Sul regime e contro la difesa dell’U.R.S.S.
di Cornelius Castoriadis
La politica rivoluzionaria che, un tempo, consisteva essenzialmente nella lotta contro gli strumenti diretti del dominio borghese (Stato e partiti borghesi), si è da molto tempo complicata con l'apparizione di un nuovo compito non meno fondamentale: la lotta contro i propri partiti che la classe operaia si era creati per la sua liberazione e che, in un modo o nell'altro, lo avevano tradito.
a: L'economia
Se è incontestabile che non si può comprendere la società sovietica se non analizzandone le basi economiche, non è meno vero che per lo studio delle sue basi è indispensabile sbarazzarsi di ogni formalismo giuridico. Sino ad oggi, infatti, si credeva aver detto l'essenziale su questa economia quando si menzionavano la nazionalizzazione e la pianificazione che ne costituiscono i tratti dominanti; poi, senza chiedersi quale significato reale hanno acquisito questi tratti nell'insieme dialettico della via sociale sovietica, si indicavano le parti corrispondenti al programma socialista e si gridava trionfalmente: per lo meno, le basi socialiste sussistono nell'economia sovietica.
Un abbozzo di ragionamento simile, che dimentica che le realtà sociali ed economiche si trovano molto spesso al di là della formula giuridica che le copre, avrebbe portato a riconoscere la realizzazione perfetta dell'eguaglianza civica nella democrazia borghese, la cui impostura è stata molte volte denunciata da Lenin; avrebbe portato ad ignorare anche lo sfruttamento che ha luogo nella società capitalista, poiché il diritto borghese ignora a parole il capitale, il plusvalore, ecc; ci avrebbe condotto dall'analisi economica materialista di Marx al giuridicismo dei classici e del XVIII secolo.
Si tratta dunque, nello studio dell'economia sovietica, come in quella di ogni altra economia, di sapere come si effettuano, attraverso ed al di là del camuffamento giuridico, la produzione e la distribuzione, altrimenti detto: chi dirige la produzione e, di conseguenza, chi possiede l'apparato della produzione e, chi ne trae vantaggio?
Le categorie sociali fondamentali tra le quali si svolgono i processi economici sono:
-il proletariato, formato dall'insieme dei lavoratori che sono incaricati di un semplice lavoro di esecuzione;
-l'aristocrazia operaia, che comprende l'insieme dei lavoratori qualificati;
-la burocrazia, che raggruppa le persone che non partecipano al lavoro di esecuzione ed assumono la direzione del lavoro degli altri.
Evidentemente, come sempre, i limiti tra queste tre categorie non sono rigide. Questa distinzione è essenzialmente basata su un criterio tecnico; ma questa base tecnica è necessariamente legata a delle conseguenze economiche, sociali e politiche. Perché su questa distinzione è fondata in URSS la soluzione dei due problemi capitali di ogni organizzazione economica: il problema della direzione della produzione e quello della sua ripartizione.
La direzione della produzione è unicamente affidata alla burocrazia. Né l'aristocrazia operaia né il proletariato prendono alcuna parte a questa direzione. Questa direzione avviene, anche all'interno della burocrazia, in maniera dittatoriale, che non concede al burocrate medio che dei margini di iniziativa estremamente limitati in quanto alla concretizzazione della parte del piano che riguarda il suo settore. Questo in quanto alla forma. In quanto all'essenza, e cioè in quanto a sapere quali sono le direzioni che imprime il vertice burocratico al processo economico e quali sono le considerazioni coscienti, inconsce o imposte dalle cose che dettano, lo esamineremo dopo.
Le condizioni di validità della legge del valore (principalmente: proprietà ed appropriazione privata, contabilità separata di ogni impresa, libertà del mercato, ecc.) difettano nell'economia sovietica. D'altra parte, la pianificazione, combinata dalla statizzazione ed abbracciante l'insieme dell'economia, fa sì che l'automatismo economico è sostituito, all'interno di certi quadri molto generali, dalla direzione umana cosciente dell'economia. È per questo che possiamo dire che, nell'economia sovietica, della legge del valore non resta che questa formula molto generale, che il valore dell'insieme dei prodotti è eguale alla somma del lavoro astratto socialmente necessario alla loro produzione.
