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1 maggio 2014 4 01 /05 /maggio /2014 05:00

Utopia come alternativaotto-ruhle

Otto Rühle e la sua utopia antiautoritaria 

 

di Henry Jacoby

 

I precursori

Otto RUHLE, libro
Lungo l'arco della storia del mondo occidentale si muove una corrente d'opposizione diretta contro l'autorità come tale. Il lungo processo in cui l'autorità si organizza come stato e fa dell'uomo libero un suddito soggetto al pagamento di imposte, viene continuamente interrotto dalla sollevazione contro l'autorità. Alle idee di ordine e di stato si contrappongono ripetutamente le speranze d'un ritorno ad un mondo senza autorità. Queste speranze giocarono un ruolo attivo nei movimenti millenaristici del tardo Medioevo e all'inizio dell'evo moderno in Germania, nelle Fiandre e in Boemia, nella Jacquerie francese e nelle rivolte contadine in Inghilterra. Le troviamo presso i Taboriti e gli Adamiti della rivoluzione ussita, negli anabbatisti, nei lollardi e in altri movimenti. Queste speranze si esprimono in idee che fanno la loro comparsa insieme con i movimenti dei contadini e degli artigiani nei grandi rivolgimenti del XV e XVI secolo e che vengono contrapposte dagli intellettuali dell'epoca al mondo maligno e alla sua corrotta autorità. "Tutti questi pensieri, nostalgie, intenzioni e decisioni di stampo agrario e adamitico a sfondo mistico sono 'romanticismo'. Esso sono sorti in spiriti ricercatori, estranei ai campi e ai contadini, sono le uscite di sicurezza dei 'dotti' atterriti di quegli anni" [1].

Dal tempo della rivoluzione degli Ussiti in Boemia, che depose il re ma distrusse anche la "sinistra" millenaristica, Tabor e gli Adamiti, sono continuamente riaffiorati nei periodi di transizione movimenti che non soltanto volevano soppiantare l'autorità esistente, ma aspiravano ad un ordine senza autorità costituita o almeno al superamento della scissione tra autorità e società.

"Dal tempo degli Ussiti la caduta dei signori ereditari e l'eliminazione dei millenaristi costituiscono i due tratti caratteristici essenziali di tutte le grandi rivoluzioni europee sino al XX secolo. Tutte queste rivoluzioni, in fondo, non hanno portato la sollevazione radicale bramata dai millenaristi, l'equiparazione degli umili coi potenti, ma alla fin fine sempre e soltanto la sostituzione del ceto superiore dominante con quello immediatamente seguente, e niente di più" [2].

Accanto alle grandi rivoluzioni europee che hanno condotto ad un reale mutamento della struttura sociale, si è dato il caso, specialmente nelle zone agrarie arretrate e più povere, di numerose e spontanee "rivolte senza domani" di cui parla Eric J. Hobsbawm nella sua storia dei ribelli primitivi; rivolte avvenute sotto l'influsso di profetiche figure di capi che proclamavano la fede in un improvviso mutamento dell'esistenza divenuta ormai intollerabile e nell'avvento imminente del giorno della completa libertà [3].

Successivamente, in quelle terre povere e a stento toccate dall'industrializzazione  capitalistica, in cui le rivolte primitive erano scoppiate e scomparse a somiglianza d'un uragano, l'anarchismo poté riallacciarsi a quei sentimenti che costituivano l'anima delle rivolte e che divennero il fondamento di idee e d'organizzazioni politiche.

 

otto-Ruhle-ritratto-di-Diego-Rivera1940

Otto Rühle, ritratto da Diego Rivera, 1940.


woodcockCome constatò George Woodcock nella sua Storia dell'anarchismo, "l'anarchismo ha sempre esercitato maggiormente la sua forza d'attrazione proprio su quelle classi che rimasero fuori della grande corrente del mondo industrializzato" [4].  

tolstoi coloriI principali teorici dell'anarchismo provenivano dall'alta nobiltà russa - Bakunin, Kropotkin, Cerkezov, Tolstoi - che, resa politicamente impotente dallo stato autocratico e dalla sua burocrazia, nutriva sentimenti antistatali. In Russia le teorie dell'anarchismo si riallacciavano alla tradizione di rivolte contro lo strapotente apparato statale, di fronte al quale non c'era altra alternativa che la sottomissione o la rivolta [5].

