Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
30 giugno 2010 3 30 /06 /giugno /2010 07:00

 

Frans Masereel  

di Felip Equy


 

masereel.jpgFrans Masereel è un artista che ha saputo ammirevolmente mettere una tecnica molto antica (l'incisione su legno) al servizio di idee moderne (pacifismo, critica del mondo contemporaneo, rivolta permanente).
 
Nato a Blankenberge in Belgio nel 1889. Proveniente dalla borghesia fiamminga, compie dei brevi studi alle Belle Arti di Gand poi si trasferisce a Parigi nel 1909. Consegna i suoi primi disegni a L'Assiette au Beurre il cui redattore in capo è l'anarchico Henri Guilbeaux (1884-1939).
 
Masereel--cannone.gifÈ a quest'epoca che si inizia all'incisione su legno. Questa forma d'arte risalente alla fine del XIV secolo. Su una tavola di legno si incide un disegno alla rovescia; dopo l'inchiostratura, si può riprodurre il disegno su un supporto. Per gli artisti, l'incisione è un linguaggio più potente del disegno. Le incisioni su legno sono stati a lungo oggetto di un commercio ambulante (calendari, almanacchi). In rapporto all'opera d'arte unica, l'incisione permette una diffusione molto ampia. "Ho trovato nell'incisione ciò che cercavo èer parlare a milioni d'uomini".
 
Masereel--tablettes.jpgFrans Masereel riuscì a sfuggire alla mobilitazione generale del 1914. Raggiunse Henri Guibeaux in Svizzera nel 1915. Lavora alla Croce rossa internazionale come traduttore. omincia a frequentare gli ambienti pacifisti e si lega con lo scrittore Romain Rolland. Realizza per lui la copertina del testo Aux peuples assassinés [Ai popoli assassinati], poi l'edizione di lusso di Liluli.
  
 Nel 1916 fonda con Claude Le Maguet (1887-1979) una rivista pacifista Les Tablettes che uscirà sino al 1919 per cui produrrà 48 incisioni. Claude Le Maguet è tipografo, anarchico e non sottomesso. Bambino, è cresciuto all'orfanotrofio di Cempius diretto dal pedagogo libertario Paul Robin. È stato in seguito influenzato dagli ambienti individualisti, soprattutto la rivista L’Anarchie. È oppositore delle concezioni pacifiste dei socialisti e dei bolscevichi e condivide le diee di Tolstoj sulla non-violenza. Dopo la guerra scriverà molte poesie.
  
Masereel--La-Feuille.jpgFrans Masereel participa anche al giornale pacifista La Feuille a cui dà molti disegni e incisioni contro la guerra. Pubblica nel 1917 due albi a Ginevra poi fonda "Les Editions du Sablier" nel 1918 con il poeta René Arcos (1881-1959). È un internationazionaliste senza partito che fonderà nel 1923 la rivista letteraria "Europe". Frans Masereel è anche l'illustratore dei libri di Emile Verhaeren, Georges Duhamel, Henri Barbusse.

Non potendo rientrare in Belgio perché considerarto refrattario all'esercito, si stabilisce in Francia nel 1921. Come tanti altri intellettuali, è affascinato dalla Rivoluzione russa e rimarrà per sfortuna compagno di strada del partito comunista sino alla sua morte nel 1972. Compie diversi viaggi in URSS poi in Cina e si farà ingannare dagli accoglimenti calorosi che gli si riserveranno.

 

s07.gifLa sua opera è molto popolare in Germania. Alcune delle sue raccolte sono stampate a 100.000 esemplari. Sono molto redditizi, sono intitolati: Mon livre d’heures, Histoires sans paroles, La Ville, L’Idée.

Frans Masereel è un testimone attivo del suo tempo. Il suo amico lo scrittore antifascista austriaco Stefan Zweig dirà delle sue incisioni "che permettono da sole di ricostituire il mondo contemporaneo" (1923). I temi che egli affronta sono al guerra, la solitudine dell'uomo, le sue attività, le sue fatiche ma anche i suoi passatempi ed i suoi amori.

s59.gifIl suo stile è vicino a quello degli espressionisti tedeschi: le figure sono molto numerose, le luci sono crude, ampie masse nere occupano pgni vignetta. Le legende sono inutili. Come nel film Metropoli di Fritz Lang, le masse passano stravolte ai piedi di  palazzi-torri dalle innumerevoli finestre. Benché vicino al PC, rimane critico sul conformismo dell'arte ufficiale sovietica. Come il suo amico George Grosz, pensa che l'arte debba essere azione; l'artista non può rimanere indifferente alla questione sociale. Le sue incisioni conservano uno spirito libertario, esse sono a favore dell'individuo, dell'amore, della libertà e si oppongono alla forza, all'ingiustizia, al dispotismo.

Masereel--nudo.jpgLa Città è apparsa nel 1925 in Germania. Questo libro si compone di 100 incisioni. Si tratta di una straordinaria sequenza di immagini manifesto della vita di una grande città di quest'epoca. I temi più antagonistici sfilano sotto i nostri occhi: la festa e l amorte, i poveri ed i borghesi, il lavoro ed i passatempi, la folla e lal solitudine. In uno scenario tentacolare di strade, i volti sono grotteschi o radiosi. La città è il luogo di tutte le passioni di tutte le sventure, dei tumulti e dei crimini.

l26.gifL'Idea è apparsa nel 1927 con una prefazione di Hermann Hesse. Era l'opera preferita di Frans Masereel. Fu molto diffusa negli ambienti rivoluzionari tedeschi durante l'ascesa del fascismo. Si tratta di una specie di cinema muto in 80 immagini. L'Idea è rappresenta sotto forma di una giovane donna nuda. Dopo la sua nascita, l'Idea nuova inquieta perché pone in causa l'ordine costituito, la sua nudità turba. La folla vuole rivestirla per evitare le differenze. Se essa è rivoluzionaria, l'Idea può allora sfuggire. Braccata dalla polizia, è giudicata ma incontra nel corso di una notte d'amore l'uomo che la porterà. Malgrado la repressione, è diffusa dalla stampa, i manifesti, i volantini, il telefono...

masereel003.jpg

  

Felix Equy

 

[Traduzione di Ario Libert]



Link:
Frans Masereel

 

 

Condividi post
Repost0
26 giugno 2010 6 26 /06 /giugno /2010 06:00

FISSI!

