa e la conclusione c'è un non sequitur evidente! Tutto ciò che si può dedurre dalla lettera di Kafka a Milena, è che Mares ha, nella sua testimonianza del 1946, probabilmente esagerato i legami di amicizia tra Kafka e lui, ma non c'è alcuna contraddizione tra le loro relazioni episodiche e la partecipazione di Kafka a delle riunioni anarchiche dove si trovavano, tra gli altri, il giovane Mares.

kafka--01.jpgAnche se la loro conoscenza si limitava a degli incontri nella strada (la casa di Kafka era vicina al luogo di lavoro di Mares), ciò non avrebbe impedito a Mares di passargli dei volantini e degli inviti per delle riunioni e manifestazioni, di constatare la sua presenza in alcune delle sue attività ed anche di omaggiarlo, all'occasione, con un esemplare del libro di Kropotkin [16]. Mares possiede, come prova materiale dei suoi legami con Kafka, una cartolina postale inviata dallo scrittore, datata 9 dicembre 1910. Egli afferma- ma è un'asserzione impossibile da verificare- che aveva ricevuto diverse lettere dal suo amico "scomparse durante le numerose perquisizioni effettuate a casa mia durante quest'epoca". Binder prende atto dell'esistenza di questo documento, ma partendo dal fatto che la cartolina era indirizzata a "Joseph Mares" (e non Michal) pensa di possedere ora una nuova prova delle "finzioni" del testimone: sarebbe del tutto inverosimile che un anno dopo aver fatto la conoscenza di Mares e partecipato insieme a diverse serate del Klub Mladych, Kafka "non conosca il suo nome". Ora, quest'argomento non regge, per una ragione molto semplice: secondo gli editori tedeschi della corrispondenza tra Kafka e Milena, il vero nome di Mares non era Michal ma... Joseph [17].

kafka--sorelle--1898.jpgIn quanto a Janouch, se Binder respinge come pura invenzione la versione del 1968 delle sue memorie, il riferimento agli anarchici in quella del 1951 gli sembra "possa essere basata su un vero ricordo". Ma si sbriga nel ridurla a poca cosa, assimilandola al passaggio menzionato della lettera a Milena: la conoscenza "per strada", del poeta Michal Mares. Ora, nella conversazione riportata da Janouch si parla di "anarchici" al plurale, "così gentili e così amabili", il che suppone che Mares sia lungi dall'essere il solo militante libertario incontrato da Kafka [18]. L'insieme della discussione di Hartmut Binder a questo proposito dà la penosa sensazione di un deliberato e sistematico tentativo- che fa di ogni erba un fascio- per eliminare dall'immagine di Kafka la macchia nera che sarebbe- in una visione politica conservatrice- la sua partecipazione a delle riunioni organizzate dai libertari praghesi.

Yichzak-Lowy--attore-Yddish-amico-di-Kafka.jpgQualche anno dopo, nella sua biografia di Kafka- opera comunque meritevole di interesse- Ernst Pawel difende in modo evidente le stesse tesi di Binder: si tratta "di sotterrare uno dei grandi miti" collegati alla persona di Kafka, e cioè "la leggenda di un Kafka cospiratore in seno al gruppo anarchico ceco del Klub Mladych". Questa leggenda sarebbe dovuta "ai fertili ricordi dell'ex-anarchico Micha Mares che, nelle sue memorie un po' fantasiose pubblicate nel 1946, descrive Kafka come un amico ed un compagno che partecipava a delle riunioni e a delle manifestazioni anarchiche". "La storia di Mares, sulla quale Gustav Janouch avrebbe in seguito anch'egli ricamato, si ritrova in diverse biografie di Kafka, che ce lo presentano come un giovane cospiratore e come un compagno di strada del movimento libertario ceco. Questo racconto è quindi completamente smentito da tutto quanto sappiamo della sua vita, dai suoi amici e dal suo carattere. Già poco credibile come cospiratore, come avrebbe potuto ed anche voluto dissimulare il suo impegno a degli amici intimi che egli vedeva tutti i giorni?" [19].

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La "leggenda" è tanto più facile da smentire in quanto non corrisponde ad alcuna delle fonti in questione: né Kacha (non menzionato da Pawel), né Mares o Janouch- ed ancor meno Wagenbach- hanno mai preteso che Kafka fosse un "cospiratore in seno al gruppo anarchico". Mares insiste esplicitamente sul fatto che Kafka non era membro di alcuna organizzazione. Inoltre, non si tratta di "cospirazione" ma di partecipazione a delle riunioni che erano, nella maggior parte dei casi, aperte al pubblico. In quanto alla "dissimulazione degli amici intimi", cioè Max Brod, abbiamo già mostrato l'inanità di questo argomento. Ernst Pawel fornisce una ragione supplementare in appoggio alla sua tesi: è "inconcepibile" che "qualcuno che aveva quasi uno status di funzionario" sia sfuggito all'attenzione degli informatori della polizia. Ora, i fascicoli della polizia praghese "non contengono la minima allusione a Kafka" [20]. L'osservazione è interessante, ma l'assenza di un nome negli archivi dellal polizia non è mai stata in sé una prova sufficiente della non partecipazione, Inoltre, è poco probabile che la polizia disponesse del nome di tutti coloro che assitevano a delle riunioni pubbliche organizzate dai diversi club libertari: essa si interessava agli "agitatori", ai dirigenti di queste associazioni, piuttosto che alle persone che vi assistevano in silenzio... Tuttavia, Pawel si distingue da Binder per la sua disponibilità a riconoscere la validità dei fatti suggeriti da queste testimonianze, in una versione più attenuata: "La verità è più prosaica. Kafka conosceva effettivamente Mares [...] e senza dubbio ha potuto assistere a delle riunioni o a delle manifestazioni pubbliche, in quanto osservatore interessato. Le sue inclinazioni socialiste sono attestate da Bergmann e da Brod [...]. Negli anni che seguirono, sembra anche essere stato interessato dall'anarchismo filosofico e non violento di Kropotkin e di Alexandre Herzen" [21].

kafka--via-abitazione.jpgNon siamo così distanti dalle conclusioni di Wagenbach... Esaminiamo ora il punto di vista di Ritchie Robertson, autore di un notevole saggio sulla vita e l'opera dello scrittore ebreo praghese. A suo parere le informazioni fornite da Kacha e Mares devono essere "trattate con scetticismo". I suoi principali argomenti a questo proposito sono ripresi da Goldstücker e da Binder: coma mai un gruppo che si riunisce segretamente accetterebbe al suo interno un visitatore silenzioso "il quale, per il poco che ne sapevano, poteva essere una spia?" Come era possibile che Brod non sapesse nulla della partecipazione del suo amico a queste riunioni? Quale valore possiamo attribuire alla testimonianza di Mares, considerando che non era che una Gassenbekanntschaft di Kafka? In breve, "per tutte queste ragioni l'assitenza a delle riunioni anarchiche sembra essere proprio una leggenda". Inutile ritornare su queste obiezioni, di cui ho già mostrato sopra la poca consistenza. Ciò che è del tutto nuovo ed interessante nel libro di Robertson, è il tentativo di proporre un'interpretazione alternativa delle idee politiche di Kafka, che non sarebbero, secondo lui, né socialiste né anarchiche, ma romantiche. Quel romanticismo anticapitalista che non sarebbe né di sinistra né di destra [22]. Ora se l'anticapitalismo romantico è una matrice comune a certe forme di pensiero conservatrici e rivoluzionarie- ed in questo senso supera la tradizionale divisione tra destra e sinistra-, ciò non di meno gli stessi autori romantici si situano chiaramente ad un polo o l'altro di questa visione del mondo: il romanticismo reazionario o il romanticismo rivoluzionario [23].
 
Kafka--statua-Praga.jpgInfatti, l'anarchismo, il socialismo libertario, l'anarcosindacalismo sono un esempio paradigmatico di "anticapitalismo romantico di sinistra". Di conseguenza, definire il pensiero di Kafka come romantico. il che mi sembra del tutto pertinente- non significa affatto che non sia "di sinistra", concretamente un socialismo romantico di tendenza libertaria. Come presso tutti i romantici, la sua critica della civiltà moderna è intrisa di nostalgia per il passato, rappresentato ai suoi occhi dalla cultura yiddish delle comunità ebraiche dell'Europa dell'Est. Con un'intuizione notevole, André Breton scriveva: "Benché sincronizzata al momento presente, [il pensiero di Kafka] gira simbolicamente all'indietro gli aghi dell'orologio della sinagoga di Praga" [24]. L'interesse per l'episodio anarchico nella biografia di Kafka (1909-1912),  è che esso ci offre una delle chiavi più illuminanti per l alettura dell'opera- in particolare degli scritti a partire dall'anno 1912. Dico una delle chiavi perché il fascino di quest'opera viene anche dal suo carattere squisitamente polisemico, irriducibile ad ogni interpretazione univoca. L'ethos libertario si esprime in diverse situazioni che stanno nel cuore dei suoi principali testi letterari, ma innanzitutto dal modo radicalmente critico in cui è rappresentato il volto ossessivo ed angosciante della non-libertà: l'autorità. Come ha ben detto André Breton, "nessuna opera milita tanto contro l'ammissione di un principio sovrano estraneo a colui che pensa" [25].
 
Kafka--il-Processo--fotogramma.jpgUn anti-autoritarismo di ispirazione libertaria attraversa l'insieme dell'opera romanzesca di Kafka in un movimento di "spersonalizzazione" e di reificazione crescenti: dell'autorità paternale e personale verso l'autorità amministrativa ed anonima [26]. Ancora una volta, non si tratta di una qualsiasi dottrina politica, ma di uno stato d'animo e di una sensibilità critica- la cui arma principale è l'ironia, l'umorismo, quell'umorismo nero che è, secondo André Breton "una rivolta superiore dello spirito" [27]. Quest'atteggiamento ha delle radici intime e personali nel suo rapporto con il padre. L'autorità dispotica del pater familias è per lo scrittore l'archetipo stesso della tiranni politica. Nella sua Lettera al padre del 1919, Kafka ricorda: "Assumesti ai miei occhi il carattere enigmatico che hanno i tiranni il cui diritto non si fonda sulla riflessione, ma sulla loro propria persona". Confrontato con il trattamento brutale, ingiusto ed arbitrario degli impiegati di suo padre, si sente solidale con le vittime: "Ciò mi rese la bottega insopportabile, mi ricordava troppo la mia propria situazione nei tuoi confronti... È per questo che prendevo inevitabilmente la parte del personale..." [28].

