Un argomento piuttosto raro nella rete, quello della storia dell'anarchismo in un paese così peculiare com'è appunto il Giappone. Una storia simile a quella dell'Occidente nei suoi tratti generali ma che non manca di caratteristiche che sono unicamente sue, come l'autore di questo lungo saggio, Philippe Pelletier, ha saputo mirabilmente evidenziare e narrare esemplarmente. Ne presentiamo qui la prima di due parti, sperando che il materiale iconografico, di non facile reperibilità, sia abbastanza consono allo spirito dell'ottimo lavoro.
[A. L.]
Nel 1920, un degno professore dell'Università di Tôkyô, di nome Morito, fu incarcerato per un anno ed interdetto a vita all'insegnamento per aver pubblicato uno studio su... Kropotkin [A]. Il giappone dell'era Taishô, imperialmente democratico, sapeva come regolare i conti con coloro che, senza essere anarchici, manifestavano semplicemente, come il professor Morito, della curiosità intellettuale per le loro idee. In quanto agli anarchici stessi, essi rischiavano addirittura la propria pelle, come Ôsugi Sakae e Itô Noe, la sua compagna, assassinati il 23 settembre 1923.
Al di là della sua vita avventurosa e della sua tragica fine, Ôsugi Sakae è una figura fondamentale dell'anarchismo giapponese sconosciuto alle nostre latitudini. È per questo che ci è sembrato opportuno pubblicare questo studio che Jacques Pelletier gli dedica e di cui una prima versione, più breve, è apparsa nel numero 28 della rivista Ebisu-Etudes japonaises (primavera-estate 2002, con il titolo Ôsugi Sakae, una quintessenza dell'anarchismo in Giappone [B].
La versione lunga e riveduta, che qui offriamo, seguita da una preziosa bibliografia su Ôsugi Sakae, il socialismo e l'anarchismo giapponese prima del 1945, meritava di essere accolta. Essa conferma, ad ogni modo, la considerazione in cui teniamo, in generale, i lavori di Philippe Pelletier su un argomento che è probabilmente, come lo prova il testo presente, uno dei rari a padroneggiare.
Attraverso alcune recenti pubblicazioni apparse in Giappone, la figura di Ôsugi Sakae sembra essere oggetto di una riscoperta. Vi si potrà vedere, a scelta, sia una manifestazione strettamente nipponica di questa curiosa passione postmoderna e mondializzata per il revival light sia, come suggerisce arditamente Philippe Pelletier, un segno che questa parola libertaria di rottura sarebbe oramai "intelligibile" in un Giappone in cui comincerebbero ad allentarsi i legami di servitù con un sistema "in via di affondamento".
Sia quel che sia, non resta non di meno il fatto che il percorso molto singolare di Ôsugi Sakae- dall'individualismo all'anarco-sindacalismo- meriti di essere conosciuto. Che Philippe Pelletier sia dunque ringraziato e che i lettori si preparino per questo viaggio di lunga durata verso questa Terra Incognita dell'anarchismo giapponese. C'è da scommettere che, come noi, essi avranno molto da apprendere.
[A] L’aneddoto è riportato da Victor García in Museihushugi. Breve storia del movimento anarchico giapponese, Firenze, 1976.
[B] Studio pubblicato nel quadro di un ricco dossier tematico Anarchisme et mouvements libertaires au début du XXe siècle, [Anarchismo e movimenti libertari all'inizio del XX secolo], a cui collaborano anche Komatsu Ryûgi, Christine Lévy, Gilles Bieux e Jean-Jacques Tschudin.
A contretemps.
Ôsugi Sakae (1885-1923). Un anarchico giapponese
Lettera inviata da Ôsugi Sakae a Ishikawa Sanshirô, Zenshû, vol. 14.
Associare l’anarchismo ed il Giappone costituisce a priori un doppio paradosso. Da una parte, l'anarchismo è probabilmente il più disprezzato, il più sconosciuto se non il più calunniato dei movimenti politici sia nella sua filosofia sia nella sua azione pratica. Qualche formula scioccante ed alcuni episodi scandalistici non sono in genere ricordati che a prezzo dell'oblio delle sue realizzazioni più positive, come la creazione delle Borse del lavoro in Francia, le conquiste dell'anarco-sindacalismo, le scuole libere di Francisco Ferrer o di Sébastien Faure, l'epopea della Makhnovishina (1917-1921) o l'insurrezione di Kronstadt (1921) nella Russia rivoluzionaria, le esperienze autogestionarie della Spagna del 1936.
Supporre, d'altra parte, che questo movimento articolato su un'esigenza esacerbata di libertà individuale possa svilupparsi in un paese come il Giappone, reputato per essere socio-culturalmente lontano dall'individualismo, sembra irrealistico.