 

Fissi, 01

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fissi, 02

 

  

 

 

 

 

 Fissi, 03

 

 

 

 

  

 

 

Fissi--04.JPG

 

 

 

 

  

 

   

 

 

 

 

 

 

Fissi--05.JPG

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

Fissi--06.JPG

 

 

 

 

 

 

 

 

Fissi--07.JPG

 

  

 

 

 

 

  Fissi--08-e-09.JPG

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

Fissi--10.JPG

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fissi--11.JPG

 

 

 

 

  

 

 

 

Fissi--12.JPG 

 

 

 

   

 

 

 

 

Fissi--13.JPG 

 

 

  

 

 

 

 

Fissi--14.JPG

 

  

    

 

 

 

 

 

Fissi--15.JPG

 

 

 

  

 

 

 

Fissi--16.JPG

  

 

[Traduzione di Ario Libert]

Condividi post
Repost0
23 giugno 2010 3 23 /06 /giugno /2010 06:00

Ramon Acin (1888 - 1936)

Acin, caricatura

Abbiamo come bandiera l'amore della cultura, il culto della fraternità e della libertà

 

 di Felip Equy

 

Gli artisti anarchici spagnoli restano in genere degli sconosciuti. Conosciamo soprattutto i manifesti della Rivoluzione spagnola. A parte alcune eccezioni, il loro stile ricorda sfortunatamente i manifesti realizzati dai bolscevichi in Unione sovietica. Si trattava allora di un arte di propaganda al servizio della Rivoluzione, e sembra che gli artisti abbiano mancato di autonomia per le loro realizzazioni. Non sappiamo ciò che avrebbe dipinto o disegnato Ramon Acin durante la Rivoluzione, è stato infatti assassinato dai fascisti sin dal 1936.

 

Sonya Torres Planells ha pubblicato nel 1998 un'opera dedicata a Ramon Acin nelle edizioni Virus di Barcellona. L'autore fa parte del Gruppo di ricerca sulla teoria dell'arte di Barcellona, ha anche scritto molti articoli sulla rivista libertaria culturale Orto. Ramon Acin è un personaggio molto gradevole, dalle numerose sfaccettature. Fu un attivo militante anarco-sindacalista, un pedagogo libertario e un artista d'avanguardia. 

 

L'anarchico

Acin-Ramon--1930.jpgNato nel 1888 il 6 agosto a Huesca nel nord dell'Aragona, partecipa sin dal 1913 a Barcellona alla creazione della rivista La Ira (La Rabbia). Il suo sottotitolo era: organo di espressione del disgusto e della rabbia del popolo. Collaborò a numerose riviste anarchiche in Aragona e in Catalogna: Floreal, El Talion, Cultura y accion, Lucha social, Solidaridad obrera, ecc.

Partecipò ai diversi congressi della CNT in cui rappresenta la città di Huesca. La sua popolarità era tale che sarebbe potuto diventarne sindaco, ma le sue convinzioni anarchiche lo allontanarono da questa idea. I suoi scritti lo porteranno diverse volte in carcere. La sua partecipazione a delle sollevazioni lo costrinsero all'esilio a Parigi tra 1926 e 1931. Nel 1936, le autorità di Huesca rifiutano di armare il popolo, l'esercito e la guardia civile prendono facilmente il potere. La repressione è terribile: tra i numerosi fucilati si trovano Ramon Acin e la sua compagna Conchita Momas.

Il pedagogo

Nel 1916, è nominato professore di disegno alla Scuola normale di Huesca. Pacifista, pensa che l'educazione sia la principale arma della rivoluzione sociale. Sostenitore dell'educazione razionalista, è un ammiratore di Francisco Ferrer e di Joaquîn Costa. Con la sua compagna, si fa carico dell'educazione delle sue due figlie Katia e Sol. Organizza dei corsi serali per gli operai e, nel 1922, crea un'accademia privata di disegno presso il suo domicilio dove può applicare una pedagogia libertaria. Nel 1932, organizza con Herminio Almendros il primo Congresso della tecnica della stampa a scuola in cui sono presentate le realizzazioni di Célestin Freinet. Un secondo congresso verrà realizzato nel 1935.

Acin--Conchita-Momas-e-il-pappagallino-di-carta.jpg

   Ramon Acin, Conchita Monras ed il pappagallino di carta!

 

Lo scrittore

Acon--Autoritratto--1920---1925.JPGRamon Acin ha scritto più di un centinaio di articoli sia sulla stampa libertaria sia in quella regionale (El Diario de Huesca soprattutto). Vi si trovano delle critiche ideologiche, dei testi autobiografici, delle critiche d'arte e degli omaggi resi a personaggi illustri o ad amici. È da segnalare il suo interesse per l'ecologia soprattutto i suoi articoli sul rimboschimento. Ha parlato di difesa animale con testi contro la tauromachia.

Ha anche scritto sul vegetarianesimo ed il naturismo. Anima anche delle conferenze su tematiche molto varie come i bambini russi, gli impiegati di commercio, l'antielettoralismo o lo scrittore Gomez de la Serna. 