Kafka_Das_Schloss_1926.jpgLe principali caratteristiche dell'autoritarismo negli scritti letterari di Kafka sono: 1) L'arbitrario: le decisioni sono imposte dall'alto, senza giustificaione- morale, razionale, umana- nessuna, spesso formulando delle esigenze smisurate ed assurde verso la vittima; 2) l'ingiustizia: la colpevolezza è considerata- a torto- come evidente, andante da sé senza necessità di prova e le punizioni sono totalmente sproporzionate alla "colpa" (inesistenza o banale). Nel suo primo scritto importante, La Condanna, del 1912, Kafka pone in scena unicamente l'autorità paterna; è anche uno dei suoi rari scritti in cui l'eroe (Georg Bendemann) sembra sottomettersi del tutto e senza resistenza alla condanna autoritaria: l'ordine intimato dal padre a suo figli di gettarsi nel fiume! Comparando questo racconto con Il Processo, Milan Kundera osserva: "La somiglianza tra le due accuse, colpevolezza ed esecuzioni tradisce la continuità che lega l'intimo 'totalitarismo' familiare a quello delle grandi visioni di Kafka" [29]. Nei due grandi romanzi Il Processo e Il Castello, si tratta invece di un potere "totalitario" perfettamente anonimo e invisibile.

Kafka_Der_Prozess_1925.jpgAmerica, del 1913-14, costituisce a questo proposito un'opera intermedia: i personaggi autoritari sono a volte delle figure paterne (il padre di Karl Rossmann e lo zio Jakob) a volte degli alti amministratori dell'Albergo (il Capo del personale ed il Portiere in capo). Ma anche quest'ultimi conservano un aspetto di tirannia personale, associante la freddezza burocratica con un dispotismo individuale meschino e brutale. Il simbolo di questo autoritarismo punitivo sorge sin dalla prima pagina del libro: demistificante la democrazia americana, rappresentata dalla celebre statua della Libertà all'entrata del porto di New York, Kafka sostituisce nella sua mano la torcia con una spada... In un mondo senza giustizia, la forza nuda, il potere arbitrario regna sovrana. La simpatia dell'eroe va alle vittime di questa società: come l'autista del primo capitolo, esempio della "sofferenza di un povero uomo sottomesso ai potenti", o la madre di Teresa, spinta al suicidio dalla fame e dalla miseria. Trova degli amici e degli alleati da parte dei poveri: Teresa stessa, lo studente, gli abitanti del quartiere popolare che rifiutano di consegnarlo alla polizia- perché, scrive Kafka in un commento rivelatore: "gli operai non sono dalla parte delle autorità" [30].

Kafka_Amerika_1927.jpgDal punto di vista che qui ci interessa, la grande svolta nell'opera di Kafka è il racconto Nella colonia penale, scritta poco dopo America. Vi sono pochi testi nella letteratura universale che presentano l'autorità sotto un volto così ingiusto e criminale. Non si tratta del potere di un individuo- i Comandanti (vecchio e nuovo) non svolgono che un ruolo secondario nel racconto- ma di quello di un meccanismo impersonale. Il quadro del racconto è il colonialismo... francese. Gli ufficiali ed i comandanti della colonia sono francesi, mentre gli umili soldati, gli scaricatori di porto, le vittime che devono essere giustiziati sono degli "indigeni" che "non capiscono una sola parola di francese". Un soldato "indigeno" è condannato a morte da degli ufficiali la cui dottrina giuridica riassume in poche parole la quintessenza dell'arbitrio: "La colpevolezza non deve mai eesere messa in dubbio!" La sua esecuzione deve essere compiuta da una macchina da tortura che scrive lentamente sul suo corpo con degli aghi che lo perforano scrivendo: "Rispetta i tuoi superiori". Il personaggio centrale del racconto non è né il viaggiatore che osserva gli avvenimenti con una muta ostilità, né il prigioniero, che non reagisce affatto, né l'ufficiale che presiede l'esecuzione , né il Comandante della colonia. È la Macchina stessa. Tutto il racconto ruota intorno a questo sinistro apparecchio (Apparato), che sembra sempre più, nel corso della spiegazione molto dettagliata che l'ufficiale dà al viaggiatore, essere una fine in sé. L'Apparecchio non è là per giustiziare l'uomo, è piuttosto quest'ultimo che è là per l'Apparecchio, per fornire un corpo sul quale esso possa scrivere il suo capolavoro estetico, la sua iscrizione sanguinaria illustrata di "molti florilegi ed abbellimenti". L'ufficiale stesso non è che un servo della Macchina e, alla fine si sacrifica egli stesso a questo insaziabile Moloch [31].

Felice-and-Kafka--1917.jpgA quale "Macchina del potere" concreta, a quale "Apparato d'autorità" sacrificatore di vite umane, pensava Kafka? Nella Colonia penale è stata scritta nell'ottobre del 1914, tre mesi dopo lo scoppio della Grande Guerra... In Il Processo e Il Castello, ritroviamo l'autorità come "apparato" gerarchizzato, astratto, impersonale: i burocrati, qualunque sia il loro carattere brutale, meschino o sordido, essi non sono che gli ingranaggi di questo meccanismo. Come ossserva con acutezza Walter Benjamin, Kafka scrive dal punto di vista del "cittadino moderno che si sa consegnato ad un apparato burocratico impenetrabile la cui funzione è controllata da istanze che restano sfumate anche ai suoi organiesecutivi, a maggior ragione per coloro che ne sono manipolati" [32].

Dora-Diamant.pngL'opera di Kafka è nel contempo profondamente radicata nel suo ambiente praghese- come osserva André Breton, "sposa tutti i fascini, i sortilegi" di Praga [33]- e perfettamente universale. Contrariamente a ciò che si pretende spesso, i suoi due grandi romanzi non sono una critica del vecchio Stato imperiale austro-ungarico, ma dell'apparato statale in quanto ha di più moderno: il suo carattere anonimo, impersonale, in quanto sistema burocratico alienato, "cosificato", autonomo, trasformato in fine a se stesso. Un passaggio di Il Castello è particolarmente chiarificatore di questo punto di vista: è quello- piccolo capolavoro di umorismo nero- in cui il sindaco del villaggio descrive l'apparato ufficiale come una macchina autonoma che sembra lavorare "per se stessa": "Si direbbe che l'organismo amministrativo non può sopportare la tensione, l'irritazione che è durata per anni a causa dello stesso affare, forse infima in se stessa inoltre, e che esso pronunci da se stesso il verdetto senza ricorrere ai funzionari" [34]. Questa profonda intuizione del meccanismo burocratico come ingranaggio cieco, in cui i rapporti tra individui diventano una cosa, un oggetto indipendente, è uno degli apsetti più moderni, più attuali, più lucidi dell'opera di Kafka. L'ispirazione libertaria è iscritta nel cuore dei romanzi di Kafka, che ci parla dello Stato- sia esso sotto la forma dell'"amministrazione" o della "giustizia"- come di un sistema di dominio impersonale che schiaccia, soffoca o uccide gli individui. É un mondo angosciante, opaco, incomprensibile, in cui regna la non-libertà.

Milena-Jesenska--1896-1944-.jpgSi è spesso presentato Il Processo come un'opera profetica: l'autore avrebbe previsto, con la sua immaginazione visionaria, la giustizia degli Stati totalitari, i processi nazisti o staliniani. Bertolt Brecht, compagno di strada dell'URSS, osservava, in una conversazione con Walter Benjamin a proposito di Kafka nel 1934 (prima dei processi di Mosca): "Kafka non ha che un solo problema, quello dell'organizzazione. Ciò che lo ha afferrato, è l'angoscia di fronte allo Stato formicaio, il modo in cui gli uomini si alienano essi stessi attraverso le forme della loro vita comune. Ed ha previsto certe forme di questa alienazione, come ad esempio i metodi della GPU" [35]. Senza mettere in dubbio la pertinenza di quest'omaggio alla chiaroveggenza dello scrittore praghese, bisogna tuttavia ricordare che Kafka non descrive nei suoi romanzi degli Stati "d'eccezione": una delle più importanti idee- la cui parentela con l'anarchismo è evidente- suggerita dalla sua opera, è la natura alienata e oppressiva dello Stato "normale", legale e costituzionale. Sin dalle prime righe di Il Processo, è detta chiaramente: "K. viveva in uno Stato di diritto (Rechtstaat), la pace regnava ovunque, tutte le leggi erano in vigore, chi osava dunque assalirlo nella sua casa?" [36].

Kafka--Metamorfosi--1916_Die_Verwandlung_1916_Orig_-Pappban.jpgCome i suoi amici anarchici praghesi, sembra considerare ogni forma di Stato, lo Stato in quanto tale, come una gerarchia autoritaria e  liberticida. Lo Stato e la sua giustizia sono anche, per la loro natura intima, dei sistemi menzogneri. Niente illustra meglio ciò del dialogo, in Il Processo, tra K. e l'abate a proposito dell'interpretazione della parabola sul guardiano della legge. Per l'abate, "dubitare della dignità del guardiano, sarebbe dubitare della Legge"- argomento classico di tutti i rappresentanti dell'ordine. K. obietta che se si adotta questa opinione, "bisogna credere tutto ciò che dice il guardiano", il che gli sembra impossibile: "No, dice l'abate, non siamo obbligati di credere vero tutto quel che dice basta che si tenga il necessario. Triste opinione, dice K., essa eleverebbe la menzogna all'altezza di una regola del mondo" [37]. Come fa osservare molto giustamente Hannah Arendt nel suo saggio su Kafka, il discorso dell'abate rivela "la teologia segreta e la credenza intima dei burocrati come credenza nella necessità per sé, i burocrati essendo in ultima analisi dei funzionari della necessità" [38].

