Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
25 luglio 2022 1 25 /07 /luglio /2022 05:00

Compagno Benjamin Péret

"Condoglianze nazionali", "Morto per la Francia", "Partito dei fucilati", "Martiri di Chicago": i popoli, le sette, le tribù, i partiti hanno gusto per la necrologia. Sanno trarre il massimo di profitto dal più piccolo cadavere non appena possono incollargli l'appellativo di denominazione controllata "Francese", "P.C.F.", "Veterano del 121° fanteria"…

La stampa libertaria, in generale, non fa eccezione, ahimè! a questa ginnastica sentimental-politica, e il posto che essa dedica ai: "Possa il tuo sacrificio non essere stato vano, Albert..." e ai "Le giovani generazioni sapranno mostrasi degne del tuo esempio, Eugène…" a detrimento degli articoli e studi di propaganda e di educazione, testimonia più dell'invecchiamento della corrente anarchica che del suo dinamismo. Questo è, per lo meno, il nostro punto di vista sull'argomento.

Eppure un uomo è appena morto, che noi amavamo. I nostri lettori che non lo conoscevano devono sapere che hanno appena perso un compagno.

Benjamin Péret, poeta-militante rivoluzonario, è morto all'ospedale Boucicaut, a Parigi, il 18 settembre 1959.

Naturalmente, Péret è più conosciuto come poeta surrealista che come militante rivoluzionario, ma fu entrambe le cose - indissolubilmente.

Quelli tra di noi che attraverso il surrealismo hanno abbandonato le sponde borghesi per approdare all'Anarchia sanno chi era Péret poeta.

Il surrealismo, scoperto da Breton, Péret e qualcun altro rischiando un occhio nella breccia che la bomba Dada aveva fatto sul muro del conformismo borghese, è nato circa 40 anni fa.

Péret aveva 20 anni allora, 20 anni.

Dopo aver preso le distanze dal nichilismo, molto presto i surrealisti sono presenti nel movimento rivoluzionario.

"Aprite le prigioni! Licenziate l'esercito!" gridano sin dal 15 gennaio 1925 dal secondo numero di "La Révolution Surréaliste".

Péret è di quelli che, volendo un'applicazione concreta delle loro posizioni politiche, entrano nel 1927 nel Partito comunista.

E' anche insieme a Breton, di quelli, meno numerosi, la cui etica rivoluzionaria non può accomodarsi agli zigzag e compromessi del P.C.

Abbandonerà il partito, lasciandovi Eluard e Aragon che vi trarranno ottimi affari.

Péret, parallelamente ai suoi testi poetici, firma una gran numero di proclami del gruppo surrealista:

  • Contro l'Esposizione coloniale del 1931 quando viene arrestato un militante annamita.

  • Per la solidarietà operaia internazionale con la rivoluzione spagnola del 1931.

  • Contro la razionalizzazione del lavoro alle officine Renault.

  • Per l'unità d'azione contro il fascismo, il 6 febbraio 1934.

Sin dal 20 luglio 1936, Péret è tra coloro che apportano la loro adesione totale alla rivoluzione operaia spagnola, moltiplicando gli appelli alla formazione di milizie proletarie, denunciando il tradimento costituito dal "non-intervento".

Infine, Péret prenderà il suo posto nella Colonna Durruti, diventerà un miliziano della C.N.T.-F.A.I

Dopo la guerra, il gruppo surrealista collabora per un certo periodo con "Le Libertaire" della Federazione Anarchica. Congiuntamente a Breton, Schuster, Valorbe, Legrand, ecc., che ci portavano dei testi poetici o di critica artistica, Péret ci dava uno studio La Révolution et les Syndicats (n° 321 a 326 incluso), contributo importante alla comprensione dei problemi operai del dopoguerra.

Péret vi analizzava la funzione contro-rivoluzionaria dei sindacati degenerati, assorbiti dal capitalismo e opponeva loro quella, rivoluzionaria, dei consigli operai eletti sul luogo di lavoro e revocabili ad ogni momento.

Più recentemente, aveva tenuto a formularci le sue critiche  sul nostro n° 7-8 (Le Nationalisme), sollecito com'era per una collaborazione costruttiva delle diverse tendenze rivoluzionarie (vedere la sua lettera apparsa con le iniziali B.P. sul n° 9 dalle pagine 89 a 92).

Péret si richiamava alla tendenza marxista "comunista dei Consigli".

Ciò non può in alcun modo impedirci di considerarlo come uno dei nostri (che non ci si metta in bocca l'ingiuria di vedere in questo un tentativo di annessione!).

Dei nostri, non tanto perché aveva combattuto sotto la bandiera nera e rossa in Spagna, quanto perché tutta la sua vita, fu un militante della libertà, sapendo ad ogni momento in ogni campo, riconoscerla, combattere i suoi errori, denunciarle le sue mancanze.

Péret era il tipo stesso d'uomo di cui la rivoluzione ha maggior bisogno. Senza illusioni, lucido, credeva alla Vita, alla "vera vita", sfuggendo all'ottimismo dei fanatici così come alla disperazione dei nichilisti. Solido.

Parlare della rivoluzione con Péret, e il vostro pessimismo o il vostro entusiasmo si scioglieva, si cristallizzava in un lingotto di convinzione tranquilla ma intrattabile.

Se Rivoluzione e Poesia erano per lui indissolubilmente legate, è perché Benjamin Péret vedeva nella poesia "il vero soffio dell'uomo", "la fonte di ogni conoscenza e questa conoscenza stessa"; "Qui la chiamano amore, là libertà, altrove scienza" diceva, e infatti era grazie a questa concezione e al libero esercizio dl suo spirito, che in quanto vero poeta seppe con coerenza e senza fallo, darci l'immagine di un uomo in cui tutta la potenza creatrice e liberatrice ha saputo manifestarsi.

In un epoca in cui, per poco o molto denaro, degli artisti si mettono a disposizione delle mode correnti; in cui, per un po' d'"onore", dei militanti operai si siedono al tappeto verde delle comissioni paritarie; in cui, per un posto "permanente", dei rivoluzionari ingannano la Rivoluzione rimanendo nel Partito comunista, un ragazzo come Péret, è una ventata d'aria pura.

Perché se la sua modestia, la sua povertà, la sua dignità l'hanno privato di una grande risonanza, non per questo l'opera poetica resta una delle più belle che vi siano.

E se essa è ancora troppo poco nota, troppo poco riconosciuta, è perché la borghesia e la sua stampa lo circondarono con un muro di silenzio, sapendo che Péret non era dell ostesso legno di cui erano fatti gli Aragon e i Dalì...

Più vicino a noi, all'interno stesso del movimento libertario, alcune "personalità" "anarchiche" farebbero bene a meditare l'esempio di Péret. Lui aveva del genio, loro non hanno nemmeno del talento. Lui non coltivava l'"io" come una pianta preziosa. Lui era Operaio del Libro (eh sì!) mentre loro sono a volte padroncini o commercianti. Nelle assemblee di militanti operai lui ascoltava, lui, e quand interveniva, era fraternamente, con concisione e chiarezza, come un compagno... mentre i nostri piccoli "pensatori" coltivano il genere paternalistico, scelgono le loro parole nel vocabolario dei chierici dei noati, giocano all'"élite", si pavoneggiano...

Sì, Péret, che lezione, per tutta quella gente! Ma più ancora che fonte per noi dove andare a ritrovare, quando la speranza ci abbandona, con il gusto maturo della libertà, la forza di lottare per essa - sempre e ovunque.

In verità, vi diciamo, compagni che non avete avuto la fortuna di conoscere Péret: era davvero qualcuno l'autore di "Je ne mange pas de ce paiun-là" [Di quel pane non ne mangio].

Mai lo ha fatto.

[Traduzione di Ario Libert]

Condividi post
Repost0
30 settembre 2016 5 30 /09 /settembre /2016 05:00

Maximilien Rubel, marxista anti-bolscevico

Risultati immagini per Maximilien Rubel

(Necrologia uscita sul Socialist standard di giugno 1996).

 

Risultati immagini per maximilien rubel livresMaximilien Rubel è morto alla fine di febbraio, non era semplicemente uno specialista di Marx, era anche qualcuno che ha voluto il socialismo nel vero senso di una società di proprietà comune e di controllo democratico nella quale, come Marx lo concepiva, le due grandi espressioni dell'alienazione umana, il denaro e lo Stato, sarebbero sparite.

Ha così identificato e denunciato nei suoi scritti i dirigenti della Russia capitalista di Stato e i loro ideologi così come i grandi deformatori delle idee di Marx.

Risultati immagini per maximilien rubel marx without mythLa sua ambizione, sul piano accademico, era di produrre un'edizione definitiva degli scritti di Marx purgata dalle deformazioni e commenti tendenziosi delle edizioni provenienti da Mosca e Berlino est.

A differenza di molti altri, Rubel non è stato sotto la cappa del regime capitalista di Stato in Russia. In altri termini, non è mai stato un membro o simpatizzante del partito comunista. Di fatto, egli proveniva dalla tradizione marxista della vecchia minoranza nella socialdemocrazia europea.

Rubel era nato nel 1905 a Czernowitz, che faceva allora parte dell'impero austro-ungarico (e più tardi, regione della Romania, dell'impero russo e ora dell'Ucraina), ed è in Austria che incontrerà la prima volta le idee di Marx. Ricevette l'influenza di Max Adler che, prima della prima guerra mondiale, era stato di quei socialdemocratici che cercavano di completare la critica del capitalismo con una dimensione morale basata sull'imperativo "categorico" di Kant: il socialismo era qualcosa che gli operai dovevano instaurare per delle ragioni morali piuttosto che qualcosa che andavano inevitabilmente instaurare per delle ragioni economiche. Era una posizione controversa ma Rubel l'ha optata e l'ha espressa nei suoi propri scritti. Nel 1931 si è trasferito a Parigi dove ha vissuto il resto della sua vita.

Risultati immagini per Maximilien RubelRubel era l'autore di molti libri e articoli su Marx, soprattutto in francese ma alcuni in inglese. Sono tutti interessanti, anche se la loro lettura è a volte difficile. Raccomandiamo in particolar modo i testi scelti di Marx e di Engels che ha edito insieme a Tom Bottomore (Karl Marx: Selected Writing in Sociology and Social Philosophy; edito presso Penguins) e la sua biografia di Marx che egli ha scritto insieme a Margaret Manale Marx Without Myth. Ha anche contribuito a Non-Market Socialism in the 19th & 20th Centuries edito insieme a John Crump.

In francese vi è la raccolta dei suoi articoli editi nel 1974 con il titolo Marx critique du marxisme (tr. it.: Marx critico del marxismo, Cappelli, 1981), Rubel argomenta sul fatto che Marx non era un marxista. In due sensi. In primo luogo, le proprie concezioni di Marx erano in conflitto con ciò che si è generalmente chiamato il "marxismo" (bolscevismo, leninismo, stalinismo, trotskysmo, ecc.). Rubel ha combattuto energicamente contro "il mito della rivoluzione socialista d'Ottobre" che ha visto, non come la conquista del potere politico attraverso l'auto-attività della classe operaia, preludio al socialismo, ma come la conquista del potere politico da parte del partito bolscevico, preludio allo sviluppo del capitalismo in Russia sotto gli auspici dello Stato.

Risultati immagini per Maximilien Rubel

La seconda ragione che faceva dire a Rubel che Marx non era un marxista era che Marx non aveva fondato una scuola di pensiero che si richiamava a lui, perché un corpus che si richiamava a un individuo era contrario a tutto il suo approccio e alla sua analisi. Ironicamente, benché Rubel si sia sempre rifiutato di considerarsi un marxista, i suoi scritti hanno espresso le concezioni di Marx con maggior precisione da parte di coloro che si sono detti marxisti.

Rubel ha evidenziato che sin dai suoi primi scritti socialisti della metà degli anni 40 del XIX secolo, Marx aveva considerato il denaro e lo Stato come due espressioni dell'alienazione umana, e aveva auspicato la loro sparizione come una caratteristica determinante della società libera che era l'alternativa al capitalismo.

Marx, ha detto Rubel, ha visto questa società senza denaro, senza patrie, senza classi come realizzabile da parte dell'auto-attività indipendente degli stessi operai, il che includerebbe la trasformazione del voto come strumento di emancipazione; in altri termini, la posizione di Marx era che lo Stato, in quanto strumento di classe posto al di sopra della società, dovrebbe essere soppresso dall'azione politica democratica. Marx non era contro la partecipazione dei socialisti alle elezioni.

Risultati immagini per maximilien rubel libriSi tratta in tutta evidenza di un'interpretazione di Marx molto vicina alla nostra. Rubel conosceva il SPGB, aveva partecipato ad alcune delle nostre riunioni, era in relazione epistolare con alcuni dei nostri membri ed era abbonato al Socialist standart. Era apparentemente affascinato dalla nostra esistenza in quanto gruppo che aveva collegato molto strettamente la concezione di Marx del socialismo e della rivoluzione socialista. Non era d'accordo con la nostra posizione di concentrarsi esclusivamente su ciò che William Morris chiamava la "formazione dei socialisti" [1], e, influenzato dall'argomento specioso del "male minore", aveva votato alle elezioni presidenziali del 1981 in Francia.

Inutile dire che un anno dopo le elezioni il governo di Mitterand congelava i salari e riduceva le prestazioni sociali secondo le leggi economiche del capitalismo nelle quali i profitti e la ricerca dei profitti sono posti sopra ogni cosa. Non vi è male minore sotto il capitalismo, soltanto un grande male, il capitalismo stesso, come Rubel avrebbe dovuto sapere.

Rubel era nella tradizione di ciò che Paul Mattick ha chiamato il "marxismo anti-bolscevico" o "marxismo non leninista" e, attraverso i suoi scritti, contiunuerà a contribuire alla comprensione socialista necessaria prima che una società veramente socialista possa essere instaurata.

 

Adam Buick

 

[Traduzione di Ario Libert]

Condividi post
Repost0
15 febbraio 2016 1 15 /02 /febbraio /2016 06:00

Maximilien Rubel

Maximilien Rubel è morto il 28 febbraio 1996. Era un comunista libero e iconoclasta, che conosceva perfettamente i testi di Karl Marx - di cui ha curato una gran parte in quattro volumi per La Bibliothèque de La Pléiade.

Sostenitore, come Marx, della auto-emancipazione, è stato durante il corso della sua vita stravolto dalla politica antimarxista di numerosi "marxisti" (in realtà dei leninisti). Si era impegnato nel ricercare, sotto le deformazioni e falsificazioni, il pensiero originale di Marx. E' per questo che passò dei decenni a pubblicare i testi di Marx basandosi sui manoscritti originali. Rubel considerava che "In Marx, l'adesione al comunismo, è innanzitutto l'adesione alla causa dell'emancipazione dei lavoratori che si identifica con la causa umana universale" [1].

In quanto comunista, Maximilien Rubel combatteva tutte le forme di alienazione. Ciò lo portava naturalmente a combattere il regime dell'URSS, che analizzava come "un'economia che si ritrova, secondo la teoria marxiana, al primo stadio dell'accumulazione capitalista" [2]. Per un sostenitore del socialismo  e del comunismo, la condanna era doppia: da una parte perché era come tutti gli altri regimi mondiali una società in cui il potere era detenuto da una infima minoranza (al contrario dei principi della democrazia che implicano il potere al popolo stesso) e in cui regnava lo sfruttamento attraverso il salariato, da un'altra parte perché l'URSS viveva su di una mistificazione, una menzogna permanente che assimilava l'oppressione capitalista al... socialismo! Rubel scriveva così nel 1965: "Non vi è socialismo nel mondo attuale. Ciò che si chiama così, per abuso di linguaggio, non è in realtà che una nuova forma dello sfruttamento e dell'oppressione dell'uomo sull'uomo [...]; lo si dovrebbe chiamare: capitalismo di Stato" [3]. Maximilien Rubel aveva già sviluppato quest'analisi in un articolo del 1957: La Croissance du capital en URSS [Lo sviluppo del capitale in URSS), ripubblicato in Marx critique du marxisme [Marx critico del marxismo] articolo fondamentale in cui Rubel segnala che i principi di Marx hanno già condotto dei teorici marxisti a identificare il carattere capitalistico dell'URSS (Anton Pannekoek, Cornelius Castoriadis [4], Otto Rühle…).