Per superare questo paradosso apparente, sembra allo stesso tempo pratico e pertinente collegarsi al percorso di un anarchico giapponese abbastanza emblematico e rappresentativo, che permetta, innanzitutto, di affrontare la complessità di questa problematica. Il personaggio che si impone è Ôsugi Sakae (1885-1923). Ma perché lui e non un altro?
BUONE E CATTIVE RAGIONI DI UN ESEMPIO
Con Kôtoku Shûsui (1871-1911), uno degli eminenti fondatori del socialismo giapponese evolutosi dalla socialdemocrazia all'anarchismo, Ôsugi Sakae è probabilmente il più conosciuto degli anarchici giapponesi stessi e questo per due motivi [1].
Il primo riguarda la sua relazione amorosa concomitante con tre donne per un breve periodo della sua vita (1916), episodio che si concluse con un dramma spettacolare e diventato famoso, una delle sue amanti tentò di pugnalarlo [2]. Il secondo è legato alla sua tragica morte. Il 15 settembre 1923, la Kempeitai,la gendarmeria, lo assassina, insieme alla sua compagna Itô Noe (1895-1923), scrittrice e militante anarchica ed il loro nipote di sette anni, Tachibana Munekazu. I tre furono strangolati dopo essere stati severamente battuti. Per riprendere l'affermazione del saggista Komatsu Ryûji, che deplora che l'anarchismo giapponese sia soprattutto conosciuto per i suoi "affari" o i suoi "incidenti" (jiken), ciò non equivale a evidenziare ancora se non gli aspetti cupi dell'epopea anarchica [3]?
È vero che questi "affari" furono numerosi:
"Affare delle bandiere rosse" (akahata jiken, 1908);
"Affare di alto tradimento" (taigyaku jiken, 1911)- che vide l'esecuzione di Kôtoku Shûsui, di Kanno Sugako (1881-1911) e di dieci altri militanti anarchici o socialisti-;
"Affare Pak Yôl-Kaneko Fumiko » (Boku Retsu-Kaneko Fumiko jiken, 1923-1926);
"Affare della Società della ghigliottina" (Girochin-sha jiken, 1924-1926, dal nome di questo gruppo di militanti desiderosi di vendicare la morte dei loro amici Ôsugi Sakae e Itô Noe) [4];
"Affare del Partito anarco-comunista" (Musei-fukyôsantô jiken, proibizione e repressione di questo partito nel 1934-35, in parallelo con un regolamento di conti interno e mortale);
o ancora "Affare delle Gioventù rurali" (Nôsonseinen-sha jiken, repressione di un'insurrezione anarco-rurale nelle montagne di Chikuma nel 1935)...
Ma Komatsu precisa che questa successione di avvenimenti drammatici permette soprattutto di capire il contesto storico, difficile, nel quale evolveva l'anarchismo prima del 1945. Perché quest'ultimo è caratterizzato da incessanti provocazioni poliziesche inquadrate da due leggi successive: la "legge di polizia sulla sicurezza pubblica" (Chian keisatsu hô) del 1900 e la "legge sul mantenimento dell'ordine" (Chian iji hô) del 1925. Questa seconda legge, che inasprì la prima, non è che il bastone unito alla carota tesa lo stesso anno, e cioè una legge elettorale che accorda il diritto di voto a tutti gli uomini di più di venticinque anni.
La repressione è particolarmente feroce per le tendenze comuniste ed anarchiche. Tutti i nuovi partiti troppo radicali sono presto vietati, i giornali regolarmente censurati, sospesi o condannati, le riunioni pubbliche o i congressi quasi sistematicamente interrotti dalla polizia. Tra il 1925 ed il 1945, più di 75.000 persone sono arrestate e processate per infrazione alla legge sul mantenimento dell'ordine, I militanti sono imprigionati, spesso torturati, maltrattati in prigione in cui a volte muoiono. Le forze poliziesche beneficiano di un clima favorevole che le spingono a trascendere il quadro legale della loro missione. Così, per giustificare il suo crimine, Amakasu Masahiko, il capitano che comandò la spedizione punitiva contro la famiglia Ôsugi e che strangolò Sakae con le sue mani, dichiarò di aver agito "al servizio del suo paese" (kokka ni kôken suru) [5]. Senso di totale impunità, dunque, confermata da questa affermazione di un tenente dell'esercito: "Fui sorpreso nel vedere che Amakasu comparisse davanti la corte militare [per il suo crimine]. A quest'epoca, avevamo tutti l'impressione che potevamo ricevere una promozione se avessimo ucciso qualche socialista..." [6].