Kafka--La-metamorfosi--1916--frontespizio.jpgInfine, lo Stato e i Giudici amministrano meno la gestione della giustizia che la caccia alle vittime. In un'immagine che è comparabile a quella della sostituzione della torcia della libertà con una spada in America, vediamo in Il Processo un quadro del pittore Titorelli che si presume rappresentare la dea della Giustizia trasformarsi, quando l'opera è ben illuminata, in celebrazione della dea della Caccia. La gerarchia burocratica e giuridica costituisce un'immensa organizzazione che secondo Joseph K., la vittima di Il Processo, "non soltanto utilizza dei guardiano venali, degli ispettori e dei giudici d'istruttoria stupidi... ma che mantiene anche tutta una magistratura di alto rango con il suo indispensabile corteo di valletti, di scribi, di gendarmi ed altri ausiliari, forse anche di carnefici, non indietreggio davanti alla parola" [39]. In altre parole: l'autorità dello Stato uccide. Joseph K. farà l'incontro dei carnefici nell'ultimo capitolo del libro, quando due funzionari lo mettono a morte "come un cane". Il "cane" costituisce presso Kafka una categoria etica- se non metafisica: è descritto così colui che si sottomette servilmente alle autorità, qualunque esse siano. Il commerciante Block inginocchiato ai piedi dell'avvocato è un esempio tipico: "Non era più ora un cliente, era il cane dell'avvocato. Se quest'ultimo gli avesse ordinato di entrare sotto il letto strisciando e di abbaiare come dal fondo di una tana, lo avrebbe fatto con piacere". La vergogna che deve sopravvivere a Joseph K. (ultime parole di Il Processo) è quella di essere morto "come un cane", sottometetndosi senza resistenza ai suoi carnefici. È anche il caso del prigioniero di Nella colonia penale, che non cerca nemmeno di fuggire e si comporta con una sottomissione "canina" (hündisch) [40].

kafkasgrab_33-W.jpgIl giovane Karl Rossmann, in America, è l'esempio di qualcuno che tenta- senza mai riuscirvi- di resistere alle "autorità". Ai suoi occhi non diventano cani che "coloro che vogliono esserlo". Il rifiuto di sottomettersi e di strisciare come un cane appare così come il primo passo verso il camminare eretti, verso la libertà. Ma i romanzi di Kafka non hanno "eroi positivi", né di utopie future: ciò di cui si tratta, è di mostrare, con ironia e lucidità, la facies ippocratica della nostra epoca. Non è un caso se la parola "kafkiano" è entrata nel linguaggio corrente: essa designa un aspetto della realtà sociale che la sociologia o la scienza politica tendono ad ignorare, ma che la sensibilità libertaria di Kafka era meravigliosamente riuscita a captare: la natura oppressiva ed assurda dell'incubo burocratico, l'opacità, il carattere impenetrabile ed incomprensibile delle regole della gerarchia statale, così come essi sono vissuti dal basso e dall'esterno- contrariamente alla scienza sociale che si è limitata generalmente ad esaminare la macchina burocratica dall'"interno" o in rapporto a quelli "dall'alto" (lo Stato, le autorità, le istituzioni): il suo carattere "funzionale" o "disfunzionale", "razionale" o "pre-razionale" [41].

La scienza sociale non ha ancora elaborato un concetto per questo "effetto d'oppressione" del sistema burocratico reificato, che costituisce senza dubbio uno dei fenomeni più caratteristici delle società moderne, quotidianamente vissuto da milioni di uomini e di donne. Aspettando, questa dimensione essenziale della realtà sociale continuerà ad essere designata in riferimento all'opera di Kafka.


Michael Löwy


[Traduzione di Ario Libert]



BIBLIOGRAFIA di base.
 

Michael Löwy, Kafka, sognatore ribelle, Eleuthera, Milano, 2007.
Max Brod, Kafka, Mondadori, Milano, 1956.
Remo Cantoni, Kafka, Ubaldini, Roma, 1970.
Klaus Wagenbach, Kafka, gli anni della giovinezza (1883-1912), Einaudi, Torino, 1979.
Michal Mares, Come ho conosciuto Kafka, in: Wagenbach, pp. 205-211.
Gilles Deleuze/ Félix Guattari, Kafka, per una letteratura minore, Feltrinelli, Milano, 1975.
Guattari, Sessantacinque sogni di Franz Kafka, Cronopio, Napoli, 2008
Anders Günter, Kafka. Pro e contro, Gabriele Corbo Editore, Ferrara, 1989.
Camus, L'espoir et l'absurde dans l'oeuvre de Franz Kafka, in: Le Mythe de Sysife, Gallimard Paris, 1991, [Il mito di Sisifo, Bompiani].
Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, Guanda , Parma, 1991.
Robert Crumb/ David Zane Mairowitz, Kafka, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
Guido Crepax, Il Processo di Franz Kafka, Piemme, Casale Monferrato, 1999 (versione a fumetti del romanzo di Kafka).

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Copertina della rivista da cui è stato tratto questo saggio





NOTE

[1] Cfr. Lucien Goldmann, Matérialisme dialectique et histoire de la littérature, [Materialismo dialettico e storia della letteratura], Recherches dialectiques, Paris, Gallimard, 1959, pp. 45-64.

[2] Hugo Bergmann, Erinnerungen an Franz Kafka, in Franz Kafka Exhibition (catalogue), The Jewish National and University Library, Jérusalem, 1969, p. 8.
[3] Max Brod, Franz Kafka, pp. 135-136; [Tr. it.: Kafka, Mondadori, Milano, 1956].
[4] Michal Mares, Comment j'ai connu Franz Kafka, publicato in appendice in Klaus Wagenbach, Franz Kafka. Années de jeunesse (1883-1912), Paris, Mercure de France, 1967; [Tr. it. in: Kafka, gli anni della giovinezza (1883-1912), Einaudi, Torino, 1979, pp. 205-211].
[5] Michal Mares, Setkani s Franzem Kafkou, Literarni Noviny, 15, 1946, p. 85 e seguenti. Questa versione- nella quale sarebbe Kafka stesso ad essere liberato su cauzione- è citata nell'altro libro di Klaus Wagenbach, Franz Kafka ins Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, Hambourg, Rowohlt, 1964, p. 70.
[6] G. Janouch, Kafka m'a dit, Paris, Calmann-Lévy, 1952.
[7] Meglio conosciuto con il suo pseudonimo di Pierre Ramus (n.d.r.).
[8] G. Janouch, Conversations avec Kafka, Paris, Maurice Nadeau, 1978, [tr. it.: Conversazioni con Kafka, Guanda, Parma, 1991].
[9] Franz Kafka, Diaries et Briefe, Fischer Verlag, 1975, p. 196, [tr. it.: Confessioni e diari, Mondadori, Milano, 1976; Lettere, Mondadori, Milano, 1988; Lettere a Felice, Mondadori, Milano, 1972; Lettere a Milena, Mondadori, Milano, 1960. Vedere su Kafka et Otto Gross, G. Baioni, Kafka, Letteratura ed Ebraismo, Torino, Einaudi, 1979, pp. 203-205.
[10] M. Brod, Kafka.
[11] Vedere K. Wagenbach, Franz Kafka. Gli anni della giovinezzaFranz Kafka in Selbstzeugnissen (1964), p. 70, e anche Max Brod, Streitbares Leben 1884-1968, Munich-Berlin-Vienne, F. A. Herbig, 1969, p. 170, e Über Franz , Francfort, Fischer Bücherei, p. 190.
[12] E. Goldstücker, «Über Franz Kafka aus der Prager Perspektive 1963», in Goldstücker, Kautman, Reimann (ed.), Franz Kafka aus Prager Sicht, Prague, 1965, pp. 40-45. Goldstücker aggiunge un altro argomento: "La principale ragione del mio scetticismo sulla leggenda di un contatto prolungato ed intimo di Kafka con gli anarco-comunisti, è il fatto che in nessuna parte nell'opera di Kafka ritroviamo dei segni che fosse familiarizzato con i loro pensieri". Il suo atteggiamento verso la classe operaia non era quello del "socialismo moderno" ma quello dei socialisti utopici "ben prima di Marx". Alcune osservazioni su questo strano ragionamento: a) il termine "anarco-comunismo" è lungi dall'essere adeguato nel descrivere questi club dagli orientamenti molto diversi andanti dall'anarco-sindacalismo al pacifismo libertario; b) l'anarchismo non si definisce attraverso un atteggiamento comune tra la classe operaia (differenti posizioni esistono a questo proposito nella tradizione libertaria) ma attraverso il suo rifiuto di ogni autorità e dello Stato come potere istituito; c) la dottrina anarchica era nata prima di Marx e non è in rapporto alla sua opera che si è costituito il socialismo libertario.
[13] H. Binder, Kafka-Handbuch, Bd 1. Der Mensch und seine Zeit, Stuttgart, Alfred Kröner, 1979, pp. 361-362.
[14] Ibid. pp. 362 -363. L'idea che Kafka possa nascondergli certe informazioni non avva nulla di strano per Brod, che sottolinea nella sua autobiografia: "Al contrario di me, Kafka era di natura chiusa e non apriva a nessuno, nemmeno a me, l'accesso della sua anima; sapevo benissimo che teneva per sé delle cose importanti", Max Brod, Streitbares Leben, pp. 46-47.
[15] H. Binder, Kafka-Handbuch 1, p. 364. Cf. Kafka, Lettres à Milena, Paris, Gallimard, 1988, p. 270, [Lettere a Milena, Mondadori, Milano, 1960].
[16] Secondo Binder, «se Mares gli avesse veramente dato Le parole di un ribelle di Kropotkin, non si sarebbe trovato nel Diario di Kafka la seguente nota: "Non dimenticare Kropotkin!" Di nuovo, si capisce difficilmente il rapporto tra il fatto menzionato e la strana conclusione di Binder. Il solo aspetto della testimonianza di Mares che sembra poco compatibile (e ancora) con la lettera di Kafka a Milena, è l'episodio della cauzione che Kafka avrebbe pagato per la sua liberazione.
[17] M. Mares, in Wagenbach, Franz Kafka. Années de jeunesse, p. 254 ; H. Binder, Kafka Handbuch 1, pp. 363-364 ; F. Kafka, Briefe an Milena, Francfort, S. Fischer Verlag, 1983, p. 336 (n.d.l.r.).
[18] H. Binder, op. cit., p. 365.
[19] E. Pawel, Franz Kafka ou le cauchemar de la raison, Paris, Seuil, 1988, p. 162.
[20] E. Pawel, ibid., p. 162.
[21] Ibid., pp. 162-163. In un altro capitolo del libro, Pawel si riferisce a Kafka come ad un "anarchico metafisico molto poco dotato per la politica di partito", definizione che mi sembra del tutto pertinente. In quanto ai ricordi di Janouch, Pawel li considera come "plausibili" ma "soggetti a cauzione" (p. 80).
[22] R. Robertson, Kafka. Judaism, Politics and Literature, Oxford, Clarendon Press, 1985, pp. 140-141 : "Se si effettua una ricerca sulle inclinazioni politiche di Kafka, è infatti, un'errore pensare in termini dell'antitesi abituale tra sinistra e destra. Il contesto più appropriato sarebbe l'ideologia che Michael Löwy ha definito come "anticapitalismo romantico" [...]. L'anticapitalismo romantico (per adottare il termine di Löwy, anche se "anti-industrialismo" sarebbe più esatto) ha diverse versioni..., ma come ideologia generale trascende l'opposizione tra sinistra e destra". Robertson si riferisce qui al mio primo tentativo di rendere conto del "romanticismo anticapitalista", in un libro su Lukacs, ma c'è un malinteso evidente nella sua interpretazione della mia ipotesi.
[23] Ho tentato di analizzare il romanticismo nel mio libro Pour une sociologie des intellectuels révolutionnaires. L'évolution politique de Lukacs 1909-1929, Paris, PUF, 1976, [Per una sociologia  degli intellettuali rivoluzionari. L'evoluzione politica di Lukacs 1909-1929], citato da R. Robertson dalla traduzione inglese pubblicata a Londra nel 1979) e più recentemente, con il mio amico  Robert Sayre, in , Paris, Payot, 1992, [Rivolta e melanconia. Il romanticismo a contro-corrente della modernità].
[24] André Breton, presentazione di Kafka nel suo Anthologie de l'humour noir, Paris, Le Sagittaire, 1950, p. 263, [Tr. it.: Antologia dell'Humour nero, Einaudi, Torino, 1970.
[25] André Breton, Anthologie de l'humour noir, p. 264.
[26] Per un'analisi più dettagliata dell'anarchismo e del romanticismo nell'opera di Kafka rinvio al mio libro Rédemption et Utopie. Le judaïsme libertaire en Europe centrale, Paris, PUF, 1988, capitolo 5 [Redenzione e utopia. Il giudaismo libertario in Europa centrale, Tr. it.: Bollati Boringhieri, Torino, 1992].
[27] André Breton, Paratonnerre, introduction à l'Anthologie de l'humour noir, [Antologia dell'humour nero, Einaudi, Torino, 1970].
[28] Franz Kafka, Lettre au père, 1919, [Lettera al padre, Mondadori].
[29] Milan Kundera, Quelque part là-derrière, le Débat, n° 8, juin 1981, p. 58.
[30] Franz Kafka, Amerika, Francfort, Fischer Verlag, 1956, p. 15, 161.
[31] Franz Kafka, In der Strafkolonie, Erzählung und kleine Prosa, New York, Schocken Books, 1946, [Nella colonia penale, Tr. it.: in Kafka, Racconti, Mondadori, Milano, 2001, pp. 285-318].
[32] Walter Benjamin, , 1938, in Correspondance, Paris, Aubier, 1980, II, p. 248.
[33] André Breton, Anthologie de l'humour noir [Antologia dell'Humour nero, Einaudi, Torino, 1970.
[34] Kafka, Il castello.
[35] Cfr. W. Benjamin, Essais sur Brecht, Paris, Maspero, 1969, p. 132.
[36] Kafka, Der Prozess, Francfort, Fischer Verlag, 1979, p. 9.
[37] Kafka, Il processo.
38] H. Arendt, Sechs Essays, Heidelberg, Lambert Schneider, 1948, p. 133.
[39] Il processo.
[40] Il processo  e  Nella colonia penale.
[41] Come sottolinea con perspicacia Michel Carrouges: "Kafka abdica il punto di vista corporativo degli uomini di legge, queste persone istruite e ben educate che credono di capire il perché delle cose della legge. Li considera, al contrario, essi e la loro legge, dal punto di vista della massa dei miserabili assoggettati che subiscono senza capire. Ma poiché rimane Kafka, egli eleva quest'ignoranza ordinariamente ingenua all'altezza di un'ironia superiore, straripante di sofferenza ed umorismo, di mistero e di lucidità. Smaschera tutto quel che c'è di ignoranza umana nel sapere giuridico e di sapere umano nell'ignoranza degli aserviti". (M. Carrouges, Dans le rire et les larmes de la vie, Cahiers de la compagnie M. Renaud-J.-L. Barrault, Paris, Julliard, ottobre 1957, p. 19).