In Russia, dove non poteva formarsi alcuna borghesia liberale, all'opposizione intellettuale contro l'autocrazia che uccideva ogni parvenza di vita spirituale non rimaneva altro che la fede nella "gente semplice" e, poiché questa gente rimaneva sottomessa, la speranza si trasferì agli esclusi, ai bandoti, ai reietti. Masaryk trovava che "per la Russia Bakunin crede nei masnadieri alla Pugacev e alla Rasin, per l'Europa ha fiducia nel Lumpenproletariat. Il suo anarchismo è la libertà dei cosacchi russi" [6].
 
proudhon-d
Nell'Europa occidentale "l'anarchismo organizzato del XIX e XX secolo era un movimento di ribellione piuttosto che di rivoluzione. Esso era l'espressione di una protesta e s'era votato all'opposizione contro quella tendenza alla centralizzazione politica ed economica che predominava sin dalla metà del XVIII secolo, e contro tutto quello che questa tendenza comportava d'oppressione dei valori personali e di subordinazione dell'individuo allo Stato" [7]. Come movimento di protesta così configurato, l'anarchismo non ha sviluppato alcuna vera e propria teoria del superamento dell'ordine sociale esistente, proprio perché si situava al di fuori delle tendenze realmente operanti in esso. Agli inizi dell'industrializzazione in Francia Proudhon, che esercitò una certa influenza sugli anarchici come Bakunin, col suo monito a guardarsi dall'autorità centralizzata gerarchicamente con i suoi piani d'un ordine sociale basato in larga misura sulla piccola proprietà e costruito su un sistema di credito organizzato, rimase prigioniero nelle sfere d'una fantasticheria lontana dal reale. Quando più tardi le sue idee cominciarono ad orientarsi maggiormente verso la realtà e l'esistenza della classe operaia, si professò a favore d'uno stato- anche se non burocratico e a carattere federativo- e di un equilibrio fra libertà e autorità.

Agli anarchiBakunin Nadarci mancava però la risposta alla domanda su che cosa sarebbe successo all'"indomani della rivoluzione". Bakunin non poté sottrarsi del tutto a questa domanda. Nella sua Confessione scrisse: "Io credo che in Russia più che altrove sarà indispensabile un forte potere dittatoriale, un potere che si occupi esclusivamente dell'educazione e dell'istruzione delle masse, un potere libero nelle sue aspirazioni e nel suo spirito, ma senza forme parlamentari; che pubblichi libri di contenuto libertario, ma senza libertà di stampa; un potere circondato da compagni di lotta, da essi consigliato e rafforzato dalla loro libera opera di collaborazione, ma non limitato da niente e da nessuno. Mi son detto che tutta la differenza tra questa dittatura e il potere monarchico dovrebbe consistere nel fatto che essa, conseguentemente allo spirito dei suoi principi, deve tendere a rendersi superflua, dal momento che non dovrebbe avere alcuna altra mèta che la libertà, l'indipendenza e la maturità del popolo" [8].

E nello stesso scritto
  dice anche, connettlau1 riferimento alla rivoluzione di Praga, cui Bakunin aveva avuto un'attiva parte direttiva: "A Praga doveva esserci la sede del governo rivoluzionario, d'un governo provvisto d'illimitati poteri dittatoriali... Si sarebbe fatta finita con tutti i circoli, tutti i giornali, tutte le manifestazioni di un'anarchia chiacchierona. Tutto avrebbe dovuto essere sottoposto ad un potere dittatoriale" [9].

Max Nettlau, seguace e biografo di BakDzerzhinsky1919unin, osservò a questo proposito che era una leggenda che Bakunin volesse la dittatura. Persone senza preconcetti dovrebbero riconoscere che qui si tratta più di una misura puramente tecnica, della dittatura tecnica del lustrascarpe, del sapone e dello scopo... [10]. Il problema però è proprio costituito dal fatto che nelle dittature rivoluzionarie, si tratta sempre di misure "tecniche" di pulizia. Quando Lenin affidò la GPU a Dzierzinski come al più puro di tutti gli uomini, seguiva proprio una tale idea di pulizia.

