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25 maggio 2012 5 25 /05 /maggio /2012 05:00

Henri Gustave Jossot (1856-1951)

 

jossot

Colloquio tra Henri Viltard e C. Arnoult [1]



jossot-01.jpgDa qualche parte sotto i tetti di Parigi, Henri Viltard mi accoglie nel suo piccolo appartamento mansardato. Abbiamo già avuto il tempo di simpatizzare davanti al piatto del giorno di uno snack, da cui il darsi del tu durante la discussione che segue, discussione gradevolmente profumata dagli effluvi di un tè speziato.

C. Arnoult: Per cominciare, puoi raccontarmi come hai iniziato ad interessarti di Jossot?

Henri Viltard: Al momento di scegliere l'argomento della mia tesi, non volevo lavorare su di un soggetto museizzato. Tradizionalmente, la storia dell'arte vi destina piuttosto alle arti nobili e sono stato attratto dall'idea di confrontare i metodi peculiari a questa disciplina con un oggetto che ancora gli sfuggiva...

C.A.: Del genere?

H.V.: Ebbene, ho dapprima pensato a studiare dei volantini illustrati. Il che mi avrebbe portato ad una riflessione sull'articolazione tra arte e politica, l'uso dell'immagine mobile, ecc.

C.A.: Ma non hai potuto farlo...

H.V.: No. I fondi d'archivio che raccolgono questo genere di supporti erano all'epoca mal identificati e questo avrebbe procurato molti problemi. E poi avevo già cominciato a leggere qualche tesi sulla storia delle riviste quando il mio futuro direttore di tesi mi ha parlato di "L'Assiette au Beurre". All'epoca, ero a Strasburgo, dove non c'erano collezioni. Ho dovuto quindi recarmi a Colmar per consultare la rivista. E là, non so se la cosa sia veramente regolare ma ho potuto prendere in prestito tre annate di "L'Assiette au Beurre", per la durata di quindici giorni, come se si fosse trattato di riviste moderne!!! Naturalmente, non appena uscito dalla biblioteca, ho voluto dare un'occhiata all'interno dei volumi. È quel che ho fatto in quella specie di chiostro che si trova tra la biblioteca e la strada. È lì che ha avuto luogo il mio primo contatto con i disegni di Jossot...

C.A.: In un chiostro? Per un caricaturista anarchico...

H.V.: … ma più o meno mistico! Sì, questo non si inventa! Dunque, apro un volume, giro le pagine rapidamente, e là, un disegno di Jossot mi colpisce nell'occhio, direttamente...

C.A.: Perché? Non capisco...

H.V.: Aspetta e vedrai.

Henri si alza, passa nella stanza accanto e torna con un'annata di "L'Assiette au Beurre". L'apre e sfoglia i numeri davanti a me. I disegni scorrono: dei colpi di matita, un po' di colore ma soprattutto per rialzare dei grigi..., e, di colpo, un tratto spesso, nero profondo, che forma degli arabeschi e che abbracciano delle grandi distese spesso rosso vivo che saltano agli occhi. È Jossot. Ora capisco!

C.A.: Non capisco molto di storia dell'arte, ma questi disegni mi fanno pensare ai grotteschi del Rinascimento...

H.V.: Sì, ma il tratto di Jossot, la sua estetica dell'arabesco, sembra anche terribilmente “moderno”! È ciò che, in seguito ho cercato di capire: com'era venuta l'idea a questo disegnatore di impiegare questo genere di tratto che si diceva “moderno”. E soprattutto perché? Qual era il legame tra il suo umorismo, il suo disegno e le sue posizioni politiche, ecc?

C.A.: Allora giustamente, parliamo delle sue posizioni politiche, o per lo meno filosofiche. Da quel che ho letto sul tuo sito, Jossot è anarchico all'inizio, poi si converte all'Islam, un po' prima dei cinquant'anni, e finisce la sua vita come ateo... Un po' versatile, il brav'uomo! Si ha un'idea delle sue motivazioni?

H.V.: Il poeta Jehan Rictus lo considerava una banderuola!... eppure, se si riflette bene, Jossot è stato molto meno banderuola del suo amico che è passato da simpatie anarchiche all'ammirazione per l'Action française.