Rubel ha così fatto parte dei comunisti che, nel corso del XX secolo, hanno semplicemente riaffermato che uno Stato capitalista e poliziesco era per forza l'opposto dei valori del movimento democratico ed egualitario come lo è il comunismo. Si ritrovava così una delle tesi del pensiero di Marx: non è il tipo di capitalismo crea l'alienazione e lo sfruttamento, ma il capitalismo stesso, l'organizzazione capitalista e gerarchica del lavoro e dei rapporti sociali.

Gli scritti di Rubel, soprattutto Marx critique du marxisme (raccolta edita nel 1974), sono degli appelli viventi e argomentati per l'autoemancipazione degli esseri umani, che necessita di abolire il capitalismo e le sue fondamenta (sfruttamento attraverso il salariato; culto del denaro, della competizione e della forma merce) così come di tutte le forme di dominio (e soprattutto gli Stati).

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

NOTE

 

[1] Maximilien Rubel, Marx critique du marxisme, Payot, 1974 (2000), p. 355; tr. it. Marx critico del marxismo, Cappelli, 1981).

[2] Marx critique du marxisme, p. 323.

[3] Marx critique du marxisme, p. 415.

[4] Citato con lo pseudonimo dell'epoca, Pierre Chaulieu.

Condividi post
Repost0
14 dicembre 2015 1 14 /12 /dicembre /2015 06:00

Nota biografica di Bruno Salvadori alias Antoine Gimenez

JPEG - 64.3 ko

 

Bruno Salvadori è nato il 14 dicembre 1910 in Italia a Chianni, in provincia di Pisa, da Giuseppe e da Anna Montagnani [1].

Suo padre lavorava nei lavori pubblici. Soldato durante la prima guerra mondiale, è senz'altro deceduto a Lione, senza che Antoine abbia cercato di rivederlo sembra.

Bruno aveva due sorelle che egli chiama Brunetta e Luciana nella sua corrispondenza. Brunetta aveva una figlia e le due sorelle sembravano vivere in Francia nel 1952 da un certo numero di anni.

A nove anni, nel 1919, abitava a Livorno con sua madre e le sue sorelle. Suo padre lavorava presso San Donà di Piave, in provincia di Venezia, alle ricostruzionidel dopohuerra. Lo raggiungono per le vacanze.

E verso l'età di 12-13 anni, nel 1922-23, che fa la conoscenza degli anarchici di Livorno durante gli scontri con le Camicie Nere. Incontrerà brevemente Malatesta e s'inizierà alle idee libertarie. Perderà sua madre, deceduta di una malattia al fegato in una data ignota (secondo un passo del manoscritto - Perdiguerra - sarebbe morta nel 1928) alla fine della sua adolescenza. Per lui sarà un trauma profondo. Risiede a Marsiglia, dove è emigrato agli inizi degli anni 30. Viene espulso dalla Francia una prima volta il 7 ottobre 1930. Sarà rimpatriato per svolgere i suoi doveri militari nella divisione di Mantova. E' titolare di un passaporto emesso il 1° settembre per la Francia, della validità di un anno, a causa di convalescenza (?) durante il suo Servizio Militare.

E' durante uno dei suoi soggiorni a Marsiglia che conoscerà Jo e Fred, con i quali inizierà una piccola carriera di ladro. Condurrà una vita di vagabondaggio sino ai sioi tentativi di entrare in Spagna; ciò è da collegarsi con le sue dichiarazioni secondo le quali fu anche contrabandiere e trafficante di pubblicazioni e libelli. Viene arrestato il 22 dicembre 1934 a Perpignan per violenze e vie di fatto e condannato il 26 dicembre 1934 a 4 mesi di prigione. Viene di nuovo arrestato a Boulou il 3 agosto 1935 e condannato a 6 mesi di prigione dal Tribunale di Ceret il 22 agosto 1935 per infrazione al decreto di espulsione. Secondo la polizia italiana che lo sorveglia strettamente, si dichiara allora disertore e antifascista. Secondo il Tribunale di Perpignan, ha otto condanne al suo attivo in quel momento. In precedenza è stata arrestato anche il 25 maggio 1935 a Barcellona mentre stava cercando di vendere il suo passaporto, il che comporterà un'apertura di fascicolo da parte della polizia politica mussoliniana in quanto elemento sovversivo.

Espulso dalla Spagna verso il Portogallo il 13 giugno 1935 da Valencia de Alcantare, avrà nel frattempo frequentato gli ambienti sovversivi di Barcellona. Viene arrestato di nuovo il 22 febbraio 1936 e si ritrova incarcerato alla prigione Modelo di Barcellona. Entra allora in relazione epistolare con Pasotti di Perpignan che organizza una rete efficace di passaggio di uomini e di propaganda, e di sostegno dei militanti imprigionati in Spagna. Scontata la pena, verrà espulso verso la Francia da Puigcerda.

 

JPEG - 54.6 ko

 

E' a partire da questo periodo che appare il personaggio di Antoine Gimenez, e che la polizia italiana perde definitivamente le sue tracce sotto la sua vecchia identità. Gimenez si trova a Alcarras presso Lérida, alla vigilia del pronunciamento. Lavora insieme a degli amici sulla proprietà agricola si Vallmanya. Possiede una tessera della CNT con questo nome. E' a Alcarràs che incontreà Josep Llados, 17 anni, un futuro miliziano che si ricorda di lui con il nome di Tony.

JPEG - 25.2 ko"Mi ricordo molto bene di Tony, nome non molto diffuso nella regione. Non era del villaggio. Non sapevo da dove veniva. Aveva degli amici della sua età di cui non facevo parte. Era piccolo, non troppo robusto e parlava più o meno catalano. Faceva la figura dell'intellettuale in rapporto agli altri e parlava poco. Era quel che oggi si chiama un emarginato. Un giorno, è sparito, certamente durante gli avvenimenti di luglio 1936".

Gimenez raggiunge in seguito la Colonna Durruti poi il Gruppo Internazionale che si costituisce a Pina de Ebro. Prende parte soprattutto alle battaglie di Sietamo, Farlete e perdiguera. Sembra che fu Delegato del Gruppo prima della militarizzazione. E' stata ritrovata una carta d'identità (non firmata dall'interessato) della AMRE (Agrupation Militar de la Republica Espanola) emessa a Tolosa nell'aprile del 1945, che gli attribuisce il grado di tenente di fanteria. Farà la conoscenza di Antonia Mateo-Clavel e di sua figlia Pilar a Penalba, provincia di Huesca, che diventeranno sua moglie e sua figlia.

Smobilitato nel 1938 come gli altri volontari stranieri, abiterà per un certo periodo a Barcellona sino alla retirada. Abbandona la Spagna da Port-Bou il 9 febbraio 1939. E' registrato dal Ministero dell'Interno italiano nell'agosto del 1939 con il nome di Gimenez Antoine (senza che venga fatto rapporto con Salvadori), nel campo di concentramento di Argelès sur Mer, come facente parte del gruppo di militanti libertari Libertà o Morte. All'interno di questo gruppo si organizzava la sopravvivenza e la difesa collettiva di fronte a tutti i pericoli possibili: denutrizione, ostilità dei comunisti, maltrattamenti. Giunsero sino a provocare la morte con una granata di una guardia senegalese, come forma di rappresaglia.

Nel 1939-1944, fu integrato nelle Compagnies de Travailleurs Étrangers (Compagnie dei Lavoratori Stranieri) come tanti altri rifugiati, Antoine lavora per un certo periodo sul Vallo Atlantico, nel settore di Royan, dove partecipa a dei sabotaggi e a delle azioni della Resistenza. Sembra che abbia in seguito lavorato come boscaiolo sui bordi della Vézère. E' in questo periodo che apprende della morte del suo amico del GI il tedesco Otto (che ci piacerebbe poter identificare) nella resistenza dalle parti di Limoges.

Antoine e la sua famiglia sono domiciliati a Uzerche, come l'attetsa un Ausweiss datato 1944. Antoine sarà liberato dalle Compagnie di Lavoratori Stranieri il 26 ottobre 1944. Seguono alcuni anni di vuoto nella biografia. Il nostro italiano lavora in seguito al cantieredella diga di Treignac in Corrèze che inizia nel 1948. La famiglia abiterà a Limoges almeno dal 1948 al 1951. L'opportunità di andare a vivere in seguito a Parigi o a Marsiglia gli sarà data da una proposta di lavoro nell'edilizia, che gli verrà fatta a Marsiglia.

Antoine verrà assunto dalla Société des Travaux du Midi il 2 marzo 1953 in quanto carpentiere-armatore. Vi lavorerà sino alla pensione anticipata a causa di malattia (problemi alla schiena). Non è mai tornato in Italia. Non sembra che abbia mai fatto parte di una qualsiasi organizzazione politica durante tutti gli anni del dopoguerra. Amante della letteratura, scriverà dei racconti e delle poesie che intrecciano autobiografia e invenzione.

Redigerà i sui Ricordi tra 1974 e 1976 senza documentarsi su questo periodo, fidandosi dei suoi soli ricordi. Questa scelta provocherà alcuni errori e approssimazioni nella sua narrazione, ma era il prezzo da pagare per un'opera sincera che non cerca di far quadrare le sue opinioni con la Storia scritta. Cercò di farli pubblicare, senza successo, anche nell'ambiente libertario a cui i "ricordi sensuali" sembravano dispiacere.... Da tutti i suoi scritti emergono i tratti salienti della sua personalità: un amore sconfinato per le donne trova la sua origine nella sua infanzia. E' cresciuto circondato da donne in gran parte a causa della prima guerra mondiale e del mestiere di suo padre. Antoine non parlava mai del suo genitore.

Personaggio disinteressato, vivrà spesso alla giornata senza poter dedicare grande attenzione alle questioni materiali; ci parla sempre del suo rapporto con gli Altri senza artificiosità né autosoddisfazione, anche durante le scene più intime. Ogni atto è relativo agli altri, ogni pensiero vi si riferisce, nella lotta così come nell'amore. Non era certo perfetto ma profondamente umano.

JPEG - 21 ko

Nel 1976, rispondendo alla curiosità politica di Viviane, sua nipote, riprende contatto con il movimento libertario frequentando il gruppo di Marsiglia della Fédération Anarchiste allora situata al 72 del boulevard Eugène Pierre. Assicurerà la sua presenza durante molte riunioni durante le quali il suo ruolo modesto di riferimento storico e di elemento moderatore si accentuerà. Il gruppo F. A. si trasferirà un po' più tardi in un locale al 3 di rue Fontaine de Caylus, nel quartiere del Panier, ai piedi dell'edificio in cui la famiglia Gimenez possedeva un modesto appartamento.

Antoine, vers 70 ans.

Tutti lo chiamavano Antoine, morirà di un cancro il 26 dicembre 1982, nel conforto dei compagni che gravitavano intorno al gruppo. Il suo decesso è registrato allo stato civile con la sua falsa identità, che deve senz'altro a Pasotti.

Possediamo fofografie di sua madre e di Antoine/Bruno di diverse epoche. Altri documenti sono stati trovati: carte amministrative francesi, poesie e testi scritti da lui, e un audiocassetta in cui per dieci minuti, Antoine/Bruno parla del suo incontro con la madre a Pina.

 

NOTE

 

[1] Salvadori Giuseppe, Alfonso, Giacomo, nato il 25 luglio 1882 a Chianni da Filippo e Bruni Eugenia, è deceduto a La Spezia il 6 marzo 1944 (menzione aggiunta nel 1948 sul registro di nascita n° 68 del 1882). Secondo il certificato di matrimonio del 1915, n° 1, il 9 agosto 1915 Giuseppe Salvadori, di professione operaio, residente a Livorno, sposa Montagnani Annina, Maria, Alfonsa, residente a Chianni, nata il 16 dicembre 1885 a Chianni, da Agostino e Cajozzi Assunta (registro di nascita del 1885 n° 117 non comprendente menzione di date/luoghi della sua morte.

Bruno Salvadori è nato il 14 dicembre 1910 a Chianni ma non è stato legittimato da Salvadori Giuseppe e Montagnani Anna che al momento del loro matrimonio nel 1915: registro di nascita n° 104 del 1910 e atto di matrimonio già citato.

Nello stesso atto di matrimonio, è annotato che Luisa Salvadori è nata da questa stessa unione il 15 settembre 1913 a Roccella Ionica (Reggio Calabria).

Salvadori Bruna è nata da questa stessa unione il 18 febbraio 1917 a Livorno, ma la nascita è stata ritrascritta nel registro di Chianni parte II, n° 1 del 1917.

 

[Traduzione di Ario Libert]

Condividi post
Repost0
14 agosto 2015 5 14 /08 /agosto /2015 05:00

Pietro Gori

Pietro Gori nacque a Messina il 14 agosto 1865 da Francesco, originario dell'isola d'Elba, cospiratore risorgimentale e comandante del presidio di artiglieria di Messina, e da Giulia Lusoni, discendente da una nobile famiglia di Rosignano Marittimo. Compiuti gli studi classici a Livorno, il Gori si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Pisa, dove fu allievo prediletto del grande criminalista Franco Ferrara.

Da studente abbracciò le idee libertarie e nel 1887 diede alle stampe l'opuscolo Pensieri ribelli (poi in Opere complete, La Spezia 1911-12; nuova ed. Milano 1947-48, come gli altri titoli citati) che gli valse un processo, nel quale fu difeso da Enrico Ferri, uscendone assolto.

Nel 1889 si laureò, con il massimo dei voti e la lode, con una tesi di sociologia criminale intitolata significativamente La miseria e il delitto. Nel 1890 il Gori fu arrestato a Livorno e condannato a un anno di carcere come istigatore del grande sciopero scoppiato il 1° maggio; il verdetto venne poi annullato dalla Cassazione quando il Gori aveva ormai scontato quasi per intero la pena. Sottoposto a uno stretto controllo di polizia, decise di trasferirsi a Milano, dove Filippo Turati lo accolse nel suo studio e lo aiutò nell'attività professionale, instaurando con lui un rapporto di stima e amicizia al di là delle profonde divergenze politiche.

Nel 1891, dal 4 al 6 gennaio, Gori prese parte al congresso di Capolago, promosso da Errico Malatesta e Amilcare Cipriani per dar vita al Partito socialista anarchico rivoluzionario, di cui divenne uno dei principali esponenti e propagandisti. Nello stesso anno tradusse e curò la prima edizione integrale del Manifesto del partito comunista Karl Marx e Friedrich Engels e fondò e diresse a Milano il periodico "socialista anarchico" L'amico del popolo: tutti i ventisette numeri del giornale vennero sequestrati procurandogli denunce e arresti. Sempre nel 1891 partecipò al congresso operaio di Milano come rappresentante della Federazione cappellai del lago Maggiore.

