Il Libro di Pietra
I
Pervinche e violette
Durante la nostra ultima passeggiata, abbiamo colto delle pervinche e delle violette.
Sorridevi, guardando le pervinche.
E dicevi: "Quanto sono belle!".
Sorridevi, annusando le violette.
E dicevi: "Quanto profumano!".
Poi, annusasti le pervinche, e facesti la faccina delusa. E ti udii mormorare: "Questo fiore, che è così bello, dovrebbe profumare!".
Guarda, Piccola Pietra, il tuo desiderio è diventato realtà.
Porto sulla tua tomba un mazzo di questi begli occhi fiori blu così gentilmente risvegliatisi, delle pervinche; ma ho dato loro il profumo delle violette.
E tu sorriderai, mia adorata. E non farai più la faccina delusa, vero?
II
Il gioco dei segreti
Se tu sapessi, mia Piccola Pietra, ha sempre gli occhi rossi, la tua mamma, e le sue gote sono ora incavate.
Eri contenta un tempo di avere una mamma molto bella. Non deve succedere che smetta di esserlo. Non deve succedere che si ammali.
Ti darebbe troppo dispiacere, non è vero, Passerottina?
Allora io mi nascondo e vengo qui da solo, senza che lei lo sappia.
Forse anche lei viene qui da sola di nascosto. Ma non te lo chiedo. Se avete dei segreti, non me li dovete dire. Perché non voglio che tu le dica i miei, capisci?
Ti ricordi? Ti piaceva tanto giocare ai segreti. Mi dicevi: Papà, dimmi un segreto; non lo dirò a nessuno.
Domani, te ne dirò un altro di segreto. No, non oggi, domani.
A domani, mia adorata.
III
Il grande segreto
Lo sai perché vengo solo, amica mia? Perché la tua mamma non mi accompagna?
È perché, a me, fa bene parlare con te. Mentre alla tua mamma, fa male.
Noi due, parliamo amabilmente, senza piangere. Oppure, se piango, è sommessamente, con un sollievo melanconico e profondo. È così bello rivivere un momento con te.
La tua mamma, quando la conduco qui con me, piange per tutto il tempo grosse lacrime pesanti che cadono sino a terra e che le fanno molto male.
Ascoltami bene, mia Piccola Pietra; ti dirò il grande segreto.
Non deve succedere che la tua mamma pianga troppo, perché, quando sei partita, avevamo prenotato da due mesi quel fratellino che tu ci chiedevi sempre.
E, come sai, quando le mamme piangono, il mercante di Parigi invia un fratellino brutto come una scimmietta, piccolo come un pupazzo da pochi soldi, e che piange tutto il tempo, e che non ha per niente forza; e che, quasi sempre, muore.
Allora, poiché tu vuoi avere un bel fratellino, bello grande, ben paffutello, che non piange, e che vive, e che sia forte, non deve succedere che la tua mamma pianga.
IV
Gelosa
Eri molto gelosa delle carezze del tuo papà. Non potevo abbracciare la tua mamma senza che tu dicessi:
— Anch'io, papà!
E se facevo finta di non udirti, tra la tua mamma e me ti infilavi; ti aggrappavi ai miei abiti; e ti arrampicavi lungo me.
Ero così costretto a occuparmi di te, e prenderti tra le mie braccia, e darti la tua parte di baci sulle tue guance che arrossivano di piacere e in cui il sorriso scavava delle fossette.
*
*...*
Credo che tu sia sempre gelosa, mia piccola Pietra adorata. Ogni volta che abbraccio la tua mamma, mi sembra di sentirti reclamare:
— Anch'io, papà!
E, poiché non ti rispondo solo per la grande voglia di piangere, tra la tua mamma e me tu ti infili; e sento sopra i miei abiti un peso, e su di me, ho come l'impressione di qualcosa che si arrampichi.
Ma non posso prenderti, sollevarti tra le mie braccia. Sulle tue guance che arrossivano di piacere e in cui il sorriso scavava delle graziose fossette, non posso porre dei baci, tanti baci.
*
*...*
Ecco perché, ogni volta che abbraccio la tua mamma, ci mettiamo a piangere.