 

LINK al post originale:
Franz Kafka et le socialisme libertaire

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2 febbraio 2010 2 02 /02 /febbraio /2010 17:40
Maggio 68: l'inizio di una lotta prolungata?
68--13mai1968.jpg13 maggio 1968


di Hélène Hernandez


68-intox_050.jpgTra marzo e giugno, Le Monde Libertaire ha dedicato da una a due pagine ogni settimana a delle testimonianze degli attori del maggio 68. Che essi fossero famosi o sconosciuti poco importa, degli individui hanno voluto affidare i loro percorsi alle colonne del giornale oppure alle frequenze di Radio-Libertaire. Non abbiamo fatto che dare la parola a coloro che non si riconoscevano nella "Generazione 68" quella di quegli autoritari del PCF e dei suoi accoliti (UNEF, UEC) ma che formarono, insieme ad altri, alcuni milioni di lavoratori, di liceali, di studenti in sciopero con la speranza di cambiare la vita.

 

68aff_capital.jpgMAGGIO 68, dieci milioni di individui in sciopero: studenti, liceali, contadini, lavoratori, giovani, donne, immigrati... Dieci milioni di individui in sciopero allo stesso tempo, la Francia paralizzata, i poteri politici, istituzionali, sindacali contestati ed indeboliti. La forza di milioni di individui pronta a distruggere tutto per tutto reinventare. Non soltanto, migliaia di studenti hanno fatto l'esperienza, per la prima volta, della lotta di classe a fianco degli operai, come testimoniano ancora i manifesti dell'Atelier populaire de l'Ecole des beaux-arts  [Laboratorio popolare della Scuola di belle arti] di Parigi, ma altri strati della popolazione come i contadini, per lo meno la sua parte attiva, hanno potuto ritrovare l'azione comune e la solidarietà con la classe operaia. Una simbiosi rara che lascia delle tracce.


68aff_presse.jpgCiò che fu nuovo nel 1968, fu il campo rivendicativo molto ampio della popolazione. Non si trattava più di sempiterne rivendicazioni concernenti gli aumenti salariali o la riduzione del tempo di lavoro, ma di una rivolta, di una rivoluzione per alcuni, per cambiare la vita! È la volontà di modificare la vita quotidiana che si afferma come posta politica, di trasformare le relazioni tra gli individui, compresi e soprattutto le relazioni di potere. La gioventù, tanto operaia quanto studentesca, rivendica la sua dignità, quella di essere riconosciuta, quella della sua responsabilizzazione sociale nel momento in cui lo sviluppo economico gli apre un mercato di consumo che l'autorità morale, portata dai genitori e la scuola, gli proibiscono.

l_an_01.jpgNon può, allora, per esistere, che rimettere in causa il potere, i poteri. E se lo permette! In primo luogo, sorge un altro modo di comunicazione. La parola si libera, piccante, irriverente, spesso derisoria, si affranca dalla verticalità: l'informazione non può che circolare verso il basso come nelle nostre società autoritarie o dal basso verso l'alto come in quelle rivendicate dai "rivoluzionari" di ogni genere (trotskisti, maoisti, d'altronde autoritari)? Ma sì, certo, ed ognuno reinventa, rivivifica i circuiti orizzontali. Quale forza sovversiva! È l'Anno 01 di Gébé: Aprite gli occhi, spegnete la tele. Quei dieci anni di gaullismo, quella guerra d'Algeria mal digerita, quella del Vietnam, non potevano allora che andare a pezzi. Disegno di Wolinski edito in L'Enragé, anche il Partito comunista ne farà le spese. È la fine dei mandarini, di tutti i mandarini. La crisi dell'UEC e dell'UNEF uccide il "padre": il P.C.F. è liquidato come partito dominante.
188.gifUno spazio di libertà si apre allora, spazio di libertà che il movimento anarchico non ha saputo afferrare... Una volta soppresse queste catene- non dimentichiamo quelle della sessualità, che cominciarono a cedere sin dal 1967 durante l'occupazione della cada delle ragazze, alla Cité-U di Naterre- l'individuo poteva rinascere. Non l'individuo egoista degli anni grigi, ma l'individuo autonomo che si diluisce nel collettivo. Per la sua volontà e la sua capacità a rompere la monotonia ed il conformismo, il movimento affascina, tanto più che permette ad ognuno di essere protagonista, che gli riconosce il diritto alla parola. Le nozioni e funzioni di partito e dell'Ufficio politico sono indebolite a profitto di quelle del movimento e dell'assemblea generale. Il piacere di rimettere in causa il principio di delega del potere e della parola, di rimettere in causa il potere ed il potere degli uomini è ampiamente condiviso [2].



1968-PCF_antianar.jpg

Un grande, quanto vergognoso,  documento storico dell'opportunismo e camaleontismo squisitamente stalinista, o se si preferisce riformista, sindacalista, socialdemocratico, ecc., è rappresentato dal celeberrimo quanto famigerato manifesto riportato qui sopra: "Il PCF contro le violenze. Di tutti i partiti d'opposizione al potere gollista che combatte da 10 anni. IL PARTITO COMUNISTA FRANCESE è stato il solo, SIN DALL'INIZIO, a denunciare pubblicamente le agitazioni, le provocazioni e le violenze dei gruppi di estrema sinistra, anarchici, maoisti o trotskysti, che fanno il gioco della reazione. VOTATE COMUNISTA".