In quella sede Gori presentò un ordine del giorno in favore della linea libertaria, astensionista e antiparlamentare, che si contrapponeva a quello della maggioranza, guidata da Turati, favorevole al metodo legalitario e alla partecipazione socialista alle elezioni. Era il preannuncio di quel che avvenne l'anno successivo al congresso di Genova, allorché Gori rivendicò per gli anarchici la libertà di svolgere la loro propaganda tra i socialisti: "Perché - disse - ci mettete alla porta? Dove voi sarete, là vi seguiremo". Replicò Turati: "Voi non ci seguirete. Noi non vi metteremo alla porta. Soltanto noi siamo stanchi di voi e ci separiamo" (Zangheri, p. 477).

L'esito del congresso del 1892, che sancì la nascita del Partito socialista dei lavoratori italiani (poi Partito socialista italiano) e la sconfitta degli anarchici, amareggiò particolarmente Gori, il quale, contrario alle tendenze individualiste e al metodo violento, riteneva che il vero socialismo non potesse non essere anarchico. Nell'agosto 1893 partecipò al congresso internazionale socialista di Zurigo, al quale intervennero anche Turati, Anna Kuliscioff e Antonio Labriola e ne venne espulso, insieme con Cipriani. All'inizio del 1894 fu tra i fondatori della rivista La lotta sociale, la cui pubblicazione venne sospesa dopo il sequestro del primo numero.

In questo periodo Gori scrisse, oltre ad alcuni opuscoli propagandistici, opere poetiche (Alla conquista dell'avvenire, Prigioni e battaglie) e drammi teatrali (Senza patria e Proximus tuus) che ottennero vasti consensi di critica e di pubblico. Al tempo stesso si affermava come grande penalista dall'oratoria trascinante, protagonista di quasi tutti i principali processi politici che vedevano gli anarchici sul banco degli imputati.

Tra essi vi fu Sante Caserio, difeso da Gori davanti al tribunale di Milano prima che, il 24 maggio 1894 a Lione, pugnalasse a morte il presidente della Repubblica francese Sadi Carnot. Per quella difesa giudiziaria Gori, unico degli esponenti libertari più rappresentativi ancora in Italia, venne additato come ispiratore dell'attentato di Lione.

Per sfuggire all'ondata repressiva che investì gli anarchici anche Gori fu costretto a riparare all'estero. Si stabilì a Lugano, dove continuò a svolgere attività politica facendo della sua casa un ritrovo di altri esuli, tra i quali A. Cabrini e G. Podrecca. Dopo aver subito un misterioso attentato senza conseguenze, nel gennaio 1895 venne arrestato insieme con altri fuorusciti, trattenuto in carcere per due settimane e quindi espulso dalla Svizzera. Questa amara esperienza gli ispirò Addio Lugano, il più celebre tra gli inni da lui composti. Dopo brevi soggiorni in Germania e in Belgio raggiunse Malatesta a Londra e, al suo fianco, partecipò alle lotte dei lavoratori inglesi.

A Londra Gori tenne conferenze e strinse amicizia con noti esponenti dell'anarchismo internazionale come Piotr Kropotkin, Louise Michel, Sébastien Faure e Charles Malato.

Le persistenti difficoltà a procurarsi mezzi di sostentamento lo indussero ad accogliere l'invito dell'agitatore socialista olandese Domela Niewenhuis a recarsi ad Amsterdam, ma poco dopo, avendo problemi con una lingua completamente sconosciuta, decise di rientrare a Londra. Da lì s'imbarcò come semplice marinaio sulla "Neuland", navigando per i mari del Nord prima di approdare a New York, dove amici e compagni lo convinsero ad abbandonare la nave.

Iniziò allora un'intensissima attività di conferenziere e di propagandista politico attraverso le principali città degli Stati Uniti e del Canada. Tenne più di 400 conferenze, trattando di politica, poesia, cultura, filosofia, morale, geografia, facilitato dalla padronanza delle lingue francese, inglese e spagnola. A Paterson, roccaforte anarchica del New Jersey, contribuì alla fondazione della rivista La Questione sociale, pubblicò e fece rappresentare il bozzetto sociale in un atto Primo maggio.

la questione sociale

 

Nel luglio 1896 si recò a Londra per partecipare, quale rappresentante delle Trade Unions nordamericane, al congresso operaio internazionale che ripropose il duro scontro tra socialisti e anarchici e sancì la definitiva sconfitta di questi ultimi. Le amarezze politiche e il peso della frenetica attività concorsero al peggioramento della salute di Gori, minata dalla tisi. Subito dopo la conclusione del congresso venne colto da un grave esaurimento nervoso e ricoverato in un ospedale londinese. Grazie all'interessamento dei deputati G. Bovio e M. R. Imbriani poté rientrare in Italia per curarsi, ottenendo la commutazione della condanna al domicilio coatto, ancora pendente su di lui, nell'obbligo di risiedere all'isola d'Elba. Dopo una breve convalescenza, nel 1897 Gori si trasferì a Milano dove riaprì lo studio legale.

 

Tornò nelle aule di giustizia a difendere i suoi compagni di fede, tra i quali Malatesta, e riprese a collaborare con i giornali anarchici.

Nel 1898, all'inaugurazione del monumento ai martiri delle Cinque giornate di Milano, Gori, acclamato dalla folla, improvvisò un discorso non autorizzato; tale intervento figurò fra i principali capi d'accusa nel processo che seguì i moti popolari scoppiati nel corso di quello stesso anno. Il Gori venne condannato a 12 anni di carcere, in contumacia, dal momento che aveva già provveduto a espatriare. Raggiunta Marsiglia s'imbarcò per Madera e successivamente per il Sudamerica, soggiornando a Santos, a Rio de Janeiro e infine a Buenos Aires.

 

Qui tenne corsi di sociologia criminale all'università, fondò e diresse la rivista Criminologia moderna, alla quale collaborarono tra gli altri C. Lombroso, G. Ferrero ed E. Ferri. Fu tra i promotori della Federacion obrera regional argentina e, grazie al suo impulso, l'anarchismo argentino uscì dalla fase individualistica e venne definendosi come socialismo anarchico per volgersi infine verso il comunismo anarchico. Dopo aver tenuto acclamate conferenze anche in Uruguay, Paraguay e Cile, Gori, per incarico della Sociedad cientifica argentina, effettuò, insieme con il pittore A. Tommasi e il poeta C. Pascarella, una vasta esplorazione dell'Estremo australe, con esiti di grande interesse antropologico e geografico. Gori continuava intanto a interessarsi alle vicende italiane e quando, dopo il regicidio compiuto da Gaetano Bresci, montò una nuova ondata antianarchica scrisse l'opuscolo La nostra utopia, nel quale giustificava l'attentato.

Image illustrative de l'article Fédération ouvrière régionale argentine

 

Nel 1903, grazie all'amnistia che cancellava la pena del 1898, fece ritorno in Italia. Nello stesso anno fondò con Luigi Fabbri la rivista Il Pensiero, sulla quale ebbe modo di esprimere in modo organico la sua concezione del socialismo, dell'anarchismo e della lotta sindacale. Dopo aver compiuto nuovi viaggi in Egitto e in Palestina, sui quali riferì in un nuovo giro di conferenze, Gori, colpito anche da un malattia tropicale, si ritirò nuovamente all'isola d'Elba dove fu l'animatore dello sciopero dei minatori e tra i promotori della Camera del lavoro aderente all'Unione sindacale italiana.

 

Pietro Gori morì a Portoferraio l'8 gennaio 1911.

 

Giuseppe Sircana

 

 

Monumento a Pietro Gori al cimitero di Rosignano Marittimo

 

Fonti e Bibliografia

 

Oltre al già ricordato volume delle Opere complete, si veda ancora: Scritti scelti, a cura di G. Rose, Cesena 1968. V. Mazzoni, Pensieri. Ricordi ed opere di Pietro Gori, Pisa 1922; La vita e l'opera di Pietro Gori nei ricordi di Sandro Foresi, Milano 1948 (il volume comprende Ultime battaglie. Lettere e scritti inediti di Pietro Gori e Notizie biografiche su Pietro Gori di L. Fabbri); Commemorando Pietro Gori nel 40° della morteRoma, 1950; G. Manacorda, Il movimento operaio attraverso i suoi congressi (1853-1892)Roma, 1953, ad indicemA. Borghi, Mezzo secolo di anarchia, Napoli, 1954, ad indicem; C. Molaschi, Pietro GoriMilano, 1959 (nuova ed. Pescara 1999); E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, Milano, 1959, ad indicem; Rosignano a Pietro Gori, Cecina 1960; L. Cortesi, La costituzione del Partito socialista italianoMilano 1962, ad indicem; La corrispndenza di Marx e Engels con italiani 1848-1895, a cura di G. Del Bo, Milano 1964, ad indicem; A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Roma 1965, ad indicem; A. Angiolini, Socialismo e socialisti in Italia, Roma 1966, ad indicemG. Dinucci, Pietro Gori e il sindacalismo anarchico in Italia all'inizio del secolo, in Movimento operaio e socialista, XIII (1967), 3-4, pp. 289-301; L. Briguglio, Il Partito operaio italiano e gli anarchici, Roma 1969, ad indicem; Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo, Torino 1971, ad indicem; D. Perli, I congressi del Partito operaio italiano, Padova 1972, ad indicemV. Emiliani, Gli anarchici, Milano 1973, ad indicem; P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Milano 1974, ad indicem; R. Paris, L'Italia fuori d'Italia, in Storia d'Italia (Einaudi), IV, Dall'Unità a oggi, 1, Torino 1975, ad indicem; P. C. Masini, I leaders del movimento anarchicoBergamo 1980, pp. 115-125; Centro studi P. Gobetti - Istituto di storia della Resistenza in Piemonte, Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori, Torino 1980, ad indicem; O. Bayer, L'influenza dell'emigrazione italiana nel movimento anarchico argentinoin Gli Italiani fuori d'Italia, a cura di B. Bezza, Milano 1983, pp. 531 s., 537, 541 ss.; M. Antonioli, Pietro Gori o la breve stagione del del cavaliere errante, in Annali dell'Istitutodi storia della Facoltà di magistero dell'Università di Firenze, III (1982-84), pp. 109-133; A. Dadà, L'anarchismo in Italia: fra movimento e partito, Milano 1984, ad indicem; G. Ferro, Protagonisti del movimento socialismo socialista in Italia, Roma 1992, s. v.; M. Antonioli, Pietro Gori il cavaliere errante dell'anarchia, Pisa, 1995; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, II, Dalle prime lotte nella Valle Padana ai fasci siciliani, Torino, 1997, ad indicemIl movimento operaio italiano. Dizionario biografico, II, ad vocem; L. Bettini, Bibliografia dell'anarchismo, I, 1-2, Firenze, 1972-76, ad indicem.

Condividi post
Repost0
3 marzo 2015 2 03 /03 /marzo /2015 06:00

William Godwin

Gli annali della rivoluzione francese hanno lasciato scritto col sangue che la conoscenza di pochi non può contrastare l'ignoranza dei più... la luce della filosofia, quando è limitata ad una ristretta minoranza, mostra come coloro che la possiedono sono le vittime e non gli illuminatori le masse.

 

Samuel Taylor Coleridge, Essays on His Own Times, ed. William Pickering, Londra, 1850, pp.5-9 [1].

 

William Godwin, il padre dell'anarchismo filosofico, nacque il 3 Marzo 1756 a Wisbech, nel Cambridgeshire, Inghilterra, settimo di tredici figli di John Godwin e Anna Hull. Debole di fisico, introverso e intellettualmente precoce, Godwin osservò il più rigido calvinismo [2] sandemanista [3] quasi fino alla fine della sua istruzione formale alla Hoxon Academy, una scuola dissidente, nel 1778.Il padre, John Godwin, era un ministro di estrazione sandemanista e si aspettava che il giovane William seguisse le sue orme. Godwin più tardi descriverà Sandeman come "un celebre apostolo nordico che aveva escogitato un metodo per maledire novantanove seguaci di Calvino su cento, dopo che Calvino stesso aveva maledetto novantanove esseri umani su cento". Questa religiosità austera ad una così giovane età la dice lunga sui motivi per cui Godwin divenne infine il profeta dell’anarchismo filosofico.

Gli avvenimenti politici in America e in Inghilterra, le discussioni con i suoi colleghi e lo studio dei filosofi francesi (in particolare Rousseau [4], Helvetius [5], D’Holbach [6] e Montesquieu [7]), degli storici latini e degli scrittori inglesi (Locke [8], Swift [9] e Priestley [10]), lo fecero convertire al liberalismo politico. Le sue credenze religiose passarono progressivamente dal Calvinismo al deismo, al Socinianesimo [11], all'agnosticismo e all'ateismoPiù avanti Godwin adottò quello che potrebbe essere chiamato un "vago teismo".

Entro il 1783, Godwin lasciò la contea per trasferirsi a Londra dove aveva intrapreso la carriera di letterato a servizio dei suoi compagni. Il suo primo progetto, un tentativo di avviare una piccola scuola, fallì per mancanza di alunni. Iniziò in quel periodo ad interessarsi alla politica nazionale. Questo lo portò a contribuire a giornali radicali e Whig [12]. Nonostante frequentasse apertamente associazioni ed organizzazioni radicali, evitò sempre di diventarne membro.

Fu la Rivoluzione Francese che influenzò profondamente il corso della carriera di Godwin. Sebbene non appoggiasse tutti gli aspetti della Rivoluzione (sostanzialmente perché molti di essi erano contrari alla ragione umana), credeva che in generale questa fosse utile e partecipò ad un piccolo comitato che garantì la pubblicazione de I diritti dell'uomo [13] di Paine.

Godwin pensava che quello di cui c'era veramente bisogno al tempo non fosse un'altra confutazione del pensiero di Burke [14], ma piuttosto un'analisi approfondita della società e del governo. Ricevette un anticipo dal suo editore e nel gennaio del 1793 pubblicò il suo più significativo trattato politico, Un'Inchiesta sulla Giustizia Politica e sulla sua Influenza sulla Virtù e Felicità Generali [15]. Nonostante la prolissità e il costo, il trattato divenne un bestseller (vennero vendute intorno a 4000 copie). Nell'inchiesta, Godwin elabora un'approfondita interpretazione dei principi generali che sottostanno alla società e formula un piano per il futuro basato sulla sua interpretazione del passato.

Nel 1794 apparve il suo romanzo, Così va il Mondo, o le Avventure di Caleb Williams [16],che rese ancora più popolari le sue opinioni politiche e sociali sull'individuo vittimizzato dalla società. Nella prefazione, Godwin spiega il perché scrisse Caleb Williams:

"Con questo racconto si sono voluti conseguire scopi di portata più ampia e generale di quanto non appaia a prima vista. La discussione oggi di maggiore attualità, su come va il mondo, è tra le più interessanti che si possano presentare alla mente umana. Mentre da una parte si perora la causa del cambiamento e delle riforme, dall'altra si esalta coi termini più appassionati la costituzione attuale della società [...] Soltanto da poco si è compresa in modo adeguato l'inestimabile importanza dei principi fondamentali della politica ed è ormai risaputo tra i filosofi come in tutti gli strati della società sia possibile riscontrare l'intrusione operata dallo spirito e dalla qualità del governo. Ma questa è una verità che ben merita di essere fatta conoscere a persone che con scarsa probabilità potranno mai essere raggiunte da libri di storia e di filosofia. Conseguentemente, nel concepire quest'opera ci si è proposti di condurre, nei limiti concessi dalla natura progressiva di un singolo racconto, un'analisi generale dei modi in cui si attua il troppo sconosciuto dispotismo domestico, tramite cui l'uomo diventa agente di distruzione di un altro uomo [...]” [17].

