Il concetto di democrazia in Marx
di Maximilien Rubel
1. Per una democrazia liberata dallo Stato e dal Denaro
La critica sociale, che costituisce la sostanza dell'opera di Karl Marx, ha, essenzialmente due bersagli: lo Stato e il Denaro.
È significativo che Marx abbia cominciato quest'opera critica prima di aderire al comunismo. Per pervenirvi, gli bastava concepire la democrazia come la via di una liberazione fondata su dei rapporti sociali profondamente modificati e, innanzitutto, di fornire la prova teorica dell'incompatibilità fondamentale di istituzioni come lo Stato e il Denaro con la libertà umana. Due compiti per i quali bisognava evadere dalla filosofia hegeliana: questa posizione si trova proclamata in due scritti che, redatti a qualche mese di distanza, appaiono insieme negli Annali franco-tedeschi del gennaio 1844, quattro anni prima di Il manifesto comunista di cui essi presentano, in qualche modo, una variante in due componenti di stile filosofico. Si tratta della Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel, da una parte, e del saggio su La questione ebraica, dall'altra.
Tra questi due momenti della carriera letteraria di Marx si situano i suoi studi di economia politica ed il primo tentativo di una critica radicale delle teorie del capitale. Inediti sino al 1932, questi lavori hanno permesso di capire meglio i percorsi del suo pensiero. Tuttavia, mentre un'immensa letteratura è stata consacrata ai manoscritti parigini, detti economico-filosofici del 1844, non si conosce nessuna analisi in profondità dell'importante lavoro al quale Marx si era dedicato durante l'estate del 1843, nella suo studioso ritiro di Kreuznach, e che ci è giunto sotto la forma di un voluminoso manoscritto. Pubblicato per la prima volta nel 1927, questo testo, benché incompiuto, segna una rottura definitiva con la filosofia politica di Hegel. Pur denunciando violentemente l'illogicità e l'inganno di alcune tesi hegeliane sullo Stato e la monarchia, la proprietà e la burocrazia, Marx formula una concezione della democrazia in cui egli va molto oltre gli articoli che egli aveva pubblicato, alcuni mesi prima, nella Rheinische Zeitung per muovere guerra alla censura prussiana.
È un'opinione diffusa che diventando comunista, Marx abbandoni l'idealismo ed il liberalismo di cui testimoniano questi saggi polemici. Ma, a meno di supporre che la sua adesione al comunismo sia il gesto di un illuminato, è gioco forza vedervi l'approdo logico, naturale di questo stesso idealismo e di questo stesso liberalismo. La chiave di questa adesione, la troviamo sia nel manoscritto antihegeliano di Kreuznach sia nei due saggi menzionati sopra, pubblicati a Parigi. Da tutti questi lavori, emerge una convinzione che non abbandonerà più il ricercatore e l'uomo di partito: la democrazia non può trovare il suo compimento che in una società in cui gli uomini, liberamente associati, non alienano più la loro personalità attraverso false mediazioni, politiche ed economiche. Questa convinzione, Marx l'ha acquisita per mezzo di numerose letture, filosofiche e storiche, durante i suoi anni universitari a Berlino ed a Bonn (1840-1842).
Per il nostro soggetto, conviene esaminare brevemente alcune di queste lettura: esse ci porranno sulla pista del cammino intellettuale che ha portato Marx dalla democrazia all'anarco-comunismo. In uno dei suoi quaderni di studio, che data al suo soggiorno berlinese, non troviamo meno di 160 estratti del Trattato teologico-politico di Spinoza. I passaggi annotati si riferiscono ai miracoli, alla fede ed alla filosofia; alla ragione ed alla teologia, alla libertà dell'insegnamento, ai fondamenti della repubblica, al profetismo, ecc. Tutto ciò, senza il minimo commento personale eppure, sulla copertina del quaderno, si può leggere: "Spinoza: Trattato teologico-politico, di Karl Marx, Berlino 1841".
