Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
Rudolf Rocker: Nazionalismo e Cultura
Rudolf Rocker (1873-1958) fu certamente une delle figure più notevoli dell’anarchismo del xx secolo. Nato a Magonza, militò nella sinistra del Partito socialista orientandosi verso il pensiero libertario e fu, a vent'anni, costretto dalle leggi antisocialiste bismarckiane ad abbandonare la Germania. Si ritrovò rifugiato politico sin dal 1893, a Parigi poi a Londra dove, benché non ebreo, editò dal 1898 al 1914 il giornale "Arbeiter Fraint" (l’Amico dei lavoratori) ed il mensile "Germinal". Durante la prima guerra mondiale, fu internato in un campo di concentramento britannico e tornò in seguito in Germania dove militò nella FAUD, L'Unione libera dei lavoratori tedeschi, di tendenza anarcosindacalista. È all'origine della nuova AIT (Associazione internazionale dei lavoratori), che raduna sin dalla sua fondazione due milioni di aderenti dall'Europa alle Americhe.
Pubblica numerosi articoli sulla stampa libertaria del mondo intero, in Freie Arbeiter Stimme di New York, in Der Syndikalist e Die Internationale a Berlino. Molti dei suoi libri appaiono a Berlino: (Il fallimento del comunismo di Stato, 1921; Johan Most, la vita di un ribelle, 1924). altri sono tradotti in spagnolo o in yiddish a partire dai manoscritti (Anarchici e Ribelli, 1922; Ideologia e tattica del proletariato moderno, 1928); scrive allora la sua opera principale, Nazionalismo e Cultura, di cui l'avvento al potere di Hitler nel 1933, impedì l'edizione, e costrinse Rocker, non ammesso in Francia, a trovare rifugio negli Stati Uniti dove poi rimase. I suoi libri furono allora pubblicati a Buenos Aires, in Messico, a Londra ed in India.
Nazionalismo e Cultura apparve nel suo testo originale, con il titolo Il verdetto dell'Occidente (Die Entscheidung des Abendlandes), che nel 1949 in Germania, dove fu riedito nel 1954 a Parigi da Solidaridad Obrera e a Madrid nel 1977; la prima edizione in inglese, nel 1937 a New York, è ripresa nel 1946 a Los Angeles e nel 1970 a Saint-Paul; l'opera è tradotta in olandese nel 1939, in svedese nel 1950 ed in italiano nel 1960; delle traduzioni in yiddish e portoghese erano già pronte nel 1946. In francese, una traduzione compiuta aspetterebbe da più di mezzo secolo di trovare un editore*. La seconda edizione americana, ripresa a Londra da Freedom Press appare con un "epilogo" redatto da Rocker nel 1946. È alle pagine di questa edizione che si riferiscono le traduzioni di citazioni qui sotto.
Bertrand Russel salutò la pubblicazione del libro in questi termini: "Nazionalismo e Cultura è un'importante contributo alla filosofia politica sia a causa della sua analisi penetrante e molto informata di numerosi autori celebri, e a causa della sua brillante critica del culto dello Stato, che è la superstizione dominante e la più nociva della nostra epoca. Spero che sarà ampiamente letto in tutti i paesi dove il pensiero disinteressato non è ancora illegale". E Albert Einstein da parte sua disse di esso: "Trovo il libro straordinariamente originale ed illuminante. Vi sono rappresentati numerosi fatti e relazioni in modo nuovo e convincente. Non sono, naturalmente, d'accordo con il suo atteggiamento di fondo di valutazione puramente negativa dello Stato. Ciò, tuttavia, non mi impedisce di trovare il libro importante e chiaro.
Libro I: Genesi dell'ideologia nazionalista
Il primo dei due libri che compongono l'opera, a partire dalla denuncia dell'"insufficienza del materialismo economico" (cap. 1), passa innanzitutto al vaglio la lenta elaborazione storica del pensiero politico precedente all'apparizione del Nazionalismo. Attraverso la religione (cap. 2) dove prende radice l'idea del potere, che si manifesterà attraverso il cesaro-papismo di cui egli vede le risorgenze sino a Robespierre, Napoleone, Mussolini o Hitler. Ed, anche attraverso le rivalità tra papato ed Impero (cap. 3), che attraverso la creazione delle caste o classi, assisi indispensabili del potere, da Platone e soprattutto Aristotele (cap. 4), sino a Machiavelli.
Ma con il Rinascimento e le rivolte contadine, appaiono i primi movimenti della Riforma (cap. 6), in cui si esprimono nuove aspirazioni che contestano la Chiesa come lo Stato- le due balene stigmatizzate dall'ussita Cheltchicky –ma anche nuovi tiranni come Calvino, "una delle personalità più terribili della storia, un Torquemada, uno zelota dal cuore arido che tentò di preparare gli uomini al regno di Dio con il cavalletto ed il supplizio della ruota". Mentre i primi Stati nazionali si associano sull'assolutismo e monopolio del commercio e dell'industria (cap. 7), alcuni filosofi- Thomas Moore, Francis Bacon, Campanella, Rabelais, La Boétie, George Buchanan e Locke- oppongono il diritto naturale al potere monarchico (cap. 8).