C.A.: E Rictus non è sfortunatamente stato l'unico caso... Penso tra gli altri a Émile Janvion, Adolphe Retté, Fagus, Urbain Gothier... senza dimenticare Gustave Hervé, passato dall'antimilitarismo più virulento al bellicismo più sfrontato!

H. V.: Ed anche tra i disegnatori di "L'Assiette au Beurre", ex rivoltosi, anarchici o comunisti, si possono citare Hermann-Paul, Naudin, Grandjouan, Steinlen... che a modo loro si sono adattati alla guerra. Ad ogni modo, è qualcosa che non si può rimproverare a Jossot: è pacifista prima della guerra, e lo resta durante e dopo! Nelle sue lettere, non esita inoltre a prendersi gioco dei suoi amici, di Rictus giustamente e anche dello scultore Henri Bouchard e del pittore Jean-Julien Lemordant.

C.A.: È tutto a suo onore! E ciò lo avvicina sicuramente ad Han Ryner. Ma torniamo all'itinerario un po' tortuoso (quanto i suoi disegni!) di Jossot.

H.V.: In realtà, c'è una logica profonda nel suo percorso. Innanzitutto, Jossot non è mai stato veramente anarchico; ha molto raramente indossato quest'etichetta (le rifiutava tutte) e non si è mai posto sul terreno dell'azione. Diffidava di ogni forma di organizzazione collettiva e degli opinionisti, fossero pure anarchici.

C.A.: Diffidenza che condivideva Ryner...

7264140070_8f657b8e7f.jpgH.V.: Jossot ha inoltre scritto un romanzo Viande de Borgeois, che si beffa completamente dei compagni... Ha disegnato diverse caricature contro di loro. Una di queste oppone un "gregge" di bombaroli... alla sua propria sagoma: "Non è anarchico ed ha la sfrontatezza di credersi libertario!", dice la didascalia. Penso che ciò descriva molto bene ciò che poteva infastidire Jossot nei gruppuscoli anarchici...

C.A.: Capisco... Dunque, se ho capito bene, può essere innanzitutto concepito come un non conformista, o per utilizzare una parola più forte e dell'epoca un "al di fuori"... Ma guarda, a questo proposito, ho notato sul sito internet dedicato a L'Assiette au Beurre [2], i cinque numeri presentati in tema sul conformismo e delle convenzioni sociali, numeri di caricature naturalmente, tutti firmati da Jossot... Bene, ma allora non capisco come Jossot rifiutando tutti i conformismi (compreso quello degli anarchici) si ritrova convertito all'Islam.

H.V.: La ragione della sua conversione all'Islam è naturalmente stata una grande fonte di interrogativi nel mio lavoro. Jossot è stato ferocemente anticlericale, ma ciò non implicava che sia stato un ateo militante. Se l'è presa con il clero e le pratiche della Chiesa, non con la fede... E poi la perdita della figlia, fulminata da una meningite, lo ha duramente colpito. Ha cominciato a frequentare degli occultisti per entrare in contatto con lo spirito di sua figlia, poi si è affigliato ad una loggia della massoneria... tutte esperienze inutili, che andranno ad alimentare le sue caricature!