Come si deve intendere quel titolo? Con esso, Marx sembra voler dire che egli aveva preso da Spinoza tutto ciò che gli sembrava necessario per costruire la sua propria visione del mondo dei rapporti umani. Affermava manifestamente la sua convinzione che la verità è l'opera di tutta l'umanità e noent'affatto di un unico individuo; la pensava su questo punto come Goethe, che egli ammirava, e che si era egli stesso presentato come un discepolo di Spinoza. Inoltre, Marx copia o fa copiare, in due quaderni, circa 60 estratti delle lettere del filosofo olandese. Scopriva in Spinoza, così come li trovava in se stesso, i motivi principali che lo incitarono a dare alla Germania il segnale della lotta per la democrazia. La repubblica democratica, la libertà umana sono in Spinoza gli elementi di un'etica razionale, di una concezione degli uomini e della felicità umana nel campo della natura e della società; vi si trova l'idea che l'individuo può raggiungere lal libertà con la coscienza, la conoscenza e l'amore. È da Spinoza, non da Hegel, che Marx apprese a conciliare necessità e libertà. E quando intraprese a demolire la mistificazione hegeliana, quando affrontò la metafisica dello Stato, definito come lo scopo della Ragione, era già preparato per affrontare i fondamenti reali dell'autorità politica: la proprietà e la burocrazia.
Vedremo successivamente i motivi che spinsero Marx a sviluppare il concetto spinoziano di democrazia, ad arricchirlo con un esame delle sue implicazioni sociali, o più precisamente a fondere la democrazia spinoziana con il comunismo, dopo aver scartato la metafisica dello Stato che l'aveva dapprima attratti verso Hegel. Benché Marx abbia respinto questa filosofia politica senza condizioni, sappiamo che cominciando a redigere Il Capitale farà ritorno verso la dialettica hegeliana: eufemismo, ironia forse, egli parlerà di "flirt". Affascinato da Hegel durante i suoi anni di studio, non se ne è mai liberato completamente, malgrado che si tratti di filosofia della storia. È da questa situazione ambigua che è nato il malinteso chiamato "materialismo storico".
Spinoza diede a Marx ciò che quest'ultimo aveva cercato in Hegel, o nel Rousseau del Contratto sociale, e cioè l'opportunità offerta all'individuo di riconciliare l'esistenza sociale ed il diritto naturale, opportunità che la carta dei diritti dell'uomo e del cittadino non accordava che in virtù di una finzione giuridica. Il Trattato di Spinoza è su questo punto senza equivoco: "La democrazia nasce dall'unione degli uomini che godono, in quanto società organizzata, di un diritto sovrano su tutto quanto è in loro potere". Regime politico il meno assurdo, la democrazia è, "di tutte le forme di governo, la più naturale e suscettibile di rispettare la libertà individuale; perché nessuno abbandona il suo diritto naturale in modo assoluto. Essi lo traferiscono alla totalità della società di cui essi fanno parte; gli individui restano così tutti eguali, come un tempo nello stato di natura".
Se si vuole una prova letteraria dell'influenza di Spinoza sul primo penseiro politico di Marx, ecco un passaggio in cui si riconoscerà anche l'eco degli attacchi di Feuerbach contro Hegel: La democrazia è l'enigma reale, al popolo reale; essa è posta non soltanto in sé, secondo la sua essenza, ma secondo la sua esistenza, secondo la realtà, come l'opera propria del popolo. La Costituzione appare così com'è, un libero prodotto dell'uomo.
Nel prosieguo della sua argomentazione, Marx si rifà a Hegel, secondo cui l'uomo proviene dallo Stato-demiurgo. Gli oppone la democrazia che parte dall'uomo, che fa dello Stato un oggetto, uno strumento dell'uomo. Parafrasando la critica della religione di Feuerbach, Marx ragiona sulle Costitizioni politiche: "Allo stesso modo per cui la religione non crea l'uomo ma è l'uomo che crea la religione, non è la Costituzione che crea il popolo ma il popolo a creare la Costituzione. La democrazia è, in qualche modo, per tutte le altre forme dello Stato, ciò che il cristianesimo è per tutte le altre religioni. Il cristianesimo è la religione per eccellenza, l'eccelenza della religione, l'uomo deificato considerato come una religione particolare. Allo stesso modo, la democrazia è l'essenza di ogni Costituzione politica: l'uomo socializzato considerato come Costituzione politica particolare... L'uomo non esiste a causa della legge, è la legge che esiste a causa dell'uomo: è una esistenza umana, mentre nelle altre (forme politiche) l'uomo è l'esistenza legale. Questo è il carattere fondamentale della democrazia".
