Bakunin, lo Stato e la Chiesa
di René Berthier
La genesi dello Stato
L'approccio alla genesi dello Stato presso Bakunin differisce da quello di Marx, senza che si possa dire che vi si opponga. Bakunin suggerisce che lo Stato è il risultato dell'appropriazione del potere da parte di un gruppo già costituito ed organizzato. È che il potere è la condizione dell'esistenza di una società di sfruttamento. L'atto originale della formazione dello Stato è la violenza. I primi Stati storici sono stati costituiti dalla conquista di popolazioni agricole da parte di popolazioni nomadi: "I conquistatori sono stati in ogni tempo i fondatori degli Stati, ed anche i fondatori delle Chiese". Lo Stato è "l'organizzazione giuridica temporale di tutti i fatti e di tutti i rapporti sociali che derivano naturalmente da questo fatto primitivo ed iniquo, le conquiste" che hanno sempre "come scopo principale lo sfruttamento organizzato del lavoro collettivo delle masse asservite a profitto delle minoranze conquistatrici". La violenza è dunque l'atto costitutivo del dominio di classe, lo sfruttamento il movente [1].
Se, in Marx, si giunge allo Stato attraverso la comparsa delle classi sociali e lo sviluppo del loro antagonismo, per Bakunin, le classi non possono costituirsi in origine altrimenti che attraverso un atto di violenza o di conquista che coincide con la formazione dello Stato: "Le classi non sono possibili che nello Stato".
Considerando i due punti di vista con un minimo di prospettiva si constata: -che Marx afferma la preminenza delle determinazioni economiche pur riconoscendo l'importanza del politico (la violenza) ed attribuendogli il carattere di fatto economico. Così nel Capitale, analizzando i diversi metodi di accumulazione primitiva, Marx constata che "alcuni di questi metodi poggiano sull'impiego della forza brutale, ma tutte senza eccezioni sfruttano il potere dello Stato, la forza organizzata e concentrata della società". E per non sembrare di voler abbandonare il principio del primato del fatto economico, egli aggiunge: "La forza è la levatrice di ogni vecchia società al lavoro. La forza è un agente economico" [Il Capitale, sezione VIII]. Mentre bakunin, al contrario, afferma il primato del politico attribuendogli dei motivi economici: lo sfruttamento del lavoro delle masse. "Cos'è la riccezza ed il potere se non due aspetti inseparabili dello sfruttamento del lavoro del popolo e della sua forza organizzata?", dice ancora Bakunin.
Si potrebbe pensare che la problematica si riduce a quella della bottiglia metà piena o metà vuota.
Marx ammette che per rendere intelligibile un fenomeno complesso, il metodo migliore non è necessariamente analizzare la genesi di questo fenomeno -il metodo storico: "Il metodo di sollevarsi dall'astratto al concreto non è per il pensiero che il modo di appropriarsi del concreto, di riprodurlo in quanto concreto pensato. Ma non è qui il processo della genesi del concreto stesso" [Introduzione a Per la critica dell'economia politica].
Già, sin dal 1846, Proudhon affermava in Le Système des contradiction économiques [Il Sistema delle contraddizioni economiche] che la società esiste per via dei suoi materiali come realtà concreta e attraverso le sue leggi come processo intelleggibile.
La preoccupazione di Marx, in Il Capitale non è di effettuare la genesi del capitalismo ma di considerare come "un insieme concreto, vivente, già dato", e di svelarne le leggi: "Sarebbe falso ed inopportuno presentare la successione delle categorie economiche nell'ordine della loro azione storica. Il loro ordine di successione è, al contrario, determinato dalla sua relazione che esse hanno tra di loro nella società borghese moderna e che è precisamente all'inverso del loro ordine apparentemente naturale o della loro evoluzione storica". [Introduzione a Per la critica dell'economia politica].
Nel modello presentato da Marx, la formazione dello Stato appare come il risultato di un processo interno dello sviluppo delle contraddizioni sociali, idea che Bakunin non rigetta d'altronde del tutto. La procedura di Marx non si situa da un punto di vista storico, ma logico. In Il Capitale Marx pone un modello teorico del sistema capitalista, effettua in qualche modo una simulazione, cosa di cui pochi autori si sono accorti (e che Proudhon aveva fatto quindici prima in Il Sistema delle contraddizioni economiche, attirandosi i fulmini di Marx).