 

Acin, Sogno di prigione, 1929Sogno in una prigione, 1929.

 L'artista

Acin--01.jpgL'opera artistica di Ramon Acin è molto variegata. Ha pubblicato più di 80 disegni e caricature contro la guerra, la Chiesa, la corrida, ecc. I suoi disegni presentano un tratto sicuro e semplice, vanno all'essenziale. Nel 1913, l'ottenimento di una borsa gli permette di viaggiare e di effettuare grandi pitture ad olio (ad esempio una Vista da Granada da Generalife).

Acin--Fraile.-Fray-Angelico-del-Nino-Jesus--1929-1930.JPGA Parigi, è in contatto con gli artisti d'avanguardia. È amico di Picasso, di Salvador Dalì e di Luis Buñuel, Pubblica diversi manifesti artistici. Desiderava porre l'arte al servizio di tutti. Nel 1928, il suo manifesto su Goya si oppone alle commemorazioni ufficiali.

Come scultore, realizza il monumento delle Pajaritas (uccellini di carta) che è oggi uno dei simboli della città di Huesca. Espone a Madrid nel 1931 delle sculture espressive in lamine di metallo ritagliate (la Danzatrice, il Garrotato), che riscuotono un grande successo.

Influenzato dal surrealismo, realizza diversi collage.

Acin--Alquezar--1916.JPGAvendo vinto una grande somma alla lotteria, produrrà il film di Buñuel Terra senza pane - "Las Hurdes" [1] e viaggia per questo motivo con lui in Estremadura. Infine, si interessa alle arti e tradizioni popolari: colleziona degli oggetti antichi in vista della creazione di un museo.

Acin--Feria-de-Ayerbe--1921-1922.JPGAbbiamo come bandiera l'amore e la cultura, il culto della fraternità e della libertà, scriveva Ramon Acin alla fine di uno dei suoi manifesti. I franchisti hanno distrutto o nascosto una parte delle sue sculture. La sua opera e le sue idee ne fanno uno degli artisti importanti del XX secolo. Delle esposizioni gli hanno reso omaggio durante gli anni 80 a Huesca e a Barcellona.

 

Acin--tomba.jpg Tomba di Ramon Acin

 

Felip Equy

 

 [Traduzione di Ario Libert] 

 

NOTE

 

[1] Essai de géographie humaine [Saggio di geografia umana], presentato per la prima volta a Madrid nel 1933, da Luis Buñuel, che ne leggeva il commento al microfono (la copia originale essendo muta), e, in sottofondo dischi di Brahms, questo "saggio cinematografico di geografia umana" provocò un grande scandalo. Esso fu vietato sino al 1937 dal governo repubblicano, che gli rimproverava di mostrare un'immagine miserabile della Spagna, Nel 1936, la guerra avendo portato la Spagna sul proscenio, Buñuel, che si trovava a Parigi, poté infine trovare un distributore. Il film, sonorizzato in inglese ed in francese, fu allora diffuso nel mondo intero con il commento finale del regista, che spiega in dettaglio le ragioni di questo terribile stato della popolazione, che, secondo lui, non deve nulla al caso.

 

 

LINK al post originale:

Ramon Acin 

 

LINK ad uno straordinario video su Acin in You Tube:  

Condividi post
Repost0
19 giugno 2010 6 19 /06 /giugno /2010 06:00

  La Spagna e il donchisciottismo

 

Cervantes, libro 1946

 

 di Albert Camus

 

DonChisciotte--Frontespizio--Dore.jpgNel 1085, durante le guerre di riconquista, Alfonso VI, re attivo che ebbe cinque mogli di cui tre Francesi, prese la moschea di Toledo agli Arabi. Informato che questa vittoria era stata resa possibile da un tradimento, fece restituire la moschea ai suoi avversari, poi riconquistò con le armi Toledo e la Moschea. La tradizione spagnola brulica di tratti simili che non sono soltanto tratti d'onore, ma, più significativamente, delle testimonianze sulla follia dell'onore.

DonChisciotte--Madrid.jpgAll'altra estremità della storia spagnola, Unamuno, davanti a chi deplorava i deboli contributi della Spagna alla ricerca scientifica, ebbe questa risposta incredibile di sdegno e di umiltà: "Spetta a loro inventare". Loro erano le altre nazioni. In quanto alla Spagna, aveva la sua scoperta propria che, senza tradire Unamuno, possiamo chiamare la follia dell'immortalità.

DonChisciotte--Picasso.jpgIn questi due esempi, tanto nel re guerriero quanto nel filosofo tragico, incontriamo allo stato puro il genio paradossale della Spagna. E non è strano che all'apogeo della sua storia, questo genio paradossale si sia incarnato in un'opera essa stessa ironica, di un'ambiguità categorica, che doveva diventare il vangelo della Spagna e, con un paradosso supplementare, il più grande libro di un'Europa eppure intossicata dal suo razionalismo.

DonChisciotte--Daumier.jpgLa rinuncia sdegnosa e leale alla vittoria rubata, il rifiuto testardo delle realtà del secolo, l'inattualità infine, eretta in filosofia, hanno trovato in Don Chisciotte un ridicolo e reale portaparola. Ma è importante notare che questi rifiuti non sono passivi. Don Chisciotte si batte e non si rassegna mai. "Ingegnoso e temibile", secondo la vecchia traduzione francese, è il combattimento perpetuo. Questa inattualità è dunque attiva, essa stringe senza tregua il secolo che rifiuta e lascia su di esso i suoi segni. Un rifiuto che è il contrario di una rinuncia, un onore che si inginocchia davanti all'umiltà, una carità che prende le armi, ecco ciò che Cervantes ha incarnato nel suo personaggio deridendolo con una derisione essa stessa ambigua, quella di Molière nei confronti dell'Alceste, e che persuade meglio di una predica esaltata. Perché è vero che Don Chisciotte fallisce nel secolo ed i valetti lo beffano. Tuttavia, quando Sancho governa la sua isola, con il successo che sappiamo, lo fa ricordandosi dei precetti del suo maestro di cui i due più grandi sono d'onore: "Fai gloria, Sancho, dell'umiltà del tuo lignaggio; quando si vedrà che non te ne vergogni, nessuno penserà di fartene vergognare"; e di carità: "...Che quando le opinioni saranno in equilibrio, che si ricorra piuttosto alla misericordia".