Giustizia politica e Caleb Williams portarono Godwin all'apice della sua popolarità. Continuò ad attaccare il governo e, disgustato dall'azione governativa contro i radicali scozzesi e i membri delle rispettive organizzazioni, compose un opuscolo anonimo in favore degli accusati. Il suo Rapide critiche all'accusa presentata dal Lord Giudice Capo Eyre al Gran Giurì, 2 Ottobre 1794 [18] fu significativo per il movimento radicale: Godwin aveva smascherato la logica fasulla che stava dietro la definizione di tradimento fatta dal pubblico ministero.

Nelle Considerazioni sull'incriminazione di Lord Grenville e Mister Pitt riguardante pratiche sovversive e sediziose e assemblee illegali [19], Godwin castigò una volta ancora il governo. Le Considerazioni ribadiscono le obiezioni di Godwin al partito e alla fazione ed attaccano l'appello dei radicali all'impeto popolare definendolo come totalmente opposto alla ragione umana.

Benché Godwin non abbandonò forse mai la sua idea che l'uomo deve essere guidato dalle leggi della verità, della benevolenza, dell'onestà e della giustizia, le esperienze fatte durante gli anni 90 del '700 lo portarono ad uno spostamento di interesse allontanandolo dal freddo razionalismo dell'Inchiesta, interesse che si riflette nelle due revisioni successive del trattato del 1796 e del 1798. Questo cambiamento è anche evidente in L'inquisitore [20], una raccolta di interessanti saggi sui temi riguardanti l'istruzione, la letteratura e il sociale. In quest'opera Godwin elabora le sue opinioni in uno stile meno complesso. Uno di questi saggi, Sull'avarizia e l'abbondanza, [21], indusse Thomas Malthus [22] a scrivere il suo famoso Saggio sul principio della popolazione [23], nello sforzo di sminuire la fede di Godwin (e di Condorcet [24]) sulla benevolenza universale e sulla capacità dell'uomo di perfezionarsi.

La rinnovata frequentazione di Mary Wollenstonecraft [25] (si erano conosciuti per la prima volta nel 1791) contribuì forse ancora di più al cambiamento della sua indole. Il freddo logico era diventato un nuovo "uomo sentimentale".

I due si sposarono dopo aver appreso che Mary era rimasta incinta. Questa decisione cozzava apparentemente con le critiche da sempre fatte da Godwin all'istituzione del matrimonio e i due vennero messi in ridicolo dalla stampa scandalistica.

 

Mary Wollstonecraft morì nel settembre 1797, pochi giorni dopo aver dato alla luce la figlia, Mary Godwin Wollstonecraft [26]. La vita della giovane Mary Godwin fu legata a quella di Percy Bysshe Shelley [27] dal 1814 fino al 1822, anno della morte del poeta. Nel 1818 Mary Shelley pubblicò il suo più famoso romanzo, Frankenstein [28]. Dopo la morte di Mary Wollstonecraft, Godwin scrisse l'intenso Memorie dell'autrice di Una rivendicazione dei diritti della Donna [29], che fu accolto molto freddamente dal pubblico.

Il resto della carriera di Godwin fu esattamente il contrario del decennio turbolento degli anni 90 del '700, durante i quali aveva composto i suoi più ragionati e originali contributi alla tradizione letteraria, filosofica e politica inglese. Il suo secondo matrimonio, con Mary Jane Clairmont nel 1801, non fu felice: complicò gli obblighi di William verso la sua famiglia e lo costrinse a scrivere per soldi. I libri per bambini, scritti sotto diversi pseudonimi e stampati nel negozio che gestì dal 1805 al 1824 ebbero in discreto successo. Nonostante questo la sua iniziativa imprenditoriale fallì per una cattiva amministrazione degli affari.

La sua cerchia di amici fu abbastanza ristretta, benché includesse Samuel Taylor Coleridge, William Wordsworth [30], Robert Southey [31], Charles Lamb [32] e Francis Place [33]. Percy Shelley divenne suo cognato e il suo benefattore.

Molti abbandonarono Godwin e presero le distanze dalle sue idee, ora che la Rivoluzione Francese stava attraversando la sua fase di "regno del terrore". Godwin fronteggiò l'isolamento con una risolutezza stoica. Nel romanzo San Leone [34], che evidenziava le gioie degli "affetti domestici" da poco scoperte, Godwin mostrava come coloro che usano la saggezza per il bene pubblico devono sempre affrontare l'ostilità di una società critica.

Le pubblicazioni più degne di nota dell'ultima parte della sua carriera furono: Sulla popolazione [35], un tentativo tardivo di confutare la teoria Malthusiana attraverso l'affermazione che il progresso morale avrebbe ridotto la crescita della popolazione, Storia del Commonwealth Inglese, dal suo Inizio alla Restaurazione del Re Carlo II [36], e Pensieri sull'Uomo, la sua Natura, le sue Produzioni e le sue Scoperte [37]. Pensieri sull'uomo è una raccolta di saggi politici e filosofici in cui Godwin sostiene che esistono qualità innate che portano gli uomini ad avere attitudini diverse e sottolinea che è compito dell'istruzione incoraggiare le doti proprie di ogni individuo.

Le difficoltà economiche di Godwin ebbero fine quando in età avanzata gli fu concesso un sussidio governativo – un fatto singolare, date le sue posizioni anarchiche. Malgrado la sua notorietà, morì il 7 Aprile 1836, abbandonato dalla maggior parte dei suoi conoscenti.

Godwin non era in rivoluzionario e non era fautore della distruzione materiale del governo. Caos e violenza rappresentavano un anatema per un uomo come Godwin, poiché erano contrari alla ragione umana. Preferiva la conversazione e la discussione all'azione e al martirio. Questo spiega la sua ostilità verso il movimento per la riforma del parlamento in generale e in particolare verso tutte le piccole società che lo sostenevano. "Gli interessi del genere umano hanno bisogno di un cambiamento graduale ma costante", scrisse nel suo Giustizia Politica:

Colui il quale applicherà questi principi non deve fare pressione per l'abolizione subitanea di tutti gli abusi in atto [...] La verità, per quanto aperto possa essere il modo in cui viene enunciata, avrà un processo di affermazione graduale. Essa sarà compresa interamente, da coloro che si dimostreranno suoi più assidui devoti, solo a piccoli passi; e i passi dovranno essere misurati al suo pervadere una parte considerevole della comunità e a renderla matura per il cambiamento delle sue istituzioni [...] Ci devono essere riforme e non rivoluzioni [...] Le rivoluzioni sono il frutto della passione, non della tranquilla e sobria ragione [38].

Godwin ammetteva la temporanea esistenza del governo solo perché permanevano nel mondo ragionamenti inadeguati e violenza radicata. Poiché i cambiamenti nella società avvengono lentamente, il governo dovrebbe limitare coloro che attentano al benessere degli altri. La "decisione comune" era l'unico fondamento accettabile per il governo secondo Godwin che, mentre rifiutava le forme di organizzazione comune, supportava d'altro canto la decentralizzazione dell'autorità. Qualsiasi forma di organizzazione che fosse stata necessaria sarebbe nata su base volontaria e locale.

Godwin affermava che, al posto della forza bruta, sarebbe stata una graduale comprensione che avrebbe liberato l'uomo dalle pecche politiche, economiche e sociali. Una volta che i veri valori fossero stati indotti nell'individuo - attraverso l'onestà, la benevolenza e la sincerità - e che fossero prodotti beni sufficienti per soddisfare i bisogni materiali della società - il desiderio di opulenza, gli atteggiamenti di ostentazione e le tendenze violente sarebbero scomparsi. La riduzione dei bisogni attraverso la ridistribuzione delle proprietà individuali avrebbe posto rimedio, o almeno così sperava Godwin, alla spartizione non equa dei beni e, con l'aiuto delle macchine, la maggior parte del lavoro manuale sarebbe stato abolito. Il controllo statale dell'istruzione era inaccettabile. L'educazione basata sulla libertà invece che sull'inganno, sull'azione o sulla forza collettiva, avrebbe portato al progresso morale e al cambiamento generale della società. L'obiettivo non era quello di imporre l'educazione ma al contrario di rafforzare le doti della mente che avrebbero acceso la saggezza nello studente e lo avrebbero difeso da forze ostili.

Godwin anticipò le idee di P. J. Proudhon [38], il principe Petr Kropotkin [39], e John Stuart Mill [40] e inoltre ebbe una piccola influenza diretta sui movimenti radicali, socialisti e anarchici del diciannovesimo secolo. Il suo rifiuto dei partiti politici e dell'azione e del controllo delle autorità in favore dell'istruzione e della discussione costruttiva furono i motivi della sua poca popolarità. Liquidato come "un uomo tranquillo e amabile" da Leslie Stephen [41], come "uomo da un solo libro" da Cecil Driver e come "ciarlatano filosofeggiante" da D. C. Somervell [42], Godwin è stato riconosciuto come un intellettuale di primo livello in politica, nella teoria dell'educazione e nel pensiero sociale a causa della sua denuncia della tirannia delle istituzioni e del suo supporto dei diritti dell'individuo contro le istituzioni stesse.

 

[Traduzione, note e ricerca iconografica di Sara Selim]

 

LINK al post originale:

http://www.historyguide.org/intellect/godwin.html

 

 

NOTE

[1] Samuel Taylor Coleridge (1722 - 1834), è considerato tra i fondatori del Romanticismo Inglese insieme a William Wordsworth, in particolare per la cura e la pubblicazione nel 1798 delle Ballate Liriche (Lyrical Ballads, London, J. & A. Arch, 1798). Tra le sue opere più celebri ci sono i poemi La Ballata del Vecchio Marinaio (The Rime of the Ancient Mariner, 1798) e Kubla Khan (Kubla Kahn, or a Vision in a Dream, 1816).

[2] Calvinismo - Dottrina cristiana sviluppata nel XVI secolo nell'ambito della riforma protestante a seguito dell'opera e della predicazione di Giovanni Calvino (Noyon, Francia, 1509 – Ginevra, Svizzera, 1594), massimo riformatore religioso del cristianesimo del '500 insieme a Lutero. Il calvinismo condivide le principali dottrine del cristianesimo, in particolare per quanto riguarda l'unità e la trinità di Dio e la natura divina di Gesù Cristo, come formulate nei primi concili ecumenici. Si differenzia invece dalla chiesa cattolica ma anche dal luteranesimo per le sue particolari visioni riguardanti ad esempio la presenza solo spirituale (non reale) di Cristo nell'eucarestia, il principio regolatore del culto (unicamente ciò che nelle scritture è ampiamente comandato o per il quale vi siano chiari esempi) e la proibizione di adorare immagini religiose.

[3] Da Robert Sandeman (1718 - 1771), teologo anticonformista, nel 1735 aderì alla dottrina religiosa fondata da John Glass (Auchtermuchty, Scozia, 1695 - Perth, Scozia, 1773). I Glasiti sostenevano l'indipendenza delle comunità cristiane e la comunione dei beni. Dopo essere entrato a far parte della congregazione, Sandeman sposò la figlia di Glass, Cathrine, nel 1737. Dopo la morte di quest'ultima nel 1746 Sandeman viaggiò per le comunità dei glassiti scozzesi diffondendo la dottrina di Glass in Scozia e all'estero. Per questo fuori dalla Scozia i Glassiti sono noti come Sandemanisti. I suoi scritti furono ampiamente letti e dopo la pubblicazione in America Sandeman fu invitato a trasferirsi in Connecticut dove organizzò le prime comunità cristiane autonome negli Stati Uniti e dove morì nel 1771.

[4] Jean-Jacques Rousseau (1712 - 1778), filosofo francese noto in particolare per le sue opere Julie, ou la Nouvelle Héloïse (Giulia, o la Nuova Eloisa, prima ed. Amsterdam, Michel Rey, 1761), Émile, ou de l'éducation (Emilio, o sull’Educazione, prima ed. L’Aia, Jean Néaulme, 1762) e il Du Contract Social (Il Contratto Sociale, prima ed. Amsterdam, Michel Rey, 1762).

[5] Claude-Adrien Helvétius (1715 - 1771), filosofo e scrittore dell'illuminismo francese, fece parte del gruppo degli enciclopedisti. La sua opera più importante è De l'Espirit (Sullo Spirito, prima ed. Parigi, Durand, 1758), dai contenuti materialisti e sensisti propri dei Philosophes (Enciclopedisti).

[6] Paul Heinrich Dietrich, Barone di Holbach (1723 - 1789), filosofo ed enciclopedista tedesco naturalizzato francese, autore sotto lo pseudonimo di Jean-Baptiste Mirabaud del Système de la Nature (Sistema della Natura, 1770) e del Bon Sens (Il Buon Senso, 1772) Materialista e ateo, collaboratore dell'Encyclopedie (Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, Parigi, 1751) è stata una figura di spicco dell'illuminismo radicale europeo e sostenitore di una virulenta critica anticristiana e anticlericale.

[7] Charles-Louis de Secondat, Barone de la Brède e di Montesquieu (1689- 1755) meglio noto come Montesquieu fu filosofo giurista, storico e pensatore politico francese. È considerato il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri esposta nella sua opera più importante e monumentale, L'Espirit des Lois (Lo Spirito delle Leggi), pubblicata a Ginevra nel 1748, una vera e propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del '700.

[8] John Locke (1632 - Inghilterra, 1704), filosofo e medico inglese, è considerato il padre del liberalismo classico, dell'empirismo e uno dei più influenti anticipatori dell' illuminismo e del criticismo. La sua opera di massima importanza è il Saggio sull'Intelletto Umano (An Essay Concerning Human Understanding, Londra, 1690) in cui rifiuta l'esistenza di idee innate (in contrasto con i socratici e platonici della Scuola di Cambridge) e in cui analizza appunto l'origine delle idee e la "certezza e l'estensione della conoscenza umana insieme ai fondamenti e i gradi della credenza, dell'opinione e dell'assenso".

[9] Johnathan Swift (1667 - 1745), scrittore e poeta irlandese, autore di romanzi e pamphlet satirici. Le sue opera più note sono le sue satire, I Viaggi di Gulliver (ed. originale Travels into Several Remote Nations of the World, in Four Parts, by Lemuel Gulliver, first Surgeon, and then a Captain of Several Ships, Londra, Benjamin Motte, 1726), il Racconto di una Botte. Scritta per l'universale progresso dell'umanità (A Tale of a Tub. Written for the Universal Improvement of Mankind, London, John Nutt, 1704) e il pamphlet Una Modesta Proposta: per evitare che i figli degli irlandesi poveri siano un peso per i loro genitori o per il Paese e per renderli un beneficio per la Comunità (A Modest Proposal: for preventing children of poor people in Ireland from being a burden to their parents or Country, and for making them beneficial to the Public, Dublin, S. Harding Ed., 1729). È considerato uno dei maestri della prosa satirica in lingua inglese e nelle sue opere da libero sfogo alla sua misantropia e rabbia nei confronti del genere umano e del mondo a lui contemporaneo.

[10] Joseph Priestley (1733 - 1804), è stato un teologo, teorico politico e scienziato inglese. Le sue opere hanno contribuito notevolmente al progresso delle teorie politico-liberali e della chimica sperimentale. Pubblicò oltre 150 opere approfondendo e sviluppando gli studi sull'elettricità e scoprendo l'ossigeno in chimica. Difensore delle idee della Rivoluzione francese, sostenitore della tolleranza religiosa, Priestley non prese mai parte alla vita politica, tuttavia parteggiò per i coloni Americani nella loro guerra d'indipendenza. Nel 1769 pubblicò Essay on the First Principles of Government (Saggio sui Principi Primi del Governo), in cui sosteneva la necessità di limitare l'ingerenza dello stato sulla libertà individuale, affermando la separazione tra la sfera privata e la sfera pubblica. Priestley asseriva che lo scopo principale dello stato fosse quello di promuovere il bene e la felicità degli uomini. Fu a seguito di queste affermazioni che Thomas Jefferson, suo amico, fece sì che il perseguimento della felicità fosse sancito nella Costituzione Americana tra i diritti imprescindibili dei cittadini.