Il percorso politico e personale di Ôsugi riassume l'evoluzione che conosce il Giappone alla fine del Meiji. Il paese passa, in mezzo secolo, da una società rurale, quasi feudale, spesso arcaica, ad una società sempre più industrializzata, cittadina, moderna. L'episodio della democrazia Taishô- che lo storico Andrew Gordon preferisce qualificare come "democrazia imperiale"- sembra apportare una boccata di ossigeno socio-politico. Ma gli succede ben presto un tennô-militarismo fascistizzante, con la sua coorte di intellettuali stipendiati, degli "andiamo alla guerra", di bestie gallonate e le sue squadre di militari esaltati, di mafiosi, crapule fasciste come Kodama Yos-hio (1911-1984) o Sasakawa Ryô’ichi (1899-1995). Periodo plumbeo, sanguinario, bombardato e finalmente atomizzato dalla Guerra dei quindici anni (Jûgonen-sensô).
Esisterebbe un'altra ragione- indiretta quest'ultima- attestante la dimensione maggiore di Ôsugi Sakae nell'anarchismo giapponese: la sua sparizione avrebbe in qualche modo annunciato il declino del movimento al quale dedicò un'attività militante straripante. Contrassegnata dalla sua collaborazione a molte riviste, l'esuberanza di energia teorica e pratica che egli incarnò contribuì certamente ad un allargamento della rete degli individui che si impegnarono nel movimento. Ôsugi, ad esempio, svolse un ruolo determinante nella creazione di un'organizzazione unica raggruppante tutte le tendenze socialiste, la Lega socialista del Giappone (Nihonshakaishugi dômei), fondata il 10 dicembre 1920, qui contò un migliaio di aderenti e fu dissolta il 28 maggio 1921. Contribuì alla radicalizzazione del sindacalismo operaio nato con la Società fraterna (Yûaikai), fondata nel 1912, e che, nel 1918, si trasformò nella Federazione del lavoro del Giappone (Nihon rôdô sôdômei, abbreviata in Sôdômei), raggruppante allora 30.000 membri.
Negli anni che seguirono la morte di Ôsugi, l'anarchismo, compreso quello nella sua versione più specificamente anarco-sindacalista, progredì ancora. Riscaldato dall'ondata di repressione che accompagnò i tentativi di vendetta dell'assassinio di Ôsugi-Noe, e tirando il bilancio dello stallo politico dove si trovavano confinati, gli anarchici affinarono la loro strategia. Esclusi, nel 1922, dalla Sôdômei attraverso l'alleanza (provvisoria) dei socialdemocratici e del bolscevichi, essi fondarono, nel 1926, un sindacato di ispirazione libertaria- l'Unione generale libera dei sindacati operai (Zenkoku rôdô kumiai jiyû rengôkai, abreviato in Zenjiren o anche in Jiren) - che radunò, durante il suo congresso fondatore, 400 delegati e 25 sindacati totalizzando 8400 membri, numero che progredì sino a raggiungere i 15.000 membri nel 1927 [7]. Senza essere, propriamente parlando, un'organizzazione di massa, l'Unione generale libera dei sindacati operai superava lo stretto quadro di un semplice gruppuscolo. Sosteneva, in ogni caso, il confronto con i 12.500 aderenti del Consiglio dei sindacati operai del Giappone (Nihon rôdô kumiai hyôgikai), l'organizzazione sindacale creata e controllata dai bolscevichi, che nel frattempo si erano fatti escludere dalla Sôdômei, nel 1925 [8].
Se, anche dopo l'assassinio, nel 1923, di Ôsugi Sakae et d’Itô Noe, una presenza anarco-sindacalista ed anarchica si afferma all'interno del movimento operaio, non di meno Ôsugi rappresenta una figura, un personaggio dell'anarchismo. Parafrasando il titolo di un celebre libro, Quintessenza del socialismo (Shakaishugi shinzui, 1903) del suo introduttore all'anarchismo, Kôtoku Shûsui, allora in una fase, marxisteggiante, si può dire che Ôsugi riassume, in effetti, in sé una quintessenza dell'anarchismo in Giappone. Una tra le altre nel mondo, arricchendo la diversità e la molteplicità degli approcci libertari. È probabile anche, se si deve credere al rialzo della sua popolarità nell'attuale Giappone, che Ôsugi sia in grado di interessare molti giapponesi d'oggi. Ne sono testimoni, ad esempio, la pubblicazione di molte opere recenti su Ôsugi come l'appassionato interesse che gli dedica un giornalista ricercatore, Kamata Satoshi, che gli ha dedicato un libro. È probabilmente perché è moderno che Ôsugi attira. In un contesto di soffocante globalizzazione mercantile e di indifferenza dei punti di riferimento ideologici, le sue opzioni politiche- critica del capitalismo liberale, ma anche critica del totalitarismo comunista-bolscevico- suonano giusto. oltre a questa dimensione, non c'è dubbio, tuttavia, che la traiettoria personale di Ôsugi, fatta d'impegno e di vitalità, affascina, così come la sua fine drammatica, quella morte che chiuse un percorso ricco, tumultuoso e difficile ma vivo riflesso di un secolo che congiunse progresso e barbarie [9].
IMPORTAZIONE O SPONTANEITÀ DELL’ANARCHISMO IN GIAPPONE?