DonChisciotte--Dali.jpgNessuno negherà che queste parole d'onore e di misericordia hanno oggi un aspetto patibolare. Si sospetta di esse nelle botteghe di ieri; e, in quanto ai carnefici di domani, abbiamo potuto leggere sotto la penna di un poeta di servizio un bel processo del Don Chisciotte considerato come un manuale dell'idealismo reazionario. In verità, quest'inattualità non ha smesso di crescere e siamo giunti oggi al vertice del paradosso spagnolo, a quel momento in cui Don Chisciotte è gettato in prigione e la sua Spagna fuori di Spagna.

DonChisciotte--Puerto-Lapice.jpgCerto, tutti gli Spagnoli possono richiamarsi a Cervantes. Ma nessuna tirannia non ha mai potuto reclamarsi al suo genio. La tirannia mutila e semplifica ciò che il genio riunisce nella complessità. In materia di paradosso, preferisce Bouvard e Pecuchet a Don Chisciotte che, dopo tre secoli, non ha smesso anche lui do essere esiliato tra noi. Ma quest'esilio, per lui solo, è una patria che rivendichiamo come nostra.

DonChisciotte--da-Lost-in-la-Mancha.jpgCelebriamo dunque, questa mattina, trecentocinquanta anni di inattualità. E li celebriamo con quella parte della Spagna che, agli occhi dei potenti e degli strateghi, è inattuale. L'ironia della vita e la fedeltà degli uomini hanno fatto sì che questo solenne anniversario sia posto tra noi nello spirito stesso del chisciottismo. Esso riunisce, nelle catacombe dell'esilio, i veri fedeli della religione di Don Chisciotte. È un atto di fede in colui che Unamuno chiamava già Nostro Signore Don Chisciotte, patrono dei perseguitati e degli umili, egli stesso perseguitato nel regno dei mercanti e delle polizie. Coloro che, come me, condividono da sempre questa fede, e che non hanno anche nessuna altra religione, sanno d'altronde che essa è una speranza allo stesso tempo che una certezza. La certezza che ad un certo grado di ostinazione la sconfitta culmina in vittoria, la sfortuna arde con gioia e che l'inattualità stessa, mantenuta e spinta al suo termine, finisce con il diventare attualità.

Ma per questo bisogna andare sino in fondo, bisogna che Don Chisciotte, come nel sogno del filosofo spagnolo, scenda sino agli inferi per aprire le porte agli ultimi degli infelici. Allora, forse, in quel giorno in cui secondo le commoventi parole del Chisciotte "la vanga e la zappa si accorderanno con l'errante cavalleria", i perseguitati e gli esiliati saranno infine riuniti ed il sogno emaciato e febbrile della vita trasfigurato in questa realtà ultima che Cervantes ed il suo popolo hanno inventato e ci hanno trasmesso in eredità affinché la difendessimo, inesauribilmente, sino a quando la storia e gli uomini si decidano a riconoscerla e salutarla.

 

DonChisciotte--Mulini-di-La-Mancha.jpg

 

Albert Camus

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

LINK al post originale:

L'Espagne e le Donquichottisme

 

LINK pertinente:

Morvan Lebesque, Albert Camus e il teatro

Condividi post
Repost0
12 giugno 2010 6 12 /06 /giugno /2010 06:00

Federica-Montseny.jpgPresentiamo un simpatico breve saggio, scritto dall'anarchica Federica Montseny, che fu anche ministro alla Sanità nel governo Largo Caballero, prima donna ministro in assoluto nella storia della Spagna. Si tratta di un testo tratto dal secondo tomo di un'opera che raccoglieva i manifesti di propaganda sia della rivoluzione in Spagna sia della resistenza in esilio al regime fascista di Franco, ed edito nel 2007 dalle Éditions Libertaires. Il primo tomo era uscito nel 2005. Alcuni scritti di Camus, Nos Frères d’Espagne (1944)  e di Breton (1952) e che presto tradurremo per La Tradizione Libertaria,  erano anch'essi raccolti nel volume in questione.

 

 

    

Proiezione permanente di Cervantes, attraverso i secoli

 

 

Cervantes--02.jpg

 

 

di Federica Montseny

 

Tra il 1944 ed il 1960, numerose illustrazioni libertarie (ed antifranchiste) rappresentano il Don Chisciotte (spesso senza Sancho Pança).  Questa iconografia è disorientante per via dell'immagine di questo cavaliere che lotta invano contro dei mulini a vento che è per lo meno ambigua. È Don Chisciotte o il suo autore Cervantes che gli antifranchisti valorizzano?

 È stato detto che soltanto due libri tradotti in quasi tutte le lingue del mondo, studiati e trasmessi di generazione in generazione avevano raggiunto l'immortalità: la Bibbia e L'ingegnoso Hidalgo Don Chisciotte della Mancia. È quasi inconcepibile che Don Chisciotte, considerato ai suoi tempi come un semplice libro della cavalleria errante, possa essere diventato il "best seller" costante che conosciamo.