Marx porta qui degli elementi di sua propria invenzione, che non rientrano d'altronde nel quadro tradizionale della democrazia se non facendolo esplodere. Nessuna testimonianza empirica in appoggio, per il momento. Ne troverà più tardi, ed è allora che egli associerà al concetto della democrazia un altro concetto che egli ha tratto da esso, e cioè, la dittatuta del proletariato; in un caso come in un altro, si tratterà, ai suoi occhi, di una sola e medesima cosa: "l'autodeterminazione del popolo".
Quest'apporto dell'esperienza, Marx lo raccoglie nel suo ritiro di Kreuznach dopo aver lasciato la redazione della Rheinische Zeitung. Egli pone la sua inazione a profitto per studiare in profondità la storia rivoluzionaria della Francia, dell'Inghilterra e dell'America. È questo studio che lo convinse senza alcun dubbio che l'approdo normale ed inevitabile della repubblica democratica è nel comunismo, detto in altro modo "la vera democrazia in cui lo Stato politico sparisce".
2. La democrazia e il suo avvenire
Troviamo, in un quaderno di studio del 1843, degli estratti del racconto di uno Scozzese che, visitando gli Stati Uniti, giunge a delle conclusioni più radicali di quelle di Tocqueville. Thomas Hamilton compì il suo viaggio nel 1830-31.La sua opera, Men and Manners in America, fu riedita due volte in poco tempo. Marx la lesse nel 1843 in una traduzione tedesca e ne copiò 50 passaggi, relativi ai problemi importanti dell'America: federalismo e suffragio universale, situazione legale e reale dei cittadini, conflitti di interessi tra il Nord ed il Sud; costituzione degli Stati della Nuova Inghilterra, ecc.
Ciò che sollecitò il suo interesse, è il modo in cui Hamilton comprende, o piuttosto avverte, le tendenze sociali nel funzionamento della democrazia americana. Con un curioso miscuglio di generosità liberale e di gusto aristocratico, l'autore descrive il partito repubblicane e federalista, la "rivoluzione silenziosa" cominciata quando Jefferson prese il potere, l'ascesa del "numero" in opposizione agli uomini di proprietà e di cultura. Tutto ciò testimonia di un buon fiuto storico, e Marx non poteva rimanere indifferente ai fatti notevoli riportati dallo Scozzese. Vi trova ciò che Tocqueville non aveva distinto: le potenzialità rivoluzionarie della democrazia americana.
Secondo Tocqueville, l'America offriva l'immagine stessa della democrazia, perché godeva di un'eguaglianza quasi completa delle diverse condizioni. In verità, temeva che la democrazia potesse esporsi a diventare la tirannide di una maggioranza; ma era essenzialmente ottimista in quanto alle prospettive sociali ed economiche dei regimi democratici.
Hamilton, ha osservato alcuni aspetti della vita economica americana; vi ha scorto una tendenza che Marx considererà decisiva per il futuro dell'America: la lotta di classe. Ecco alcuni dei passaggi annotati da Marx in tedesco e tradotti qui dall'originale inglese. Hamilton discute con degli "Americani illuminati" sulle possibilità sociali offerte dalla Costituzione degli Stati Uniti, e constata che nessuna volontà viene a fungere da contrappeso "alla mancanza di lungimiranza della democrazia con la previdenza e la saggezza di una aristocrazia dell'intelligenza e della prudenza". Dà allora un esempio di ciò che egli chiama "evoluzione e tendenza dell'opinione presso gli abitanti di New York".
È una città in cui i diversi ordini della società si sono rapidamente separati. La classe lavoratrice si è già costituita in una società che porta il nome di "Workies", in opposizione a coloro che, favoriti dalla natura o dalla fortuna, godono di una vita di lusso senza conoscere le necessità del lavoro manuale. Queste persone non fanno affatto mistero delle loro rivendicazioni e bisogna dare loro giustizia che sono poco numerose, benché energiche. La loro prima esogenza, è l'eguaglianza e l'universalità dell'istruzione.