Per la sua aspirazione alla libertà ed all'emancipazione individuale e collettiva, l'anarchismo si rivolge agli "amanti appassionati della cultura di se stessi" (Fernand Pelloutier) e riposa su un principio universalista ed una finalità universale [10]: il suo progetto societario è valevole in ogni tempo ed in ogni luogo. Detto ciò, spazi e storie non sono omogenei. Di fatto, la formulazione teorica e pratica dell'anarchismo sorge in un contesto ben particolare che caratterizza innanzitutto i paesi industrializzati dell'Europa occidentale: il sorgere del capitalismo industriale e la creazione del proletariato (nel senso ampio del termine, cioè i lavoratori manuali o intellettuali che non dispongono dei mezzi di produzione, di scambio o di riproduzione). Se aggiungo un altro aspetto: un processo già ben avanzato di laicizzazione e di secolarizzazione della società, condizione quasi prerequisito per ogni espansione del "né Dio, né padrone" anarchico [10].
Detto altrimenti, se esiste in ogni società antiche premesse teoriche dell'anarchismo (Spartaco, La Boétie, forse Spinoza per quel che riguarda l'Europa), bisogna aspettare il XIX secolo per assitere alla sua elaborazione, la sua affermazione teorica e pratica (Godwin, Proudhon, Bakunin, la Prima Internazionale...). Da questo punto di vista, l'anarchismo si pone bene nel quadro generale del socialismo. Non è un caso se le sue formulazione più spinte ad un momento ed in un luogo dato corrispondono alla situazione storico-geografica particolare, esacerbata, di un paese particolare: l'Inghilterra industriale e liberale per Godwin, la Francia post rivoluzionaria e giacobina per Proudhon, il Biennio rosso e gli inizi del fascismo per gli anarchici italiani come Errico Malatesta, Luigi Fabbri o Camillo Berneri.
Il Giappone della prima metà del XX secolo si ritrova in questa configurazione? Si può ampiamente rispondere in modo affermativo. Ôsugi ha, da poco ad ogni modo, una sintesi originale in un momento in cui la società giapponese esce dal fermento dell'era Meiji prima di cadere sotto il giogo tennô-militarista. Tutte le tendenze socialiste giapponesi hanno cercato di dare un senso appropriato al loro ideale e di non essere in bilico con la loro epoca. Non hanno mancato di apportare la loro riflessione sull'evoluzione storica del Giappone e sulle possibilità di instaurazione del socialismo in questo paese [11].
Su quest'ultimo punto, le analisi marxiste ed anarchiche divergono fondamentalmente, ricordiamolo. La prima si iscrive in uno schema storico meccanicistico, quasi determinista, non lasciando che molto poco posto alla libertà; è consegnata alle sue proprie contraddizioni generali perché sono dei paesi ancora molto rurali e molto feudali, come la Russia del 1917 o la Cina del 1949, che sono stati acquisiti al comunismo statale e non i paesi industrializzati al movimento socialista potente come la Germania o la Francia. La seconda non crede ad un movimento prestabilito della storia e non è, malgrado quanto lasciamo percepire alcuni prismi rousseauiani erronei, né ottimista né pessimista; valuta che l'umanità è capace di progresso così come di regresso, così come l'ha formulato il geografo anarchico Elisée Reclus (1830-1905) sulla scia del filosofo Giambattista Vico.
Questa concezione anarchica dà priorità all'azione diretta e volontaria, il che non implica che essa sia irragionevole, come l'hanno considerata i suoi avversari politici all'interno del movimento socialista. In Giappone, ad esempio, Sakai Toshihiko (1871-1933), Arahata Kanson (1887-1981) o Tazoe Tetsuji (1875-1908) hanno opposto alla pretesa impazienza anarchica l'efficacia, incarnata, secondo essi, dal parlamentarismo. Questa strategia gradualista e ragionevole" non ha tuttavia impedito ad un numero significativo dei suoi sostenitori di rinunciare puramente e semplicemente al socialismo, una volta aspirati dalla spirale politica [12]. Su questo punto, Ôsugi Sakae si è mostrato profetico, per lo meno lucido, quando rivolgeva queste parole molto dure agli intellettuali erettisi in avanguardia (Akamatsu, Abe, Suzuki, Kagawa...): "Quanti ne rimarranno ad essere degni di fiducia? (...). Tra questi esperti in erbe, rimangono ancora oggi dei socialisti, anche molti. Ma quando il temporale scoppierà ed il fulmine cadrà, questi uccelli non fuggiranno su di un albero o sotto un tetto, e quanti saranno? Nemmeno uno. Si potrebbe evidentemente utilizzarne qualcuno sino a quel momento. Ma questa gente, che ha una decente preveggenza, utilizzeranno gli operai piuttosto che essere essi stessi utilizzato. Mica matti!" [13].
Il movimento anarchico non fu esso stesso al riparo da certe derive, essenzialmente terroristiche. Spesso ispirate al nichilismo russo- la cui vicinanza psicologica e socio-politica è tanto più evidente che, come quest'ultimo, esse si sono verificate in una società rurale in via di modernizzazione in cui il tennô è assimilabile allo zar,- queste derive terroristiche sono state denunciate al suo interno. Una trentina d'anni dopo l'esperienza francese, che aveva visto gli anarchici impegnarsi nel movimento sindacale dopo il breve periodo degli attentati (1892-1894), il movimento giapponese conobbe una strada simile. Dopo l'"affare dell'alto tradimento" (1910-1911) e "dell'era d'inverno" (fuyu no jidai, 1910-1914), i suoi passi lo condussero da un populismo più o meno nichilistico all'anarco-sindacalismo. Questa svolta deve molto a Ôsugi Sakae, anche se le circostanze della sua morte rilanciarono, per un certo periodo, le idee di vendetta sociale.
Al di là delle tappe del suo sviluppo industriale e della sua modernizzazione, il Giappone poneva all'anarchismo delle questioni specifiche in quanto all'evoluzione del sistema dei valori e all'adeguamento dei suoi principi ad una società malgrado tutto originale in rapporto alla culla europea dell'anarchismo. Ôsawa Masamichi, uno degli esegeti giapponesi di Ôsugi Sakae, evoca a questo proposito il dibattito che, nel 1907- anno che vide in Giappone la scissione tra la tendenza "parlamentarista" e quella che spingeva all'"azione diretta" (chokusetsu kôdô), - oppose due personaggi importanti: Tazoe Tetsuji, sostenitore della prima, e Ôishi Seinosuke [14], sostenitore della seconda [15].
Tazoe insisteva sulla necessità di "creare un movimento spontaneo della nazione giapponese", relativamente indipendente dai grandi principi tracciati in Europa. Per lui, questa "spontaneità" giapponese doveva adottare il gradualismo parlamentare, il quale diventava teoricamente giustificato e praticamente indispensabile. Al contrario, Ôishi ricordava che i dirigenti giapponesi seguivano il modello dei loro omologhi occidentali (Bismarck, Rockfeller), e che il Giappone era ormai integrato nella corsa del mondo, il che induceva che il socialismo giapponese non doveva singolarizzarsi, ma applicare i principi enunciati da Bakunin e Kropotkin.
Per Ôsawa Masamichi, è Ôsugi che ha meglio ripreso questa problematica, approfondendola. Egli sottolinea a questo proposito il riorientamento che conobbe il pensiero di Ôsugi durante la sua seconda prigionia a Chiba, per due anni, dal 1908 al 1910, per via della sua implicazione nell'"affare delle bandiere rosse" (17 maggio 1908). Come segnalerà egli stesso in seguito, Ôsugi si è allora messo a riflettere su se stesso e sul suo impegno. A ventitré anni, Ôsugi è ancora giovane, ma ha già vissuto molto. Sballottato dai frequenti spostamenti della sua famiglia, conobbe un'adolescenza ed una giovinezza turbolenti. Suo padre, militare e simpatizzante della Kokuryûkai, era un personaggio molto autoritario e un po' limitato, ma piuttosto insignificante e senza un grande ruolo nell'ambiente familiare. Nel 1902, quando Ôsugi ha circa diciotto anni, la morte precoce della madre temuta ed adorata lo colpì molto [17].
Molto presto, il giovane è attratto dalla compagnia femminile e dalle risse. È, infatti, un sentimentale che attribuisce molta importanza all'amore ed all'amicizia, tratto di carattere che non si smentirà e che gli varrà, come attesta la sua autobiografia, numerosi conoscenze e raramente anodine.
Destinato ad una carriera militare, che egli interruppe non senza coraggio, Ôsugi si trasferì a Tokyo, dove intraprese gli studi superiori. Scoprì il cristianesimo (1902), poi l'abbandonò rapidamente per interessarsi all'anarchismo (1903), grazie a Heimin-sha ed a Kôtoku. Nel settembre del 1906, sposò Hori Yasuko. Nella prigione di Chiba, Ôsugi soffre la fama ed il freddo, ma dispone di libri, ed è ciò l'essenziale. Passando lunghe ore a studiare, decide allora di andare oltre un assorbimento un po' rapido delle sue prime letture anarchiche- Kropotkin soprattutto che aveva cominciato a leggere durante la sua prima prigionia, a Sugamo, nel 1907. Si propone di approfondire le sue acquisizioni, tentando di ripensare ciò che deve esserlo. Per lui, la base indispensabile di ogni conoscenza poggia sulle scienze naturali, l'antropologia, poi la storia, discipline che impegnate a studiare la concatenazione logica tra i fatti. Egli scrive: "Più leggo e più penso, credo che la natura è qualche parte logica e la logica è completamente inscritta nella natura. Devo ammirare la natura poiché questa logica deve essere in modo simile inscritta nella società umana, che è stata sviluppata attraverso la natura" [18].
Secondo, Daniel Colson, l'idea di "natura" copre, nella filosofia anarchica, una "nozione tradizionale e corrente (...) designante la totalità di ciò che è" [19]. Non si tratta dunque della materia inerte, della semplice fisica o anche dell'ambiente, ma della "vita" nel senso di "movimento". È la stessa cosa per Bakunin: "[...] Poiché mi vedo costretto ad impiegare spesso la parola Natura, credo dover dire qui ciò che intendo con questa parola. Potrei dire che la Natura, è la somma di tutte le cose realmente esistenti. Ma ciò mi darebbe un'idea completamente morta di questa Natura, che si presenta a noi al contrario come movimento e vita [...], la combinazione universale, naturale, necessaria e reale, ma affatto predeterminata, né preconcetta, né prevista, di questa infinità di azioni e di reazioni particolari che tutte le cose realmente esistenti esercitano incessantemente le une sulla altre" [20].
Dopo la sua prigionia a Chiba, Ôsugi Sakae redigerà diversi testi su questo tema della "vita" (sei), inseparabile, secondo lui, dall'io, dalla libertà e dall'azione. All'inizio c'è l'azione" (Hajime ni koî ga ari), scriverà anche un po' più tardi citando la frase che Romain Rolland riprende dal Faust [21]. Esporrà l'essenziale delle sue concezioni in L'espansione della vita (Sei no kakujû), del luglio 1913. Vi si legge: "La vita può essere capita in un senso ampio ed in un senso stretto. Io, la prendo nel suo senso più stretto, come il principio della vita dell'individuo. L'essenza di questa vita non è altra cosa che l'io. E finalmente, l'io è un tipo di energia (chikara no isshu) che obbedisce alle regole dell'energia nella dinamica dell'energia. L'energia deve apparire non appena c'è movimento, azione (dôsa), perché esistenza di energia e movimento sono sinonimi: Di conseguenza, l'attività dell'energia (chikara no katsudô) è una cosa che non si può evitare. L'azione stessa è interamente nell'energia. L'azione è l'aspetto unico dell'energia. La logica necessaria della nostra vita ci ordina dunque di agire. E di svilupparci. Ciò non significa nient'altro che l'estensione nello spazio di ciò che esiste. Ma lo sviluppo della vita deve apportare anche la pienezza della vita. La pienezza giunge inoltre inevitabilmente con lo sviluppo. Di conseguenza, pienezza e sviluppo devono essere una sola e stessa cosa. L'espansione della vita diventa dunque il dovere della nostra unica vita. Colui che soddisfa gli implacabili bisogni della sua vita è quello che agisce effettivamente di più. La logica necessaria della vita ci ordina di scartare, di distruggere tutte le cose che ostacolano l'estensione della vita. E quando giriamo la schiena a quest'ordine, la nostra vita, il nostro io, stagna si corrompe, si distrugge" [22].
Le difficoltà sopraggiungono negli urti reciproci delle vite di ognuno. Si produce allora, secondo Ôsugi, una polarizzazione della società tra oppressori ed oppressi, tra padroni e schiavi. L'umanità sembra rassegnarsi, accontentandosi di cambiare padroni. Ma la rivolta contro questo stato di cose- che, in definitiva, ostacola l'estensione di ogni vita- è portata da una minoranza. I soprassalti della storia non devono più condurre a cambiare padroni, ma all'emancipazione di tutti e di ognuno.
È in questo senso che Ôsugi afferma: "Ora che la realtà del dominio ha raggiunto il suo punto più alto, l'armonia non è la bellezza. La bellezza è nel caos. L'armonia è una menzogna. Il vero è nel caos. Non possiamo ora raggiungere l'espansione della vita che attraverso la rivolta. Non è che attraverso la rivolta che possiamo creare una nuova vita, una nuova società" (Zenshû, II, p. 34). Spesso citata a proposito di Ôsugi, questa frase- "La bellezza è nel caos"- non deve essere mal interpretata. Perché, come dice Daniel Colson, "nell'utilizzazione moderna e libertaria della parola, il caos cessa di rinviare ad un'origine temporale, superata da un avvenire lineare ed orientato dal tempo. Costituisce al contario il sostrato sempre presente di tutti i possibili di cui il reale è portatore [...]. Come molti testi libertari permettono di mostrare, da Cœurderoy a Bakunin, passando per Proudhon, l'anarchia o il caos a cui si richiama l'anarchismo non è affatto sinonimo di arbitrario, quell'arbitrario che serve da fondamento illusorio a tutte le utopia, ma al contrario di necessità, una necessità sola fondatrice della libertà anarchica nella misura stessa in cui essa esprime tutta la potenza di ciò che è" [23]. Ciò che, così come lo segnala ancora Daniel Colson, ricorda un Nietzsche che spiega come il "carattere dell'insieme del mondo è da tutta l'eternità quello del caos, in ragione non dell'assenza di necessità, ma dell'assenza d'ordine" [24].