 Se sin dalla sua apparizione, la Bibbia voleva essere, ed è stata, in un certo senso, la spiegazione delle origini dell'Uomo, della preistoria e della storia, Don Chisciotte, questo capolavoro fondamentale del pensiero di Cervantes, è stato e rimane, lo spirito dell'avventura, della lotta per la giustizia e dell'esaltazione della persona umana.

Se, in alcuni capitoli, il Don Chisciotte presenta delle caratteristiche un po' rozze se presenta anche l'immagine dell'uomo illuminato dalle creazioni del suo spirito, l'insieme non ne costituisce non di meno il simbolo delle lotte, delle trasformazioni e delle tragedie vissute da Cervantes e da tanti altri uomini, che sin dal Medioevo hanno, con il loro coraggio e la loro intelligenza, segnato l'irraggiamento dei secoli futuri.

Cervantes ha descritto molto spesso il suo eroe con forme ridicole; ad esempio, quando, egli entra in lizza per affrontare i mulini a vento che si profilano all'orizzonte e che egli attacca, convinto che si tratti di nemici particolarmente pericolosi. Tuttavia, accanto ai suoi aspetti comichi- tratteggiati comunque con maestria, per facilitare la pubblicazione della sua opera ed evitare di cadere nelle mani dell'Inquisizione- il Don Chisciotte costituisce una fonte inesauribile di riflessione filosofica; afferma il diritto all'indipendenza ed alla libertà. 

 

   CENIT 1952-Donquichotte

 Cenit, rivista di sociologia e letteraria, edita dalla CNT in esilio


Il pensiero di Don Chisciotte è allo stesso tempo sottile e profondo, benché, a tratti, esso, a momenti, ci sembri un po' folle. Il suo creatore ebbe la saggezza di aggiungergli- come un simbolo della prudenza e del buon senso popolare- l'inimitabile Sancho Panza. Sancho rappresenta il popolo che, a tentoni, cerca di conoscere la verità, la realtà delle cose, anche se, a volte, questa realtà lo trascina verso le fantasticherie eroiche  dell'ingegnoso Hidalgo! Molte verità che Don Chisciotte (Cervantes) non poteva affatto dire (e per validi motivi), le faceva dire a Sancho. Sono espressioni popolari, rozze, molto in accordo con lo schietto linguaggio del popolo dell'epoca.

La perspicacia di Cervantes ha dovuto essere profonda, e grande è dovuta essere la sua abilità affinché il suo capolavoro resistesse alla prova dei secoli e si facesse conoscere in tutto il mondo al punto da diventare un esempio di comportamento per gli uomini ed un modello per la cultura mondiale. Abbiamo pensato che il Calendario della SIA si sarebbe onorato arricchendosi della presenza di Cervantes ed evocando la sua opera, quell'opera costituente un elemento di base della conoscenza della letteratura spagnole e dello sviluppo del pensiero umano.

Facendo astrazione degli anacronismi che i secoli vi hanno portato, conviene conoscere questo libro, per meglio comprendere come si è creata la letteratura spagnola.

Cervantes è anche l'autore di una serie di racconti, pubblicati con il titolo di Novelle esemplari. Ognuna di queste novelle è un ritratto della vita dell'epoca, una presentazione delle idee del "mancese di Lepanto" ed una critica dei pregiudizi sociali e religiosi del suo tempo.

 

Cervantes, calendario SIA, 1963  Calendario SIA

 

 

Cervantes, pacifista per eccellenza, nemico della forza bruta incarnata dal potere politico-finanziario che, nel suo tempo, era accaparrato dai re ed i grandi di Spagna, affronta questo potere con le soli armi che sono le sue e che si rivelano essere temibili: la sua immaginazione e la sua intelligenza, esse si esprimono ammirevolmente, nei personaggi che ha creato.

La vita di Cervantes fu triste e ricca in miserie ed in preoccupazioni di ogni genere. Gli scrittori della sua generazione, considerati di grande valore, non degnavano nemmeno di leggere il suo capolavoro. Lo consideravano semplicemente come un volgare libro di cavalleria. Il che pregiudica il prestigio di Cervantes, poiché ad esempio, Calderon de la Barca e Lope de Vega (che, essi, conobbero la celebrità) non gli rivolsero che delle critiche malevoli. Nessuno può porre in dubbio il valore di La vita è sogno, di Calderon, in cui fermentano pensieri esemplari. Ma, di tutti i grandi scrittori spagnoli, non ve n'è che uno che ha dato prova di questa immensa immaginazione, sempre molto equilibrata, è Cervantes.

Crediamo che sarebbe mancato qualcosa di essenziale, alla storia del Calendario del SIA se Cervantes, il suo Don Chisciotte ed il suo Sancho Panza non avessero avuto il loro posto.

Ne siamo il riflesso, noi tutti, uomini e donne, che abbiamo faticato per vivere e lottare per la libertà, la dignità e la giustizia.

 

 

Federica Montseny

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

 

Affiches.jpg

Testo tratto da: "Les affiches des combattant-e-s de la Liberté 1936 - 1975", [I manifesti dei combattenti e delle combattenti della libertà 1936-1975], 2007, Tomo 2.


LINK al post originale:

 Don Quichotte ou Cervantès icône de la lutte contre la dictature franquiste?

Condividi post
Repost0
9 giugno 2010 3 09 /06 /giugno /2010 06:00

S.I.A.

Solidarité Internationale Antifasciste 1936-1939

  

S.I.A. è un'organizzazione incaricata di organizzare la solidarietà con la lotta in Spagna, poi l'accoglimento ed il sostegno ai rifugiati. 

 

S.I.A.--01.jpg

 Cartoline postali a beneficio dei prigionieri

 

   

   S.I.A.--02.jpg

Libertà per i prigionieri antifascisti, SIA li aiuta.