È falso, essi dicono, sostenere che non esiste presentemente nessun ordine privilegiato, nessuna aristocrazia di fatto in un paese in cui si ammettono le differenze di educazione. Tutta una parte della popolazione, costretta al lavoro manuale, si trova forzatamente esclusa dalle cariche importanti dello Stato. Esiste dunque veramente, essi dicono, un'aristocrazia, e della specie più odiosa: l'aristocrazia del sapere, dell'educazione e dell'eleganza, che contraddice il vero principio di democrazia, l'eguaglianza assoluta. Essi si fanno forte nel distruggere un'ingiustizia così evidente dedicandovi tutta la loro attività fisica e mentale. Essi proclamano davanti al mondo che questa piaga deve sparire, in mancanza della qual cosa, la libertà di un Americano sarà ridotta allo stato di semplice vanteria. Essi dichiarano solennemente di non sentirsi affatto soddisfatti, finché tutti i cittadini degli Stati Uniti non riceveranno lo stesso grado di educazione e non avranno lo stesso punto di partenza nella corsa agli onori e cariche dello Stato. È una cosa impossibile, indubbiamente, e questi uomini lo sanno che educare le classi lavoratrici allo stesso grado dei più ricchi; il loro scopo una volta avveratosi, consiste nel ridurre i ricchi alla stessa condizione intellettuale di poveri (...). Ma coloro che limitano le loro considerazioni alla degradazione mentale del loro paese sono in verità dei moderati. Altri vanno ben più in là. Reclamano altamente una legge agraria e una distribuzione periodica della proprietà. Senza alcun dubbio, è l'estrema sinistra del parlamento "workie", ma queste persone sono contente di spingere sino in fondo i principi dei loro vicini meno violenti. Usano tutta la loro eloquenza per chiedere la giustizia e vanno in vettura, mentre l'altro va a piedi; rientrato dalla passeggiata, festeggiano con lo champagne, mentre tutto il suo vicinato deve, con sua vergogna, accontentarsi dell'acqua. Livellate soltanto la proprietà, essi dicono, e non vedrete più né champagne né acqua. Vedrete il brandy per tutti, e questa vittoria del consumatore val bene secoli di lotta (pp. 160-61).
Esaminando la politica operaia del governo americano nei confronti delle enormi risorse interne degli Stati Uniti, Thomas Hamilton non dubita affatto che quest'ultimi siano destinati a diventare una grande nazione manifatturiera. Ecco la sua previsione: "Imponenti città manifatturiere sorgeranno in diversi punti dell'Unione; la popolazione si radunerà in massa, e si vedranno maturare presto i vizi che accompagnano attualmente una tale specie di società. Milioni di uomini vedranno la loro sussistenza dipendere dalla domanda di un'industria particolare, e anche questa domanda sarà sottoposta ad una perpetua fluttuazione. Quando il pendolo oscillerà in una direzione, ci sarà un flusso di ricchezzza e di prosperità; quando girerà in senso contrario, ci sarà la miseria, l'insoddisfazione e il disordine attraverso tutto il paese. Un cambiamento nella moda, una guerra, la chiusura di un mercato straniero, mille incidenti imprevedibili e inevitabili si produrranno, che priveranno della pace le moltitudini. Un mese prima, esse profittavano di tutte le comodità della vita".
Ecco ora una predizione nel più bel stile marxiano: "Che ci si ricordi che è la classe sofferente che sarà, in pratica, depositaria di tutto il potere politico dello Stato; che non può esserci forza militare per mantenere l'ordine civile e proteggere la proprietà; e in quale angolo, mi piacerebbe che me lo ci dicesse, l'uomo ricco potrà trovare rifugio e porre al riparo la sua persona o la sua fortuna?".
Certo, nessuno degli "eminenti" interlocutori di Thomas Hamilton ha rifiutato di vedere che un tale periodo di disordine fosse inevitabile. Ma gli si rispondeva spesso che questi riprovevoli eventi erano ancora remoti, che per il momento il popolo non doveva affatto preoccuparsi a proposito delle afflizioni future. E il viaggiatore scozzese annotava: "Non posso comunque impedirmi di credere che il tempo della prova è molto meno lontano di quanto questi ragionatori immaginino per rassicurarsi; ma se si concede che la democrazia conduce necessariamente all'anarchia e alla spoliazione, la lunghezza del percorso che vi ci porta non ha grande importanza. È evidente che può variare secondo le circostanze particolari di ogni paese in cui si può farne esperienza. L'Inghilterra potrebbe fare il tragitto alla velocità della ferrovia. Negli Stati Uniti, essendo dati i grandi vantaggi che vi si trovano, le cose possono durare ancora una generazione o due, ma il terminus è lo stesso. Ci sono dubbi sulla durata, non sulla destinazione" (p. 66).