Con la rivoluzione americana trionfa il pensiero più liberale, espresso da Thomas Paine ""Più elevata è una cultura e meno c'è bisogno di un governo, perché gli uomini in questo caso devono vigilare i propri affari ed anche a quelli del governo", p. 146) o Jefferson ("Il miglior governo è quello che non governa affatto", p. 149). Pensieri anglo-sassoni che Rocker pone in parallelo (cap. 9) con quello dei grandi classici tedeschi: Lessing, Herder, Schiller, Goethe, Jean-Paul Richter, autore dell "Dichiarazione di guerra alla guerra", Hölderlin ed il geografo Humboldt, autore di "Alcune idee per un saggio per determinare i limiti dell'efficacia dello Stato", che aveva d'altronde dichiarato: "Ho tentato di combattere la sete di governare ed ho tracciato dappertutto più strettamente i limiti dell'attività dello Stato". Così che la scuola francese in cui sottolinea il posto di eminente avanguardia di Diderot, che nell'articolo "Autorità" dell'Enciclopedia scrive: "La natura non ha dato a nessun uomo il diritto di regnare su altri" e, nella poesia Gli Eleuteromani, questi versi che annunciano Maggio 1968:
La natura non ha fatto né servi né padroni.
Non voglio dare né ricevere leggi!
E le sue mani strapperebbero le budella del prete,
In mancanza di una corda, per impiccare i re.
Jean-Jacques Rousseau e la Rivoluzione francese all'origine del culto nazionale
Ma è precisamente anche in questo momento che a partire del pensiero liberale e democratico alcuni hanno potuto approdare ai peggiori errori, con in primo piano, Jean Jacques Rousseau in IL contratto sociale. Rocker è categorico: "Rousseau era allo stesso tempo l'apostolo di una nuova religione politica, le cui conseguenze ebbero tanti effetti disastrosi sulla libertà degli uomini quanto ne avevano avuto in precedenza la credenza al diritto divino dei re. Infatti, Rousseau è uno degli inventori di questa nuova idea dello Stato nato in Europa dopo che il culto feticista dello Stato che trovava la sua espressione nel monarca personale ed assoluto ebbe raggiunto la sua conclusione", ed aggiunge: "Rousseau e Hegel sono- ognuno a modo suo- i due custodi della reazione dello Stato moderno".
La filiazione è seguita tra i due "cittadini di Ginevra", Calvino e Rousseau, e si prolunga sino ai Giacobini ed a Bonaparte. Qualche giorno prima del colpo di Stato di Brumaio, Bonaparte avendo detto a Sieyés: "Ho creato la Grande Nazione", questo ultimo gli rispose sorridendo: "Si, perché abbiamo creato prima la Nazione". Di fatti, la sovranità del re essendo stata sostituita dalla sovranità della nazione, si era costretti a dichiarare al club dei Giacobini che: "il Francese non aveva altra divinità che la nazione, la Patria" ("Questo nuovo re dalle settecento quarantanove teste" secondo Proudhon), o meglio ancora a divinizzare la Repubblica una e indivisibile. Ed il capo giacobino Isnard poteva dichiarare: "I Francesi sono diventati il popolo eletto della terra. Facciamo in modo che il loro comportamento giustifichi il loro nuovo destino!".
Per Rocker, il processo rivoluzionario tra le mani di un Saint-Just dalla "logica fanatica" o di un Robespierre che "invece di un'anima aveva i suoi principi", non poteva portare che all'eliminazione, in nome della nazione, di ogni opposizione; a cominciare da quella degli hebertisti "perché la loro propaganda antireligiosa, che era realmente anti-chiesa, abbassava il rispetto dello Stato e minava la sua fondazione morale". Si apporda così a "Napoleone, l'erede ridanciano della Grande Rivoluzione che aveva preso ai giacobini la macchina divoratrice di uomini dello Stato centralizzato, la dottrina della volontà nazionale, uomo "cinico e senza cuore che, nella sua giovinezza, si era intossicato con il Contratto sociale" ma, più tardi, si abbandonò a dire: "Il nostro Rousseau è un pazzo che ci ha portato a questasituazione!", oppure: "L'avvenire mostrerà se non sarebbe stato meglio per la pace del mondo che né Rousseau né io fossimo mai vissuti".