C.A.: Divertente (se così si può dire!), ma Ryner ha vissuto un trauma simile. Nel 1892, perde sua figlia di sette anni. Ne soffre enormemente, sino ad avere delle allucinazioni uditive... Al contrario di Jossot, ciò non ha portato Ryner (o Henri Ner, all'epoca) all'occultismo o all'esoterismo, anche se frequenterà molto più tardi, verso il 1910, L'Hexagramme, un gruppo artistico-esoterico. Per contro, ho tendenza a pensare che quest'avvenimento non rientri affatto in quel che egli stesso chiamerà la sua “conversione” all'individualismo, che interviene verso il 1895.
la doma, 012H.V.: Nel caso di Jossot, credo comunque che non si possa spiegare tutto il suo destino attraverso questo lutto. Non bisogna dimenticare che è stato formato da tutta una generazione di pittori simbolisti più o meno panteisti o spirito-mistici. Un pittore come Ivan Anguéli, vicino ad Émile Bernard, si è convertito all'Islam dal 1898. Di origine svedese, si è anche affiliato alle logge, e militato per le idee anarchiche prima di far della propaganda anticolonialista al Cairo. È anche lui che ha iniziato René Guenon al sufismo... Tutto questo per dire che le passerelle che portano dalla Bretagna detta “primitiva” alla ricerca di una tradizione esoterica orientale, non sono rare. Detto ciò, Jossot ha effettuato il suo primo viaggio in Tunisia, poco dopo il decesso di sua figlia nel 1896, a motivo di cambiamento d'aria. Se questa perdita è veramente all'origine della sua ricerca spirituale, ci si può chiedere perché attenda il 1904 per sprofondare realmente in una grave depressione. Bisogna capire che a quest'epoca la situazione dei disegnatori non è forzatamente evidente e Jossot non sopporta che gli si rifiuti dei progetti o che gliene si imponga.

C.A.: Il rifiuto di prostituirsi...

H.V.: Credo soprattutto che l'esercizio quasi esclusivo della caricatura conduce a poco a poco a una visione insopportabile dell'umanità e dell'esistenza terrena. Jossot lo dice abbastanza chiaramente nel suo romanzo: “dove fuggire” queste visioni da incubo? Come sbarazzarsi di una società così brutta? È in questo stato di spirito che egli intraprende il suo secondo viaggio in Tunisia.

C.A.: Per risiederci?

H.V.: Non subito, ma durante gli anni seguenti, egli torna regolarmente nel deserto per sfuggire all'inferno parigino e dedicarsi alla pittura. I deserti sono sempre stati dei luoghi di meditazione e di eremitaggio, altri oltre a me hanno tentato di descriverne le ragioni. Resta sempre l'idea che il fatto di convertirsi all'Islam lo attraversa alla vista degli spettacoli fiabeschi del deserto che egli contempla dal suo balcone, a Nefta, durante l'inverno 1909. Jossot prepara in seguito la sua partenza, vende i suoi beni e si installa a Tunisi nel 1911. Lo si vede curiosamente frequentare la cattedrale dove va ad ascoltare un predicatore che sapeva attirare degli intellettuali non credenti per la qualità filosofica dei suoi sermoni. Ho un po' tendenza a pensare che questo riavvicinamento con i cattolici fa parte di una strategia destinata a dare maggiormente peso simbolico e mediatico al suo colpo finale. Mostrando della buona volontà, egli svalorizza ulteriormente anche la religione dell'Occidentale. Nel contesto coloniale, è veramente tutto il suo “clan” che egli rinnega... Insomma, questa conversione può essere vista come un atto caricaturale o una caricatura in atto.

C.A.: Una specie di esibizione allo stesso tempo artistica e politica, che si ricongiunge al suo mestiere di caricaturista... un'incarnazione della sua arte in qualche modo!

H.V.: E si tratta sempre di singolarizzarsi... Come diceva egli stesso: "Intellettuale, sì! Ma è per singolarizzarmi!".

jossot-intellettuale.jpg

 

 


C.A.: Allora, si può pensare che Jossot non si è convertito che per anticolonialismo, con tutta la volontà di provocazione che si può trovare presso un caricaturista! Voglio dire che si può lo stesso seriamente dubitare della sincerità della sua fede...

H.V.: Sì, e i suoi contemporanei hanno tanto più dubitato seriamente che Jossot si è mostrato molto attaccato ai dettagli delle apparenze. Poiché era abbastanza un bel uomo aveva visibilmente piacere a pavoneggiarsi in mantellina e a sorprendere i suoi amici. Bisogna quindi relativizzare questo lato superficiale e mediatico del personaggio, perché era innanzitutto  un solitario, che frequentava un circolo di amici molto scelti ed evitando tutte le mondanità artistiche. Ho incontrato uno degli ultimi Tunisini che lo hanno conosciuto e questo vecchio signore me lo ha descritto come un uomo discreto e anche “segreto”.

Detto ciò, sapere se Jossot era sincero oppure non, non mi sembra la cosa più interessante. Dopotutto, era probabilmente il solo a saperlo, e, in fin dei  conti il solo a cui la cosa riguardava. Il fatto di usare la religione per delle finalità politiche e satiriche, o il fatto di travestirsi da musulmano, non implica necessariamente che abbia simulato la sua fede.

Si convertì – o piuttosto abiurò la sua antica fede, - perché trovava nell'Islam una religione molto semplice, senza clero, e cioè senza gerarchia, senza rappresentazione.


Raffreddati--06
jossot-la-rogna.jpgSe si osserva attentamente, la caricatura di Jossot stesso a degli interrogativi metafisici. Degli albi come Les Refroidis [I Raffreddati] o La Graine [La Rogna] sono collegati, né più né meno, alla condizione umana! Contro coloro che gli rimproverano di non essere comico, Jossot rivendicava ferocemente il diritto di essere "pensatore" o "filosofo". A forza disen manipolare nelle sue caricature dei concetti semplificati, di mobilitare dei ragionamenti binari, di ridurre la diversità, la complessità, le sfumature del mondo reale, Jossot ha alimentato il suo disgusto per le cose terrene e ha rinforzato la sua attrazione per il mondo dello spirito e delle idee. Non è un caso se egli si orienta in seguito verso il sufismo: il fakir ottiene un'illuminazione ritenuta in grado di farlo vivere in unione o in fusione con la divinità, senza intermediari...



jossot-i-Raffreddati.JPG
 

C.A.: Niente sacerdote per dirti cosa pensare o credere... Ecco cosa conviene a chi ha sempre diffidato dei pensatori professionisti...

H.V.: Sì, ma ciò non è senza contraddizione: Jossot accetta comunque di essere guidato dallo sceicco Al-Alawi... Nelle sue Memorie tuttavia, definisce stranamente il sufismo come “il libero pensiero dell'Islam”... ecco cosa riconcilia “lo schiavo del Generoso” (Abdul-'l-Karim) – il nome musulmano di Jossot) al libero-pensatore!... ma è al prezzo di una comprensione molto superficiale del sufismo!!! Infatti, Jossot assimila abusivamente questa corrente mistica dell'Islam a un panteismo, di modo che finisce con il credere a un Dio impersonale che vuole ancora chiamare”Allah”.

C.A.: Uhm! È un po' una manipolazione spirituale, tutto ciò... Ma ad ogni modo, questo dimostra che è aldilà di un atto di sola rivolta politica o, diciamo piuttosto, culturale.

H.V.: Sì, ma il suo impegno durerà poco. Verso il 1927, smette di esternare i segni nel vestirsi che egli associa all'Islam. Jossot non ha imparato l'arabo e si trova di colpo un po' ridicolo. Lo spettacolo dei Tunisini che tentano di mimare l'eleganza europea, non senza goffaggine, funziona come uno specchio...

C.A.: Fine dell'episodio musulmano, dunque E il resto della sua vita: ateo?

jossot-sentier.jpg

H.V.: Se ho parlato di ateismo a suo proposito è a causa delle ultime pagine di Goutte à goutte [Goccia dopo goccia], le sue memorie, di una dedica del suo Le Sentier d'Allah [Il sentiero di Allah] che comincia con “errare humanum est”, e della sua sepoltura non religiosa. Ma altri possono interpretarlo altrimenti... Ad ogni modo, non sono sicuro che sia veramente importante per capire il suo pensiero e la sua opera che restano definitivamente segnati dal dubbio

C.A.: Sino alle ultime righe, pungenti e magnifiche, di Goccia dopo goccia, nelle quali si interroga sulla morte...

H.V.: Sì.

C.A.: Possiamo citare ampiamente?

H.V.: Se vuoi.

C.A.: Allora ecco: "[...] sono troppo occupato per conoscere la noia; la mattina, mi alzo, mi vesto, riscaldo la mia cioccolata; la ingurgito; continuo a prepararmi, accendo la mia prima pipa; constato allora che la mia provvista di tabacco è terminata ed esco per rifornirmene. Quando rientro, sgrano i piselli che riservo per il mio pranzo. Quando li ho tutti estratti, li metto in una pentola e la ripongo ssul fornello... e ciò va avanti per il resto della giornata; trovo raramente qualche istante per meditare. Essi si presentano a volte, tuttavia, quando cerco di risolvere il Grande Problema: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?.
È una distrazione come un'altra, vale quanto le parole crociate.
All'ultima delle tre domande, sarei tentato di rispondere: "Alla fossa finale", se lo Sceicco della confraternita di Mostagamem di cui ho già parlato non mi avesse insegnato che dopo la mia morte, un debole lucore: la lucidità della mia coscienza si dirigerà verso la grande Luce del Mondo Infinito.
Sono troppo educato per permettermi di contraddirlo, benché si possa sostenere, con altrettanta plausibilità, la seguente tesi: “In fondo alla fossa finale, dormiremo profondamente, senza avere incubi e non ci risveglieremo mai".
Per parte mia, se avessi la libertà di scegliere, sarebbe quest'ultima ipotesi che avrebbe la mia preferenza: cessare di essere, non vedere più nulla, non udire più, non provare nulla! Gli uomini mi daranno infine la Pace con il Riposo Eterno per soprammercato! È la grazia che mi auguro!".

Te lo devo confessare: me lo auguro anch'io!!!

Ma aspettando, io, non ti "darò pace", perché non hai ancora parlato di ciò che ci ha portato ad incontrarci, e cioè le relazioni tra Jossot e Ryner. Lo abbiamo visto, vi sono delle convergenze innegabili nella sensibilità dei due uomini: sono entrambi degli individualisti, degli “en-dehors*”; nessuno dei due è caduto durante la guerra nella trappola della "unione sacra"; entrambi sono antidogmatici compreso in rapporto ad eventuali dogmi rivoluzionari; entrambi sono anticlericali anche se restano attratti dalla ricerca metafisica, il mistero in senso spirituale... Sono stati senz'altro colleghi di penna in certi periodici – Le Bonnet rouge, Le Journal du Peuple... Ma ciò non significa che erano stati in contatto diretto. Per quel che mi riguarda, prima di ricevere il suo messaggio che annunciava la creazione del tuo sito, ignoravo che ci fossero state delle relazioni tra di loro!

H.V.: Bene, non vi sono altre cose notevoli inoltre. Ma ho ritrovato una lettera destinata a Han Ryner così come un esemplare con dedica di Il sentiero di Allah: “A Han Ryner il cui pensiero, malgrado le apparenze, è fratello del mio”. Bisogna dire che a quest'epoca, sconfessa già il contenuto della sua opera...

C.A.: La banderuola.

H.V.:  È soprattutto che ha avuto talmente tante difficoltà a far pubblicare Il sentiero di Allah che nel tempo occorso a ciò, è già passato a un altro credo!..

C.A.: ...che sarebbe?

H.V.: Niente meno che un Vangelo dell'inazione! "Nella nostra epoca in cui non si sogna che a guadagnare del denaro esso sarà considerato come l'elucubrazione di un vecchio pazzo", vaticina nella lettera a Han Ryner, giustamente.

C.A.: Allettante. E cosa elucubra il vecchio pazzo?

H.V.: Insorge contro una civiltà più preoccupata di produrre dei beni di consumo che del suo sviluppo intellettuale e umano. Denuncia la bestialità delle convenzioni sociali, la menzogna e l'ipocrisia di coloro che fingono di non vedere che si creano dei nuovi bisogni senza procurarsene i mezzi per soddisfarli. addita con cinismo le contraddizioni di un sistema capitalista fondato sul dominio dei popoli “primitivi” e che conduce alla carneficina che è stata la Prima Guerra mondiale. Tira il bilancio ecologico della “agitazione” dei bianchi e stigmatizza i suoi effetti sul pensiero e i comportamenti. In breve, si direbbe oggi che egli preconizza la decrescenza e la meditazione... o che è completamente retrogrado come molti vecchi!!!... Da parte mia, trovo nella sua prosa un soffio di rivolta piuttosto vigoroso... e ammiro il modo in cui riattualizza una filosofia stoica multisecolare, primitiva, è vero, con un certo numero di luoghi comuni caricaturali! Ecco, non resisto al bisogno di leggerti un passaggio: "Che follia l'agitazione! Che errore considerarla come come la Panacea che guarirà il mondo! Sempre e ovunque urtiamo contro questa orribile mania; essa ci proibisce di vivere la vita naturale, il dolce stato primitivo dove non si doveva che cogliere i frutti per nutrirsi.
È vero che questo gesto costituisce uno sforzo; ma non è uno sforzo faticoso, non più che costruire una capanna per ripararsi o tessere dei tessuti per vestirsi.
Questi “lavori” se ci tieni a chiamarli così, farebbero parte integrante della nostra esistenza: sarebbero una distrazione, un riposo per lo spirito. Con gioia, con amore li compiremmo; ma lasciarci abbrutire da bisogni fastidiosi, inutili, avvilenti, malsani o pericolosi, questo è il male: dobbiamo sottrarci a ciò.
Non è facile, lo riconosco, nella graziosa civiltà in cui viviamo; ma più ci si distacca dai bisogni che essa ci ha creato, più possiamo fare a meno del denaro.
I cibi deliziosi, i vestiti all'ultima moda, le automobili confortevoli, gli appartamenti lussuosi non costituiscono una ricchezza: possedendoli resti un povero diavolo, mentre se limiti i tuoi bisogni allo stretto necessario, diventi più ricco di Creso".

C.A.: Ah, sì! Ora capisco la dedica a Ryner, e il fatto che Jossot gli parli di quest'ultimo testo. Ritroviamo in Ryner quest'elogio della frugalità, del distacco dai beni materiali, ispirato dalla saggezze antica. In Petit manuel individualiste [Manualetto individualista], Ryner scrive ad esempio: “Quando saremo capaci di disprezzare praticamente tutto ciò che non è necessario alla vita; quando sdegneremo il lusso e il confortevole; quando assaporeremo la voluttà fisica che scaturisce dai nutrimenti e dalle bevande semplici; quando il nostro corpo conoscerà bene quanto la nostra anima la bontà del pane e dell'acqua: potremo progredire ulteriormente verso la felicità”.

Il problema, è che dopo l'estratto che mi hai fornito – e non so se è un desiderio molto naturale né necessario, in senso epicureo certamente! - si ha veramente voglia di leggerne di più! Verrà riedito presto questo Vangelo dell'inazione?

jossot-foetus.jpgH.V.: Innanzitutto, il titolo non è Vangelo dell'inazione, bensì... Il Feto recalcitrante!

C.A.: Terribile!

H.V.: Sì! E rassicurati, non appena avrò la possibilità di sottrarmi al mio lavoro, lavorerò alla riedizione di questo libretto pubblicato a spese dell'autore, alla vigilai della Seconda Guerra mondiale. Inutile dire che il secondo conflitto mondiale, con il lato tecnico e sistematico delle sue carneficine, ha fortemente  segnato l'artista. Ho d'altronde pubblicato sul mio sito un articolo stupefacente, intitolato En-dehors du troupeau [Fuori dal gregge], che costituisce una specie di non ritorno rivolto all'umanità intera, nel momento della dichiarazione di questa nuova guerra.

C.A.: Ebbene Henri, aspettando di poter aggiungere alla mia biblioteca refrattaria Il Feto recalcitrante, e poiché, si è fatto tardi, ti propongo di lasciarci con quest'articolo di cui mi hai parlato, e che merita di essere letto.

 

 

 

 


NOTE

 

[1] Jossot era un caricaturista nato nel 1866 e morto nel 1951. Come leggerete, era un davvero un brav'uomo! Henri Viltard gli ha dedicato una tesi di laurea, ed anche un grazioso sito internet: Goutte à goutte. Han Ryner (1861- 1938) era uno scrittore e filosofo individualista, pacifista e libertario.

[2] http://www.assietteaubeurre.org/

* En-dehors, allusione al titolo di un celebre foglio anarchico di fine Ottocento edito per alcuni anni dal celebre anarchico individualista Zo d'Axa, e che può essere tradotto come Fuori sottintendendo con esso soprattutto l'immagine della massa amorfa e abbrutita, del branco, della mentalità comune.

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