 

Di quali prigionieri si tratta? molto certamente di quelli e quelle che furono arrestati dalle brigate speciali del partito comunista e della ceka. Queste prigioni spesso "clandestine" furono chiamate dagli antifascisti le ceka!

 

   S.I.A., 03

Manifesto edito dalla SIA "Francia".

 

  

 

  S.I.A.--04.jpg

 

 

   

  S.I.A.--Badiavilato--1945--05.jpg

 SIA aiuta le vittime del fascismo 

  

 

 S.I.A.--06.jpg I camion inviati dai compagni francesi arrivano a Barcellona.

 

 

 

S.I.A.--07.jpg

 

 

  

 

S.I.A.--08.jpg

 

 

 

 

S.I.A.--09.jpg

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

LINK:

S.I.A. Solidarité Internationale Antifasciste 1936 - 1939

Condividi post
Repost0
6 giugno 2010 7 06 /06 /giugno /2010 19:28

Un argomento piuttosto raro nella rete, quello della storia dell'anarchismo in un paese così peculiare com'è appunto il Giappone. Una storia simile a quella dell'Occidente nei suoi tratti generali ma che non manca di caratteristiche che sono unicamente sue, come l'autore di questo lungo saggio, Philippe Pelletier, ha saputo mirabilmente evidenziare e narrare esemplarmente. Ne presentiamo qui la prima di due parti, sperando che il materiale iconografico, di non facile reperibilità, sia abbastanza consono allo spirito dell'ottimo lavoro.

[A. L.]

 

 

Hokusai.jpgNel 1920, un degno professore dell'Università di Tôkyô, di nome Morito, fu incarcerato per un anno ed interdetto a vita all'insegnamento per aver pubblicato uno studio su... Kropotkin [A]. Il giappone dell'era Taishô, imperialmente democratico, sapeva come regolare i conti con coloro che, senza essere anarchici, manifestavano semplicemente, come il professor Morito, della curiosità intellettuale per le loro idee. In quanto agli anarchici stessi, essi rischiavano addirittura la propria pelle, come Ôsugi Sakae e Itô Noe, la sua compagna, assassinati il 23 settembre 1923. 

Hokusai-fuji.pngAl di là della sua vita avventurosa e della sua tragica fine, Ôsugi Sakae è una figura fondamentale dell'anarchismo giapponese sconosciuto alle nostre latitudini. È per questo che ci è sembrato opportuno pubblicare questo studio che Jacques Pelletier gli dedica e di cui una prima versione, più breve, è apparsa nel numero 28 della rivista Ebisu-Etudes japonaises (primavera-estate 2002, con il titolo Ôsugi Sakae, una quintessenza dell'anarchismo in Giappone [B].

hokusai1.jpgLa versione lunga e riveduta, che qui offriamo, seguita da una preziosa bibliografia su Ôsugi Sakae, il socialismo e l'anarchismo giapponese prima del 1945, meritava di essere accolta. Essa conferma, ad ogni modo, la considerazione in cui teniamo, in generale, i lavori di Philippe Pelletier su un argomento che è probabilmente, come lo prova il testo presente, uno dei rari a padroneggiare.

Attraverso alcune recenti pubblicazioni apparse in Giappone, la figura di Ôsugi Sakae sembra essere oggetto di una riscoperta. Vi si potrà vedere, a scelta, sia una manifestazione strettamente nipponica di questa curiosa passione postmoderna e mondializzata per il revival light sia, come suggerisce arditamente Philippe Pelletier, un segno che questa parola libertaria di rottura sarebbe oramai "intelligibile" in un Giappone in cui comincerebbero ad allentarsi i legami di servitù con un sistema "in via di affondamento".

Sia quel che sia, non resta non di meno il fatto che il percorso molto singolare di Ôsugi Sakae- dall'individualismo all'anarco-sindacalismo- meriti di essere conosciuto. Che Philippe Pelletier sia dunque ringraziato e che i lettori si preparino per questo viaggio di lunga durata verso questa Terra Incognita dell'anarchismo giapponese. C'è da scommettere che, come noi, essi avranno molto da apprendere.

[A] L’aneddoto è riportato da Victor García in Museihushugi. Breve storia del movimento anarchico giapponese, Firenze, 1976.

[B] Studio pubblicato nel quadro di un ricco dossier tematico Anarchisme et mouvements libertaires au début du XXe siècle, [Anarchismo e movimenti libertari all'inizio del XX secolo], a cui collaborano anche Komatsu Ryûgi, Christine Lévy, Gilles Bieux e Jean-Jacques Tschudin.

 

  A contretemps.  

  

  Ôsugi Sakae (1885-1923). Un anarchico giapponese

 

Osugi-Sakae-e-sua-moglie-Hori-Yasuko.jpg

 
di Philippe Pelletier
  
  "Vi sono piante che inarridscono non appena fioriscono. Devono comunque fiorire per ampliare la loro vita".

Lettera inviata da Ôsugi Sakae a Ishikawa Sanshirô, Zenshû, vol. 14.

 

Associare l’anarchismo ed il Giappone costituisce a priori un doppio paradosso. Da una parte, l'anarchismo è probabilmente il più disprezzato, il più sconosciuto se non il più calunniato dei movimenti politici sia nella sua filosofia sia nella sua azione pratica. Qualche formula scioccante ed alcuni episodi scandalistici non sono in genere ricordati che a prezzo dell'oblio delle sue realizzazioni più positive, come la creazione delle Borse del lavoro in Francia, le conquiste dell'anarco-sindacalismo, le scuole libere di Francisco Ferrer o di Sébastien Faure, l'epopea della Makhnovishina (1917-1921) o l'insurrezione di Kronstadt (1921) nella Russia rivoluzionaria, le esperienze autogestionarie della Spagna del 1936.