[11] Socinianesimo - dottrina teologico-morale elaborata nel XVI secolo da Fausto e Lelio Socini. I suoi elementi centrali sono il razionalismo religioso, per cui nella Sacra Scrittura non ci può essere nulla contro la ragione, il rifiuto dei dogmi tradizionali come irrazionali e non fondati sulla Scrittura e il principio di tolleranza religiosa. Questi temi sono fondati sulla concezione della religione cristiana come via puramente etica per raggiungere la salvezza, rivelata agli uomini con i suoi precetti dall'uomo divino, ma mero uomo, Gesù Cristo. Il socinianesimo influenzò la vita culturale in Europa e Stati Uniti fino al XVIII secolo e contribuì al diffondersi della libertà religiosa.

[12] Il partito Whig è stato un partito politico presente in Inghilterra, e più tardi nel Regno di Gran Bretagna e nel Regno Unito, tra il tardo XVII secolo e la metà del XIX che, per le connotazioni di tolleranza religiosa e sociale può essere descritto come "di stampo progressista", contrapposto al partito Tory, "di stampo conservatore". Mentre le origini dei Whig si rifanno alla monarchia costituzionale, i Tory si richiamavano all'assolutismo monarchico. Non vi fu una politica di partito coesa almeno fino al 1784, anno dell’ascesa di Charles James Fox (1749 - 1806), come leader del ricostituito partito dei Whig schierato contro il partito al governo dei nuovi Tory di William Pitt il Giovane (1759 – 1806). In generale, la politica dei Whig andava a supporto delle grandi famiglie aristocratiche e dei non-Anglicani (i dissenters, come i Presbiteriani), mentre i Tory davano il proprio sostegno alla Chiesa Anglicana e alla gentry inglese. Più tardi, i Whig incontrarono l’interesse della classe emergente industriale e dei mercanti più ricchi, ed i Tory a loro volta quello dei proprietari terrieri e dei membri della Corona Britannica. Il nome formale dei Whig era in origine Country Party (opposti ai Tory, il Court Party). Nel corso del XIX secolo il programma politico dei Whig abbracciava non più solamente gli ideali di un Parlamento dominante rispetto al monarca e del libero scambio, ma anche l’abolizione dello schiavismo, e, ancora più importante, l’ampliamento del suffragio. Infine, nel 1859 i Whig formarono il Partito Liberale sotto la guida di Lord Aberdeen(1784 – 1860) e William Glandstone (1809 – 1898), mentre i Tory diventarono il Partito Conservatore.

[13] I Diritti dell’Uomo (Rights of Man: Answer to Mr. Burke's Attack on the French Revolution, London, J. S. Jordan, 1791) è un saggio di Thomas Paine (1737 - 1809). Pubblicato nel 1791, è una risposta alle accuse rivolte alla Rivoluzione Francese da Edmund Burke (1729 - 1797) con le Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia e sulle Deliberazioni di Alcune Società di Londra Relative a quell' Evento. In una Lettera indirizzata ad un Gentiluomo di Parigi, dall' Onorevole Edmund Burke(Reflections on the Revolution in France and on the Proceedings in Certain Societies in London Relative to that Event. In a Letter Intended to have been sent to a Gentleman in Paris, by the Honourable Edmund Burke, London, J. Dodsley, 1790). Nei Rights of Man Paine asserisce in sintesi che in popolo deve rovesciare il regime che non è in grado di salvaguardare i diritti dell'individuo e gli interessi della nazione. In tal modo giustifica appieno la Rivoluzione.

[14] Edmund Burke(1729 – 1797) è stato un politico, filosofo e scrittore britannico di origine irlandese, nonché uno dei principali precursori ideologici del romanticismo inglese con la sua opera seminale Una Ricerca Filosofica sull'Origine delle Nostre Idee del Sublime e del Bello (A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime and Beautiful, London, R. and J. Dodsley, 1756).

[15] Ed. orig. An Enquiry concerning Political Justice and its Influence on General Virtue and Happiness, G. G. J. and J. Robinson, London, 1793.

[16] Ed. orig. Things as They Are; or The Adventures of Caleb Williams, London, B. Crosby, 1794.

[17] Così va il Mondo, o le Avventure di Caleb Williams, tr. it. P. R. Mariani e M. T. Defazio, Bagatto Libri, Roma, 1997, pp. 7-8.

[18] Ed. orig. Cursory Strictures on the Charge Delivered by Lord Chief Justice Eyre to the Grand Jury, October 2, 1794, London, C. and G. Kearslwy, 1794.

[19] Ed. orig. Considerations on Lord Grenville's and Mr. Pitt's Bills Concerning Treasonable and Seditious Practices and Unlawful Assemblies, London, J. Johnson, 1795.

[20] Ed. orig. The Enquirer. Reflections On Education, Manners, And Literature. In A Series Of Essays.London, G.G. and J. Robinson, 1797.

[21] Of Avarice and Profusion, in ibid., pp. 168-172.

[22] Thomas Malthus (1766 - 1834), economista e demografo inglese.

[23] Ed. orig. An Essay on the Principle of the Population as it Affects the Future Improvement of Society, with Remarks on the Speculations of Mr. Godwin, M. Condorcet and Other Writers(Saggio sul Principio della Popolazione e i suoi Effetti sullo Sviluppo Futuro della Società, con Osservazioni sulle Speculazioni del Sig. Godwin, di M. Condorcet e di altri Scrittori, prima edizione Londra, J. Johnson, 1798). Nel saggio Malthus sostiene che l'incremento demografico avrebbe portato a coltivare terre sempre meno fertili con conseguente riduzione dei beni di sussistenza fino all'arresto dello sviluppo economico, poiché la popolazione tenderebbe a crescere in proporzione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, che crescono invece in proporzione aritmetica. La teoria demografica di Malthus inspirò la corrente del malthusianesimo che sostiene il ricorso al controllo delle nascite per impedire l'impoverimento dell'umanità. Questa teoria demografica naturalmente è andata incontro a varie critiche nel corso degli anni.

[24] Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet (Ribemont, Francia, 1743 - Bourg-la-Reine, 1794) è stato un matematico, economista, filosofo e politico rivoluzionario francese. Fece parte del gruppo degli Enciclopedisti e partecipò attivamente alla Rivoluzione Francese nel partito dei girondini. Condorcet fu oggetto di prescrizione per i suoi contrasti con Robespierre (Arras, Francia, 1758 - Parigi, Francia, 1794). Gli scritti di Condorcet, in particolare quelli riguardanti la sua fede nel progresso umano, costituirono un contributo chiave all'illuminismo francese. Era convinto che attraverso l'accumulazione e la condivisione di conoscenza ogni uomo potesse arrivare alla comprensione di tutti gli eventi nel mondo naturale. L'illuminismo riguardo alla conoscenza del mondo fisico esortava al progresso nel mondo sociale e politico. Condorcet credeva che non fosse possibile definire l'esistenza umana perfetta e quindi che il progresso della specie umana sarebbe stato eterno. Vedeva l'uomo come in costante avvicinamento all'utopica società perfetta. Perché ciò fosse davvero possibile, comunque, Condorcet insisteva sulla necessità di unione tra gli uomini, indipendentemente da razza, religione, cultura o sesso.

[25] Mary Wollstonecraft (Londra, Inghilterra, 1759 - Londra, Inghilterra, 1797) fu una filosofa e scrittrice britannica. E’ considerata la fondatrice del femminismo liberale. La sua opera più famosa è Una Rivendicazione dei Diritti della Donna. Con Critiche su Soggetti Politici e Morali(A Vindication of the Rights of Woman. With Strictures on Political and Moral Subjects, London, 1792), nella quale sosteneva, contro la prevalente opinione del tempo, che le donne non sono inferiori per natura agli uomini anche se la diversa educazione a loro riservata nella società le pone in una condizione di inferiorità e subordinazione. Alla prima edizione del libro ne seguirono altre in Inghilterra e negli Stati Uniti.

[26] Mary Shelley (nata Mary Wollstonecraft Godwin, Londra, Inghilterra, 1797 - Londra, Inghilterra, 1851).

[27] Percy Bysshe Shelley (Field Place, Inghilterra, 1792 - Mare di Viareggio, Italia, 1822), è stato un poeta e filosofo inglese, uno dei più grandi lirici romantici. È famoso per aver scritto poemi e poesie quali Ozymandias (1818), Ode al vento occidentale (Ode to the West Wind, 1820), A un'allodola (To a Skylark, 1820), e  La maschera dell'anarchia (The Masque of Anarchy, 1819), ma quelli che vengono considerati i suoi capolavori furono i poemi narrativi visionari come il Prometeo liberato (Prometheus Unbound, 1820) e Adonais (Adonais: An Elegy on the Death of John Keats, Author of Endymion, Hyperion, etc. 1821). Appartenente alla seconda generazione romantica inglese, divenne inoltre famoso per la sua amicizia con i contemporanei John Keats e Lord Byron e, come loro, per la sua morte prematura, avvenuta in giovane età. Shelley infatti, dopo una vita errabonda, tragica e avventurosa, annegò nel mare di fronte a Lerici, all'età di circa trent'anni. Il mare restituì il suo corpo sulla spiaggia di Viareggio il 18 luglio 1822, dieci giorni dopo il naufragio della sua golette.

[28] Frankenstein: or the Modern Prometheus, London, Lackington, Harding, Mavor & Jones, 1818.

[29] Ed. orig. Memoirs of the Author of A Vindication of the Rights of Woman, London, J. Johnson, 1798.

[30] William Wordsworth (Cockermouth, Inghilterra, 1770 - Cumberland, Inghilterra, 1850) fu uno dei maggiori poeti inglesi dell' 800 che con Coleridge lanciò il Romanticismo nella letteratura inglese con la pubblicazione delle Lyrical Ballads.

[31] Robert Southey (Bristol, Inghilterra, 1774 - Londra, Inghilterra, 1843), scrittore britannico. Aderì, dopo aver stretto una forte amicizia con Coleridge, agli ideali della Rivoluzione Francese. Tra le sue opere in prosa di maggior successo c'è la Vita di Nelson (The Life of Nelson, 1813).

[32] Charles Lamb (Inner Temple, Londra, Inghilterra, 1775 - Edmonton, Londra, Inghilterra) è stato uno scrittore e saggista inglese, noto per i suoi Essays of Elia (1833) e per il libro per bambini Tales from Shakespeare(1804), scritto con la sorella Mary Lamb.

[33] Francis Place (Londra, Inghilterra, 1771 - Londra, Inghilterra, 1854), scrittore, pensatore e attivista politico inglese. Scrisse una lunga serie di pamphlets, articoli e lettere. Malthusiano e radicale, partecipò al movimento per riorganizzare il sistema dell'istruzione, che credeva essenziale per eradicare i mali della classe dei lavoratori.

[34] Ed. orig.  St. Leon: A Tale of the Sixteenth Century, London, C.G. & J. Robinson, 1799.

[35] Ed. orig. Of Population. An Enquiry concerning the Power of Increase in the Numbers of Mankind, being an Answer to Mr. Malthus’s Essay on that Subject, London, Longman, Hurst, Rees, Orme, and Brown, 1820.

[36] Ed. orig. History of the Commonwealth of England, from its Commencement to the Restoration of Charles II, 4 vol., London, H. Colburn, 1824-28.

[37] Ed. orig. Thoughts on Man, his Nature, Productions and Discoveries, London, Effingham Wilson, 1831.

[38] Pierre-Joseph Proudhon (Besancon, Francia, 1809 - Parigi, Francia, 1865) è stato un filosofo, sociologo, economista ed anarchico francese. Primo intellettuale conosciuto per essersi definito anarchico, nel 1840 pubblicò la sua opera più importante, Che cos’è la proprietà (Qu'est-ce que la propriété? ou Recherche sur le principe du Droit et du Gouvernement, Parigi, 1840) in cui scrisse la frase divenuta celebre "La proprietà è un furto".

[39] Pëtr Alekseevič Kropotkin (1842 – 1921), è stato un filosofo, geografo, zoologo, militante e teorico dell'anarchia, russo. Libertario, fautore di un'analisi sociologica e di una proposta poggiata su basi scientifiche dell'evoluzione sociale nelle comunità umane, con una propaganda fondata sui fatti, è stato uno dei primi sostenitori dell'anarco-comunismo.

[40] John Stuart Mill (1806 – 1873) è stato un filosofo ed economista britannico, uno dei massimi esponenti del liberalismo e dell'utilitarismo. L'opera più importante della produzione milliana sono senza dubbio i Principi di economia politica (Principles of political economy, 1848), che racchiude in sé gran parte del pensiero liberale dell'autore, presentandoci la dottrina politico-sociale in tutta la sua complessità.

[41] Sir Leslie Stephen (1832 – 1904), critico letterario, filosofo, padre di Vanessa Bell e di Virginia Woolf.

 [42] David Churchill Somervell (1885 – 1965) scrittore e storico inglese, famoso per il suo compendio del libro dello storico inglese Arnold J. Toynbee  A Study of History (1961).

Condividi post
Repost0
5 agosto 2014 2 05 /08 /agosto /2014 05:00

EMILIO COVELLI

emilio-covelli.jpg

 

cafieroEmilio Covelli nacque a Trani, in provincia di Bari, il 5 agosto del 1846 da Francesco Paolo e da Carolina Soria, di agiate condizioni. Seguì gli studi secondari nel seminario di Molfetta, istituto ecclesiastico aperto anche ai laici e scuola fra le più rinomate del Mezzogiorno. Ebbe come compagno di studi il coetaneo Carlo Cafiero, di Barletta, che gli sarà più tardi anche compagno d'idee e di sventura.

Da un profilo biografico scritto dal Cafiero nel 1882 si ricava questo ritratto fisico e morale del Covelli: " al seminario, ove fummo educati insieme, egli riportò sempre il primo premio... Non solo non lo ricordo mai punito, ma mi sembra che egli imponesse una specie di rispetto e di riverenza ai superiori stessi. Parco nel parlare e nel gestire, egli possedeva la bella moderazione di un carattere mite, dolce, uguale, costente... La sua nera figura, angolosa e rannuvolata, il suo sguardo sospettoso e scrutatore, e persino il mutismo delle sue labbra, son tutte cose che incutono soggezione". Basso di statura, di carnagione scura, miope così lo descrive una scheda della polizia - fin da giovane soffrì di disturbi nervosi.

Duhring.jpgDopo essersi laureato in giurisprudenza all'università di Napoli, perfezionò i suoi studi a Heidelberg e a Berlino, frequentando nelal capitale tedesca le lezioni di Eugen Duhring, teorico di un socialismo non materialista e non classista e quindi in polemica con Marx e Engels. Fu proprio nel pubblicare sulla Rivista partenopea (1871-72) il suo primo scritto - una recensione dell'opera del During Storia critica dell'economia politica e del socialismo - che il Covelli prese ad esaminare, primo in Italia, Il Capitale di Marx e a discorerne positivamente. Nel 1874 egli tornò a trattare questi temi in un saggio su L'economia politica e la scienza che ha un suo posto nella prima letteratura del socialismo italiano. Sicolgono in questi scritti del Covelli alcuni spunti polemici contro il socialismo dottrinario e a favore del movimento sociale della classe lavoratrice e delle sue esperienze concrete (ad esempio, le organizzazioni di resistenza).