Diventato comunista, Marx non aveva che da iscrivere la parola comunismo là dove Hamilton scriveva "anarchia" o "spoliazione"; diventato economista, darà agli avvertimenti dello Scozzese un'armatura teorica nel famoso capitolo di Il Capitale che si intitola: "La tendenza storica dell'accumulazione del capitale".
Tocqueville ha trovato una formula generale, e un po' hegeliana, per congetturare questo compimento dei tempi. Vedeva il progresso dell'eguaglianza sociale un effetto della Provvidenza divina.
3. Difesa e conquista della democrazia
Si sarebbe tentati di dire che Marx fu l'erede spirituale di Tocqueville e che porta questa nuova scienza della società in cui la dialettica della necessità storica prenderà il posto della credenza nella Provvidenza divina. Non ci preoccupiamo di porre di nuovo un problema che occupa un così bel posto nel dibattito sullo 'storicismo' di Marx. Ciò che abbiamo cercato di mostrare, è che nella formazione politica di Marx, esiste un legame stretto tra le sue convinzioni pre-comuniste e la sua adesione al comunismo; tra il Marx democratico e il Marx comunista; tra le prime opere, che non sono affatto economiche, in cui il comunismo prende semplicemente la forma di una veemente denuncia del culto del denaro (La questione ebraica, ad esempio), e Il Capitale, in cui è presente, benché spesso tacita, nello schema scientifico de sistema di produzione capitalista.
Vorremmo apportare a questa tesi un'ultima testimonianza. Nel 1850, sette anni dopo la sua adesionen al comunismo, e mentre militava come capo della Lega dei comunisti, Marx autorizzò Hermann Becker, membro della stessa Lega, a pubblicare una scelta dei suoi scritti in diversi volumi. La prima consegna fu edita a Colonia nel 1851. Vi si ritrovano gli articoli liberali e democratici degli Anekdota e della Rheinische Zeitung, il che significa che Marx non li considera affatto superati, e che la lotta per le libertà democratiche rimane il compito del giorno. Egli è convinto che le sue prime idee sulla democrazia contengano in potenza tutti gli elementi di questo umanesimo di cui il comunismo non è stato che un aspetto particolare; e questo Marx lo afferma nei suoi manoscritti del 1844, primo abbozzo del Capitale.
Due concetti separati, quello di democrazia e quello di comunismo, corrispondono presso Marx alla rivoluzione politica e alla rivoluzione sociale, e cioè alle due tappe della rivoluzione proletaria. La prima, la "conquista della democrazia" da parte della classe operaia, porta alla "dittatura del proletariato". La seconda, è l'abolizione delle classi sociali e del potere politico, la nascita di una società umana.
Marx ha distinto tra rivoluzione politica e rivoluzione sociale, e si deve ricordarsene se si vuole capire i suoi comportamenti di uomi di partito. Non dobbiamo occuparci qui dei diversi aspetti della sua sociologia politica. Ricordiamo soltanto che lo sviluppo sociale gli sembrava sottoposto alle leggi storiche, e che le rivoluzioni sociali dipendevano dunque dalle condizioni, sia materiali sia morali. Questo processo è caratterizzato dalla crescita delle forze produttive, progresso tecnico da una parte, maturità della coscienza umana dall'altra. A dir il vero, la tesi di Marx (la coscienza sociale è determinata dall'esistenza sociale) contiene delle ambiguità per l'epistemologia. Quindi, conviene sottolineare in tutto ciò il carattere etico della tesi o del suo postulato su una coscienza proletaria.