V
Giusta
Se eri gelosa, eri anche giusta, mia piccola Pietra.
Quando ti avevo tenuta a lungo sulle mie ginocchia, quando ti avevo fatto molte carezze sulle tue guance che arrossivano di piacere e in cui il sorriso scavava delle fossette, spesso tu mi dicevi:
— Abbraccia mamma, ora, papino mio. E, sorridendo, andavo ad abbracciare tua madre.
*
*...*
Ecco perché, quando a lungo le mie labbra si sono tese a vuoto sognando le tue guance così fresche, spesso vado, trattenendo le mie lacrime, ad abbracciare la tua mamma.
VI
Ciocche di capelli
Tua madre ha una ciocca dei tuoi capelli che è di un biondo pallido, molto pallido, quasi bianco.
Dove tiene questa ciocca di capelli di un biondo pallido, molto pallido, quasi bianco, che vorrei toccare con le dita, con gli occhi e le labbra, in modo da poterti rivedere e abbracciarti piccolissima?
Non lo so. E non voglio chiederglielo, perché piangerebbe.
Ma, senza l'aiuto dei graziosi capelli sottili, di un biondo così pallido, appena colorato, ti rivedo piccolina e così bionda, mentre corri e ridi, in mezzo ad altri bambini che corrono e ridono, laggiù, sotto i grandi alberi dei giardini del Lussemburgo.
*
*...*
Tua madre ha una ciocca dei tuoi capelli di un bel biondo caldo, un po' fulvo.
Dov'è, questa ciocca di capelli di un bel biondo caldo, quasi fulvo, che vorrei toccare con le dita, con gli occhi e con le labbra, in modo da poterti rivedere e riabbracciarti, un po' più grandicella?
Non lo so. E non voglio chiederlo a tua madre che piangerebbe.
Ma, senza l'aiuto dei capelli di un grazioso biondo caldo e un po' fulvo, ti rivedo un po' grandicella, mentre parli e corri dietro ad alcune farfalle, qui, nel parco, sotto i grandi alberi amici.
*
*...*
Tua madre ha anche una ciocca dei tuoi capelli che mi appare, se chiudo gli occhi, di un biondo stranamente triste, scuro, quasi bruno.
Ma li ha tagliati da troppo poco tempo perché voglia vederli.
Li ha tagliati sulla tua povera fronte fredda.
E la vedo troppo nel tuo letto bianco, la tua povera piccola figura dolorosa e del tutto bianca – oh! così bianca!
E mi ricordo che quando moristi, guardandoti per l'ultima volta, pensai: “Ma i suoi capelli sono quasi bruni!”. I tuoi capelli sembravano più scuri, perché il tuo volto era più pallido.
VII
Micino
Ti ricordi di Micino con cui giocavi sempre; Micino, così buono, che non ti graffiava mai; Micino, che ti regalai la mattina nel tuo lettino e che, colmo di gioia delle tue carezze e del tepore delle lenzuola, si metteva a far le fusa, a fare: “felice! felice!” come dicevi tu.
Questa mattina, è venuto a farmi visita nel mio grande letto, dove ti avrei presto accolta, se tu fossi stata qui.
Perché, questa mattina, ho fatto il pigro, e quando il tuo papino fa il pigro, volevi che ti accogliesse nel suo grande letto.
E Micino faceva: felice! felice! E si sfregava a me affinché lo accarezzassi.
Lo accarezzavo, ma senza pensare a lui.
Pensavo a te, che saresti così tanto contenta di stare un po' nel mio grande letto mentre facevo il pigro, e che riderei, e ti bacerei, con affetto!
E all'improvviso – ci sono delle volte che i papà sono pazzi come i bambini che inventano delle storie, - all'improvviso, ho preso quell'esserino vivente e mobile che era qui vicino a me e mi accarezzava, e l'ho abbracciato chiamandolo: Passerottina.
Forse l'ho stretto troppo. Ha gridato Miao!
E l'ho lasciato andare. L'ho lasciato andare, sorridendo con una grande voglia di piangere.