Ponendo il problema dell'atto fondativo dello Stato, Bakunin non si preoccupa nemmeno di situare l'evento nel tempo e nello spazio così come Rousseau non credeva che il contratto sociale sia stato un contratto reale, letteralmente parlando [2]: ciò che interessa Bakunin, è il processo. Vi sono infatti due registri a partire dai quali la questione dello Stato è affrontata: il registro storico, che fa dello Stato la risultante di un atto di violenza iniziale; il registro logico che ne fa la risultante dell'evoluzione delle contraddizioni di classe.
Bisogna capire la posta di queste divergenze: Bakunin combatteva la tesi determinista, identificata all'epoca con il marxismo, secondo la quale la rivoluzione sarebbe risultata dal solo sviluppo delle contraddizioni della società capitalista. Si capisce sin dall'inizio che insiste sulle determinazioni politiche della formazione dello Stato, benché, è bene ripeterlo, non ha mai contestato l'approccio "economista" di Marx, a condizione di ammettere che i fenomeni ideologici, giuridici, possano diventare, una volte posti, delle "cause produttrici di effetti".
Il rifiuto del determinismo storico non implica evidentemente che la rivoluzione sia possibile in qualunque momento, da un atto volontarista; è l'affermazione che la coscienza e la volontà svolgono un ruolo determinante: se la classe operaia non è sostenuta dalla coscienza del suo diritto e se, correlativamente, la classe dominante non è minata dalla cattiva coscienza del suo diritto, il progetto rivoluzionario non ha nessuna possibilità di realizzarsi.
Ecco in succinto come Bakunin concepisce il processo di formazione dello Stato.
Dei gruppi organizzati si combattono per prendere il potere finché uno di essi, meglio organizzato, si erige a padrone e forma uno "Stato regolare". La vittoria di questo gruppo attira dalla parte del vincitore una parte del gruppo vinto. Se il partito vincitore si mostra intelligente, accorda dei vantaggi agli uomini più influenti del gruppo vinto: "Così si formano le classi statali da cui lo Stato esce compiutamente". "Una religione o un'altra spiegherà in seguito, cioè divinizzerà, l'atto di violenza e in questo modo porrà il fondamento del diritto detto dello Stato". [La Scienza e la questione vitale della rivoluzione, VI].
La chiesa-stato
Bakunin non si limita a definire lo Stato come un semplice strumento di potere al servizio di una classe dominante, nel quadro di un rapporto bipolare borghesia-proletariato, o borghesia-aristocrazia. Egli sottolinea costantemente ciò che il potere politico conserva di religioso. La Chiesa, egli dice, è la sorella maggiore dello Stato, nel senso che le prime forme di potere apparse nella storia hanno rivestito un carattere sacerdotale. Nella sua critica a Mazzini, Bakunin evoca la nozione di chiesa-stato (Pierre Legendre parla di "Stato pontificio"). La funzione-potere si presenta così sotto due aspetti, teologico e politico. La critica della religione resta un aspetto, non subordinato ma integrante, della critica del potere, nella misura in cui il potere riveste, anche sotto orpelli laici, un aspetto religioso: l'ideologia è una forza materiale. La critica della religione non è dunque mai compiuta.
Di fatto, la Chiesa è stata, dice Bakunin, una classe dominante durante la prima metà del Medioevo, costituita dalla "classe dei sacerdoti, non ereditari questa volta, ma reclutantesi indifferentemente in tutte le classi sociali della società". "La Chiesa ed i sacerdoti, il papa in testa, erano i veri signori della terra", egli dice inoltre [VIII].
Tutta la prima metà del Medioevo è dominata dalla lotta dei monarchi contro la supremazia papale. La dottrina dominante voleva che i re ricevessero il loro potere da Di, attraverso la mediazione del papa. Le autorità politiche degli Stati sono dunque interamente subordinate alla Chiesa. Il clero, dice Bakunin, aveva attraverso lui la forza degli eserciti, la potenza economica ed un'organizzazione gerarchica efficace.
Non è che dopo una lunga lotta che i re finirono progressivamente con il detenere la loro carica direttamente da Dio, liberandosi così di un ingombrante intermediario. Di fatto, è, in Francia, Filippo il Bello che, appoggiandosi sui suoi giuristi, emancipa il potere dall'influenza del clero. Quando il diritto sovrano fu riconosciuto come procedente immediatamente da Dio, il potere fu proclamato assoluto. Lo Stato e la Chiesa sono due poli inseparabili benché sempre opposti", due istituzioni che si sostengono l'un l'altra ma che, come accade sempre quando due centri di autorità coesistono, non possono sussitere che in situazione di conflitto e con la sottomissione dell'uno all'altro.