Supporre, d'altra parte, che questo movimento articolato su un'esigenza esacerbata di libertà individuale possa svilupparsi in un paese come il Giappone, reputato per essere socio-culturalmente lontano dall'individualismo, sembra irrealistico.

Per superare questo paradosso apparente, sembra allo stesso tempo pratico e pertinente collegarsi al percorso di un anarchico giapponese abbastanza emblematico e rappresentativo, che permetta, innanzitutto, di affrontare la complessità di questa problematica. Il personaggio che si impone è Ôsugi Sakae (1885-1923). Ma perché lui e non un altro?

 

BUONE E CATTIVE RAGIONI DI UN ESEMPIO

 

Kôtoku ShûsuiCon Kôtoku Shûsui (1871-1911), uno degli eminenti fondatori del socialismo giapponese evolutosi dalla socialdemocrazia all'anarchismo, Ôsugi Sakae è probabilmente il più conosciuto degli anarchici giapponesi stessi e questo per due motivi [1].

Ito NoeIl primo riguarda la sua relazione amorosa concomitante con tre donne per un breve periodo della sua vita (1916), episodio che si concluse con un dramma spettacolare e diventato famoso, una delle sue amanti tentò di pugnalarlo [2]. Il secondo è legato alla sua tragica morte. Il 15 settembre 1923, la Kempeitai,la gendarmeria, lo assassina, insieme alla sua compagna Itô Noe (1895-1923), scrittrice e militante anarchica ed il loro nipote di sette anni, Tachibana Munekazu. I tre furono strangolati dopo essere stati severamente battuti. Per riprendere l'affermazione del saggista Komatsu Ryûji, che deplora che l'anarchismo giapponese sia soprattutto conosciuto per i suoi "affari" o i suoi "incidenti" (jiken), ciò non equivale a evidenziare ancora se non gli aspetti cupi dell'epopea anarchica [3]?

È vero che questi "affari" furono numerosi:

"Affare delle bandiere rosse" (akahata jiken, 1908);

Kanno-Sugako--1881-1911-.jpg"Affare di alto tradimento" (taigyaku jiken, 1911)- che vide l'esecuzione di Kôtoku Shûsui, di Kanno Sugako (1881-1911) e di dieci altri militanti anarchici o socialisti-;

"Affare Pak Yôl-Kaneko Fumiko » (Boku Retsu-Kaneko Fumiko jiken, 1923-1926);

"Affare della Società della ghigliottina" (Girochin-sha jiken, 1924-1926, dal nome di questo gruppo di militanti desiderosi di vendicare la morte dei loro amici Ôsugi Sakae e Itô Noe) [4];

"Affare del Partito anarco-comunista" (Musei-fukyôsantô jiken, proibizione e repressione di questo partito nel 1934-35, in parallelo con un regolamento di conti interno e mortale);

o ancora "Affare delle Gioventù rurali" (Nôsonseinen-sha jiken, repressione di un'insurrezione anarco-rurale nelle montagne di Chikuma nel 1935)...

La-Matsushima--1895.jpgMa Komatsu precisa che questa successione di avvenimenti drammatici permette soprattutto di capire il contesto storico, difficile, nel quale evolveva l'anarchismo prima del 1945. Perché quest'ultimo è caratterizzato da incessanti provocazioni poliziesche inquadrate da due leggi successive: la "legge di polizia sulla sicurezza pubblica" (Chian keisatsu hô) del 1900 e la "legge sul mantenimento dell'ordine" (Chian iji hô) del 1925. Questa seconda legge, che inasprì la prima, non è che il bastone unito alla carota tesa lo stesso anno, e cioè una legge elettorale che accorda il diritto di voto a tutti gli uomini di più di venticinque anni.

Amakasu-Masahiko--1923.jpgLa repressione è particolarmente feroce per le tendenze comuniste ed anarchiche. Tutti i nuovi partiti troppo radicali sono presto vietati, i giornali regolarmente censurati, sospesi o condannati, le riunioni pubbliche o i congressi quasi sistematicamente interrotti dalla polizia. Tra il 1925 ed il 1945, più di 75.000 persone sono arrestate e processate per infrazione alla legge sul mantenimento dell'ordine, I militanti sono imprigionati, spesso torturati, maltrattati in prigione in cui a volte muoiono. Le forze poliziesche beneficiano di un clima favorevole che le spingono a trascendere il quadro legale della loro missione. Così, per giustificare il suo crimine, Amakasu Masahiko, il capitano che comandò la spedizione punitiva contro la famiglia Ôsugi e che strangolò Sakae con le sue mani, dichiarò di aver agito "al servizio del suo paese" (kokka ni kôken suru) [5]. Senso di totale impunità, dunque, confermata da questa affermazione di un tenente dell'esercito: "Fui sorpreso nel vedere che Amakasu comparisse davanti la corte militare [per il suo crimine]. A quest'epoca, avevamo tutti l'impressione che potevamo ricevere una promozione se avessimo ucciso qualche socialista..." [6].

Esecuzione-12-anarchici--24-gennaio-1911.jpgIl percorso politico e personale di Ôsugi riassume l'evoluzione che conosce il Giappone alla fine del Meiji. Il paese passa, in mezzo secolo, da una società rurale, quasi feudale, spesso arcaica, ad una società sempre più industrializzata, cittadina, moderna. L'episodio della democrazia Taishô- che lo storico Andrew Gordon preferisce qualificare come "democrazia imperiale"- sembra apportare una boccata di ossigeno socio-politico. Ma gli succede ben presto  un tennô-militarismo fascistizzante, con la sua coorte di intellettuali stipendiati, degli "andiamo alla guerra", di bestie gallonate e le sue squadre di militari esaltati, di mafiosi, crapule fasciste come Kodama Yos-hio (1911-1984) o Sasakawa Ryô’ichi (1899-1995). Periodo plumbeo, sanguinario, bombardato e finalmente atomizzato dalla Guerra dei quindici anni (Jûgonen-sensô).