VIII
Taci
L'ultimo giorno in cui fosti insieme a noi mia piccola Pietra, tutta la giornata, con la tua voce, soffocata che faceva male ascoltare, parlavi, parlavi!
Dicevi delle cose dolci, gradevoli, tenere, fiorite di freschezza e di grazia ingenue.
Ma la tua povera voce soffocata faceva male ascoltarla.
E poi, avevo paura che dire tante parole, - tante parole fiorite di freschezza e di grazia ingenue, - affaticasse la tua povera gola malata.
E spesso ti supplicavo: “Taci, bambina mia”.
E, silenziosa, mi sorridevi con il tuo pallido sorriso, che parlava ancora.
*
*...*
Questa parola: “Taci!” è l'ultima che ti ho detta. La tua gola si stava per chiudere e i tuoi occhi rovesciare: tu mi dicevi ancora delle cose dolci e gradevoli, tutte fiorite di freschezza e di grazia ingenua.
La tua sorellina era morta da poco: le tue parole gradevoli mi erano dolorose come una carezza su una ferita che sanguina. Allontanavo prontamente il tuo bacio dalla mia piaga viva: “Taci! Taci!”.
Sei stata troppo obbediente, mia adorata.
E vorrei ancora sentirti parlare, anche con la tua voce soffocata degli ultimi giorni.
Ridimmi, Passerottina, le cose dolci e gradevoli che mi dicevi quel giorno.
Le so tutte a memoria, bambina mia, ma mi daresti una grande gioia dicendomele di nuovo.
*
*...*
No, tesoro, taci! taci!
Temo che tu abbia udito il mio assurdo desiderio e che ora, là, sotto terra, per parlarmi, tu ti affatichi in vani sforzi tormentosi.
Taci, bambina mia, taci! E dormi tranquilla, Buone nanne, Passerottina, buone nanne!
IX
Ci divertiamo molto, noi due
Nelle lunghe serate d'inverno, non appena avevi cenato, venivi da me, con il tuo tovagliolo ancora sul tuo grembiule. Salivi sulle mie ginocchia, gettavi le braccia intorno al mio collo; mi abbracciavi. E rimanevi un momento, tenera, a intenerirmi.
Poi scendevi. Mi dicevi:
- Papà, divertiamoci.
E ci divertivamo.
Ci divertivamo a fare dei giochi buffi, di tua invenzione; dei giochi che non piacevano sempre alla mamma. Perché avevi, così gracile e così frenetica, dei giochi un po' violenti a volte.
*
*...*
Mi dicevi:
- Papà facciamo la grande battaglia!
E mi davi con la tua manina dei colpi sulla mano.
Ma non volevi che la mia mano rimanesse immobile. Essa doveva andare verso la tua. La tua mano cadeva, leggera e rapida, sulla mia mano che saliva, lenta, verso la tua manina. Tu protestavi:
- Su, papà, più velocemente!
E, a ogni incontro, sorridevi o ridevi.
Qualche volta sorridevi dicendo:
- Ho perso la battaglia.
Quasi sempre ridevi dicendo:
- Ho vinto la battaglia.
Come distinguessi le battaglie vinte da quelle perse, questo, io, non l'ho mai capito.
*
*...*
Qualche volta, il colpo era un po' forte sulla tua gracile manina.
Allora, pronta a piangere o a ridere, mi guardavi con i tuoi graziosi occhi irritati.
E mi domandavi:
- È per scherzo, vero, papà?
- Ma certo, Passerottina, è per scherzo.
Allora scoppiavi a ridere. E venivi ad abbracciarmi.
*
*...*
La tua mamma ti chiamava: Cattivo maschietto!
E ci guardava con aria severa che si dissipava in una risata. Ci guardava come due bravi bambini, ma le cui abitudini meravigliano un po'.
Tu, ti stringevi a me. E mi dicevi:
- Ci divertiamo tanto, noi due, vero, papà?
X
Dei versi
Un giorno, mi dicesti:
- Cosa sono i versi, papà?
Ti vedo ancora mentre mi poni questa domanda.