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Di tutt'altro tenore questo manifesto di intonazione libertaria: "Né Dio né padroni. ATTENZIONE! Il movimento di sciopero spontaneo rischia di essere fermato da riforme emananti dai sindacati sclerotizzati e dai partiti politici di sinistra. RIFIUTIAMO IL PARLAMENTARISMO. Generalizziamo l'occupazione delle fabbriche con sequestro delle direzioni padronali. Formiamo dei comitati di sciopero di base. PREPARIAMO LA GESTIONE DIRETTA".
68lut_continu.jpg

 

114.gifQueste forme di organizzazione e di lotta, molto leggere ed aperte, permisero l'emergere di rivendicazioni nuove. Dei movimenti Specifici prenderanno forma, molto spesso a partire dal 1970-71, come prolungamento del 1968 in quanto alle rivendicazioni da sviluppare e da sostenere, ma anche om quanto allo spirito "festivo" e caloroso di ;aggio 68. Il diritto alla differenza si afferma e si amplifica nel corso delle lotte degli omosessuali o delle donne. La morale della Chiesa, ma anche quella della famiglia, sono decimate. Al di là delle lotte per essere padroni del loro corpo- (libertà e gratuità della contraccezione e dell'aborto, denuncia degli stupri, ecc.), le donne aprono il dibattito sul lavoro- domestico ed il patriarcato. La famiglia e le relazioni con i bambini si ritrovano profondamente modificati. L'espressione esplode sui muri sono forma di manifesti, di graffiti o di scritte, sulla stampa (con soprattutto l'apparizione di Charlie-hebdo) e rovescia i metodi pedagogici ed educativi: le scuole diventano miste, le ragazze hanno infine il diritto di portare i pantaloni e le tavole sono poste ad "U" o in cerchio per permettere degli scambi più egualitari.

68-Lenrage_N7.jpgLa messa in causa del potere si estende sino all'esercito; i soldati si organizzano in comitati e l'obiezione di coscienza trova uno statuto. Cambiare la vita si traduce anche con vivere meglio: rifiuto di costruire delle centrali nucleari, creazione di reti di distribuzione di prodotti alimentari biologici, lotta contro i coloranti, ricerca di un'altra relazione  tra curanti e curati allo scopo di diventare padroni della propria salute, movimenti antipsichiatrici ed anticarcerari... Il sindacalismo si apre allora alla vita quotidiana e non più soltanto a ciò che accade nell'impresa; le unioni locali interprofessionali appaiono come un vivaio che rilega l'impresa ai diversi aspetti della vita quotidiana (sessualità, famiglia, educazione, trasporto, mensa, urbanizzazione, ecc.). Risorge la nozione di autogestione, ma dissimulando l'ambiguità tra cogestione e gestione diretta: avrebbe meritato di essere esplicitata, allora, per chiarire i dibattiti sindacali. Le immersioni di Maggio 68, anche se non approderanno del tutto, anche se lasciano molte tracce o anche se furono recuperati, dimostrano bene l'aspirazione a privilegiare le rivendicazioni qualitave su quelle quantitative. Ed è perché si tratta di cambiare la vita, dunque di fare la rivoluzione, che Maggio 68 fu un pericolo per i poteri costituiti.

68_nonburaucr.jpgEssi sparirono temporaneamente di fronte alla marea contestataria, sotto i lanci di pietre e di fronte alle barricate di reciproco aiuto e di solidarietà. Ma ripresero tutti il loro ruolo, alla fine, appena intaccati: il governo lasciando la polizia, mobilitando l'esercito ed offrendo il regale premio dell'urna, il Partito comunista francese "solo" partito della classe operaia opponendosi ad ogni saldamento possibile tra operai e studenti affinché le velleità di lotte insieme (già sensibili negli anni precedenti) non vengano a sostituire gli scioperi stagionali concertati, i "socializzati di buona tinta" che convocano Charlétiy allo scopo di ritrovare fiato per la loro crisi, la sequela di organizzazioni di estrema sinistra incapaci di federare queste esperienze, i sindacati che stravolgono le parole d'ordine verso degli aumenti di salari lasciati, la CGT sempre sotto la tutela del PCF, la CFDT barcamenandosi con il movimento ed accettando l'autogestione rafforzando e centralizzando i suo apparato, il patronato che sembrerà cedere con i "capetti" lasciando introdurre la sezione sindacale nell'impresa ma che riconquisterà questo poco di spazio lasciato ai lavoratori con tutti i mezzi di integrazione all'impresa. Ogni istituzione contribuirà a far uscirà il paese dalla crisi politica, sociale e culturale per porlo sulla strada della democrazia borghese e consensuale: gli accordi di Grenelle svenderanno il qualitativo per il quantitativo.


68-Lenrage_N3.jpg Altri paesi, altri continenti conobbero, dal 1964 (Berkeley negli Stati Uniti) all'ottobre 1968 (Italia), dei movimenti sociali contestatari di grande ampiezza, delle scosse furono conosciute tardivamente... Di fatto, a parte qualche eccezione, i movimenti non si influenzarono direttamente, anche se il fermento rivoluzionario si appoggiava su degli elementi comuni o simili: la radicalizzazione intorno alla lotta contro la guerra del Vietnam o la ricerca di un più grande controllo della propria vita. Il vecchio mondo fu scosso, ma senza la congiunzione di tutti questi eventi, poté resistere ed assimilare.

f2.gif

Al di là dei nuovi valori, dei nuovi modi di pensare, persistono nel movimento operaio, delle risorgenze di forme di organizzazione e di lotta. Dei movimenti si sviluppano per l'affermazione della dignità di ogni individuo, come nei ghetti neri del Sud Africa e si organizzano secondo dei principi dell'azione diretta e del rifiuto di delega al potere (Solidarnosc) o in organizzazioni anarcosindacaliste (marinai e scaricatori di GIbilterra, COR in Brasile), in tutta indipendenza di fronte al potere politico (SMOT in URSS) o al di fuori di ogni struttura sindacale riconosciuta (COBAS in Italia). Compresi, in Francia, le velleità di rivendicazioni uniformi, come a SNECMA e presso Chausson, in cui il lancio di monete da 20 centesimi verso il grugno dei capi e dei padroni in risposta ad un aumento salariale di 0,20F dà speranza, di fronte al marasma politico, di un nuovo spazio da conquistare.


Hélène Hernandez Groupe Pierre Besnard 1988



[Traduzione di Ario Libert]


LINK:
Mai 68: le début d'une lutte prolongée?

LINK pertinenti:
Maurice Joyeux, Mai 68: sous les plis du drapeau noir

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8 gennaio 2010 5 08 /01 /gennaio /2010 11:09
Un profilo profondo, chiaro e stimolante di un grande intelletto, quello di George Orwell, che operò soprattutto nella prima metà del XX secolo, ed in prevalenza nella sua parte soprattutto più tragica, quella dell'età del totalitarismo trionfante, è ricavato non tanto da uno studio particolare dedicato all'autore sotto forma di saggio, quanto a tre superbe recensioni dedicate ai quattro volumi di opere saggistiche edite in Francia tra il 1995 ed il 2002, al celebre giornalista, scrittore e polemista inglese.
Anche l'analisi di opere remote edite dall'editoria in generale può trasformarsi quindi in un momento di discussione critica acuta e penetrante ma soprattutto stimolante, come l'autore di esse, Charles Jacquier, ha saputo fare magistralmente. Un grande esempio di divulgazione di tematiche all'insegna della denuncia dell'autoritarismo nelle sue varie forme e dimensioni, un esempio soprattutto di difesa di un autore dalla grandissima statura morale prima ancora che intellettuale, soprattutto alla sua tenacia ed alla sua coerenza.


George Orwell o l'impossibile neutralità




George Orwell in una caricatura di Levine


[Recensione ai quattro volumi editi in Francia della raccolta di saggi, articoli, lettere  Di George Orwell, presso le Éditions Ivrea/Éditions de l'Encyclopédie des Nuisances]



di Charles Jacquier


In un breve saggio stimolante [1], Jean-Claude Michéa si era meravigliato dell'assenza di una traduzione francese dei Collected Essays, Jounalism and Letters di George Orwell, quando il nostro autore era considerato un classico del nostro tempo. Al di là di uno stretto problema "tecnico", questa assenza testimoniava, secondo lui, "dell'incapacità della critica dominante (...) ad afferrare l'esatto valore dell'opera teorica di Orwell". L'autore si riproponeva dunque di studiare in se stessa questa incapacità e concludeva: "ciò che l'epoca non ammette, è che si possa essere allo stesso tempo un nemico deciso dell'oppressione totalitaria, un uomo che vuole cambiare la vita senza per questo fare del passato tabula rasa e soprattutto un amico fedele dei lavoratori e degli umili".

Da allora, sono apparsi successivamente i due primi volumi della loro traduzione che permette al pubblico francese di aver accesso direttamente a quest'opera imponente. Sfortunatamente, questa pubblicazione è lungi dall'aver avuto l'eco che meritava ed anche questo ha un significato che bisognerebbe studiare in se stesso, come ne ha uno l'invenzione di uno pseudo caso Orwell. Grazie ad un giornalista alla ricerca di scoop, una lettera privata ad un'amica è diventata la sedicente prova che Orwell avrebbe offerto spontaneamente ai Servizi segreti britannici una lista nera di scrittori sospettati di essere dei criptocomunisti (The Guardian, 11 luglio 1996). Tradotto nella lingua della nostra triste epoca, ciò diventa, dopo aver prontamente attraversato la Manica: "Orwell una spia anticomunista", "Quando Orwell denunciava al Foreign Office i 'criptocomunisti'", oppure "Brother Orwell"! [2].

Orwell--famiglia.jpgUna trasmissione di France Culture della serie stranamente chiamata "Una vita, un'opera" è venuta a completare questa campagna di calunnie, apportandovi un tocco del più bell'effetto in cui l'ignoranza e la cattiva fede rivalizzavano soltanto con il grottesco e l'ignobile... È stato risposto a questa campagna con un opuscolo intitolato George Orwell devant ses calomniateurs [George Orwell di fronte ai suoi calunniatori], Editions Ivrea/Editions de l'Encyclopédie des nuisances, 1997).