Spunti che si ritrovano sintetizzati in questo schizzo dello sviluppo storico del movimento: "Da prima il programma del proletariato era naturalmente utopistico; il presente è male, dunque tabula rasa; vogliamo invece il bene; facciamo quindi l'avvenire come noi stessi vogliamo. La realtà attuale si offriva come qualcosa di assolutamente intollerabile; non s'indagava quello che poteva naturalmente uscirne. Non si avevano idee di leggi sociali; e le istituzioni sociali sembravano puro risultato dell'arbitrio. Vennero le utopie di Saint-Simon, Fourier, Owen, ecc. Ma esse non si attuarono; onde l'operaio seguì naturalmente la via di lottare come poteva col presente per ricavarne il meno male possibile. Questa lotta nella vita pratica dette coll'andar del tempo de' risultati che influirono sulle concezioni de' pensatori e sull'indirizzo generale del socialismo, che venne quindi mutando d'aspetto".

malatestaCon questa preparazione di ricerche e di studi, a metà degli anni a metà degli anni Settanta, il Covelli si accostò all'Internazionale che era allora l'associazione in cui si organizzava il nascente movimento socialista in Italia, con prevalente indirizzo anarchico. Visitò a Locarno il vecchio amico Cafiero e s'iscrisse verso il 1875 alla sezione napoletana. Inseguito, mentre i maggiori esponenti dell'Internazionale come Cafiero e Malatesta, protagonisti del moto insurrezionale del Matese (1877) si trovavano in carcere, il Covelli fondò e diresse a Napoli il giornale L'Anrachia che fu la voce del

 

 

 

 

 

crisse verso il 1875 alla sezione napoletana. In seguito, mentre i maggiori esponenti dell'Internazionale come Cafiero e Malatesta, protagonisti del moto insurrezionale del Matese (1877) si trovavano in carcere, il Covelli fondò e diresse a Napoli il giornale L'Anarchia che fu la voce del movimento in quel difficile momento. Per la sua attività subì in questo periodo, sempre a Napoli, il primo arresto.

 

Successivamente, impegnatosi come membro della commissione di corrispondenza della Federazione italiana, venne arrestato e processato davanti al tribunale di Genova che lo assolse l'11 luglio 1879 insieme con altri coimputati fra i quali l'internazionalista fiorentino Gaetano Grassi. Appena liberato si rifugiò in Francia anche per sfuggire al processo in Corte d'appello che il 16 marzo 1880 lo condannò in contumacia a dieci mesi di carcere e dieci mesi di sorveglianza. Dopo aver incontrato a Parigi Carlo Cafiero, si portò in Inghilterra e da Londra il 17 novembre 1880 diffuse uno stampato dal titolo Redattori della Lotta! (La Lotta era il titolo di un giornale che avrebbe dovuto pubblicarsi a Bologna) nel quale manifestava violentemente il proprio dissenso dall'indirizzo evoluzionista enunciato da Costa nel programma della Rivista internazionale del socialismo: "Io credo che la rivoluzione non è l'organizzazione, in modo più o meno pacifico e legale, di un esercito che, all'ordine di uno o più capi, deve poi marciare all'assalto. In nessun paese la classe operaia è organizzata come in Inghilterra e non è meno preparata alla rivoluzione. La rivoluzione, parmi, è l'azione continua di eccitamento e di perpetrazione di ogni specie di reati contro l'ordine pubblico".

 

Queste posizioni sono sistematicamente sostenute sulla rivista anarchica I Malfattori che il Covelli pubblicò a Ginevra nel corso del 1881, contribuendo al passaggio dell'anarchismo a un indirizzo estremista, illegalista e per certi aspetti individualista. Il Covelli teorizzò anche il ricupero, anzi la funzione rivoluzionaria, degli emarginati sociali e degli spostati.

 

i malfattori
 

 

La-Plebe.jpgIn questa cornice ideologica va anche inquadrato l'atteggiamento del Covelli nei confronti della "svolta" di Andrea Costa. Se alla vigilia della lettera "agli amici di Romagna" del luglio 1879, il Covelli, intervenendo su La Plebe, aveva assunto una posizione abbastanza aperta, e se, alla vigilia delle elezioni politiche del novembre 1882, aveva tenuto un contegno distaccato ma non ostile ai mezzi legali (egli stesso, nuovamente detenuto a Genova, era portato in quella occasione candidato-protesta nel collegio di Monselice), attaccava in seguito e pubblicamente il neodeputato Costa (meeting di Parigi del 30 ottobre 1883) qualificandolo come "un rinnegato che ha accettato di essere deputato e triunviro della democrazia, mentre io ho rifiutato tutto, ed ho bramato la miseria, le persecuzioni, le calunnie per restare ciò che sono" (Protesta in Proximus tuus [Torino], 1º dicembre 1883).

 

Già in questo periodo però si hanno i primi segni di un'alterazione mentale che condusse il C. in manicomio: una prima volta a Como nel 1885. Dimesso dopo sette mesi riprese a viaggiare e verso la fine degli anni Ottanta lo troviamo a Corfù e a Costantinopoli. Si interessa alla sorte del suo amico Cafiero, anch'egli ricoverato in manicomio. All'inizio degli anni Novanta è nuovamente in Svizzera.

 

Qui entra in una pubblica discussione politica con il gruppo "I ribelli futuri" di Neuchâtel, a proposito di due sue proposte: una relativa alla "socializzazione della terra" intesa come "rivendicazione parziale" da portare avanti indipendentemente dai fini ultimi e generali che restano il comunismo e l'anarchia; l'altra per una maggiore attenzione ai problemi della società italiana "proponendo qualche provvedimento d'immediata attuazione, qualche mezzo eroico che valga a far cessare lo spettacolo vergognoso de' poveri italiani divenuti i pezzenti del mondo (L'Italiano all'estero, organo degli operai italiani in Svizzera, Losanna, 13 giugno 1891).

 

In tal modo anche il Covelli, come Cafiero, pur mantenendosi intransigente sulla questioni tattiche ("Né io vi propongo per ciò di entrare ne' Consigli comunali e ne' Parlamenti. Lo faccia chi vuole"), approdava ad un programma transitorio, modificando alquanto la primitiva rigidezza.

 

Dal 1892 al 1894 il Covelli rimase internato nel manicomio di Aversa e fra il 1904 ed il 1908, ad intervalli, in quello di Nocera Inferiore. Nel 1908, grazie ad aiuti raccolti con una sottoscrizione, poté tornare in Svizzera per trovare i vecchi compagni ma, fermato a Losanna, venne espulso una prima volta nel maggio 1908 per mendicità e una seconda volta nel gennaio 1909 per aver contravvenuto al decreto di espulsione. Dal 1909 al 1913 venne ricoverato per "monomania acuta" nel manicomio di Como, dal quale venne trasferito a quello di Nocera Inferiore (Salerno), dove morì il 2 novembre 1915.

 

Una lapide e un busto lo ricordano a Trani.

 

Pier Carlo Masini

 

[A cura di Ario Libert]

 

LINK al post originale:

Emilio Covelli

 

 

Fonti e Bibliografia

 

C. Cafiero, Un candidato protesta, in Tito Vezio (Milano), 15 ott. 1882; G. Francia, EC., in (Roma), novembre 1903, pp. 113-116; EC., in L'internazionale, Suppl.n. 36La Lotta, edito nell'occas. dei convegno di Imola, 7 sett. 1913; A. Lucarelli, Biografia di E. C., in Carlo Cafiero. Saggio di una storia documentaria del socialismo, Trani 1947, ad Indicem; P. C. Masini, La prima notizia del "Capitale" in Italia in uno scritto di E. C., in Movimento Operaio, Milano, dicembre 1950, pp. 431-436; G. Perillo, Internazionale e società affratellate nel Genovesato, in Il Movimento operaio e sociale in Liguria, luglio-agosto 1959, pp. 117-163; P. C. Masini, Biografie di "sovversivi" compilate dai prefetti del regno d'Italia, in, IV (1961), 13-14, pp. 575 s.; Id., Storia degli anarchici italiani 1862-1892, Milano, 1969, ad Indicem; Id., Cafiero, Milano, 1974, pp. 171, 328, 362: Il movimento operaio italiano, Dizionario biografico II, pp. 125-129 (con bibliografia); M. Spagnoletti, Riflessi del dibattito ideologico sull'azione degli anarchici pugliesi (1874-1884), in, XXXII (1979), pp. 295-335; Id. Emilio Covelli tra Marx e Bakunin, ibid., XXXV (1982), pp. 313-365.

 
Condividi post
Repost0
30 settembre 2013 1 30 /09 /settembre /2013 05:00

Gerrard Winstanley

e i Veri Livellatori (Diggers)

Winstanley Portrait

Henry Noel Brailford

 

[Illustrazioni di Clifford Harper]

 

La domenica 1° aprile 1649, una dozzina di contadini senza terra si accamparono con le loro famiglie sulla collina di St. George, nel Surrey, e procedettero con le loro famiglie a zappare e concimare i terreni comuni. Li guidava William Everard, che aveva prestato servizio militare nel Nuovo Modello finché non ne era stato espulso a causa del suo radicalismo; ma per lui quell’atto voleva essere pacifico. Persa anche l’ultima fiducia sia nei possidenti imperanti alla camera dei Comuni, sia nei Grandi che comandavano l’esercito, i True Levellers (Veri livellatori) o Diggers (zappatori), come essi si chiamavano, erano decisi ad aprire una nuova campagna a favore della libertà, con le loro rudi zappe. Avrebbero rivendicato attraverso l’azione il diritto naturale dell’uomo di servirsi della terra e di goderne i frutti e lanciato una sfida al servile istituto della proprietà privata, che da secoli opprimeva gli inglesi.

winstanley-incisione.JPG

Mentre zappavano e coltivavano a squadre, essi intonavano un loro inno scagliandosi contro l’aristocrazia, contro la gentry, contro gli avvocati, contro il clero, ma i Diggers sono decisi a “vincerli con l’amore” perché la libertà non è mai stata conquistata con la spada. Con una fede che nessuna delusione o sconfitta poteva uccidere, gli Zappatori avrebbero tentato una nuova via per instaurare la “comunità dei possessi”. Il loro movimento era insieme il punto di arrivo della lunga guerra contro le enclosures e della quale i Veri Livellatori combatterono l’ultima battaglia incruenta perché essi erano ispirati da una semplice e chiara fede comunista e avevano ideato una tattica che avrebbe per sempre messo fine alle usurpazioni dei proprietari invadenti e instaurata una società senza classi.

Gli Zappatori, prima a St. George’s Hill, poi – quando ne furono cacciati - a Cobham, non esitarono a violare gli storici diritti dei signori di maniero, accampandosi sui terreni comuni per coltivarli, e facendovi legna. Allarmato da un rapporto del 16 aprile, il Consiglio di Stato prima convocò i leader del gruppetto, poi mandò dei reparti di cavalleria a disperderli. Cortese come sempre, Fairfax li ascoltò mentre gli spiegavano come, scacciato l’oppressore re Carlo, “la terra debba tornare nelle mani unite degli uomini comuni”, ma i signori di maniero non furono altrettanto larghi di idee e, con turbe di mercenari spalleggiati dalla cavalleria regolare, prima li scacciarono da St. George’s Hill, poi distrussero le baracche ch’essi avevano costruito a Cobham e mandarono il bestiame a pascolare nei campi che i Diggers avevano piantati a cereali; ma intanto la colonia era cresciuta a cinquanta persone, per un anno aveva tenuto testa ai signori, all’esercito e alla legge, e i loro emissari battevano le strade d’Inghilterra predicando il nuovo Vangelo di eguaglianza.

Il loro esempio fu seguito a Cox Hull nel Kent e a Wellingborough nel Northamponshire. In questa località, una sola parrocchia contava 1169 persone che vivevano di elemosina e da tempo chiedevano invano ai giudici di pace d’essere “messi al lavoro”, ma nulla era stato fatto per aiutarle. Gli Zappatori itineranti le organizzarono, e il fatto nuovo e interessante è che godevano di large simpatie in città, perché vi furono proprietari disposti a cedere pezzi di terreno e fittavoli pronti a fornire sementi; ma anche questa colonia venne infine dispersa.

V’era tra i Diggers un uomo eccezionale per originalità e per ingegno, Gerrad Winstanley, che lasciò in una lunga serie di scritti una vivida testimonianza della fede e delle idee che illuminavano questo movimento. Infatti, è probabile che sia stato Winstanley, fin dall’inizio, ad ispirare Everard. In quell’anno scrisse e pubblicò numerosi pamphlet indirizzandosi di volta in volta all’esercito, alla City of London, e al parlamento, e, nel linguaggio insieme della Bibbia e della vita quotidiana, diede una franca immagine di ciò che i Diggers avevano fatto e sofferto, ed espose i principi in base ai quali agivano.

Winstanley era nato nel 1609 a Wigan. Trasferitosi a Londra, si era dedicato al commercio dei panni e delle tellerie e, rovinato come tanti altri dalla guerra civile, si era ritirato in campagna nell’alta valle del Tamigi, dove certi conoscenti gli avevano fornito l’alloggio in cambio del governo del bestiame, e così gli avevano permesso di riflettere e meditare. Nel 1648, Winstanley pubblicò quattro pamphlet, dove, erano esposte ardite concezioni teologiche. Passando attraverso un misticismo panteistico, esse maturarono rapidamente in una visione che, in termini moderni, si potrebbe definire agnostica e secolare.

winstanley-The-New-Law-of-Righteousness.jpg

In quello stesso anno, Winstanley cominciò a interessarsi di questioni politiche e scrisse il suo libro forse più indicativo The New Law of Righteousness [La nuova legge dell’equità], che è un Manifesto dei Comunisti nel linguaggio dell’epoca. Per tutto il biennio 1649-50 egli fu la mente e la penna del moto degli Zappatori, e al suo tramonto, dopo aver difeso le proprie idee in Fire in the Bush [Fuoco nel roveto], nel 1652 diede alle stampe la sua opera più matura, The Law of Freedom in a Platform [Il piano della legge della libertà]. Dedicata a Cromwell in una lettera semplice ed eloquente, essa lo invitava a gettare le basi di una repubblicacomunista. Il quadro di una società nuova e senza classi, esposto nei sei capitoli successivi, è un’interessante miscela della democrazia radicale professata dai livellatori, del comunismo predicato dalla Utopia di Thomas More, e del secolarismo proprio di Winstanley. Come Thomas More, egli propugnava un’economia non monetaria e non mercantile, organizzata intorno a magazzini pubblici ai quali ciascuno consegnerà i prodotti del suo lavoro e dai quali ciascuno attingerà il necessario per soddisfare i suoi bisogni.

Gerrard Winstanley Writing

Il libro, pur non avendo la grazia letteraria e la brillante immaginazione dell'Utopia, occupa un posto tanto più significativo nella storia del pensiero socialista in quanto nacque da un moto autenticamente proletario come programma strategico in vista dell’instaurazione pratica del comunismo. Fu questa l’ultima parola di Gerrard Winstanley: del resto della sua vita sappiamo unicamente che nel 1660 abitava a Cobham e che dopo aver raggiunto una certa floridezza, se poté intentare una causa a un mercante al tribunale della Cancelleria.

Come Winstanley giunse alle sue teorie? Nulla giustifica l’ipotesi che egli possedesse una cultura accademica e libresca: egli non cita nessuna opera che non sia la Bibbia, e neppure accenna all’Utopia, sebbene è chiaro che deve averla studiata. Narra di aver ascoltato da giovane molti sermoni, e di essere stato “immerso” come battista, ed è qui, a parer nostro, un primo e notevole punto di appoggio, perché il pensiero comunista già nel secolo XVI emanava da un doppio filone: la perseguitata ala sinistra dell’hussitismo boemo, e il movimento anabattista le cui dottrine erano predicate clandestinamente in Inghilterra dalla non meno perseguitata Famiglia d’Amore. Questa tradizione a sfondo pacifista filtrò in quasi tutte le sette radicali del periodo repubblicano, e vi fu mantenuta viva dalla parola orale: non a caso un brano caratteristico di Winstanley riecheggia quasi alla lettera uno dei sermoni rivoluzionari di Münzer, l’apostolo dei contadini tedeschi.