Era in città sul grande viale i cui tigli in fiore avevano un odore così dolce, in mezzo al prato di un verde giovane, quasi infantile. Passeggiavamo insieme. Per chiedermi questo, ti fermasti e mi facesti fermare.
Dovevi avere quattro anni, forse quattro e mezzo.
Ma leggevi già correntemente. E, tra i libri che leggevi di solito, c'era un libretto di favole in versi.
Però, malgrado la tua scienza precoce, la risposta alla tua domanda mi sembrava molto difficile.
E ti risposi:
- Non posso spiegartelo. Sei troppo giovane, Non capiresti.
Allora tu, molto fiera e un po' ribelle:
- Ma sì, papà, capirei. Lo prova il fatto che lo so.
- Dillo allora.
- Lo so, ma non so dirlo.
Ti feci notare un passero che svolazzava davanti a noi. E il passero t'interessò.
*
*...*
Ma quando il passero partì, la tua testolina si rimise a lavorare. E, di colpo, mi dicesti:
- Papà, ho trovato come si può dirlo. I versi, è quando si rima.
- Sì, cara, ma non puoi sapere cos'è la rima. Sei troppo piccola.
- Ma sì, papa, lo so... La rima, è... è quando è la stessa cosa.
*
*...*
Alcuni giorni dopo, mi dicesti:
- Papà, ho fatto dei versi.
- Ah, come esempio!
- Sì, papà. Ascolta:
Batto il mio asinello
A colpi di randello
Perché è cattivello
*
*...*
Sì, avevi fatto dei versi. E la rima ti aveva fatto dire delle cose prive di senso. Perché mai hai avuto un asinello o un randello. E mai avresti battuto il tuo asinello, se mai ne avessi avuto uno.
Eri una poetessa molto crudele, esserino pieno di dolcezza e di pietà.
XI
Il dono delle lacrime
Come avresti fatto a battere il tuo asinello, tu che non potevi sopportare di vedere pulcinella battere sua moglie o il commissario?
Ti ho portato una sola volta a questo spettacolo divertente che per te fu uno spettacolo doloroso.
Perché, non appena Pulcinella alzò il suo bastone, tu ti mettesti a piangere. E gridasti:
- Non voglio che la colpisca!
Ma la tua volontà non poteva nulla. La batteva lo stesso.
Ho avuto un bel da fare a spiegarti che era per scherzo; che Pulcinella e sua moglie erano di legno. Tu continuavi a piangere e gridare:
- Non voglio che la colpisca.
Tutti i bambini si voltavano e ridevano della tua pietà dolorosa e inutile, ancora più che per lo spettacolo di violenza e di dolore.
Fui obbligato di condurti lontano da quello spettacolo troppo simile alla vita.
Non ho mai potuto raccontarti sino in fondo Pollicino né Cappuccetto rosso. Non appena Pollicino e i suoi fratelli erano persi nel bosco, tu piangevi così tanto da essere obbligato di riportarli subito tra le braccia dei loro genitori e di farli amare molto, molto, e di moltiplicare gli scherzi divertenti all'orco cattivo, senza troppo sapere ciò che aveva fatto nella fiaba.
Quando Cappuccetto rosso incontrava il lupo, subito piangevi. Ero obbligato a far uscire da dietro un albero un grande cane che metteva in salvo il lupo.
E il Lupo e l'Agnello! Non potesti mai leggerlo interamente nel tuo libro delle fiabe.
Non c'era modo di raccontarti delle storie. Perché le storie, anche quelle che finiscono bene, hanno sempre un momento crudele della vita.
*
*...*
È per questo che il buon Dio ha avuto paura che tu piangessi troppo e ti ha portato lontana dallo spettacolo della vita, che è tanto crudele quanto lo scenario di Pulcinella.
È per questo che il buon Dio l'ha fatta breve con la storia della vita che cominciava a raccontarti. Ha fatto bene, tesoro mio. Avresti pianto troppo. Ci sono troppi Pollicini persi nel bosco, troppi agnelli divorati dai lupi.
Hai avuto ragione a non ascoltare il doloroso seguito della fiaba che non è una fiaba.
*
*...*
Ora, sei, indubbiamente, davanti a uno spettacolo di gioia, di dolcezza e d'amore.
Ah! se, dall'altro lato, Pulcinella bacia sua moglie invece di batterla; e se i lupi si divertono, molto gentili con gli agnelli; come devi guardare tutto ciò con occhi grandi grandi, piccola Pietra! E come deve essere felice e grazioso, il tuo grazioso sorriso!
XII
Smarrito
Sono molto in ritardo, questa sera, vero, mia piccola Pietra?
Ti dico il perché. Ma temo che tu mi chiami: “Sciocchino di un caro papino!”.
*
*...*
Ti ricordi la tua ultima passeggiata, Passerottina, quella in cui cogliemmo delle pervinche così graziose e delle violette che profumavano tanto?
L'ora di un appuntamento d'affari si approssimava. Ti lasciai con la tua mamma a cogliere violette e pervinche e corsi verso la città.
Quando rientrai, finita la mia giornata, salisti sulle mie ginocchia, tu mi abbracciasti come sempre.
Ma avevi, quel giorno, una graziosa aria maliziosa. E maliziosa mi dicesti:
- Sai, papino, ci siamo perse
E, baciando le tue fresche guance sorridenti, dissi:
- Vi siete perse! Ah! Le mie due care sciocchine!
Allora scoppiasti in quel modo di ridere adorabile, in quel ridere chiaro come acqua di cascata, di quel ridere che non udirò più.
Poi il tuo adorabile ridere si fermò e gridasti:
- Vedi, mamma, te lo avevo detto che ci avrebbe chiamate: adorabili sciocchine!
E ridesti ancora. E ridesti a lungo! E riempisti la casa e il cuore di quel suono gioioso che non udrò mai più.
*
*...*
Ah! se ridessi ancora, quanto rideresti oggi.
Perché, sulle colline, in un bosco dove ti ho colto queste pervinche blu e queste pervinche bianche, mi sono perso.
Quando sono riuscito a ritrovare la strada, mi credevo distante un chilometro ne ero invece a dieci.
Allora mi misi a correre.
Ma ebbi un bel da fare a correre, arrivai in ritardo. Scommetto che questo ti ricorda una favola che a volte ci recitavi; lo sai: la Lepre e la Tartaruga:
A nulla serve correre, si deve partire in tempo.
*
*...*
E, come dicevi un tempo, era “completamente spassoso”, questo papà che si era perso come un bambino, questo papà che correva, questo papà che arrivava in ritardo.
Ma sai perché non ridevo correndo? È perché non puoi più ridere con la tua risata chiara come acqua di cascata. È perché non avevo abbastanza paura che tu mi chiamassi “Quello sciocchino del mio caro papino!”.
XIII
Mamma e papà
I tuoi giocattoli, i tuoi vestiti, tutto ciò che ti appartenne, è allo stesso posto. Una camera la cui porta, e le finestre, e le persiane sono chiuse. La tua mamma non vi entra mai, e, quando passa davanti alla porta, devia.
Io, non appena la tua mamma non può vedermi e sentirmi, entro in questa camera e apro, del tutto, le persiane e le finestre, perché tu amavi così tanto l'aria e la luce. E tocco i tuoi giocattoli. E tocco i tuoi vestiti. Apro e chiudo i cassetti del tuo negozio, e mi ricordo come delicatamente giocavi al piccolo mercante. Copro di baci la tua graziosa maglietta alla marinara, ma non con forza, tremando al pensiero di farle perdere la graziosa forma del tuo corpicino.
Ed è molto bello, tesoro, essere là noi due soli, nella grande luce.
*
*...*
Quando, sulla strada, incontriamo uno dei tuoi piccoli amici, la tua mamma ha un sussulto e, per non vederlo cambia strada.
Io, con uno sguardo distante, sono il tuo piccolo amico e sorrido al suo sorriso.
*
*...*
Nella casa del tuo piccolo amico Jacques, di fronte alla nostra casa di città, la tua mamma non va mai più.
Io, ci vado spesso, e prendo sulle mie ginocchia il tuo amichetto Jacques e lo bacio.