All'idea di una rivoluzione a doppio motore, corrisponde il duplice aspetto del pensiero e dell'attività politica di Marx. Non mancano esempi che mostrano che la sua lotta politica assunse spesso un carattere allo stesso tempo esoterico ed essoterico. Così nel 1847, egli accetta la vice presidenta dell'Associazione democratica, a Bruxelles, pur diventando membro della Lega dei comunisti. Così, nel gennaio del 1848, egli redige il Manifesto comunista e, durante lo stesso mese, pronuncia un discorso sul libero scambio che sarà pubblicato dall'Associazione democratica. Allo stesso modo, nello stesso anno, l'anno della rivoluzione, fonda e pubblica a Colonia la Neue Rheinische Zeitung, sottotitolo: "Organo della democrazia", e si unisce con l'estrema sinistra della Lega, che denuncia il suo opportunismo. Nel 1847, scriveva: "Il dominio della borghesia fornisce al proletariato non soltanto delle armi del tutto nuove per la lotta contro la borghesia, ma anche una posizione del tutto differente in quanto partito ufficialmente riconosciuto". Diciotto anni dopo, Marx ed Engels faranno una dichiarazione pubblica in cui essi riaffermano la loro posizione del 1847 e denunciano gli errori del lassaliani, che ricercavano l'alleanza del proletariato e del governo reale di Prussia contro la borghesia liberale: "Sottoscriviamo oggi ogni parola della dichiarazione che fatta all'epoca".
Ad ogni periodo della sua carriera politica, vediamo Marx combattere instancabilmente per le libertà democratiche: all'inizio degli anni 50, a fianco dei cartisti; per tutta la durata del Secondo Impero, con centinaia di articoli antibonapartisti; con la sua lotta contro lo zarismo e contro il prussianesimo che ne è lo strumento; durante la guerra di Secessione, in cui prese le difese del Nord contro il Sud, a favore del lavoro libero contro lo schiavismo (nel 1865, in nome del Consiglio generale della I Internazionale, redasse un appello ad Abraham Lincoln, ricordando che un secolo prima l'idea di una "grande repubblica democratica" era per la prima volta scaturita qui, dando così impulso alla rivoluzione europea del XVIII secolo e facendo capire alle classi lavoratrici che la ribellione degli schiavisti doveva suonare là come la campana a martello di una crociata della proprietà contro il lavoro). Nel 1871, Marx elogiò la Comune di Parigi come la "vera rappresentante di tutti gli elementi sani della società francese, e dunque il "vero governo nazionale" allo stesso tempo che "il governo operaio", come "il campione coraggioso dell'emancipazione del lavoro", come l'antitesi del bonapartismo e dell'imperialismo, come "il selfgovernement dei produttori un governo eletto a suffragio universale responsabile e revocabile ad ogni momento. Era "la forma politica indine scoperta per realizzare l'emancipazione economica del lavoro".
Per citare un ultimo episodio, ricordiamo che "nel 1872 Marx fece escludere Bakunin dall'Internazionale, perché era convinto che l'anarchico voleva servirsene come di un paravento per imprese cospirative, in cui si sarebbe riservato egli stesso il ruolo di padrone assoluto. Vedeva nella società bakuninista segreta "la ricostituzione di tutti gli elementi dello Stato autoritario sotto il nome di comuni rivoluzionaire (...) l'organo esecutivo è uno stato maggiore rivoluzionario formato da una minoranza (...) l'unità di pensiero e d'azione non significa altro che ortodossia e obbedienza cieca. Perinde ac cadaver. Siamo in piena compagnia di Gesù".
4. La dittatura del proletariato
Marx non vantava volentieri i propri meriti di teorico sociale. Non pretendeva di aver scoperto né l'esistenza delle classi sociali né la lotta di classe di quest'ultime nella società moderna. Rivendicava tuttavia senza esitazione, la paternità di una dimostrazione originale, e cioè: 1. che l'esistenza delle classi, è legata a determinate fasi dello sviluppo economico; 2. che la lotta delle classi approda "necessariamente" alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura conduce alla sparizione di tutte le classi in un società rigenerata.
Benché egli non ce lo dica espressamente, siamo in diritto di supporre che Marx attribuiva a queste tre tesi una validità scientifica, e che la dimostrazione aveva ai suoi occhi la portata di una costruzione logica, empiricamente verificabile.