Altrimenti detto, Ôsugi attinge nel negativo dell'attuale umanità ciò che può essere il positivo della società. Società ed umanità sono vita, movimento, "dinamica" (dinamikku), per prendere un termine che sarà utilizzato da Ishikawa Sanshirô (1876-1956), uno degli anarchici giapponesi che proseguira la riflessione filosofica là dove l'aveva lasciata Ôsugi Sakae. Questa dialettica di non-risoluzione delle antinomie attraverso la sintesi si oppone risolutamente alla dialettica hegeliano-marxista in tre tempi. Ricorda quella di Proudhon- che Ôsugi non ha tuttavia letto, almeno quando ha redatto L'Espansione della vita.
In Il Sistema delle contraddizioni economiche del 1846, quest'opera tanto criticata da Marx, Proudhon scrive anche che "l'uomo è lavoratore, cioè creatore e poeta", poiché "produce dal suo profondo, vive della sua sostanza". Durante lo stesso passaggio, Proudhon suggerisce di tornare alla monadologia di Leibniz, a condizione che quest'ultima sia liberata dall'ipoteca divina. Quest'approccio, ripreso da Gabriel Tarde alla fine del XIX secolo, poi da Gilles Deleuze o Gilbert Simondon alla fine del XX secolo, pone in primo piano l'esistenza degli esseri individuali singolari, irriducibili ad ogni determinazione esterna: le monadi, capaci di aprirsi le une alle altre, dall'interno, di compenetrarsi reciprocamente e di selezionare, tra l'infinità dei mondi possibili, quello che conviene alla loro piena realizzazione.
La monadologia non ha nulla a vedere con la giustificazione dell'individualismo contemporaneo, che non è in realtà che un egoismo assoluto. Ôsugi Sakae strizza l'occhio a Max Stirner, figura dell'individualismo anarchico ed autore di L'Unico e la sua proprietà (1844), riprendendo il suo termine Unico (yu’itsu), ma se ne differenzia nella sua implicazione socialista. Egli fonda la sua procedura sull'individuo, in sinergia con "l'aria dei tempi" in Giappone che vede per esempio l'esordio del watakushi-shôsetsu* in letteratura, ma in una prospettiva sociale e collettiva, ciò che egli chiama "l'individualismo moderno" (kindai kojinshugi). Da qui la sua critica agli stirneriani giapponesi come Tsuji Jun (1884-1944) [25].
[Traduzione di Ario Libert]
Note
[1] Su Kôtoku Shûsui, vedere la bibliografia in lingua occidentale [Notehelfer (1971), Crump (1983) et Pelletier (1985)].
[2] Si tratta di Kamichika Ichiko (1888-1981), figlia di un medico erborista. Scrittrice e giornalista, raggiunge il movimento femminista Seitôsha nel 1912 ed aderisce al socialismo. Imprigionata per due anni in seguito a questo fallito tentativo di assassinio- che la storia ricorda con il nome di "affare di Hayama" o "della casa del tè di Hikage"-, Kamichika Ichiko esercitò la funzione di deputato socialista dal 1953 al 1969 e prenderà parte attiva alla legge contro la prostituzione del 1954. Sposa legittima di Ôsugi dal 1906, Hori Yasuko divorzia da quest'ultimo poco dopo il dramma. Itô Noe diventa allora la terza compagna di Ôsugi. Gli darà cinque figli (quattro femmine ed un maschio- Mako, Sachiko, Ema, Ruizu, Nesutoru - di cui due morti a tenera età). Kamichika Ichiko, che, benché poco prolissa sul soggetto nelle sue memorie del 1972, si mostra molto amareggiata di fronte a Ôsugi, non assité alla cerimonia funebre che riunì tutti gli intimi di Ôsugi alla fine del 1923. In compenso, Hori Yasuko, la sua prima moglie, vi pronunciò l'elogio di suo marito, effettuando al contempo una messa a punto della loro relazione.
[3] Komatsu Ryûji (1997).
[4] La rabbia degli anarchici sarà aggravata dal fatto che il capitano di gendarmeria responsabile dell'unità che commise l'assassinio, Amakasu Masahiko (1891-1945), non scontò che tre dei dieci anni di prigione ai quali fu condannato per il suo crimine. Liberato, si farà "onore" sul fronte della Manciuria, soprattutto durante l'Incidente della Manciuria del 1931, che iniziò la Guerra dei quindici anni.
[5] Kamata Satoshi (1997), p. 459.
[6] Testimonianza di Matsushita Yoshio, tenente dell'esercito attratto dal socialismo e che darà le dimissioni dalla sua funzione, ricordato da Yamakawa Kikue (1890-1980) nelle sue memorie (1956, p. 171).
[7] John Crump (1993), p. 78, sa Komatsu Ryûji (1972), p. 84.
[8] George Beckmann e Ôkubo Genji (1969); Stephen Large (1981).
[9] Una fine che lo stesso Ôsugi preconizzò. Dopo il colpo di pugnale di Kamichika Ichiko, ricordava spesso che era già stato seriamente ferito durante una rissa tra studenti durante la sua frequenza in una scuola di cadetti, e prediceva anche che giorno sarebbe venuto, in cui sarebbe stato ucciso da un poliziotto o un gendarme. Cfr. Thomas Stanley (1982), p. 107.
[10] "Proscritto dal Partito, perché non meno rivoluzionari di Vaillant o Guesde, anche risoluto sostenitore della soppressione della proprietà individuale, siamo inoltre ciò che essi non sono, dei rivoltosi da sempre, degli uomini senza dio, senza padroni e senza patria, i nemici irreducibili di ogni dispotismo morale o materiale, individuale o collettivo, cioè delle leggi e delle dittature- compresa quella del proletariato- e gli amanti appassionati della cutura di se stessi", Fernand Pelloutier, Lettre aux anarchistes, (dicembre 1899); cfr. Jacques Julliard, Fernand Pelloutier et les origines du syndicalisme d’action directe, Paris, Seuil, Points Histoire, 1985, 300 pp.
[11] Secolarizzazione che non fu che embrionale nei paesi islamici, il che spiega ampiamente il ritardo che vi prese l'anarchismo, ad eccezione parziale dell'Iran, del Libano e della Turchia.
[12] Per una presentazione in lingua occidentale dei dibattiti che agitarono i marxisti, possiamo rapportarci a Germaine Hoston, Marxism and the crisis of development in Prewar Japan, Princeton University Press, 1986, 406 pp.; The State, identity and the national question in China and Japan, Princeton University Press, 1994, 630 pp.; Le marxisme au Japon, Actuel Marx, 2, 1987, 218 pp.
[13] Se si mettono da parte i tenkô comunisti della metà degli anni trenta, alcuni di questi militanti sono passati anche dal socialismo al tennô-militarismo ed al nazional-socialismo.
[14] Iwayuru hyôronka ni taisuru bokura no waza. Hyôron no hyôron, [Il nostro atteggiamento di fronte a queste pretese critiche. Critica delle critiche[, Zenshû, VI, pp. 36-42, apparso in Rôdô undô, 1-3, gennaio 1920.
[15] Ôishi Seinosuke (1867-1911) è nato a Shingû (Wakayama-ken) da una famiglia di ricercatori. Medico, viaggiò molto (Oregon, Singapore, Bombay) e si interressò al socialismo a partire dal 1901. Frequentò la Heimin-sha, dove incontrò Kôtoku Shûsui. Scrisse numerosi articoli. Incriminato nell'"affare dell'alto tradimento" a seguito di false accuse, fu giustiziato.
[16] Ôsawa Masamichi: Ôsugi Sakae et les problèmes posés par l’importation de l’anarchisme, [Ôsugi Sakae ed i problemi posti dall'importazione dell'anarchismo, presto verrà edito in Itinéraire].
[17] La morte di sua madre costituisce senz'altro uno dei passaggi salienti dell'autobiografia di Ôsugi, cfr. Byron K. Marshall, 1992.
[18] Ôsugi Sakae shokan-shû, Ôsugi Sakae kenkyû-kai, éd. Tôkyô, Kaien shobô, 1974, pp. 38-39.
[19] Alla voce Natura in Daniel Colson, Petit lexique philosophique de l’anarchisme de Proudhon à Deleuze, Le Livre de poche, Paris, 2001, 386 pp.
[20] Considérations philosophiques sur le fantôme divin, le monde réel et sur l’homme [Considerazioni filosofiche sul fantasma divino, il mondo reale e sull'uomo, [1870].
[21] Rôdô undô to rôdô bungaku, []Movimento operaio e letteratura operaia], Shinchô, 10, 1921, Zenshû, V, pp. 59-77.
[22] Zenshû, II, pp. 30-34. Ôsugi utilizza qui il termine katsudô che significa "attività". In giapponese, "militante" si traduce con katsudôka, oppure con "attivista". Si noterà la differenza con la semantica francese.
[23] Daniel Colson, op. cit, voce Caos.
[24] Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza (1881-87), § 109.
[25] Soprattutto in Kindai kojinshugi no shosô [Diversi aspetti dell'individualismo moderno], Zenshû, III, o in Yu’itsu-sha [Gli Egoisti], Zenshû III, articoli apparsi in Kindai Shisô en 1912.
* watakushi-shôsetsu, o shishōsetsu, è uno stile letterario giapponese in cui i romanzi sono narrati in prima persona ed incorporano elementi autobiografici, legato al filone letterario del naturalismo e sorto durante l'era Taishō (1912-1926), (N. d. T.).
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