*
*...*
E ci sono delle volte in cui credo che sia tu a stare sulle mie ginocchia, che sia tu che bacio.
*
*...*
Da dove viene il fatto che uno stesso amore abbia degli effetti diversi? Da dove viene il fatto che ciò che mi consola la affligga?
Perché tutto ciò che ti fa rivivere mi fa bene ed è così doloroso per lei?
Sei più morta per lei che per me, che nulla può darle la dolce illusione di essere ancora viva?
O il dispiacere che viene dopo, quando ci si dice che “non è vero”, è per lei più grande della felicità di credere per un secondo che sia ancora vero?
Io trovo che un secondo di felicità, è lungo, lungo, lungo!
Il mio amore per te, Passerottina, mi immerge in una follia molto dolce, sorridente, che mi fa sentirti sulle mie ginocchia quando non sei tu a stare sulle mie ginocchia, che mi permette di baciarti su delle guance rosa che non sono affatto le tue guance rosa; che rende vivo e pieno il vuoto immobile e penoso delle tue magliette.
Ricopro il presente doloroso con del passato gioioso; faccio sulle parole nere delle cancellature di luce.
*
* *
Non capisci ciò che voglio dire, Passerottina. Eppure è così semplice.
Posso dire che ti amo molto, e anche la tua mamma.
XIV
La tua palla
Un giorno che ero partito per la città, ti avevo promesso di riportarti una palla se fossi stata molto buona fino al mio ritorno.
Ma ebbi molte cose da fare a Préville quel giorno. E quando si hanno molte cose da fare, si finisce con il dimenticare le più importanti. Dimenticai la tua palla.
Quando tu me la chiedesti, ti risposi che il mio uccellino mi aveva detto che eri stata un po' cattiva. Allora avevo lasciato la palla nella nostra casa di città e sarei andato il giorno successivo a prendertela, se tu fossi stata molto buona.
E piangesti un po', mio tesoro. Sai, me la prendo tanto di averti fatto piangere; e quando ci ripenso, piango!
*
*...*
L'avesti il giorno seguente, la tua palla. Ma avevi già male alla gola. Non dovevi uscire. Ci giocasti, per un minuto, nella camera. Ma sollevava molta polvere dal tappeto.
Ti spiegai che questa polvere ti avrebbe fatto stare ancora di più male.
E mettesti la tua palla in un angolo. Avevi forse voglia di piangere. Ma fosti molto buona, non lo lasciasti vedere.
*
*...*
Il giorno successivo, eri a letto, E non ti sei alzata che una volta soltanto. E, quella volta, potevi appena camminare. E non sei rimasta in piedi più di cinque minuti.
E, seguendoti, circondandoti con le braccia, pronto a sostenere il tuo cammino vacillante, sei andata all'angolo della tua camera dove dormiva la tua palla.
L'hai fatta rotolare all'altro capo della camera, L'hai fatta rotolare una volta, una volta soltanto.
Perché, subito, avemmo paura di farti affaticare, e ti facemmo mangiare un po' di tapioca e ti rimettemmo a letto.
*
*...*
Un altro giorno, nel tuo letto, volesti giocare a palla.
E ti diedi la tua palla. Me la lanciasti, la presi; te le rispedii sul letto, affinché tu me la lanciassi di nuovo.
La tua mamma entrò in quel momento. Ci disse che eravamo due piccoli pazzi e che avremmo finito con il rompere qualcosa.
E tu ridesti un poco. Ma il tuo volto era pallido, le tue labbra che si aprivano per ridere erano molto pallide; e la tua risata era molto sommessa, perché non potevi parlare e ridere che a voce bassa, con voce soffocata, povero tesoro.
E io sorridevo nel vederti ridere. E io ridevo molto forte per farti ridere. Ma avevo delle lacrime agli occhi nel vedere così pallido il tuo sorriso e udire così poco la tua risata a voce bassa, a voce soffocata.
*
*...*
Con i tuoi altri giocattoli, nella camera dove la tua mamma non entra mai, dorme, la tua palla che fu così poco la tua palla.