A parte ciò, è l'arbitrio burocratico che regola la distribuzione, cioè che determina i salari; quest'arbitrio non conosce che due limiti economici obiettivi: per quel che riguarda il lavoro semplice, il salario non può essere inferiore al minimo vitale (limite inoltre estremamente elastico, come l'esperienza dei due primi piani quinquennali hanno dimostrato);- per quel che riguarda il lavoro qualificato, il salario si determina secondo la rarità relativa di questa specie di lavoro, tenendo conto dei bisogni del consumo o di quelli considerati come tali dal piano. A parte ciò, l'arbitrio burocratico regola tutto, legato evidentemente dalle leggi psicologiche di godimento ottimale da considerazioni di politica generale. All'interno della burocrazia, la distribuzione si fa seguendo i rapporti di forza, similmente al modo in cui si effettua la distribuzione del plusvalore totale tra i gruppi ed i trust imperialisti.
La dinamica di questa economia è caratterizzata dall'assenza di crisi organiche, effetto della pianificazione quasi completa. Il suo equilibrio, di conseguenza, non può essere messo in causa che dall'effetto dei fattori esterni, il che sembra dovere, se un giorno essa dovesse giungere a dominare il pianeta, conferirle una stabilità interna mai prima conosciuta nella storia.
Quando vogliamo definire questa forma economica diventa evidente che essa non presenta nessuna analogia con l'economia capitalista, perché, malgrado la persistenza dello sfruttamento e la monopolizzazione della direzione della produzione da parte di uno strato sociale, le leggi economiche vi sono forzatamente differenti; d'altra parte, dei quattro elementi fondamentali ed indivisibili dell'economia socialista e cioè:
abolizione della proprietà privata;
pianificazione;
Abolizione dello sfruttamento;
direzione della produzione da parte dei produttori;
essa non presenta (e sotto forti riserve) che i primi due, i meno importanti; invece di avvicinarsi sempre più alla realizzazione di questi scopi fondamentali, l'economia sovietica li ha completamente abbandonati- senza avvicinarsi per ciò al modo di produzione capitalista. Né capitalista né socialista e nemmeno in marcia verso una di queste due forme, l'economia sovietica presenta un nuovo tipo storico, il cui nome poco importa in realtà quando se ne conosce la sostanza.
b: La politica
In quanto al regime politico, il suo carattere totalitario è stato molte volte descritto che è superfluo insistervi sopra. Bisogna semplicemente menzionare che questo regime, accanto alla dittatura poliziesca, comporta un'ascendente ideologico sulle masse, una "statizzazione delle idee", tale che essa autorizza a parlare di "alterazione della coscienza delle masse" nella società sovietica nel momento attuale.
c: "Stato operaio degenerato"
È chiaro che la denominazione di uno Stato di fatto è una semplice convenzione e che tutti i termini sono validi, a condizione che ci si intenda sul loro contenuto e che essi non comportino dei pericolosi malintesi attraverso i loro effetti politici. È da questo punto di vista che deve essere affrontato e condannato il termine "Stato operaio degenerato" impiegato a proposito dell'URSS. La struttura di quest'espressione implica che il fatto fondamentale dell'attuale realtà sovietica si trovi nel suo carattere di Stato operaio e che, per spiegare alcune sfumatura, si debba ricorrere alla nozione di degenerazione. Ora, non c'è nulla del genere. La degenerazione è da molto tempo superata poiché è giunta alla maturità completa; l'evoluzione è giunta a tal punto che, attraverso la creazione di nuove forme con dei nuovi contenuti, permette di afferrare il fenomeno nel suo attuale funzionamento per così dire "indipendentemente" dalla sua provenienza.
La statizzazione e la pianificazione svolgono oggi un ruolo fondamentale nell'economia sovietica; ma dire che, nel loro attuale contenuto, esse bastano a dare un carattere anche un po' "operaio" allo Stato sovietico; vuol dire attribuire un significato al diritto indipendentemente dal reale processo economico, è sostituire l'analisi economica marxista ad un giuridicismo astratto; è ancora separare l'economico dal politico in un modo schematico ed inaccettabile per lo studio dell'epoca attuale. Se la statizzazione in URSS basta per conferire a questo Stato il nome (preso con un significato attivo) di "Stato operaio in degenerazione", perché le statizzazioni di un paese borghese non basterebbero a conferirgli il nome di Stato operaio in gestazione?