Sarebbe facile elencare gli scritti, editi o inediti, nei quali Marx ha effettivamente tentato, prima del 1852, di "provare" le tre tesi divulgate nella sua lettera a Weydemeyer. Ci si accorgerebbe come egli fa appello, con giudizioso equilibrio, a due metodi simultanei: da una parte, l'analisi, la descrizione precisa, l'informazione seria; dall'altra, la deduzione, la sintesi valorizzante, e dunque la Sinngebung, etica.
In quanto al concetto di dittatura del proletariato, esso è strettamente legato ad una concezione dello Stato e delle forme di governo.
Ora abbiamo appena mostrato che Marx ha dato ampoio spazio, nella sua teoria politica, ai principi della democrazia in quanto conquista della borghesia e del proletariato nella loro lotta comune contro lo Stato feudale. Vi vedeva, senz'altro, la prima tappa di una lotta da proseguire oramai, all'interno anche di una società capitalista liberata dai residui del passato feudale, sino alla "conquista della democrazia" da parte della classe più numerosa e più miserabile. Legale o violenta (sappiamo che Marx non escludeva la possibilità di un di un passaggio del potere con l'aiuto del suffragio universale), questa conquista non poteva non conservare un carattere dittatoriale a tutte le azioni di classe. Ma questa volta, e, secondo Marx, per la prima volta nella storia dell'umanità, la dittatura era allo stesso tempo la democrazia nel vero senso del termine: la distruzione dello Stato e il regno del popolo; più esattamente. Il regno dell'immensa maggioranza su delle minoranze un tempo dominanti e possidenti. Qui, si inaugura la fase dell'emancipazione totale, detto altrimenti dell'utopia realizzata: la società senza classi. Marx lo sosteneva sin dal 1847, polemizzando contro Proudhon: La classe lavoratrice sostituirà, nel corso del suo sviluppo, all'antica società civile un'associazione che escluderà le classi ed il loro antagonismo, e non ci sarà più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il riassunto ufficiale dell'antagonismo nella società civile.
Conclusione
Non abbiamo fatto altro che sfiorare l'argomento, ma possiamo evidenziare da quanto detto alcune idee generali di cui ecco il riassunto:
1. Il concetto di democrazia si intende in Marx che relativamente alla sua concezione dello sviluppo sociale e in rapporto alle condizioni particolari della sua epoca. Come teorico e come uomo di partito, ha preso parte alla lotta di classe operaia e borghese per i diritti politici così come alla lotta per l'emenacipazione nazionale contro i regimi assolutistici e reazionari. Democrazia, liberazione nazionale erano gli scopi da raggiungere immediatamente, condizioni preliminari alla creazione di una società senza classi. Il primo scopo, la democrazia borghese, non era che un punto di partenza per il movimento autonomo degli operai; il suffragio universale era il mezzo legale per conquistare il potere politico, e questo potere stesso una tappa necessaria sulla via dell'emancipazione sociale.
L'idea di socialismo e di comunismo ha la sua origine nell'idea di una democrazia totale. Marx l'aveva incontrata in spinoza, e si ricorda della lezione per criticare la filosofia politica di Hegel e per respingere la sua teoria della burocrazia, del potere dei principi e della monarchia costituzionale. Aderendo al comunismo, Marx non rompeva affatto con la sua prima concezione della democrazia: la sublimava. Nel comunismo così come egli lo ha inteso, la democrazia è mantenuta, e essa si eleva ad un significato più alto.
2. Il primo risultato positivo dei suoi studi filosofici e storici, è quell'etica umanistica che ha tentato in seguito di fondare su delle premesse scientifiche. È per quest'umanesimo che ha abbandonato la speculazione filosofica a favore della teoria sociale e dell'azione politica. È soltanto dopo aver pubblicato la sua prima presa di posizione comunista che si mette alla scuola dei grandi economisti. Nella sua critica appassionata degli autori studiati, si mostra già in possesso dei criteri che l'autorizzano a denunciare la "infamia" dell'economia politica.