Hegel apostolo dello Stato, "Dio sulla terra" e creatore della nazione. È questo il momento capitale della storia del pensiero politico, quello in cui il culto reale si trasmuta facilemente in culto nazionale, repubblicano o imperiale, grazie soprattutto ad una sublimazione della nozione di sovranità, trasmessa dal monarca al popolo mitizzato. Questa impostura trova la sua eco in tutta l'Europa, e nel primo capo in Germania. Rocker mostra come Kant e Fichte prendano di fattio il contropiede dal cammino effettuato dai loro grandi predecessori dell'età dei Lumi, come Herder e Lessing, per cavalcare il nazionalismo venuto dalla Francia, ma contro la Francia nelle "guerre di liberazione" che ergono l'intera Europa contro l'imperialismo napoleonico. Essi sono seguiti da Hegel che "diventa il creatore moderno di quella teoria cieca del destino di cui i sostenitori vedono in ogni avvenimento una "necessità storica" e vedono in ogni fine concepita dagli uomini una "missione storica". Che si tratti di quella di una razza, di una nazione o di una classe. Infatti, Hegel celebrava il culto dello Stato come un fine in sé, come la "realtà dell'idea morale", come "Dio sulla terra", affermando: "Perché è ora conosciuto che ciò che è dichiarato morale e vero per lo Stato è anche divino ed ordinato da Dio, che giudicato dal suo contenuto, non c'è nulla di più elevato e di più santo" oppure "È la strada di Dio con il mondo che lo Stato deve esistere. Il suo fondamento è nel potere della ragione che si manifesta come volontà. Come idea dello Stato non dobbiamo avere allo spirtio degli Stati particolari, né delle istituzioni speciali, ma piuttosto l'Idea, questo Dio reale, considerato in sé".
E Rocker nota: "Infatti Hegel era semplicemente il filosofo di Stato del governo prussiano e non mancò mai a giustificare le sue peggiori malefatte". O anche: "Hegel era un reazionario dalla testa ai piedi". Così, quando Engels si vanta scrivendo: "Noi, socialisti tedeschi, siamo fieri di discendere, non soltanto da Saint-Simon, Fourier e Owen, ma anche da Kant, Fichte e Hegel", Rocker non può che trovare qui la spiegazione disperatamente autoritaria del marxismo. A partire da quel momento, il pensiero tedesco si intreccia con il nazionalismo. Ma Rocker gli oppone queste due affermazioni che egli sottolinea: "La nazione non è la causa, ma il risultato dello Stato. È lo Stato che crea la nazione, non la nazione, lo Stato" e "Gli Stati nazionali sono delle organizzazioni di chiese politiche; la pretesa coscienza nazionale non è innata nell'uomo ma gli è inculcata. È un concetto religioso; si è tedeschi, francesi, Italiani, esattamente come si è cattolici, protestanti o ebrei".
Riprende Thomas Paine: "Il mondo è il mio paese, tutti gli uomini sono miei fratelli!"
Cita Goethe e Heine denunciando le "guerre di liberazione" del 1813-15 condotte dai cosacchi. E quando il romanticismo stesso spronfonda nel nazionalismo ed i tedeschi si presentano come un "popolo originario" (urvolk), cita ancora Heine deplorando "che odiano tutto quanto è straniero; e che non desiderano più diventare dei cittadini del mondo, né degli Europei, ma soltanto tedeschi stretti".
Quando il socialismo vede intraprende la via autoritaria e dittatoriale, da Babeuf a Marx, opporsi a quella federalista, di Proudhon e di Bakunin, le compartimentazioni nazionali sono utilizzate da Marx nella sua lettera a Engels del 20 aprile 1870: "I francesi hanno bisogno di una doccia fredda. Se i Prussiani sono vittoriosi la centralizzazione del potere statale aiuterà la centralizzazione della classe operaia tedesca; per di più, la preponderanza tedesca farà spostare il centro di gravità del movimento operaio dell'Europa occidentale dalla Francia alla Germania. E non dobbiamo che comparare il movimento dal 1866 ad oggi per vedere che la classe operaria tedesca è superiore in teoria ed in pratica alla francese. La sua preponderanza sulla Francia su scala mondiale significherebbe anche il predominio delle nostre teorie su quelle di Proudhon".
Rocker evidenza come Marx aveva ragione poiché la vittoria della Germania segnò la messa in secondo piano del socialismo libertario dell'Internazionale. Al termine di questa evoluzione, il nazionalismo è diventato una religione politica (cap. 15). E, nel 1931, a Berlino, al Congresso internazionale su Hegel, Gentile, l'ideologo del fascismo e l'avvocato dello "Stato totalitario", celebre Hegel rimpiangendo semplicemente che egli non avesse previsto che la teoria dello Stato moderno sfoci nell'istituire quest'ultimo come più alta forma dell'intelligenza, al di sopra a nche dell'arte, della religione e della filosofia. E Rockert cita naturalmente Mussolini: "Tutto per lo Stato, niente fuori dello Stato, niente contro lo Stato" come l'approdo ultimo, insieme ad Hitler del culto dello Stato e della nazione.