La questione non è di sapere se ci sia statizzazione, ma per chi ed a profitto di chi è instaurata o mantenuta questa statizzazione. Se nella società capitalista classica la potenza economica rimane distinta dal potere politico e se lo appropria in quanto oggetto esterno ad essa, il processo storico ha rovesciato poco a poco questo schema: già durante l'epoca imperialista la distinzione, tanto reale quanto personale, del potere politico e del potere economico, appariva come caduco; nella società sovietica è impossibile persino concepirla. Una situazione tecnica ed economica determina una struttura politica, che, da questo momento, regge l'economia, mentre l'importanza dell'automatismo delle leggi economiche diminuisce sempre più. È per questo che il solo criterio permettente di dare una definizione sociologica dell'URSS è il seguente: chi detiene il potere politico ed a profitto di chi lo esercita? La risposta a questa domanda non può essere che la seguente: il potere politico (e di conseguenza, anche la potenza economica) è detenuta da uno strato sociale i cui interessi sono assolutamente contraddittori nella sostanza con quelli del proletariato sovietico e che esercita questo potere per i suoi propri interessi contro-rivoluzionari. Questo strato non ha nulla in comune con la classe operaia, né con la classe capitalista. Essa costituisce, così come lo Stato che essa dirige e che essa esprime, una nuova formazione storica.
II : La politica rivoluzionaria in U.R.S.S.
a: Rivoluzione politica o rivoluzione sociale
La strategia e la tattica della IV Internazionale e della sua sezione russa verso questo stato di cose deve essere nettamente ed interamente rivoluzionaria. La questione di sapere se possiamo definire in modo scolastico la rivoluzione da compiere in URSS come una rivoluzione politica o sociale presenta poco interesse, se ci rendiamo conto dei compiti da realizzare. Bisogna per di più comprendere che il fondo pratico di questa distinzione non si trova nella necessità di effettuare oppure non una trasformazione dei rapporti di proprietà, ma in questo: possiamo conservare l'apparato statale con dei semplici cambiamenti nel personale dirigente ed i posti di responsabilità (rivoluzione politica) oppure quest'apparato dev'essere spezzato e ricostruito di nuovo in forme nuove (rivoluzione sociale)? Ora, è evidente che è questo secondo caso che si presenterà in URSS quando la classe operaia rovescerà Stalin.
Poiché la struttura reale dello Stato sovietico non conserva essenzialmente nulla che possa differenziarlo in generale da non importa quale altro apparato storico di dominio da una classe sull'altra. Quando la rivoluzione sarà compiuta in URSS, bisognerà non soltanto sostituire il partito al potere con il nostro, non soltanto far rivivere o piuttosto rinascere gli strumenti del potere operaio, i soviet (perché i soviet di oggi non ne hanno che il nome), ma bisognerà creare anche dei nuovi strumenti di controllo, perché uno dei fattori favorevoli allo sviluppo della burocrazia consiste nel fatto che durante il periodo 1917-1923 la direzione bolscevica non ha potuto esprimere praticamente tutta la diffidenza che doveva ispirargli questa burocrazia. Quel che Trotsky chiama il secondo aspetto della rivoluzione permanente e che concerne la rivoluzione socialista stessa, il cambiamento continuo di pelle, deve trovare la sua applicazione anche nella regolamentazione dei rapporti politici e statali dopo la vittoria della rivoluzione.
b: Difesa dell'URSS e rivoluzione
I grandi punti della strategia e della tattica rivoluzionarie rimangono dunque validi anche per la rivoluzione anti-burocratica, con riserva di adattamento adeguato. È quel che detta oggi imperiosamente l'abbandono della parola d'ordine della "difesa dell'URSS". Anche per coloro che ammettono l'esistenza di basi socialiste nell'economia sovietica, è chiaro che la salvezza finale di queste vestigia dipende dalla vittoria della rivoluzione su scala mondiale e che l'ostacolo n° 1 per questa vittoria si trova nella burocrazia staliniana. La lotta contro questa burocrazia costituisce dunque il compito fondamentale per il proletariato sovietico. Questa lotta in tempo di guerra è compatibile con la "difesa dell'URSS"? Evidentemente no. Sviluppare questa lotta significa ad esempio gli scioperi, le manifestazioni, minare l'apparato di repressione e inceppare il funzionamento in generale dell'apparato statale, provocare l'insurrezione nell'esercito, ritirare i reggimenti in rivolta dal fronte e farli marciare sulla capitale, ecc. La guerra, come la rivoluzione, è un blocco. Non si può condurre l'una che abbandonando l'altra. La "lotta sui due fronti" rileva della strategia da cattedra e non è mai esistita in pratica, perché inevitabilmente arriva il momento in cui l'una delle due lotte dovrà prevalere sull'altra.
Ci si chiede molto spesso: possiamo augurare la vittoria di un imperialismo sullo stalinismo, si può rimanere indifferenti al risultato della lotta che avrebbe come conseguenza di abolire le "basi socialiste" dell'economia sovietica? Si può rispondere molto facilmente domandando in cosa l'esistenza di queste basi costituisce oggi un fattore favorevole per lo sviluppo della rivoluzione mondiale. Si potrebbe anche evidenziare che queste obiezioni dimostrano una mentalità arretrata, che crede all'importanza distaccata di vittorie o di non-sconfitte locali ed isolate per venti o trenta anni, indipendentemente dal processo internazionale.