3. La democrazia significa per Marx, come per i giacobini della sua generazione, il governo del popolo per il popolo. Punto di partenza e medio, essa si trasfigura nella società senza classi, liberata da ogni potere statale, da ogni mediazione politica. In quanto scopo provvisorio, la democrazia deve realizzarsi contro il passato feudale ed assolutista attravesro la lotta comune della borghesia e del proletariato, ognuno compiente il proprio ruolo rivoluzionario specifico. Una volta raggiunto questo scopo, il proletariato è chiamato ad emanciparsi con i suoi propri mezzi e la sua emancipazione è quella dell'umanità intera. La democrazia acquisisce il suo vero significato quando essa è una lotta distruttiva e rinnovatrice.
Principale combattente, il proletariato è spinto alla sua azione "storica" dalle condizioni inumane della sua esistenza. La lotta di classe, questo fatto storico, diventa psotulato etico; il proletariato moderno deve organizzarsi in quanto classe, cosciente della sua "missione" rivoluzionaria. È così che Engels poteva scrivere: "Per il trionfo ultimo delle idee esposte nel Manifesto del partito comunista, Marx si fidava unicamente ed esclusivamente alla sviluppo intellettuale della classe operaia così come doveva necessariamente risultare dall'azione e dalla discussione comune".
4. Ciò che Marx chiama conquista della democrazia, e cioè la conquista del potere politico, è garantito per principio agli operai attraverso il funzionamento normale della democrazia che esclude teoricamente ogni violenza nella lotta per l'eguaglianza sociale. La violenza non è una legge naturale della storia umana; è un risultato naturale dei conflitti di classe che caratterizza le società dove le forze di produzione sono diventate delle forze di alienazione sociale. Finzione giuridica, la democrazia dissimula una dittatura reale, un rapporto da classe sfruttatrice a classe sfruttata, una separazione tra i diritti fondamentali e l'oppressione materiale. L'antitesi storica e morale di questo fenomeno permanente della storia passata e presente, è il governo reale dell amaggioranza, risultato normale dei conflitti sociali quando il suffragio universale si trasforma, come dice Marx, "da strumento di inganno in un mezzo di emancipazione". La democrazia apporta ai produttori, organizzati in sindacati e in partiti, i mezzi legali per conquistare il potere e operare progressivamente alla trasformazione di tutta la società, in vista di fondare "una associazione nella quale il libero sviluppo do ognuno è la condizione del libero sviluppo di tutti".
Se si fa astrazione delle ambiguità dell'insegnamento marxiano, si deve convenire che la critica sociale, così come abbiamo tentato di definirla ne esprime il valore permanente, o quel che potremmo chiamare il messaggio. Il "marxismo" - vocabolo che, altrimenti, designa un concetto irrealizzabile - non è concepibile che come un rifiuto dei sistemi politici contemporanei, o più esattamente come una critica sociale fondata sull'idea (o il postulato) di una democrazia liberata dallo Stato e dal Capitale. Se si intende così "il marxismo", si riconosce l'inutilità, persino la nocività di un termine che si è prestato a molte confusioni. La parola è superflua se si aderisce al senso che le prestiamo, con il che esso raggiunge l'etica comune al socialismo, all'anarchismo e al comunismo. Per quanto riguarda quest'etica, nessuna delle società esistenti può essere considerata come libera e umana, perché tutte sono sottoposte a gradi diversi, a regimi che sono la negazione della libertà e dell'umanità a cui Marx pensava quando parlava di democrazia.
"Bisogna", scriveva Proudhon nel 1840, "o che la società perisca, o che essa uccida la proprietà". Con Marx, egli direbbe oggi: bisogna, o che la società perisca, o che essa sopprima lo Stato e il Capitale.
Maximilien Rubel
[Traduzione di Ario Libert]
* Il tema di questo saggio fu trattato durante un corso pubblico all'Università di Harvard nell'aprile del 1961. Pur apportandovi delle modifiche, l'autore ha tenuto a conservargli lo stile dell'improvvisazione.
LINK al post originale:
Le concept de démocratie chez Marx
LINK pertinente interno al blog:
Maximilien Rubel, Karl Marx e il socialismo populista russo, 1947
1962 Le concept de démocratie chez Marx [Rubel]
Source: site Plusloin, récupéré via archive.org pour cause de lien brisé. I. Pour une démocratie libérée de l'État et de l'Argent La critique sociale, qui constitue la substance de l'œuvre...