Lenin KarpovNettlau aveva completamente ragione di ritenere che Bakunin non avesse voluto la dittatura [11], ma quando a questi capitò di pensare all'indomani della rivoluzione, si fece strada in lui l'idea della "dittatura tecnica", e quando più tardi parlò d'uno stato maggiore rivoluzionario, era anche questo un organo dittatoriale al pari del comitato centrale leninista.

Ha corrisposto pienamente al carattere d'un movimento di protesta il fatto che l'anarchismo si sia frantumato sempre in molte direzioni (che si combattevano l'un l'altra): alcune che vedevano nella violenza un mezzo essenziale dell'azione politica, altre che proclamavano la non violenza come la sola a corrispondere al fine dell'anarchia; alcune che ponevano l'accento sull'individualismo, altre sul collettivismo. In un mondo in cui tutto spingeva alla centralizzazione, essi volevano tenere in piedi i principi del federalismo, in un mondo in cui tutti gli interessi erano rappresentati in potenti organizzazioni burocratiche, essi cercavano di permanere in un contesto libero da ogni legame [12]. In un mondo in cui si pretendeva  tutto dallo stato, essi propagandavano la sua soppressione. Ma la classe operaia cui essi si rivolgevano era nella sua grande maggioranza meno interessata ad una lotta eroica contro lo Stato che non alle richieste sociali che essi stessi gli ponevano [13].

Nella seconda metà del XX secolo quindi anche la Storia dell'anarchismo di Woodcock poteva riferire nella conclusione soltanto che "ci sono ancora migliaia di anarchici sparsi minutamente in molti paesi del mondo. Ci sono ancora gruppi anarchici, riviste, scuole e comuni. Essi sono il fantasma del defunto movimento anarchico storico, un fantasma che non è in grado di risvegliare né la paura nei governi né la speranza nel popolo".

Anche sulla Germania il movimento anarchico aveva gettato solo una debole ombra. L'anarchismo tuttavia non era soltanto un movimento, ma anche una critica assoluta delle forme e dei contenuti sociali. Se il movimento anarchico nuotò contro la corrente della storia cui non seppe imprimere un nuovo corso, il suo occhio critico vide però molte cose più acutamente di quanto non fecero le forze che lottavano per la società esistente. La critica anarchica della crescente centralizzazione, della direzione burocratica e della perdita della spontaneità toccò l'autentica problematica della società moderna. Il movimento operaio tedesco, che si sentiva movimento d'opposizione contro l'ordine sociale esistente e che come tale veniva considerato, si dimostrò esso stesso compenetrato dalle tendenze di quest'ordine sociale. Certo, Marx ed Engels, nei loro lavori teorici, avevano sottoposto anche queste tendenze ad un'analisi critica; ma la socialdemocrazia tedesca si creò un marxismo che, come constatò Otto Rühle, corrispondeva più al proprio spirito che a quello dell'opera di Marx [14]. Inoltre Marx ed Engels al tempo in cui, nell'Internazionale, furono coinvolti in una lotta per il potere coi bakuniniani, rividero alcune loro concezioni teoriche e le abbandonarono. Per certuni che avevano creduto profondamente alle speranze e alle promesse contenute nel socialismo e nel movimento socialista, e si erano impegnati attivamente in loro favore, la critica antiautoritaria, in seguito alla politica di guerra del partito e del sindacato tedesco (e non soltanto tedesco) nel 1914, si rivestì d'una nuova e particolare attualità.

 

Una nuova concezione

La Rivoluzione Russa sembrò dimostrare ai socialisti tedeschi più decisi che l'apparato autoritario dello stato poteva esser sostituito da un apparato di autogestione, il sistema dei consigli, che poggiava sulla classe operaia. La nascita dei consigli degli operai e dei soldati in Germania sembrò aver messo anche qui all'ordine del giorno la realizzazione di questa possibilità [15]. Da questo angolo visuale, le istituzioni del movimento operaio tedesco che si erano opposte a tale realizzazione o perlomeno non servivano a questo scopo, avevano fatto il loro tempo. Quando il 30 dicembre 1918 si riunì il congresso di fondazione del Partito Comunista Tedesco (KPD), i delegati si sentirono i creatori di qualcosa di completamente nuovo. La maggioranza di essi voleva una rottura completa col passato. Un delegato di Berlino annunciò: "Bisogna rallegrarci del fatto che noi oggi possiamo proclamare di esserci liberati dal torpore autoritario dei nostri capi" [16]. Predominava la volontà che il nuovo partito divenisse qualcosa di totalmente diverso dalla socialdemocrazia tedesca. La maggioranza dei delegati rifiutava l'adesione ai sindacati e la partecipazione alle elezioni per il parlamento. Quale oratore di questa maggioranza, Otto Rühle indicò la necessità che la classe operaia si creasse un organo proprio, contrapposto all'assemblea nazionale [17]. Ma certamente tutti i delegati erano d'accordo nella convinzione che fosse appena cominciato un processo rivoluzionario nel corso del quale sarebbero crollate tutte le vecchie istituzioni.

In questa esaltazione originaria della sensazione di vivere l'avvento di una nuova epoca, l'ammonimento di Rosa Luxemburg, che il congresso rappresentava solo una piccola minoranza della classe operaia, passò inosservato. Riguardo all'apparato dello Stato ancora minacciato proprio dai consigli degli operai e dei soldati, Karl Liebknecht già in quel momento a dire il vero poté constatare che "il vecchio apparato burocratico era stato di nuovo ripristinato nelle sue funzioni" [18]. Sconfitto da questo apparato, il nuovo partito ritornò alle tradizionali forme del movimento operaio, e nel suo secondo congresso nell'ottobre del 1919 la maggioranza che persisteva nella sua concezione antiparlamentare e antisindacale fu espulsa dal partito. La sua concezione rimase che l'idea del sistema dei consigli dovesse esprimersi anche nelle forme organizzate del movimento operaio ed esigesse una totale separazione di quest'ultimo dallo Stato borghese e dai suoi organi. Come portavoce di questa concezione, Otto Rühle scrisse: "Il proletariato, organizzato nei luoghi di produzione, costituisce a partire dalle fabbriche una organizzazione unitaria. Dall'organizzazione di fabbrica, mediante delegati destituibili, vengono costituiti delegati locali e del Land. Questa organizzazione serve tanto alla preparazione della rivoluzione quanto all'assunzione del potere nell'economia e nello Stato" [19].

La tensione rivoluzionaria nella repubblica di Weimar continuò a sussistere fino all'estate del 1923, punto finale della grande inflazione. Ma la minoranza della classe operaia, che credeva ancora ad uno sviluppo rivoluzionario, stava sotto l'influenza di Mosca quale Mecca della rivoluzione. Il movimento anti-autoritario si disperse a poco a poco, si frantumò in numerosi gruppi, che si combattevano l'un l'altro e si assottigliavano in piccole sette [20].

Il punto di vista comune delle organizzazioni comuniste dei consigli era stato formulato dopo il 1918 da una serie d'intellettuali che provenivano dal movimento operaio, soprattutto dagli olandesi Pannekoek e Gorter. Rühle però, dopo che il movimento era fallito nella prassi concreta, intraprese l'elaborazione d'una teoria che comprendesse la visione di un movimento di massa antiautoritario e l'utopia d'un nuovo ordine sociale scaturente da esso.

Rühle partiva dalla rappresentazione marxiana del ruolo storico del proletariato, concezione che era stata messa da parte dalla socialdemocrazie e che contrastava con la teoria e la prassi dei bolscevichi. Rühle poteva raffigurarsi il sorgere d'una società socialista solo come il risultato dell'azione collettiva e autocosciente del proletariato. Questa autocoscienza di dui aveva bisogno per la sua autoliberazionje, il proletariato doveva però prima conquistarsela. Marx ed Engels avevano espresso questo pensiero nelle Tesi su Feuerbach: "La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti d'un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente, e che l'educatore stesso dev'essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società..." [21].

Ma era proprio questa scissione a costituire il principio fondamentale della teoria dell'organizzazione e della prassi leninista; Rühle volle contrapporle un'alternativa.