La traduzione della lettera di Orwell alla sua amica Celia Kirwan, all'origine di questa disgustosa manipolazione , permette di colpo di ridurre a nulla la pretesa prova archivistica della "delazione"... L'opuscolo si dedica in seguito a presentare ed a smontare il meccanismo di queste pretese rivelazioni. Gli attacchi contro Orwell rivelano per gli autori dell'opuscolo che la "disonestà intellettuale" dell'epoca, specie di fenomeno spontaneo illustrato dai salariati dei media che pretendono di "decostruire" la verità quando essi la fanno invece a pezzi e la rendono inudibile ed incomprensibile. Al contrario, la questione essenziale dovrebbe essere: "l'analisi che fa Orwell del totalitarismo non avrebbe qualche validità nella società mondiale in cui viviamo?".

Infine, si può anche riposizionare il caso nel suo contesto francese. Se la maggior parte dei media hanno preso il rischio, a disprezzo di ogni verosimiglianza di riprendere e amplificare le pretese rivelazioni del Guardian, non è forse perché essi si inscrivono nell'elaborazione in corso di una specie di politicamente corretto "con i colori della Francia" in cui la questione dello stalinismo occupa un posto di scelta come lo mostrano d'altronde i dibattiti ricorrenti intorno all'utilizzazione degli archivi sovietici. Se come scrive Louis Janover, "Il PC è di nuovo politicamente corretto, perché indispensabile al buon funzionamento di una macchina parlamentare che avrebbe tendenza ad incepparsi", il fatto di sminuire Orwell al rango di un delatore di bassa lega, "era un modo di mostrare che era anch'egli eguale ad altri nell'infamia" [3]. Calunnia evidente, ma voce spesso efficace allo scopo di ridurre la portata della critica sociale sempre attuale di un autore che non  ha ancora trovato il suo posto nel pubblico francese al di fuori di un riferimento frequente ed il più delle volte errato, al suo 1984...

Orwell--Homage-to-Catalogna--1a-edizione.jpgMa conviene lasciar perdere questo caso, per quanto significativo possa essere per la meteorologia intellettuale che impongono i media, per prendere un po' di aria fresca da Saggi. Il primo volume si estende su un periodo lungo, contrassegnato dall'affermazione della vocazione di scrittore di Eric Blair, nato il 25 giugno 1903 a Mitihari nel Bengala; suo padre era un funzionario all'Agenzia dell'Oppio dell'Indian Civil Service. Nel 1912, la sua famiglia si stabilirà definitivamente in Inghilterra e, nel 1917, Eric Blair entra come borsista all'Eton College. Nel 1922, Eric Blair si arruola nella polizia imperiale delle Indie in Birmania. Darà le dimissioni all'inizio del 1928 per dedicarsi a delle inchieste sulla vita dei più poveri nei quartieri diseredati di Londra, poi di Parigi. Parallelamente, pubblica i suoi primi articoli di scrittore professionale. A partire da questo momento, la biografia di Eric Blair si confonde con l'opera di George Orwell [4].

 

Orwell, BarcellonaQuando numerosi scrittori della sua generazione sono, durante gli anni trenta, affascinati dall'URSS, considarata rappresentante della "patria dei lavoratori" ed il "socialismo in costruzione", Orwell sfugge a questo tropismo  dominante e preferisce un'esperienza diretta dei problemi sociali a fianco degli emarginati e dei disoccupati, poi un'inchiesta presso i lavoratori nelle regioni industriali  in crisi del Nord dell'Inghilterra. L'adesione di Orwell al socialismo passa dunque attraverso "una specie di comunione originaria operata nell'ordine sensibile" (J.-C. Michéa) presso le classi lavoratrici e va affermandosi definitivamente con il suo impegno in Spagna. A partire dalle esperienze operaie e spagnole di Orwell, quasi contemporanee a quelle di Simone Weil, sarebbe interessante tentare una comparazione tra lo scrittore inglese e la filosofa francese. Pierre Pachet ha, inoltre, sottolineato che la "combattività virile" di Orwell gli ricordava Simone Weil [5], senza insistere sulle altre ragioni di un possibile accostamento tra queste due personalità che, entranbe, si richiamano alla cultura politica dell'estrema sinistra antistaliniana degli anni trenta.

Fine del 1936, dopo aver acquistato il manoscritto di The Road to Wigan Pier [La strada di Wigan Pier], George Orwell parte per la Spagna. Il paese è lacerato dalla guerra civile dopo il fallito tentativo di colpo di Stato fascista del 18 luglio contro la Repubblica. Il 30 dicembre, a Barcellona, si arruola nella milizia del Partido Obrero de Unification Marxista (P-O.U.M.), una formazione comunista dissidente animata dai fondatori del movimento comunista spagnolo e radicata soprattutto in Catalogna [6]. È inquadrato nel contingente dei volontari  di lingua inglese dell'Indipendent Labour Party e parte per battersi con la sua unità sul fronte di Aragona. Successivamente, scriverà che se fosse stato un po' più al dentro dei fatti, avrebbe scelto di battersi "a fianco degli anarchici". Tentato per un po' di raggiungere i volontari che si battono per la difesa di Madrid, assiste alle giornate di Barcellona del maggio 1937 in cui si affrontano gli anarchici ed il P.O.U.M., da una parte e gli stalinisti ed i loro alleati dall'altra. Nel  giugno del 1937, il P.O.U.M. è posto fuorilegge, i suoi dirigenti arrestati e, tra di loro, Andrès Nin è assassinatopoco dopo da sicari del NKVD, dopo essere stato calunniato dalla stampa stalinista che lo tratta come agente di Franco e di Hitler, riopetendo le accuse deliranti dei processi di Mosca [7]. Da parte sua, Orwell, di ritorno dal fronte, è ferito alla gola da un cecchino. È durante la sua convalescenza che apprende della messa fuorilegge del P.O.U.M. Braccato dalla polizia stalinista, riesce a raggiungere la frontiera francese con la sua compagna.

Orwell--1984--1a-edizione-americana.jpgOltre al P.O.U.M., gli stalinisti hanno di mira soprattutto gli anarchici, prima forza del movimento sociale spagnolo e l'insieme del processo rivoluzionario: "quando il potere ha cominciato a sfuggire agli anarchici per essere afferrato dai comunisti ed i socialisti di destra, il governo ha potuto rimettersi in sella, la borghesia rialzare la testa e si è visto riapparire, praticamente immutata, la vecchia divisione della società tra ricchi e poveri. Da quel momento, tutte le decisioni prese (...) hanno teso a disfare ciò che era stato fatto nei primi mesi della eivoluzione". Al suo ritorno in Inghilterra, comincia a scrivere Homage to Catalogna e si scontra con la maggioranza della sinistra inglese. Quest'ultima, in nome dell'antifascismo, si colloca dietro le politiche del Fronte popolare  nate per impulso di Stalin ed Il Komintern dal 1934-35, con una virata a 180° e l'abbandono della precedente politica di "classe contro classe", responsabile dell'avvento di Hitler al potere in Germania.

 

L'esperienza spagnola di Orwell va simultaneamente affermando il suo impegno socialista e la sua opposizione radicale allo stalinismo. Allo stesso tempo, tocca con mano  l'importanza della menzogna e della falsificaizone nella propaganda totalitaria. Durante  tutto questo periodo, Orwell si riconosce nelle correnti rivoluzionarie antistaliniste che rifiutano la socialdemocrazia e lo stalinismo, senza cadere nel bolscevismo di Trotsky, ma contrariamente alla maggior parte di essi, pone, anche prima della firma del patto nazi-sovietico, la questione della democrazia nella rivoluzione. Così, nell'agosto 1938, si augura un "movimento rivoluzionario autentico", " ma non ripudiando (...) i valori essenziali della democrazia". Proposito reiterato ed assolutizzato alcuni mesi dopo quando scrive: "Ciò che decide di ogni cosa, è la messa al bando della democrazia". Dopo la firma del patto nazi-sovietico del 23 agosto 1939, Orwell comprende che "non c'è terza via tra resistere a Hitler o capitolare davanti a lui" e condanna "gli intellettuali che affermano oggi che tra democrazia e fascismo non ci sia differenza", cioè gli stalinisti ed i loro compagni di strada obbligati ad abbandonare il discorso antifascista per giustificare in un linguaggio pseudo estremista l'alleanza di Stalin con Hitler.

In un saggio su Charles Dickens, Orwell riafferma "che bisogna essere dalla parte dell'oppresso, prendere la parte del debole contro il forte" e che, se "l'uomo della strada vive sempre nell'universo psicologico di Dickens", quasi tutti gli intellettuali "si sono allineati con una forma di totalitarismo o un'altra". Il suo ritratto di Dickens può dunque essere letto come quello di Orwell stesso quando egli scrive: "È il volto di un uomo che non smette di combatetre qualcosa ma ch esi batte alla luce del sole, senza paura, il volto di un uomo animato da una rabbia generosa- in altri termini quello di un liberale del XIX secolo, una intelligenza libera, un tipo di individuo egualmente esecrato da tutte le piccole ortodossie maleodoranti che si contendono oggi il controllo dei nostri spiriti".

Orwell-NUJ-card.JPGIl secondo volume ricopre un arco di tempo molto più breve in cui dominano quasi esclusivamente le preoccupazioni legate allo svolgimento della Seconda Guerra mondiale. Orwell si afferma per essere, nel corso delle pagine, come uno dei rari scrittori di questo periodo avente una concezione al contempo politica e morale degli avvenimenti. Rifiuta i discorsi beati ed ottimisti sul Progresso, perché, dalla guerra del 1914-1918, si sa che quest'ultimo "era alla fine sfociato sul più grande massacro della storia": "La Scienza non si era impegnata che ad inventare degli aerei da bombardamento e dei gas tossici, mentre l'Uomo civilizzato si rivelava, nell'ora del pericolo, pronto a comportarsi nel modo più atroce di qualsiasi selvaggio". Reagendo a questo trauma, numerosi scrittori soccombettero alla tentazione della forza ed al fascino per il dinamismo dei totalitarismi fascista, nazista o stalinista, tutti eminentemente moderni [8]. Lungi dal cedervi o da ignorarli, Orwell comprese che l'origine di quest'attrazione proveniva dalla "falsità della concezione edonista della vita" che aveva conquistato la quasi totalità del pensiero "progressista" occidentale e rifiutò l'opposizione di prima del 1914 tra Progresso e Reazione, illustrata da un H. G. Wells, per comprendere la natura ed i rischi dei pericoli futuri. Davanti alla catastrofe, bisognava oramai "ritrovare il corso della storia" e "riscoprire la tragedia" per bloccare la marea montante delle pulsioni emotive sulle quali si appoggiavano le dittature.

Durante questi anni cupi, le prese di posizione di Orwell sono sempre espresse in funzione di una doppia preoccupazione: una valutazione quanto più realistica possibile dei rapporti di forza che non dimentica mai i fini morali del suo impegno politico ed il sentimento eminentemente tragico di una storia recante le stigmate delle guerre mondiali e dei totalitarismi. Per il suo Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali, 1984 e molti saggi ed articoli politici, Orwell potrebbe figurare accanto agli autori di un genere letterario comparso tra le due guerre, il libro politico, che egli stesso definiva come un "lungo libello che unisce la storia e la critica politica", prima di citare come esempi i nomi di Franz Borkenau, Arthur Koestler, Arthur Rosenberg, Hermann Rauschning, Ignazio Silone e Leone Trotsky".

Orwell--carta-d-identita.jpgOrwell, preservato dalla sua nazionalità, ne fa l'esperienza in Spagna. Ritornando sul suo impegno spagnolo in uno dei testi più forti di questa raccolta, Orwell esprime la posizione che era  la sua nel 1936 e lo sarà per tutto il corso della Seconda Guerra mondiale: "Quando si pensa alla crudeltà, all'infamia, alla vanità della guerra (...) si è sempre tentati di dire: "I due campi si equivalgono per l'infamia. Rimango neutrale". Ma nella pratica, non si può restare neutrali e non vi è guerra il cui esito sia perfettamente indifferente. Quasi sempre uno dei campi incarna più o meno il progresso e l'altro la reazione". Dicendo ciò, Orwell non dimentica che il campo delle "democrazie" comprende la dittatura di Stalin e dei paesi che sottopongono le loro colonie ad un feroce sfruttamento, ma ha capito che il principio fondamentale dell'azione politica è di fare una scelta, "non tra il bene ed il male, ma tra due mali", il male minore permettendo di "lavorare alla costruzione di una società in cui la rettitudine morale sarebbe ancora possibile".

ORWELL-LA-FERME-DES-ANIMAUX.gifPoiché Orwell è innanzitutto uno scrittore, è molto spesso nelle sue critiche letterarie che egli esprime al meglio il fondo del suo pensiero sulla crisi e la tragedia del mondo moderno e l'atteggiamento più giusto e più onesto per farvi fronte, malgrado tutto. Così nel suo bel articolo su Letteratura e totalitarismo, nel suo tentativo di delimitare una delimitazione tra arte e propaganda, nei suoi giudizi sulla letteratura di lingua inglese. Come non citare la conclusione della sua recensione al Diario  di Julien Green: "Ma ciò che è simpatico in questo diario, è la fedeltà a se stesso, il rifiuto di vivere con il proprio tempo. È il diario di un uomo civile. Un mondo nuovo sta per nascere, un mondo in cui non avrà posto. È troppo chiaroveggente per lottare contro di esso; ma non fingerà di marlo. Poiché ciò è esattamente ciò che fanno tutti i giovani intellettuali di questi ultimi anni, la sincerità spettrale di questo libro è profondamente commovente. Ha il fascino dell'inutile, fascino così desueto da sembrare nuovo".

Naturalmente, succede ad Orwell di sbagliarsi nelle sue analisi, soprattutto quando ripete, all'inizio della guerra, che il suo paese non potrà resistere all'aggressione nazista che grazie ad una rivoluzione socialista. In fatto di rivoluzione, l'Inghilterra conoscerà le esperienze laburiste del dopoguerra che segenranno un cambiamento certo, senza incarnare la rottura socialista che Orwelll aveva intravisto nei primi mesi della rivoluzione spagnola. Ma di tali errori di previsione, d'altronde relativi, non costuituiscono l'essenziale! Se si dovesse scegliere una breve frase per far apprezzare e rispettare George Orwell, uomo e scrittore, conservando nel contempo per lo spirito il valore dei suoi scritti, sarebbe senz'altro nella sua trascrizione di un dialogo con Stephen Spender in cui scrive: "Ma dove vedo che le persone come noi capiscono meglio la situazione dei pretesi esperti, non è nel loro talento di predire degli eventi specifici, ma per le loro capacità di afferrare in quale specie di mondo viviamo". Afferrare in quale specie di mondo viviamo, non fingere di marlo e rimanere fedeli a se stessi, questi sono i principi essenziali che Orwell ha messo in pratica nel corso della sua vita contro i professionisti della menzogna e della calunnia...

orwell-in-tribune.jpgNel novembre del 1943, George Orwell diede le proprie dimissioni dal suo posto alla Sezione indiana del Servizio orientale della BBC che occupava dall'inizio del mese di aprile del 1941 [9]. Lo stesso mese, entra come responsabile delle pagine letterarie a Tribune, il settimanale della sinistra laburista. Vi scrive più o meno regolarmente settantun cronache intitolate "As I please" [A modo mio] sino all'aprile del 1947. Il settimanale, diretto da Aneurin Bevan, gli lasciò completamente libertà nel trattare come voleva i soggetti da lui scelti, in particolare la natura del socialismo o contro il regime stalinista quando l'alleanza con l'URSS smussa tutte le critiche.  Vi elabora anche i temi principali del suo più famoso romanzo. È infatti in una delle sue cronache letterarie che egli scrive la frase spesso citata come emblematica in 1984: "La cosa più terribile nel totalitarismo non è che commetta delle 'atrocità', ma che distrugga la nozione stessa della verità oggettiva: pretende di controllare il passato così come il futuro" (4 febbraio 1944). Nel 1947, scriverà al momento del decimo anniversario di Tribune che, anche se è lontano dall'essere perfetto, è "il solo settimanale che compia nel momento attuale un reale sforzo per essere allo stesso tempo progressista ed umano- detto altrimenti per combinare una vera politica socialista con il rispetto della libertà di espressione e di parola ed un atteggiamento civile verso la letteratura e l'arte". Orwell collabora anche al Manchester Evening News dove consegna, ogni giovedì, delle recensioni di libri, così come anche all'Observer. Scrive anche una "lettera da Londra" a Partisan Review (New York) dal gennaio 1941.

Orwell_animal_farm.jpgParallelamente, pubblica anche dei saggi sul "Il popolo inglese" il nazionalsimo, "l'immunità artistica" di Salvador Dalì, i romanzi di James Hadley Chase, ecc. Ma soprattutto, scrive Anumal Farm, la sua favola antitotalitaria alla quale pensava da molti anni. Il manoscritto è terminato nel febbraio 1944, ma non sarà pubblicato che diciotto mesi più tardi presso Secker & Warburg dopo essere stato rifiutato da diversi grandi editori inglesi per motivi manifestamente politici. Questa edizione dei Saggi contiene dunque logicamente diversi testi che sono dedicati a questo libro, in particolare due prefazioni ad Animal Farm, una all'edizione ucraina che spiega che "niente ha più contribuito a corrompere l'ideale socialista iniziale che di credere che l'Unione sovietica fosse un paese socialista"; l'altra, rimasta inedita sino al 1995, sulla censura contro la quale si era urtata il suo manoscritto e dove si interrogava su questo fatto: "l'attuale generalizzazione di modi di pensare fascisti non deve essere attribuita in una certa misura all'"antifascismo" di questi dieci ultimi anni ed all'assenza di scrupoli che l'ha caratterizzato?"

Alla lettura di questi scritti, non si può che essere colpiti dalla lucidità e dall'onestà serena con le quali George Orwell giudica degli avvenimenti del suo tempo. È non soltanto uno degli analisti e dei testimoni più sicuri dei drammi degli anni trenta e quaranta, ma anche un critico sempre attuale delle traversie più inquietanti delle società moderne (nichilismo, distruzione della morale comune, corruzione del linguaggio, ecc.) al di là anche del fallimento delle società che si pretendono socialiste di cui è stato, totalmente isolato e a controcorrente, uno dei critici più eminenti.

Lasciamolo concludere sulla responsabilità degli intellettuali in un passaggio tipico del suo stile: "So che gli intellettuali inglesi hanno ogni genere di motivo per la loro viltà e disonestà ed non ignoro nessuno degli argomenti con l'aiuto dei quali si giustificano. Ma che ci risparmino almeno almeno i loro inetti distici sulla difesa della libertà contro il fascismo. Parlare di libertà non ha senso che a condizione che sia la libertà di dire alle persone ciò che non hanno voglia di sentire. Le persone ordinarie condividono ancora vagamente quest'idea ed agiscono di conseguenza. Nel nostro paese (...), sono i liberali che hanno paura della libertà e gli intellettuali che sono pronti a tutte le ingiurie contro il pensiero".

Con questo ultimo tomo dei Saggi di George Orwell termina un'impresa editoriale che era iniziata nel 1995 sotto l'egida di due coraggiose piccole case editrici [10]. Ricoprenti gli ultimi anni di vita dello scrittore inglese, questo periodo vede la pubblicazione nell'agosto del 1945, dopo diciotto mesi di contrattempi e di rifiuti, di La fattoria degli animali che incontra un grande successo e permette al suo autore di essere libero, per la prima volta nella sua vita, da preoccupazioni finanziarie. Dall'anno successivo, inizia a lavorare alla redazione di 1984, continuando una collaborazione episodica con la stampa inglese ed americana, pubblicando soprattutto una cronaca in Tribune, il settimanale della sinistra laburista sino all'aprile 1947. È a partire da questo anno che la sua salute peggiora: uno specialista diagnostica una tubercolosi, malattia che lo stroncherà il 21 gennaio 1950.

Durante questi anni, Orwell si dedica innanzitutto alla redazione di 1984 che apparirà nel giugno del 1949, ma, nonostante le devastazioni della malattia, non rinuncia per questo a scrivere articoli, resoconti, saggi, così come corrispondenza con i suoi conoscenti. Vi ritroviamo i temi salienti della sua opera. Innanzitutto una concezione esigente della letteratura che lo porta ad una critica senza concessione degli scrittori e dei libri notevoli del suo tempo, ma anche a confrontarsi con dei classsici come Swift o Tolstoj. Prova un profondo orrore davanti alal corruzione del linguaggio, soprattutto a causa delle abitudini del pensiero totalitario. Allo scopo di opporvisi sottolinea: "Per esprimersi in una lingua chiara e vigorosa, bisogna pensare senza timore e colui che pensa senza timore non può essere politicamente ortodosso".

Il suo rifiuto del compiacimento degli intellettualiper tutte le forme di totalitarismo si accompagna logicamente con una lucidità- eccezionale per il suo tempo- sull'URSS di Stalin che egli considera come l'antitesi assoluta di un socialismo autentico. Infine, intraprende una critica radicale della sottocultura di massa (sport, industria del tempo libero). Se i primi temi sono presenti in ogni tappa della sua opera, l'ultimo assume per noi una particolare acutezza perché annuncia con alcuni decenni di anticipo l'orrore mercantile e la decerebrazione mediatica in cui siamno quotidianamente immersi. Così, in un testo sui "luoghi di divertimento", egli sottolinea che "l'uomo non rimane umano soltanto se dedica nella propria vita un ampio spazio alla semplicità, mentre la maggior parte delle invenzioni moderne [...] tendono ad indebolire la sua coscienza, a smussare la sua curiosità e, in senso generale, a farlo regredire verso l'animalità".

Ciò che caratterizza innanzitutto Orwell, è il rifiuto, allo stesso tempo etico e politico, di seguire la strada degli intellettuali sottomessi ai potenti di ogni genere per rimenere verso e contro tutto un eretico: "Nessuna pia banalità [...] non cambia nulla al fatto che uno spirito venduto sia uno spirito venduto".

 

Charles Jacquier



Fondazione Andreu Nin

 

 

George Orwell, Essais, articles, lettres, Volume I (1920-1940), Volume II (1940-1943)
Paris, Éditions Ivrea/Éditions de l'Encyclopédie des Nuisances, 1995 & 1996
Georges Orwell ou l'impossible neutralité,  Commentaire, n° 83, automne 1998, p. 857-860 (Éditions Plon).

George ORWELL, Essais, Articles, Lettres, vol. III (1943-1945),
Paris,Éditions Ivrea/Éditions de l’Encyclopédie des nuisances,1998, 544 p.
Compte-rendu des Essais III, Bulletin de liaison des etudes sur les mouvements revolutionnaires, 2e annee, n° 2, avril 1999

George Orwell, ESSAIS, ARTICLES, LETTRES, Volume IV (1945-1950)
Paris, Éditions Ivrea-Éditions de l'Encyclopédie des Nuisances, 2001, 646 p.
Compte rendu des Essais vol. IV, Le RIRe (Reseau d'Informations aux Rferafractaires), n° 45, mai-juin 2002
[Le RIRe BP 2402 13215 Marseille Cedex 02].

 


[Traduzione di Ario Libert]


 

Note

(1) Jean-Claude Michéa, Orwell, anarchiste tory, Castelnau-le-Lez, Climats, 1995.

(2) Libération, 15 luglio 1996; Le Monde, 13 luglio 1996; L’Histoire, ottobre 1996. Orwell aveva rosposto in anticipo a tali considerazioni quando scriveva: "non amo le risatine sprezzanti, le calunnie, le frasi che si ripetono a pappagallo e l'adulazione servile che vige nel mondo letterario inglese- e forse anche nel vostro" (Essais, II, p. 288).


(3) Louis Janover, Nuit et brouillard du révisionnisme, Editions Paris-Méditerranée, 1997, p. 37-38.

(4) Bernard Crick, Georges Orwell. Une vie, Balland, 1982.

(5) La Quinzaine littéraire, n° 697, 15-31 luglio 1996, p. 15. 

(6) Victor Alba, Histoire du P.O.U.M., Champ libre, 1975. 

(7) Cfr. il documentario spagnolo di Ricardo Beles, Opération Nikolaï,  ed anche Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné, "L’ombre portée du NKVD en Espagne", in Aa. Vv., Le Livre noir du communisme, Robert Laffont, 1997, p. 365-386.

(8) Cfr., Peter Reichel, La Fascination du nazisme, Editions Odile Jacob, coll. Opus, 1996.

(9) En 1997, le stesse edizioni hanno pubblicato un'eccellente opuscolo George Orwell devant ses calomniateurs. Quelques observations, replicando ad una campagna mediatica mirante a farlo passare per una spia ed un delatore.

(10) Segnaliamo che gli stessi hanno anche pubblicato la traduzione del più importante libro di Gunther Anders, L’Obsolescence de l’homme (Sur l’âme à l’époque de la deuxième révolution industrielle),  tr. it.: L'uomo è antiquato, Boringhieri, Torino, 2003.
 
 
LINK al post originale:

George Orwell ou l'impossible neutralité

LINK all'articolo incriminato apparso sul Guardian
Blair's babe. Did love turn Orwell into a government stooge? 

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1 gennaio 2010 5 01 /01 /gennaio /2010 16:23



1936, I taxi di Barcellona...

La sezione dei taxi di Barcellona è una di quelle in cui si è manifestata nel modo più evidente lo spirito costruttivo della classe operaia organizzata nella CNT.

Prima del 19 luglio, esisteva un gran numero di raggruppamenti di operai o proprietari di taxi.

Le rivalità, la corsa incoerente al profitto comportavano cattive condizioni di lavoro: dodici ore di seguito, senza retribuzione fissa e nessuna indennità in caso di malattia. ìIl 19 luglio, la totalità dei conducenti ed un gran numero di operai emancipati, aderivano alla CNT.

Quando la vita della città si fu a poco a poco normalizzata, alla fine del mese di settembre 1936, un primo servizio di urgenza fu rimesso in circolazione, con 200 vetture dipinte e decorate in rosso e nero.

Poi il servizio si normalizzò e la nuova riorganizzazione diede i suoi frutti nel gennaio 1937, 700 vetture incassavano giornalmente più di 80.000 peseta. Le restrizioni di benzina fecero abbassare i guadagni, il comitato di controllo cercò una formula per fabbricare un carburante che potesse sostituire la benzina. Giunse ad ottenerla grazie ad una formula presentata da un operaio e nuove vetture furono poste in circolazione. Ma la mia collettività, dopo le giornate di Maggio (1937) fu l'oggetto di provocazioni da parte dei comunisti, i conducenti molestati dai comunisti per demoralizzarli e trascinarli in conflitti violenti. Le denunce dei vecchi proprietari che dichiaravano che le loro vetture erano state loro rubate furono accolte, le requisizioni per le esigenze di guerra fecero rovinare l'industria e la sezione finalmente soppressa attraverso decreto governativo nel dicembre 1937.



 Tuttavia, le realizzazioni di questo sindacato sono uno dei migliori esempi della capacità e del senso dell'ordine di questi "fuori da ogni controllo". I lavoratori avevano stabilito i loro servizi amministrativi alla sala delle Cortès, in cui erano assicurati il controllo del lavoro effettuato  dagli autisti, gli operai dei garage e quelli dell'officina di riparazioni. Il dettaglio delle statistiche permettevano di rendersi conto subito da dove veniva il difetto del rendimento, le avarie di una vettura. Le vetture difettose erano immediatamente inviate al laboratorio per essere sistemate o riparate.

Una ricevuta era data all'autista quando consegnava il prospetto della giornata di lavoro, ed una al custode del garage per la quantità di olio o benzina di cui aveva bisogno. Le frodi erano rare, consistevano soltanto sul calcolo dell'aumento del 25% sui prezzi segnati sul contatore, ma questa differenza si ritrovavano sui fogli di ricapitolazione. Se il fatto si ripeteva per tre volte, la vettura veniva tolta all'operaio che doveva andare a lavorare in officina.

Per quanto riguarda le riparazioni, gli autisti, senza far ricorso ad alcun ingegnere, né chimico, avevano installato con i loro propri mezzi un laboratorio di riparazione e di costruzione in cui riuscivano non soltanto ad effettuare le riparazioni ordinarie, ma anche a costruire tutti i pezzi e gli utensili che erano loro necessari, compresi quelli che non erano stati mai fabbricati in Spagna. Con questa indipendenza nei confronti delle aziende internazionali di costruzioni in tempo di guerra erano riusciti a realizzare la loro emancipazione economica.

Le officine di riparazione e di costruzione erano ubicati in un ampio locale inutilizzato dall'esposizione universale. Una parte conteneva delle vecchie vetture, a causa della mancanza di materie prime, si utilizzava tutto ciò che poteva tornare utile. Il laboratorio costruiva il motore per intero, acquistava gli acciai speciali, ma effettuava tutti gli assemblaggi necessari. Aveva un forno a carbone. I pistoni un tempo importati si fabbricavano sul posto così come i cuscinetti a sfere che sino ad allora non erano mai stati fabbricati in Catalogna.

Con lo spirito di ricerca che li caratterizzava gli operai erano tutti dediti alla realizzazione di un'opera a beneficio della collettività.

I vericiatori erano naturalmente oggetto di speciali attenzioni: utilizzavano il latte mattina e sera ed il Comitato aveva fatto installare potenti ventilatori affinché il locale fosse perfettamente aerato. La fabbrica aveva delle docce, il suo refettorio, la sua infermeria, il suo medico particolare.

Infine alcuni slogan decoravano i muri:


Il timore è generato dalla limitazione della coscienza e della libertà


Anarchismo, simbolo di giustizia e libertà


La migliore propaganda è nell'esempio della tua condotta


Da: "Le Libertaire" del 12 luglio 1946

in occasione di un numero speciale dedicato alla rivoluzione libertaria spagnola




[Traduzione di Ario Libert]

LINK al post originale:
1936, Les taxi de Barcellone

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31 dicembre 2009 4 31 /12 /dicembre /2009 09:04





Barabbah
VI. Parole nella valle [3]





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28 dicembre 2009 1 28 /12 /dicembre /2009 07:58







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V. Ricordi di gioventù





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24 dicembre 2009 4 24 /12 /dicembre /2009 10:53



Barabbah

IV. Parole nella valle [2]











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BARABBA, L'eterno ingannato, 03



[Traduzione di Ario Libert]



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23 dicembre 2009 3 23 /12 /dicembre /2009 08:11



Barabbah

III. L'eterno ingannato









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[Traduzione di Ario Libert]



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Presentazione

  • : La Tradizione Libertaria
  • : Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
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