Diggers in a Hostelry

Decisiva su di lui fu pure l’influenza della letteratura polemica livellatrice. È probabile che Winstanley sia stato in contatto coi livellatori dei Chilterns e della valle del Tamigi, autori dei due pamphlet Light Shining in Buckinghamshire e New Light Shining in Buckinghamshire, il cui stile non permette di attribuirli a lui, ma dei quali egli può aver contribuito a comporre la trama.

Winstanley non fu, dunque, un pensatore solitario; ma se potessimo chiedregli dove attinse il suo comunismo, egli non citerebbe come fonti né la tradizione anabattista, né il movimento livellatore. Esso gli era venuto per diretta rivelazione di Dio. Tre volte, sia in stato di trance che a mente lucida, egli aveva udito una voce comandargli: “Lavorate insieme; mangiate il pane insieme; proclamate tutto questo nel mondo. Israele non deve né prendere né dare in affitto. Chiunque lavori la terra per una o più persone sollevate a dominare sul prossimo, e che non si considerino eguali agli altri nella creazione, su questo lavoratore la mano del Signore si poserà; io, il Signore, l’ho detto e io lo farò”.

Ubbidendo a questa Voce, egli andò a lavorare coi primi pionieri sulla collina di St. George. I suoi argomenti erano essenzialmente etici: per lui come per tutti gli uomini dai primordi del culto degli antenati, l’umanità è naturalmente, fu in origine, o divenne per ordine e promessa di Dio, una famiglia di uguali.

Tutti i movimenti contadini, dai tempi di John Ball, hanno condiviso questa fede. Winstanley seppe analizzare la società contemporanea con una lucidità di cui i mistici di rado danno prova. Egli non possiede termini tecnici. Più chiaramente che tutti i comunisti istintivi di epoche precedenti, egli riconobbe la fonte di ogni sfruttamento e della maggior parte delle miserie che lo circondavano nell’appropriazione privata dei mezzi di vita e di lavoro e cioè la terra. Egli non cessa di ripetere che il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, e chi è ricco lo è divenuto solo appropriandosi i frutti del lavoro altrui.

Winstanley capì che l’istituzione della “proprietà particolare” è la fonte inevitabile di tutte le oppressioni e di tutte le guerre. Solo la spada, o la legge che in origine sanzionò le pretese feudali dei guerrieri al seguito “del Bastardo normanno”, possono conservare e proteggere la proprietà.

Winstanley comprese altresì, e disse chiaramente, che l’ineguaglianza economica degrada coloro che devono soggiacervi, perché ispira loro una morbosa coscienza di inferiorità congenita.

Quanto alla strategia rivoluzionaria, essa era prescritta a Winstanley dall’interiore “voce dello spirito” forse mentre rimuginava le confuse discussioni avute coi livellatori nella regione dei Chilterns. In un brano, egli scrive come Rousseau che nessuno dovrebbe tenere per sé un’estensione di terra superiore a quella che può coltivare con le proprie mani: ma il suo ideale non è la proprietà contadina, bensì la “comunità”. Il modo di realizzarla è duplice: uomini privi di terra si uniranno per zappare insieme i terreni incolti; ma soprattutto si metterà fine a ogni forma di lavoro salariato. In altri termini, egli invitava i lavoratori  agricoli a rifiutare la propria forza-lavoro all’impiego remunerato sulla terra, [essi] troveranno occupazione permanente nel coltivare per sé i campi d’uso collettivo. Winstanley non dimenticava certo che il Consiglio di Stato aveva alle spalle Fairfax coi suoi dragoni; ma credeva, e aveva ragione di credere, che una rivoluzione fosse in moto, e sapeva che molti di quegli stessi dragoni eraqno alla vigilia di ribellarsi.

Tuttavia, per capire il senso del suo comunismo, dobbiamo cercar di abbracciare l’insieme delal sua visione del mondo e della società umana. La difficoltà risiede nel fatto che il suo pensiero era in rapido e continuo moto. Le sue opere furono scritte, perlopiù in vertiginoso tumulto, nel giro di appena quattro anni. La sua intelligenza è più intuitiva che logica e organizzata.

Nei primi pamphlet di contenuto religioso, egli non aveva ancora raggiunto la posizione che poi lo distinse. Nel primo, egli si dichiara a favore dell’”universalismo”, l’eresia era allora pericolosissima secondo la quale nessuna anima può essere eternamente dannata, e grazie alla misericordia divina anche il malvagio sarà infine redento dall’inferno (al quale, più tardi, Winstanley cesserà di credere). Ma il pamphlet in cui sono esposte le linee più generali della sua concezione teologica è l’audace Truth Lifting Up its Head Above Scandals [La verità che leva la testa al disopra degli scandali], del 1648, scritto in difesa di Everard arrestato per sacrilegio. Qui abbandona l’idea di un Dio perdonale, riduce al minimo il significato del Cristo storico, e ci offre in cambio la concezione panteistica di un universo ordinato.

Egli comincia con l’avvertirci che nei suoi scritti intende usare “la parola Ragione invece della parola Dio”. In altri termini egli non riesce a distinguere Dio dall’universo. Per lui, la Ragione è “il vivente potere della luce, che è in tutte le cose”.

In lampi d’illuminazione egli aveva afferrato, prima che Newton scrivesse i suoi Principia, l’idea dell’ordine e dell’unità dell’universo. Per lui, Dio era appunto quest’ordine; era “l’incomprensibile spirito Ragione”.

E altrove egli parla della “legge della natura (o Dio)”, come poi Spinoza scriverà: “Deus sive natura”, mentre altri brani equivalgono alla negazione di un Dio personale.

Ciò non gli impedisce di usare spesso la parola Dio, e anche più di frequente usa il nome di Cristo come del “vero e autentico Livellatore”, e applica questo nome, fuori da ogni riferimento storico, allo spirito dell’amore, dell’ordine e della ragione nel cuore di tutti gli uomini – anzi, perfino degli animali.

L’agnosticismo sulla vita futura è ancor più esplicito nell’ultima opera di Winstanley, Il Piano della Legge della Libertà: la sopravvivenzas personale nell’al di là non è affatto sicura giacché “sapere quel che [Dio] farà dell’uomo dopo la morte oltre che scomporlo nelle essenze del fuoco, dell’acqua, della terra e dell’aria è un’impresa superiore alle possibilità e capacità dell’uomo, fintanto che egli vive nel corpo”. Altrove, l’intera mitologia ebraica e cristiana è liquidata come “inganno della fantasia e della saggezza e conoscenza carnale; essa insegna a basarsi sulla storia di cose avvenute senza di noi 6.000 e 1649 anni fa”.

Questo lato negativo del pensiero di Winstaley rappresenta un caso unico nell’Inghilterra puritana. Nel suo modo affatto personale, Gerrard era un’anima profondamente religiosa, che con tutta la sinistra puritana aveva in comune e professò con intensa convinzione la fede nel secondo avvento del Cristo, ma trasfigurò questo mito fino a renderlo quasi irriconoscibile.nella sua versione, Cristo invaderà le menti in un processo pacifico e indurrà gli uomini a cessar di concupire e di opprimere, e a realizzare in terra senza ricorrere alla spada la comunità dei possessi. Allora il governo come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi cesserà di esistere: nelle parole di Marx, lo Stato “deperirà”.

Nella sua vigile coscienza di classe, Winstanley preferisce i brani della Bibbia che annunciano il trionfo dei “disprezzati della terra” e “il pianto e le grida” dei ricchi.

È legge della natura umana che, prima di rischiare il tutto per il tutto, ogni rivoluzione raggiunga questa certezza della propria necessità e imminenza: gli uomini dei Seicento la derivavano dal libro della Rivelazione come quelli d’oggi la derivano dall’interpretazione marxista della storia. Ma, Gerrard Winstanley la attingeva dall’osservazione empirica non meno che dalla profezia. Egli aveva visto i potenti cadere dai loro troni: prima ch’egli lanciasse la sua sfida alla proprietà privata, una testa di re era rotolata davanti a Whitehall. La rivoluzione ch’egli sognava sarebbe stata il frutto di una metamorfosi operata dallo “Spirito Ragione” nel cuore degli uomini; ma ciò non gli impediva di studiare la tattica più intelligente per affrettare il processo della loro conversione.

Come i primi quaccheri, egli credeva che lo spirito della ragione e dell’amore si sarebbe rivelato all’anima che attende in silenzio. L’autodisciplina che prescriveva all’uomo era fatta “di azioni giuste e di paziente silenzio”; l’anima doveva cessare di concentrarsi sugli oggetti esterni, spogliarsi di quella cupidigia e smania di possedere, che è madre di tutte le oppressioni, praticare la regola aurea verso i propri simili come verso tutte le creature, e tendere a quell’amore universale che è il fondamento della “comunità” (o, in linguaggio moderno, del comunismo).

La dottrina della “luce interna” è spesso interpretata come l’espressione esterna dell’individualismo protestante. Per Winstanley, è invece un corollario del panteismo mistico: l’insieme ordinato dell’universo raggiunge la coscienza di sé e la sua espressione articolata nell’anima che vive secondo Ragione.

Le Scritture possono servire; ma la luce interna è un’autorità superiore, l’unica che possa interpretarle. Audacemente, egli elimina ogni forma di religione organizzata, le chiese, le “riunioni di preghiera” e, i sacramenti – inclusi il matrimonio, il battesimo, i riti funebri. Copre di sarcasmo sia le università, che pretendono “di possedere in proprio gli scritti degli Apostolo, sia il clero stipendiato che “vende parole per denaro, onde accecare il popolo ingannato”. Una forte coscienza di classe vibra in tutto ciò che Winstanley dice delle università e del clero: “Un contadino che non sia mai stato educato nelle loro scuole” può conoscere meglio la verità: i primi profeti e apostoli erano umili pastori e pescatori.

Il disprezzo del clero stipendiato era un atteggiamento comune ai livellatori e ad uomini, come Milton, estranei alla loro cerchia. L’anticlericalismo di Winstanley paragona alla stregoneria l’“immaginaria scienza” dei teologi, e allarga la polemica anticlericale in un’offensiva contro ogni religione soprannaturale. Soprattutto capisce che la religione organizzata è divenuta l’arma delle classi possidenti. Come si legge in un brano della Law of Freedom: “E invero l’astuto clero sa che, se riesce, grazie a questa dottrina teologica, a incantare il popolo facendogli aspettar ricchezze, paradiso e gloria dopo morto, allora sarà esso a ereditare facilmente la terra, e avrà al proprio servizio il popolo ingannato.

In quest’ultimo libro del 1652, pur disegnando la mappa di una comunità ideale, Winstanley tiene ben saldi i piedi  sulla terra. Lo stato d’animo di esaltazione è svanito, e il lungo conflitto interno fra la tradizione e il razionalismo si conclude nel trionfo di una nuova, moderna visione del mondo. Ma da Thomas More egli può aver tratto quell’entusiasmo per le scienze sperimentali, che brilla in tante pagine di Law of Freedom. Insofferente delle accademie che si occupano soltanto di parole e tradizioni, Winstanley propone di organizzare bensì lo studio dei segreti della natura ma di volgerlo soprattutto a scopi pratici.

Noi inglesi siamo davvero un popolo immemore ed ingrato. Pur contando allora una popolazione inferiore ai cinque milioni, l'Inghilterra non ha mai prodotto nel pensiero e nell'azione tanti e così arditi pionieri come nei giorni lontani del Commonwealtth, quando si rischiava tutto per un'idea e si viveva con un'intensità che i posteri non hanno mai più conosciuta. Fra questi pionieri, sebbene dimenticato, gerrard Winstanley brilla di luce propria - la luce di un raro coraggio, e di una chiara visione del mondo e della vita.

 

Originariamente apparso su: “The Plain View”, luglio 1945.

Ora come capitolo XXXIV di "I livellatori e la rivoluzione inglese", di H. Noel Brailsford, vol. II, Il Saggiatore, Milano, 1962.

 

[A cura di Ario Libert]

Condividi post
Repost0
8 agosto 2013 4 08 /08 /agosto /2013 05:00

Gaetano Grassi

firenze_dipinto.jpg


di Fulvio Conti

 

Bakunin NadarGaetano Grassi nacque a Firenze nel novembre 1846 da Agostino e Giuseppa Gozzini, e fu avviato al mestiere di sarto. Dopo aver preso parte come volontario alle campagne garibaldine del 1866-67 divenne un elemento di spicco del movimento democratico e rivoluzionario fiorentino, all'interno del quale fu tra i primi a orientarsi su posizioni internazionaliste e anarchiche. Membro dell'Unione democratica sociale, l'associazione che all'indomani della Comune di Parigi raccolse a Firenze tutti gli esponenti della sinistra democratica più critici nei confronti di Giuseppe Mazzini e più sensibili alla predicazione dottrinaria di Mikhail Bakunin, fu delegato a rappresentarla al congresso che doveva aver luogo a Roma nell'ottobre 1871.

Nel maggio 1872 si dimise da questo sodalizio per dedicarsi completamente all'attività del Fascio operaio, un organismo fondato nel gennaio precedente e del cui comitato provvisorio fu membro. Il Fascio proclamava il concetto della lotta di classe come strumento di emancipazione dei lavoratori e nel suo statuto prevedeva l'adesione di massima all'Associazione internazionale dei lavoratori.

Nel marzo 1872, del resto, egli fu tra i fondatori della sezione internazionalista di Firenze: entrambi gli organismi furono da lui rappresentati al congresso di Rimini dell'agosto 1872 che sancì la nascita della Federazione italiana dell'Internazionale e la sua netta presa di posizione in favore della corrente anarchica. Fu questo un periodo di grande operosità per Grassi che si gettò con molta energia nell'attività cospirativa e nell'organizzazione dell'associazionismo operaio in ambito sia regionale, sia nazionale.

Dal novembre 1873 fece parte della commissione di corrispondenza della Federazione italiana, trasferitasi da Bologna a Firenze, e il 7 dicembre successivo partecipò al congresso clandestino di Pisa che lo elesse vicepresidente e che vide la nascita della federazione toscana dell'Internazionale.

Questo crescente impegno politico nelle file del socialismo rivoluzionario gli costò un primo processo per cospirazione all'inizio del 1874. Fin dall'ottobre 1873, d'altro canto, egli aveva costituito a Firenze un comitato segreto della Alliance internationale de la démocratie socialiste, l'organizzazione fondata da Bakunin che si prefiggeva di promuovere in Europa una grande rivoluzione sociale che portasse all'affermazione dei principî anarchici. In tale veste egli fu tra i principali organizzatori del moto insurrezionale che doveva scoppiare a Pontassieve presso Firenze nell'agosto 1874 e che venne immediatamente represso dalla polizia. Grassi riuscì a sottrarsi all'arresto e a trovare rifugio in Svizzera, dove fu ospitato da Carlo Cafiero. A Locarno, insieme con gli altri dirigenti internazionalisti che erano sfuggiti alla polizia, ricostituì il consiglio della Federazione italiana e cercò di riallacciare i contatti con gli affiliati rimasti in Italia.

cafiero.jpgNel frattempo l'iter giudiziario fece il suo corso: giudicato in contumacia per i fatti di Firenze del 1874, l'11 aprile 1876 venne condannato a undici anni di lavori forzati. Nell'ottobre seguente, tuttavia, la sopravvenuta amnistia per i reati politici e di stampa gli consentì di tornare libero a Firenze, dove doveva svolgersi il III congresso della Federazione italiana. Arrestato a scopo cautelativo dalla polizia, si trasferì poi a Napoli, dove ebbe sede la commissione di corrispondenza e dove si raccolsero molti fra i maggiori esponenti anarchici italiani. Qui prese parte all'organizzazione del moto insurrezionale del Matese dell'aprile 1877, che si concluse con un fallimento e, per quanto riguarda Grassi, con l'ennesimo arresto da parte delle forze dell'ordine prima dell'inizio dell'impresa. Nel 1878, comunque, riuscì a beneficiare ancora di un'amnistia, quella concessa dal nuovo re Umberto I, in quanto ritenuto colpevole solo del reato politico di cospirazione e non imputato come partecipante effettivo all'azione rivoluzionaria.