Se il proletariato in quanto classe aveva il compito storico di rovesciare la realtà, la sua azione doveva partire da dove esso esisteva realmente in quanto classe, dalla fabbrica. Qui il proletariato era organizzato dalla forza delle cose stesse e non aveva bisogno d'un apparato burocratico. I dirigenti potevano uscire solo dalle sue proprie file e non sarebbero diventati con questo dirigenti di professione.

Se si trattava di creare una società socialista in cui  

 



 

 

 

 

 




Henry Jacoby



[A cura di Ario Libert]

LINK all'opera integrale "Il coraggio dell'utopia" edizione italiana del 1972:


LINK allo scritto in lingua francese:

LINK all'opera originale in lingua italiana:

NOTE
 
[1] Will-Eric, Peukert, Die grosse Wende, Hamburg 1948, p. 252.
[2] Hans Conrad Peyer, "Soziale Unruhen im Spatmittelalter", Neue Zürcher Zeitung, 22 gennaio 1967.
[3] E. J. Hobsbawm, Primitiva Rebels, Manchester 1959 (trad. it.: I ribelli, Torino 1966).
[4] George Woodcock, Anarchism. A History of libertarian Idea and Movements, Cleveland-New York 1962 (trad. it.: L'Anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Milano 1969). Lo stesso si può dire anche in riferimento alla IWW (Lavoratori dell'industria del mondo), questa organizzazione autinoma e dotata di propria volontà, che comprendeva un ceto operaio non ancora inquadrato nella società industriale americana.
[5] Nicolas Berdiaev, The Russian Idea, New York, 1948, pp. 142 sgg.
[6] Th. G. Masaryk, Zur russischen Geschichts und Religionsphilosophie, Vol. II, Jena 1913, p.34.
[7] Georeg Woodcock, op. cit., p. 469.
[8] Michail Bakunin, Confession, Annotations de Max Nettlau (Confessione, La Fiaccola, Ragusa, 1977), Parigi 1932, pp. 169 sg, 210 e appendice.
[9] Ibidem, p. 200.
[10] Ibidem, Appendice. 
[11] Con spirito di veggente Bakunin scrisse nel 1868 al suo seguace Chatssin: "...la combinazione più infelice che si potrebbe avere sarebbe che il socialismo si collegasse con l'assolutismo; le aspirazioni del popolo alla liberazione economica e al benessere materiale con la dittatura e la concentrazione di tutti i poteri politici e sociali nello stato. Ciò che è vivo e umano non può crescere al di fuori della libertà, e un socialismo che la scacciasse dal suo centro o non l'accogliesse come base e come unico prioncipio creativo, ci condurrebbe dritti alla schiavitù e alla bestialità...".
 [12] Gli anarchici non cercavano affatto nella realtà dei punti d'aggancio per le loro mete, bensì ritenevano che la realtà dovesse un giorno adeguarsi alle loro belle idee, e se no, così si espressero con Max Nettlau, "tanto peggio per la povera umanità, se si sa figurare con tanta lentezza la possibilità di felicità e libertà".
[13] Gli anarchici fecero sentire ben presto le loro lamentele sull'"aristocrazia operaia" e l'"integrazione della classe operaia". Già nel 1873 Bakunin scriveva che l'Italia possedeva un potenziale rivoluzionario, poiché "là non ci sono- come in molti altri paesi europei - strati operai particolari, che siano già in parte privilegiati grazie ad alti salari, che facciano un qualche conto della loro formazione letteraria e che siano fino a tal punto compenetrati delle idee, delle aspirazioni e delle vanità borghesi, che gli operai che ne fanno parte si distinguono dai borghesi solo per le loro condizioni d'esistenza, ma non per le loro tendenze" (Étatisme et Anarchie, Archives Bakouinine, Leiden 1967, p. 206).
[14] Anche Karl Korsch aveva constatato che "... decisiva per l'orientamento del pensiero di milioni di proletari in tutti o paesi europei (fu) essenzialmente... la più tarda forma ideologica di essa (cioè della dottrina di Marx), riaccomodata da Kautsky e da altri" (Archiv für die Geschichte des Sozialismus der Arbeiterbewegung, XIV, 2, 1929, p. 278).
[15]
[16]
[17]
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