Secondo Bakunin, la storia europea è caratterizzata da un gioco di alleanze di due forze contro una terza: questo schema ternario si distingue dunque molto sensibilmente da quello di Marx, che esso non contraddice ma completa. In Inghilterra, dice Bakunin, si è potuto osservare in effetti l'alleanza della borghesia con l'aristocrazia terriera contro la monarchia. Il dramma della Germania è che delle condizioni storiche particolari, legate alla vicinanza del mondo slavo aperto alla conquista, hanno reso impossibile sia l'alleanza della borghesia e dell'aristocrazia, sprovviste entrambe di senso politico, sia l'alleanza della borghesia e del potere imperiale, costantemente occupato in Italia. In Francia, la borghesia e la monarchia si sarebbero alleate contro la nobiltà feudale; in Italia, la borghesia avrebbe dovuto la sua autonomia ed il suo sviluppo alla lotta tra il potere religioso (la Chiesa) ed il potere politico (l'imperatore), ecc.
Il declino del potere della Chiesa ha le stesse cause di quelle che hanno provocato il declino dell'aristocrazia feudale: lo sviluppo degli scambi, della circolazione monetaria, l'apparizione del capitale mercantile, lo sviluppo delle città che indebolirono gli strati i cui redditi erano basati sulla rendita fondiaria. Così, come durante il passaggio dalla società monarchica alla società borghese, la classe che perde la sua posizione egemonica non scompare, essa sussite subordinandosi al nuovo potere.
"È così che sulle rovine del dispotismo della chiesa fu elevato l'edificio del dispotismo monarchici. La Chiesa, dopo essere stata la padrona, divenne la serva dello Stato, uno strumento di governo tra le mani del monarca".
La lotta tra la Chiesa e lo Stato era storicamente necessaria, dice Bakunin. Per il suo carattere universale, la Chiesa aveva un'ampiezza troppo grande per poter assorbire gli Stati nazionali in uno "Stato universale". La Riforma, in particolare in Germania, è interpretata da Bakunin come una reazione contro la Chiesa che sfoscia nella disorganizzazione di un'istituzione dominante, ma anche nella sottomissione accresciuta delle popolazioni al potere dei principi, che approfittano dell'atomizzazione dell'istituzione religiosa per diventare dei capi spirituali subordinando la religione agli interessi dello Stato.
Altrove, la Chiesa cattolica indebolita è assorbita dallo Stato: così nasce il dispotismo moderno, dice Bakunin. Ai due periodi-chiave della storia della società monarchica, quando i monarchi si affrancano della tutela papale per le loro investiture, e durante la Riforma, l'indebolimento dell'istituzione religiosa si accompagna con un trasferimento accresciuto di potere allo Stato e da una subordinazione, o in ogni caso da una dipendenza accresciuta della Chiesa verso lo Stato.
Ma qualunque sia la sua forma o il suo carattere particolare, il potere ha bisogno di autogiustificazione. In se stesso, il potere, per riprendere i termini di Pierre Legendre, è "un fatto selvaggio, qualcosa come un fatto bruto, ed il suo discorso si rivolge a dei bruti". [da: Jouir du pouvoir [Godere del potere, p. 153., éd. de Minuit, Paris].
René Berthier
[Traduzione di Ario Libert]
[1] "Lo Stato, completamente nella sua genesi, essenzialmente e quasi completamente durante le prime tappe della sua esistenza, è un'istituzione sociale imposta da un gruppo vittorioso di uomini su un gruppo vinto, con il solo obiettivo di assicurare il dominio del gruppo vittorioso sui vinti e di garantirsi contro la rivolta dall'interno e gli attacchi dall'esterno. Teleologicamente, questo dominio non aveva altro oggetto che lo sfruttamento economico dei vinti da parte dei vincitori". Questa citazione non è di Bakunin ma di Franz Oppenheimer, un sociologo tedesco (1864-1943), tratta dalla sua opera Der Staat edita nel 1908.
[2] "Non si devono scambiare le ricerche nelle quali ci si può inoltrare a questo soggetto per delle verità storiche, ma soltanto per dei ragionamenti ipotetici e condizionali più adatti a chiarire la natura delle cose che a mostrarne le vera origine!, [Rousseau].
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