Ciò gli consentì di prendere parte al IV congresso della Federazione italiana, che si svolse clandestinamente a Pisa l'11 aprile 1878 e che di fatto, con soli tredici delegati presenti, quasi tutti toscani, servì più che altro a mettere in luce la debolezza organizzativa del movimento dopo le difficoltà degli anni precedenti. Il nucleo fiorentino, poi, fu ulteriormente indebolito dalla repressione poliziesca del novembre 1878 che seguì alcuni attentati terroristici avvenuti nella città toscana.

andrea_Costa.JPGImputato per "associazione di malfattori", reato per il quale nel 1880 sarebbe stato condannato a dieci mesi di carcere, nel dicembre 1878 Grassi fu costretto a fuggire nuovamente in Svizzera, questa volta a Lugano. Qui, nel 1879, lo colse la notizia della svolta di Andrea Costa, di cui in un primo momento non afferrò il reale significato. Infatti in una lettera, pubblicata su La Plebe il 23 agosto, apprezzò il documento di Costa soprattutto per l'invito ad "andare al popolo" e per l'appello alla ricostituzione del partito.

Nel dicembre 1880, però, delegato al III congresso della federazione Alta Italia dell'Internazionale che si tenne a Chiasso, si batté contro le aperture legalitarie del socialista romagnolo e contribuì al successo della linea rivoluzionaria di matrice anarchica. Fedele alla corrente internazionalista intransigente, continuò a coltivare progetti sovversivi e insurrezionali (nel 1881, secondo fonti di polizia, fu coinvolto nella trama di un attentato al re e alla regina che non giunse a compimento).

malatestaNel 1883 tornò per un breve periodo a Firenze, dove collaborò a La Questione sociale di Errico Malatesta, fondò la Federazione anarchica fiorentina e poté restare vicino all'amico Cafiero, internato nel manicomio di S. Bonifazio. Perseguitato dalla polizia e costretto ancora a emigrare, soggiornò in Svizzera, in Egitto e in Francia, finché nel 1889 partì alla volta dell'America Latina stabilendosi dapprima a Buenos Aires e poi in Brasile (nel 1903 veniva segnalato a Santarem, nello Stato di Paranà). Anche durante l'esilio non rinunciò ai propri ideali e, sebbene con minore intensità, continuò a svolgere attività politica collaborando ad alcuni giornali anarchici locali.

Rientrato in Italia nel 1922, prese domicilio presso un fratello a Firenze dove il 5 agosto 1928.


LINK:

Gaetano Grassi
 


Fonti e Bibliografia:

Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, ad nomen; E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze (1860-1880), Roma 1950, passim; La Federazione italiana dell'Associazione internazionale dei lavoratori. Atti ufficiali, 1871-1880, a cura di P. C. Masini, Milano 1964, pp. 136, 141, 220, 232; P. C. Masini, Biografie di "sovversivi" compilate dai prefetti del Regno d'Italia, in Riv. storica del socialismo, IV (1961), 13-14, p. 584; A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, Bari 1966, ad indicem; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Milano 1974, pp. 83, 88, 95, 99, 112, 115, 142, 162, 174, 180, 189, 193, 313 s., 329; F. Taddei, G. G., in Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, Roma 1976, II, pp. 573 s.; F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma 1977, pp. 247 s., 264, 281, 316, 326, 328, 338; N. Badaloni, Democratici e socialisti livornesi nell'Ottocento, Livorno 1987, pp. 272, 301, 307; N. Perticone, Italian anarchism, 1864-1892, Princeton 1993, pp. 42, 64, 85, 92 s., 97 ss., 109, 120 s., 138, 145, 166, 168, 182, 185, 198, 213 s.; G. Berti, F.S. Merlino. Dall'anarchismo socialista al socialismo liberale (1856-1930), Milano 1993, pp. 19, 36, 59, 111; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, I, Dalla rivoluzione francese a Andrea Costa, Torino 1993, pp. 253, 255, 349, 388, 396 ss., 423, 433, 436 s., 478, 481, 485, 498, 507, 510.

Condividi post
Repost0
27 maggio 2013 1 27 /05 /maggio /2013 05:00

Carlo Molaschi

molaschi carlo

di Giuseppe Sircana


nietzscheCarlo Molaschi nacque a Milano il 7 novembre 1886 da Giacomo e da Virginia Conti, in una famiglia di modeste condizioni. Al termine delle scuole elementari iniziò a lavorare come commesso in una merceria, frequentando contemporaneamente le scuole serali. Animato da grande curiosità intellettuale, si immerse nella lettura delle opere di F. Nietzsche, O. Weininger, F. Hölderlin, G. Buddha, H. Ibsen, L. N. Tolstoj e O. Wilde. Ad affascinarlo fu soprattutto la filosofia di Nietzsche: "m’aveva avvinto soltanto perché in essa avevo trovato il motivo per sollevarmi dalle amarezze della vita", avrebbe confessato nello scritto autobiografico Dal superuomo all'umanità, apparso sulla rivista Pagine libertarie del 15 gennaio 1922 (cfr. Masini, 1980, p. 168).  Giovane inquieto e ribelle, fu attratto dal pensiero anarchico e cominciò a frequentare gli ambienti libertari milanesi. Nel 1901, appena quindicenne, subì il primo arresto per aver distribuito volantini nel corso di uno sciopero. La conseguente perdita del lavoro (fu poi assunto come contabile presso le manifatture Seveso di Cusano Milanino) esasperò i contrasti con i genitori, soprattutto con la madre, che professava idee opposte a quelle del figlio.

molinari-Luigi.jpgAbbandonata la famiglia, Molaschi trovò un saldo punto di riferimento intellettuale e politico in Luigi Molinari, avvocato, promotore della pedagogia libertaria, fondatore nel 1900 dell’Università popolare e dell’omonima rivista, sulle cui pagine Molaschi fece le prime prove in campo giornalistico. Ormai ventenne collaborò anche a Il Libertario di La Spezia e frequentò il Circolo di studi sociali alla «barriera» di Milano sorto nel febbraio 1905 con lo scopo di lottare contro il riformismo, nel 1911 il circolo, grazie anche all’impegno di Molaschi, si trasformò in scuola moderna, ispirata al pedagogista spagnolo Francisco Ferrer Guardia. Avvenne qui l’incontro di Molaschi con due donne, animatrici del gruppo educazionista promosso dal Molinari, destinate a svolgere un ruolo importante nella sua vita: Leda Rafanelli e Maria Rossi, che nel 1918 divenne sua moglie.

leda-rafanelli.JPGDirettore nel biennio 1909-10 del foglio Sciarpa nera, nel 1914-15 diresse il quindicinale Il Ribelle, che si proponeva di riaffermare le posizioni antimilitariste di fronte allo sbandamento di molti anarchici individualisti a favore dell’intervento in guerra dell'Italia. Arrestato nel febbraio 1915 per aver distribuito volantini che incitavano i soldati alla disobbedienza, il 3 agosto 1917 diede vita a Cronaca libertaria, chiuso il 1° novembre dello stesso anno. Benché a causa delle sue condizioni di salute (era da tempo minato dalla tubercolosi) fosse stato esonerato dal servizio militare, all’inizio del 1918 Molaschi venne arruolato nel 192° battaglione della milizia territoriale di Melzo. Fu congedato in estate, ma i pochi mesi trascorsi in divisa lo segnarono profondamente, portandolo a un doloroso ripiegamento su se stesso e rendendo ancor più cupo il suo pessimismo.

monanni_Giuseppe.jpgNel dopoguerra Molaschi riprese la sua intensa attività politica e giornalistica, divenendo insieme con la Rafanelli e Giuseppe Monanni il principale esponente della corrente anarcoindividualista ed esercitando una grande influenza sui giovani anarchici milanesi. Nel 1919 fondò la libreria editrice Tempi nuovi e il Comitato pro vittime politiche. Fu inoltre tra gli animatori di Umanità nova, il quotidiano anarchico uscito a Milano il 26 febbraio 1920 e diretto da Errico Malatesta. Nell'ottobre dello stesso anno, dopo l'arresto dei redattori, fu Molaschi ad assumere per alcuni mesi l’effettiva direzione del giornale. Dal 5 aprile al 6 dicembre 1920 diresse il quindicinale Nichilismo.

malatesta.jpgFondato Molaschi allo scopo di preservare il movimento libertario dalla "degenerazione socialista" e di propagandare i principi dell'individualismo anarchico sia nel campo della lotta sociale sia sul terreno artistico e letterario, il nome della testata rispecchiava, appunto, le posizioni di radicale pessimismo, di "negazione assoluta di ogni verità o di ogni speranza" (Il nichilismo del Nord, in Nichilismo, 20 apr. 1920) a cui egli era approdato.

teatro_diana-copia-1.jpgLa crisi del giornale, oltre la sospensione delle pubblicazioni, determinò un suo ripensamento teorico che divenne critico e polemico nei confronti della corrente individualista. La sua profonda revisione fu forse determinata anche dal coinvolgimento di anarchici individualisti in atti di terrorismo e in particolare nell’attentato del 23 marzo 1921 al teatro Diana di Milano.

Luigi_Fabbri.jpgOrmai su posizioni solidariste e associazioniste, Molaschi fondò e diresse Pagine libertarie, rivista quindicinale che uscì dal 16 giugno 1921 al 15 febbraio 1923 e alla quale collaborarono Francesco Saverio Merlino, Luigi Fabbri e Carlo Berneri. Dopo essersi adoperato per riattivare l’ufficio di corrispondenza dell’Unione anarchica italiana, nel 1924 promosse la rivista di cultura sociale L'Università libera. Nel 1925 propose la liquidazione dell’Unione sindacale italiana e la creazione di "gruppi libertari sindacali" all’interno della Confederazione generale del lavoro. Nel 1926 aiutò Fabbri a raggiungere la Svizzera, avendo al proprio fianco la moglie Maria, che in quello stesso anno fu allontanata dall’insegnamento per motivi politici. Questa sanzione aggravò le già difficili condizioni della famiglia, potendo Molaschi contare solo su qualche lavoro saltuario.

Sottoposto a vigilanza dagli organi di polizia, non dette luogo a rilievi, ma nel 1941 venne arrestato e inviato al confino a Istonio Marino, sulla costa abruzzese. Tornò libero dopo nove mesi e si trasferì prima a Chiavenna e poi a Cusano Milanino dove prese parte alla lotta antifascista. Dopo la Liberazione aderì al Partito socialista italiano (PSI), fu vicesindaco e assessore alla Pubblica Istruzione di Cusano. In tale veste, con il sostegno della moglie insegnante, si adoperò per la costruzione di una scuola serale di addestramento professionale che elevasse il grado di preparazione dei giovani costretti, come era accaduto a lui, ad abbandonare gli studi al termine delle elementari. La scuola, aperta nel 1946, nel 1995 fu trasformata in istituto professionale e intitolata a suo nome.

Morì a Cusano Milanino il 26 maggio 1953.

 

Tra le sue opere si ricordano:

Federalismo e libertà, Roma, 1924; Pietro Gori, Milano 1959.

 

Fonti e Bibliografia

Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale Pubblica Sicurezza, Casellario politico centrale, ad nomen; Amsterdam, International Institut voor Sociale Geschiedenis, Fondo Ugo Fedeli, cart. 22: C. Molaschi, Terra arida. Appunti per un quaderno di un sopravvissuto (ms. autobiogr. trascritto a mano da U. Fedeli); ibid.: U. Fedeli, Note biografiche di C. M. (dattiloscritto); ibid: L. Rafanelli, Carlo (copia del ms. originale); A. Borghi, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), Napoli 1954, ad ind.Bibliografia della stampa periodica operaia e socialista italiana (1860-1926). I periodici di Milano. Bibliografia e storia, II, 1905-1926, Milano 1961, ad ind.; M. Mantovani, Il «nostro» C. M., in Umanità nova, 12 apr. 1964; G. Cerrito, L'antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo, Pistoia 1968, pp. 43, 50; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesa (1862-1892), Milano 1969, ad ind.; L. Bettini, Bibliografia dell’anarchismo, I, Firenze 1972, ad ind.; M. Antonioli, È rimasto sempre un mistero l’attentato al Diana, in Storia illustrata, ottobre 1973, n. 191, pp. 105 s.; G. Cerrito, Dall’insurrezionalismo alla settimana rossa. Per una storia dell’anarchismo in Italia (1881-1914), Firenze 1977, ad ind.; P. C. Masini, I leaders del movimento anarchico, Bergamo 1980, pp. 165-174; E. Falco, Armando Borghi e gli anarchici italiani. 1900-1922, Urbino 1992, ad ind.; D. Romeo, Il movimento anarchico a Milano nell’età giolittiana: l'influenza di F. Ferrer y Guardia e della sua scuola moderna razionalista, in Storia in Lombardia, XIV (1995), 3, pp. 87, 90, 98 s., 102; L. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia di un uomo libero, Pisa 1996, ad ind.; M. Antonioli - P.C. Masini, Il sol dell’avvenire. L’anarchismo in Italia dalle origini alla prima guerra mondiale, Pisa 1999, ad ind.; M. Granata, Ugo Fedeli a Milano (1898-1921). La formazione politica e la militanza attraverso le carte del suo archivio, in Storia in Lombardia, XX (2000), 1, pp. 74 s., 79, 81, 85-89, 95-99; L. Di Lembo, Lotta di classe e lotta umana: L'anarchismo in Italia dal biennio rosso alla guerra di Spagna (1919-1939), Pisa 2001, ad ind.; M. Granata, Lettere d’amore e d’amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, C. M. e Maria Rossi, 1913-1919. Per una lettura dell’anarchismo milanese, Pisa 2002; L. Fabbri, Epistolario ai corrispondenti italiani ed esteri (1900-1935), a cura di R. Giulianelli, Pisa 2005, ad ind.Da Fabriano a Montevideo. Luigi Fabbri: vita e idee di un intellettuale anarchico e antifascista, a cura di M. Antonioli - R. Giulianelli, Pisa 2006, ad ind.; S. D’Errico, Anarchismo e politica. Nel problemismo e nella critica all’anarchismo del Ventesimo secolo, il «programma minimo» dei libertari del Terzo millennio. Rilettura antologica e biografica di Camillo Berneri, Milano 2007, ad ind.; V. Beretta, Giuseppe Monanni, un editore anarchico del Novecento, in Storia in Lombardia, XXVIII (2008), 2, pp. 76, 78, 80, 86, 88; Il movimento operaio italiano, Dizionario biografico, III, s.v.Dizionario biografico degli anarchici italiani, II, Pisa 2004, subvoce.

Condividi post
Repost0

Presentazione

  • : La Tradizione Libertaria
  • : Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
  • Contatti

Link