Ma il fatto essenziale si trova altrove. Si trova nell'ignoranza completa dell'ABC del marxismo di cui danno prova le persone che credono che all'epoca attuale una rivoluzione in tempo di guerra sia possibile all'interno di un paese senza che ciò implichi un'alta temperatura rivoluzionaria mondiale e senza che la vittoria di questa rivoluzione trascini anche per gli altri paesi una crisi capace per lo meno di legare le mani ad un intervento contro-rivoluzionario. È nei fatti questa considerazione che ha dettato o che doveva dettare la nostra politica disfattista all'interno dei paesi in guerra contro l'Asse. È anche questa fiducia nelle nostre idee e nella solidarietà internazionale del proletariato che deve guidare la nostra politica in URSS.
Beninteso, non si tratta di sostituire ora e su scala internazionale la propaganda difensista con la propaganda disfattista. La parola d'ordine della "rivoluzione indipendentemente da ogni rischio di sconfitta" è una parola d'ordine che ha un significato principalmente per la sezione russa. Per l'Internazionale in generale sarebbe inopportuno e pericoloso sottolineare in un modo speciale e di farne un punto centrale di propaganda. Senza mai perdere di vista la solidarietà internazionale del movimento, il proletariato di ogni paese deve lottare contro i suoi propri carnefici. Quel che importa oggi per L'Internazionale, è di avere una concezione chiara della natura dello stalinismo e di sbarazzarsi della deprecabile confusione creata dalla coesistenza mostruosa delle parole d'ordine "rivoluzione contro la burocrazia" e "difesa dell'URSS".
Nota sulla tesi Lucien, Guérin, Darbout
Questa tesi, con delle conclusioni pratiche con le quali siamo d'accordo (abbandono del "difensismo", disfattismo rivoluzionario in URSS), presenta accanto a delle lacune (mancanza di giustificazione del disfattismo, mancanza di un saggio di legame organico tra il fenomeno della degenerazione russa e la società capitalista), alcuni errori a nostro avviso molto essenziali perché se ne dicano poche parole.
Dopo aver, a giusto titolo, criticato il giuridicismo dovuto alla formula delle leggi invece di osservare la realtà economica, e dopo aver detto in sostanza che la collettivizzazione dell'economia sovietica non significa nulla a causa dell'espropriazione politica del proletariato, i compagni L., G., e D. scrivono a proposito delle nazionalizzazioni in Europa orientale "che esse non differiscono assolutamente da quelle che possiamo vedere in Europa occidentale". Ora, precisamente in questo caso è l'espropriazione politica della borghesia che rende queste nazionalizzazioni significative: la monopolizzazione, effettuata o in corso, del potere politico da parte dei partiti comunisti in questi paesi, rende la burocrazia staliniana padrona dei mezzi di produzione nazionalizzati, allo stesso modo, in generale, come lo è la burocrazia russa, benché in modalità diverse. Il che mostra ancora una volta che lo stalinismo persegue in questi paesi, sotto una prospettiva di breve i medio periodo, la politica che conduce su scala mondiale con una prospettiva di lungo termine, e cioè, una politica di assimilazione.
Il che ci porta ad un altro errore fondamentale dei compagni L., G., e D., consistente nell'identificare l'antitesi stalinismo-imperialismo con non importa quale antitesi imperialista; il che implica un'indifferenza in quanto al regime interno dei paesi occupati dall'Armata rossa e alle differenze fondamentali, della proposizione propria dei compagni, che presenta con quella dei paesi occupati dall'imperialismo; il che ci lascia completamente al buio quando si tratta di sapere perché lo stalinismo si appoggia, nella sua lotta contro gli imperialisti, sul movimento operaio degli altri paesi. I compagni comprendono perfettamente che il regime sovietico non è socialista e che non è obbligato per questo ad essere capitalista; perché non possono comprendere che la sua politica estera, per non essere rivoluzionaria, può ben essere non capitalista, e cioè anticapitalista? È per questo il termine "espansionismo burocratico" è di molto preferibile a quello di "imperialismo", sfumato in non importa quale modo.
Maximilien Rubel
[Traduzione di Ario Libert]
LINK al post originale:
Sur le régime et contre la défense del l'U.R.S.S.
LINK interni:
Maximilien Rubel, Karl Marx e il socialismo populista russo, (1947)
LINK al progetto di scannerizzazione totale della rivista Socialisme ou Barbarie: