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7 novembre 2009 6 07 /11 /novembre /2009 09:07

La mia guerra di Spagna 

Mika Etchebéhère (Michèle Feldman), Santa Fe, Argentina, 2 febbraio 1902 - Parigi, 7 luglio 1992. Commandante di una colonna del P.O.U.M. con il grado di capitano.


"Ciò che mi resta dell'anarchismo, è la mia incapacità a rispettare le gerarchie imposte e la mia fede nel circolo dell'eguaglianza". 

 



Uscito a trenta anni di distanza dai fatti narrati nel libro, e cioè nel 1976 presso l'editore parigino  Denoël  con il titolo Ma guerre d'Espagne à moi e tradotto l'anno successivo in Italia dalla casa editrice Bompiani come La mia guerra di Spagna, Le memorie della guerra civile spagnola di Mika Etchebéhère costituiscono un importante quanto interessante documento della vastissima memorialistica concernente la rivoluzione spagnola.

Per chi non la conoscesse, l'autrice non fu una storica, una giornalista o una scrittrice bensì una combattente sul fronte aragonese insieme a suo marito Hippolite ucciso mentre era al comando di una colonna del POUM, il Partito Operaio di Unificazione Marxista [Partido Obrero de Unification Marxista], un'organizzazione che era stata anche filo-trotskista ai suoi esordi, fondata da Andreu Nin, più noto come Andrés Nin, che verrà, come tanti altri autentici combattenti contro ogni forma di totalitarismo, assassinato dal fascismo rosso che appestò la Spagna libertaria sin dal 1936.

Le parentesi quadrate con all'interno dei puntini:
[...], indicano dei tagli più o meno consistenti, mentre le parentesi quadrate numerate indicano il numero delle pagine dell'edizione italiana del 1977.
Miliziani a cavallo del P.O.U.M.


Capitolo I

Alla ricerca del combattimento




Madrid, luglio 1936. Lo sciopero dello stabilimento continua. [...] Nei cantieri si moltiplicano gli scontri e la notte echeggia dei colpi d'arma da fuoco. La destra vuol spezzare lo sciopero ad ogni costo. [...] Circolano voci sullo scontento che serpeggia fra i militari, alcuni generali sono stati trasferiti.

Viene assassinato il luogotenente Castillo, della Guardia d'Assalto, un corpo di polizia creato dal governo repubblicano per controbilanciare la Guardia Civile, odiata dagli operai e dalla gente di sinistra. Per le strade di Madrid c'è odore di polvere. Tutti sanno che la destra sta preparando un complotto, solo il governo pare ignorarlo; ma il popolo è sul chi vive e picchetti di operai vigilano in continuazione alla sede dei sindacati. La Puerta del Sol si gonfia di suoni; l'ansia si impadronisce di Madrid.

Un altro morto: stavolta si tratta di Calvo Sotelo, uno degli uomini più in vista della reazione. La gente dice che le Guardie d'Assalto hanno vendicato il luogotenente Castillo. [...]

Alla notizia della sollevazione militare in Marocco, alle Canarie, a Siviglia, il governo sembra stupito, mentre il popolo accoglie i fatti senza sorpresa e quasi con un senso di sollievo, perché, finalmente, l'ombra si dirada [...] [5].
  Mika, foto risalente all'inverno 1937-38

Tutta Madrid si precipita per le strade alla ricerca di un fucile.
Notte del 18 luglio. Titoli enormi sulle prime pagine delle edizioni speciali. Il governo assicura che è padrone della situazione, che i ribelli si arrenderanno da un momento all'altro [...].


Uomini e donne sono affluiti alla Puerta del Sol da tutti i quartieri, si sono fermati un momento davanti al Ministero degli Interni, sorpresi, e hanno ascoltato il messaggio, ripetuto mille volte, che parla di ordine, di calma e di lealtà [...].

Agli angoli delle strade le Guardie d'Assalto, in tuta da lavoro e con la carabine in mano, fermano le macchine e le perquisiscono. Si è saputo che parecchi reazionari sono già partiti portandosi via armi e denaro per andare a raggiungere i rivoltosi. Si instaura una legalità nuova, in cui la tessera del sindacato o di un partito di sinistra prende il posto della carta d'identità.
[...] Percorriamo distanze interminabili alla ricerca di qualche arma e il tempo registra sprazzi di felicità quando la mano si chiude su un revolver [6].

Gli uomini hanno dimenticato le sfumature che li separano e ora avanzano cantando tutti insieme, mescolando i diversi inni. È la lotta finale..., Alle barricate, alle barricate..., Venite, anarchici... Il pericolo comune cementa una vasta alleanza e spezza ogni barriera [...].

Il 19 luglio, è un giorno denso, raccolto, perché la gente sa con più chiarezza quel che succede in certe caserme di Madrid e nessuno ascolta più i discorsi ufficiali e la milizia è appena nata e i lavoratori formano pattuglie per le strade.

Sono a Madrid da cinque giorni appena. Hippo, mio marito, è arrivato due mesi prima di me. Nelle lettere che mi spediva a Parigi, mi descriveva il clima sempre più teso creato dai molti scioperi e dalle mosse della destra in seguito alla vittoria del Fronte popolare [7].

[...] Mio marito ed io siamo andati in Spagna a cercare ciò che avevamo creduto di trovare a Berlino nell'ottobre del 1932: la volontà di lotta della classe operaia contro le forze della reazione che si stavano trasformando in fascismo [...] Eravamo scesi in piazza coi comunisti durante quelle manifestazioni che tagliavano il respiro alla borghesia, tanto erano folte e ordinate, gravi e minacciose come un esercito alla vigilia del combattimento. I nostri canti rivoluzionari salivano al cielo livido di quel 15 gennaio 1933 il cui freddo micidiale abbatteva vecchi, donne e figli di scioperanti, gli stessi che sfilavano in corteo con lo stomaco scavato dalla fame e le vesti consunte da lunghi anni di miseria.
Ma in quelle cupe giornate che precedevano l'avvento di Hitler al potere, né il partito socialdemocratico, né quello comunista vollero scatenare la lotta per afferrarlo. E le loro truppe, educate da una lunga tradizione di disciplina politica, non prendevano in considerazione la possibilità di combattere in ranghi dispersi, senza o contro i loro capi, che avevano confuso e falsato ogni cosa. E la "notte dei lunghi coltelli" cadde sulla classe operaia più lucida, più addestrata e meglio armata alla lotta degli anni '30 [8].

Forse è una fortuna che in questo 18 luglio 1936 non ci siano in Spagna partiti politici così potenti. I comunisti sono una piccola minoranza e nelle file dei socialisti, più consistenti, si va delineando un'ala sinistra costituita soprattutto da giovani, più combattivi dei loro padri rifornisti. La forza decisiva appartiene alla Confederazione Nazionale del Lavoro, la potente C.N.T., i cui principi libertari sono gelosamente conservati dalla F.A.I., la Federazione Anarchica Iberica, una specie di piccola chiesa aperta solo ai puri fra i puri, suprema istanza di santa madre anarchia, eminenza rossa e nera. I suoi diktat apolitici non impediscono tuttavia agli operai della C.N.T di contribuire in larga misura alla vittoria del Fronte Popolare in occasione del 16 febbraio 1936 [9].

[...] "Non credi che prima sarebbe meglio passare da casa per vedere se Latorre ha trovato qualcosa? È molto probabile che i sindacati della U.G.T. siano già armati".

No, Latorre non ha ancora trovato niente, ma ha un'idea. Perché non andiamo a vedere dai compagni del P.O.U.M.? Non ne facciamo parte, ma è l'organizzazione che si avvicina di più al nostro piccolo gruppo di opposizione comunista.

Niente armi nelle sedi del P.O.U.M., ma molte speranze per l'indomani e forse per stasera stessa. Per terra e sulle panche della piccola sala si ammassano un centinaio di uomini e qualche donna; alcune hanno un aspetto un po' strano. Vengo a sapere che sono ragazze di una casa chiusa lì vicino, che vengono ad arruolarsi nella milizia [...] [10].

Aggregati a un nucleo di combattenti, riprendiamo il nostro cammino più sicuri, Delle macchine con le scritte C.N.T.-F.A.I., U.G.T., U.H.T. e con le canne dei fucili appoggiate alle portiere, passano strombazzando [...].
Passa un Camion pieno zeppo di giovani e di ragazze tutti vestiti con la stessa tuta da lavoro: la milizia ha trovato la sua prima uniforme.

La folla applaude e canta davanti a una chiesa in fiamme [...].

20 luglio. La caserma della Montaña è caduta dopo scontri sanguinosi e ora tutti possono entrare nel grande cortile vuoto dove alcune donne si contendono le ultime marmitte [11].

I compagni del P.O.U.M. che avevano partecipato all'assalto, erano tornati con un ben magro bottino: dei caschi, dieci fucili, un paio di centinaia di cartucce e una mitragliatrice senza affusto [...].

21 luglio 1936. Due autocarri, tre auto da turismo, cento uomini, trenta fucili e una mitragliatrice senza affusto issata con fierezza su uno dei camion, costituiscono la colonna motorizzata del P.O.U.M. comandata da Hyppolyte Etchebéhère, cittadino francese nato in Argentina da famiglia piccolo borghese, approdato alla lotta di classe prima per ragioni sentimentali, per aver visto con i propri occhi la guardia mobile di Buenos Aires annegare nel sangue uno sciopero dei metallurgici nel 1919, poi, in seguito, per convinzione profonda.

La nostra colonna si avvia alla ricerca di truppe del generale Mola, che pare stiano marciando su Madrid. Incontriamo sul cammino dei contadini che ci chiedono di andargli a prendere della farina a un mulino nelle vicinanze. Un camion parte a cerca farina [12].

 Madrid entra nella rivoluzione a passo di carica. Il denaro non ha quasi corso quando si tratta di rifornire la milizia. Le organizzazioni operaie, partiti o sindacati, firmano dei buoni d'acquisto che noi diamo ai commercianti in cambio delle loro merci, sottolineando le trattative di un baldanzoso U.H.P. Si requisiscono le automobili, le autorimesse, le belle case abbandonate dai ricchi in fuga o rifugiatisi nelle ambasciate. Il governo, impotente com'è a controllare il dramma che si svolge sulla scena, è scivolato dietro le quinte.

 All'alba del 22 luglio la nostra colonna, a piedi, raggiunge [13] una stazione di Madrid per unirsi a una formazione di circa quattrocento uomini agli ordini del capitano Martínez Vicente, un ufficiale di carriera dalle provate convinzioni repubblicane [...].

Questa colonna raccoglie tutte le tendenze politiche e sindacali. L'età dei partecipanti va dai sedici ai settant'anni. Il nostro treno ci mette delle ore a muoversi.
Il vetusto fasciame dei vagoni è sommerso dalle iscrizioni: "A morte il fascismo", "Viva il P.O.U.M.", "A Saragozza"... perché sembra che andiamo a Saragozza a soccorrere la città prigioniera dei rivoltosi [...].

Alla fine vien dato l'ordine di montare sui vagoni e quando si sente fischiare la locomotiva si alza una selva di grida gioiose, miste a canti rivoluzionari [14].
Approfittiamo di una lunga sosta del treno per andare a rifornirci. Con due giovani militanti del P.O.U.M., Carmen, di diciotto anni, e Emma, di appena sedici, e un miliziano armato, facciamo il giro del villaggio e ritorniamo carichi di vettovaglie [...].

A Guadalajara ci danno ordine di scendere [...]. Guadalajara è una città triste. Le milizie della C.N.T. ci hanno preceduto e ora gli uomini col berretto nero e rosso stanno agli angoli delle strade col fucile in mano. Sono loro che, due giorni fa, hanno preso d'assalto la caserma doi Globos [...].

I miliziani della C.N.T. hanno anche aperto le porte della [15] prigione, e, intorno alla caserma dove ci siamo appena installati, gironzolano uomini dall'aspetto strano. Quattro o cinque hanno già chiesto di essere ammessi, nella nostra colonna, dopo una rapida discussione li accettiamo [...].

L'inattività comincia a demoralizzare i nostri miliziani, tanto più che i giornali son pieni delle prodezze compiute dalle colonne che tengono la Sierra. Su questo grigiore, [...] cade una notizia la cui portata non sfugge ai militanti: il governo fissa la paga dei miliziani a dieci pesetas al giorno. Questo tentativo di riprendere in mano le formazioni che fanno capo solo ai partiti e ai sindacati non seduce gli apolitici, il cui numero cresce ogni giorno [...] [16].
Hippo diventa sempre più luminoso, sì, luminoso, come se una torcia gli bruciasse dentro [...].

La notte, quando siamo distesi fianco a fianco sui nostri pagliericci, gli tengo la mano sussurandogli antiche parole d'amore come una ninna nanna, finché ci addormentiamo. Spesso, senza che io gli chieda niente, mi fa la relazione delle sue giornate spossanti: è riuscito a costituire un tribunale rivoluzionario per impedire i paseos, le esecuzioni sommarie; ne fanno parte i rappresentanti delle diverse tendenze. Vengono organizzate spedizioni per procurarsi le armi. Sogna un'unificazione delle milizie in vista delle prossime operazioni militari. Ormai lo ascoltano, gli obbediscono, l'amano, deve poter contare sui propri uomini come su se stesso per farne un reparto eccezionale, il meglio organizzato, il più coraggioso e, nello stesso tempo, il più disciplinato...

I nostri camion e le nostre auto da turismo ci hanno raggiunto a Guadalajara, Stanotte partiamo per la guerra [17].

La colonna avanza a passo d'uomo, invisibile, a fari spenti, in uno strano silenzio, Stavolta andiamo in guerra. quella vera, coi cannoni puntati e senza canzoni e grida di battaglia. Un chiarore indeciso all'orizzonte ondulato ci rivela la piazzaforte di Atienza, un borgo medievale sparpagliato attorno al castello che si erge, altissimo, su uno sperone quasi conico. [...] La nostra artiglieria gli strappa qualche scheggia di pietra, qua e là. [...] Un aereo si alza nel cielo seminando il panico nelle nostre file. L'operazione è terminata.
Mi sveglio a tarda notte su un letto di ospedale con accanto un'infermiera che tenta di farmi bere. Ho ricordi confusi. Pare che abbia un ascesso in gola e quaranta di febbre. "Bisogna che mangi", dice l'infermiera, una ex suora che ha deposto l'abito per amore di un miliziano comunista.
Hippo è venuto a trovarmi. Abbiamo cambiato città e la colonna adesso è a Sigüenza. Hippo e i suoi miliziani hanno finalmente combattuto sul serio. Erano stati incaricati di portare munizioni alla città assediata dai franchisti, ma, invece di lasciarle nel luogo stabilito e di far marcia indietro, sono entrati col camion fin dentro la città, han preso gli assalitori di lato e han fatto più di sessanta morti, recuperando sul campo fucili e mitragliatrici. Dopo una simile impresa, il prestigio della colonna P.O.U.M. e il grande ascendente del suo capo sono assicurati [...].
 Sulla strada che va a Sigüenza, il grano si piega sotto il peso delle spighe troppo mature: il tempo della mietitura [18] è passato senza che la gente se ne accorgesse, come se il raccolto non fosse più affar loro [...] I ricchi han lasciato i poderi e han raggiunto i villaggi oltre le nostre linee. Le donne non sono partite tutte; rimaste a badare alla casa e alle bestie, si rintanano nelle stanze più nascoste, vestono di nero e, silenziose e cortesi, vendono volentieri pollo e prosciutto ai miliziani ricchi delle loro dieci peseta al giorno. Tanto ricchi da disprezzare la broda che passa la caserma [...].
Buona parte delle abitazioni della città è stata evacuata. L'ordine è di perquisirle, ma di prendere solo armi, munizioni , materassi, coperte e cibo. Il saccheggio sarà punito con la morte [...].
Dormiamo per terra, su dei materassi vicini, tenendoci a lungo la mano, ma divisi come non mai: Hippo chiuso nel suo universo di guerra, teso come un arco; io a disagio in mezzo a questo strano mondo di combattenti, così diversi dai rivoluzionari dei miei principi, perseguitata dall'idea fissa della morte di Hippo...
  
"Non farti ammazzare, caro, tu sei prezioso, indispensabile, sei il più importante, il più lucido, quello che ne sa di [19] più sulla rivoluzione [...].
Mika-Etchebehere-a-Siguenza-con-miliziani-del-POUM.jpgMika Etchebéhère a Siguenza con miliziani del POUM

La luce senza riflessi della notte morente schizza un paesaggio di Patinir. Di lontano, dalla parte del villaggio, si delineano masse appena un po' più scure. Da qualche tempo stiamo marciando a piedi, come tante ombre che si trascinano  ai margini del quadro. Nulla turba il silenzio. In piccoli gruppi gli uomini si disperdono fra i cespugli. Io e il medico andiamo alla ricerca di un posto adatto alle attrezzature di soccorso [...].
È arrivato il sole, e con lui i primi colpi sparsi di fucile, presto coperti da raffiche di mitraglia [...]. Il tiro si fa più nutrito da entrambe le parti, ma ancora nessun ferito. Dei miliziani dall'espressione impaurita vengono a chiederci dell'acqua. L'atmosfera si appesantisce. La nostra artiglieria tace. Un gruppo avanza verso di noi. Il vecchio Quintino trascina il fucile con passo greve e si strofina le guance inondate di lacrime.
"Che sventura, mio Dio, che sventura orribile, l'hanno ammazzato, hanno ammazzato il capo" [22].
"Non è vero," gridano i miliziani; "taci, è solo ferito, lo andiamo a prendere".
Quintino si rannicchia contro la mia spalla come un bambino molto vecchio, molto stanco , disarmato.
"È morto, è morto, siamo senza capo...".
Ripeto con lui, meccanicamente: "È morto, morto, morto", e dentro, nella testa, nelle viscere, tutto di me grida: "È morto, morto, morto; devo morire anch'io, dovrei essere già morta, non sopravvivergli neanche un istante".
Non piango, ma tremo così forte da non riuscire ad afferrare il grosso revolver, il suo, che qualcuno mi sta porgendo, insieme alla sua tessera di miliziano, alla penna stilografica e al tubetto di aspirina che portava addosso. L'Abissina si avvicina, col suo passo di danza, con gli occhi asciutti come me; mi si inginocchia davanti dicendo con voce sorda: "Poveretta. Tieni, tieni questo fazzoletto bagnato del suo sangue, l'ho raccolto dalle sue labbra. Ti giuro che non ha sofferto. È caduto come un albero abbattuto dal fulmine, sorridendo, gli occhi spalancati". [...].
 
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