Libro secondo: critica dei fondamenti ed appannaggi della nazione
Dopo aver mostrato il lento processo ideologico sfociato nel culto della nazione poggiante sul rafforzamento dello Stato, Rocker si fissa dunque come obiettivo, nel suo secondo libro di esaminare tutto ciò che può essere invocato come giustificante l'esistenza del fatto nazionale, cioè l'oggetto stesso di questo culto. Sarà dunque quanto riguarda nel presentare la nazione, successivamente come comunità morale di costumi e di interessi (cap. 1), come comunità linguistica (cap. 2), e come comunità razziale (cap. 3). Non avrà nessuna difficoltà a sottolineare le contraddizioni o l'inconsistenza degli argomenti sviluppati dagli avvocati delle nazioni per cercare di dare una base scientifica all'oggetto del loro culto.
In seguito, Rocker si dedica alla dialettica tra unità politica e cultura, dapprima sulla definizione stessa della cultura (cap. 4), poi sull'esempio greco di una decentralizzazione politica generale (cap. 5), in seguito sull'esempio opposto del saggio romano di centralizzazione (cap. 6) e, infine, nel lungo processo della frammentazione europea (cap. 7). Ad ogni tappa, egli dimostra come la ricerca dell'unità politica è poco legata al progresso culturale. Egli giunge così a constatare l'illusione della cultura nazionale (cap. 8), l'inadeguatezza dello Stato-nazione a sviluppare la scienza (cap. 9), l'assenza di legami tra arte, architettura e nazionalità (cap. 10), così come, tra arte e spirito nazionale (cap. 11). E Rocker conclude con "i problemi del nostro tempo" (cap. 12), cioè, nel 1936, sulle differenti forme molto parallele del totalitarismo.
Nell'Epilogo, del 1946, di fronte al rafforzamento del totalitarismo sovietico, fondato sul più forte imperialismo mai visto, Rocker prende fermamente posizione per una federazione europea. "Una federazione europea è la prima condizione e la sola base per una futura federazione mondiale, che non potrà mai essere raggiunta senza una unione organica dei popoli europei (...). Un'Europa federata con un'economia unificata, da cui nessun popolo fosse escluso da barriere artificiali, è dunque, dopo le esperienze amare del passato, la sola via che può condurci dalle rovinose condizioni del passato verso un avvenire più radioso. Ciò aprirà nuove vie ad un'organizzazione reale ed una rinascita dell'umanità e porrà fine a tutte le politiche di potere".
Ma questa posizione resta quella di una visione essenzialmente eurocentrica che aveva, ad esempio, impedito Rocker di evocare il movimento nazionale indiano, pioniere e modello di tutte le sollevazioni anticolonialiste; e lo aveva condotto a non citare Tagore che attraverso la sua opera Nationalism del 1917, per la sua condanna dell'idea di nazione uno dei più potenti anestetici che l'uomo abbia mai inventato", per aver "stabilito quest'inerente antagonismo tra nazione e società in queste splendide parole": "Una nazione, nel senso dell'unione politica ed economica di un popolo, è quell'aspetto che una popolazione intera assume quando essa è organizzata per uno scopo meccanico. La società in quanto tale non ha altro scopo. È un fine in sé. È l'auto-espressione spontanea dell'uomo come essere sociale. È una regolazione naturale delle relazioni umane che gli uomini possono sviluppare gli ideali di vita in cooperazione gli uni con gli altri".
Nel primo paragrafo dell'Epilogo, Rocker precisa ancora: "Una federazione dei popoli europei, o per lo meno un inizio verso questo fine, è la prima condizione per la creazione di una federazione mondiale, che garantirà ai popoli definiti coloniali gli stessi diritti per la ricerca del loro benessere. Non sarà facile soddisfare quest'ambizione, ma un inizio deve essere compiuto se non vogliamo di nuovo precipitare in un abisso".
Per proseguire con questa frase in corsivo: e l'inizio deve essere fatto dai popoli stessi.
Per fortuna, i popoli "definiti coloniali" assunserò da sé la propria causa senza troppo contare sulla solidarietà dei popoli europei. Incontriamo qui, indubbiamente, una delle debolezze della visione di Rocker, quella di non aver afferrato la fondamentale importanza dell'oppressione imperialista, sia oltremare che vicina, coinvolgente intere società e culture diverse.
Roland Breton
[Traduzione di Ario Libert]
*Il libro di Rudolf Rocker, Nationalisme et culture, è stato di recente edito dalle Éditions CNT Région parisienne /Les Éditions libertaires, 672 pages, 20 euro, per la traduzione di Jacqueline Soubrier-Dumonteil e con la prefazione di Heiner Becker
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Rudolf Rocker: Nationalisme et Culture