Esisterebbe un'altra ragione- indiretta quest'ultima- attestante la dimensione maggiore di Ôsugi Sakae nell'anarchismo giapponese: la sua sparizione avrebbe in qualche modo annunciato il declino del movimento al quale dedicò un'attività militante straripante. Contrassegnata dalla sua collaborazione a molte riviste, l'esuberanza di energia teorica e pratica che egli incarnò contribuì certamente ad un allargamento della rete degli individui che si impegnarono  nel movimento. Ôsugi, ad esempio, svolse un ruolo determinante nella creazione di un'organizzazione unica raggruppante tutte le tendenze socialiste, la Lega socialista del Giappone (Nihonshakaishugi dômei), fondata il 10 dicembre 1920, qui contò un migliaio di aderenti e fu dissolta il 28 maggio 1921. Contribuì alla radicalizzazione del sindacalismo operaio nato con la Società fraterna (Yûaikai), fondata nel 1912, e che, nel 1918, si trasformò nella Federazione del lavoro del Giappone (Nihon rôdô sôdômei, abbreviata in Sôdômei), raggruppante allora 30.000 membri.

Ishikawa SanshiroNegli anni che seguirono la morte di Ôsugi, l'anarchismo, compreso quello nella sua versione più specificamente anarco-sindacalista, progredì ancora. Riscaldato dall'ondata di repressione che accompagnò i tentativi di vendetta dell'assassinio di Ôsugi-Noe, e tirando il bilancio dello stallo politico dove si trovavano confinati, gli anarchici affinarono la loro strategia. Esclusi, nel 1922, dalla Sôdômei attraverso l'alleanza (provvisoria) dei socialdemocratici e del bolscevichi, essi fondarono, nel 1926, un sindacato di ispirazione libertaria- l'Unione generale libera dei sindacati operai (Zenkoku rôdô kumiai jiyû rengôkai, abreviato in Zenjiren o anche in Jiren) - che radunò, durante il suo congresso fondatore, 400 delegati e 25 sindacati totalizzando 8400 membri, numero che progredì sino a raggiungere i 15.000 membri nel 1927 [7]. Senza essere, propriamente parlando, un'organizzazione di massa, l'Unione generale libera dei sindacati operai superava lo stretto quadro di un semplice gruppuscolo. Sosteneva, in ogni caso, il confronto con i 12.500 aderenti del Consiglio dei sindacati operai del Giappone (Nihon rôdô kumiai hyôgikai), l'organizzazione sindacale creata e controllata dai bolscevichi, che nel frattempo si erano fatti escludere dalla Sôdômei, nel 1925 [8].

Kotoku-Denjiro.jpgSe, anche dopo l'assassinio, nel 1923, di Ôsugi Sakae et d’Itô Noe, una presenza anarco-sindacalista ed anarchica si afferma all'interno del movimento operaio, non di meno Ôsugi rappresenta una figura, un personaggio dell'anarchismo. Parafrasando il titolo di un celebre libro, Quintessenza del socialismo (Shakaishugi shinzui, 1903) del suo introduttore all'anarchismo, Kôtoku Shûsui, allora in una fase, marxisteggiante, si può dire che Ôsugi riassume, in effetti, in sé una quintessenza dell'anarchismo in Giappone. Una tra le altre nel mondo, arricchendo la diversità e la molteplicità degli approcci libertari. È probabile anche, se si deve credere al rialzo della sua popolarità nell'attuale Giappone, che Ôsugi sia in grado di interessare molti giapponesi d'oggi. Ne sono testimoni, ad esempio, la pubblicazione di molte opere recenti su Ôsugi come l'appassionato interesse che gli dedica un giornalista ricercatore, Kamata Satoshi, che gli ha dedicato un libro. È probabilmente perché è moderno che Ôsugi attira. In un contesto di soffocante globalizzazione mercantile e di indifferenza dei punti di riferimento ideologici, le sue opzioni politiche- critica del capitalismo liberale, ma anche critica del totalitarismo comunista-bolscevico- suonano giusto. oltre a questa dimensione, non c'è dubbio, tuttavia, che la traiettoria personale di Ôsugi, fatta d'impegno e di vitalità, affascina, così come la sua fine drammatica, quella morte che chiuse un percorso ricco, tumultuoso e difficile ma vivo riflesso di un secolo che congiunse progresso e barbarie [9].

 

IMPORTAZIONE O SPONTANEITÀ DELL’ANARCHISMO IN GIAPPONE? 

 

Osugi--A-photograph-of-the-Heimin-sha--Commoners--Society-.jpgPer la sua aspirazione alla libertà ed all'emancipazione individuale e collettiva, l'anarchismo si rivolge agli "amanti appassionati della cultura di se stessi" (Fernand Pelloutier) e riposa su un principio universalista ed una finalità universale [10]: il suo progetto societario è valevole in ogni tempo ed in ogni luogo. Detto ciò, spazi e storie non sono omogenei. Di fatto, la formulazione teorica e pratica dell'anarchismo sorge in un contesto ben particolare che caratterizza innanzitutto i paesi industrializzati dell'Europa occidentale: il sorgere del capitalismo industriale e la creazione del proletariato (nel senso ampio del termine, cioè i lavoratori manuali o intellettuali che non dispongono dei mezzi di produzione, di scambio o di riproduzione). Se aggiungo un altro aspetto: un processo già ben avanzato di laicizzazione e di secolarizzazione  della società, condizione quasi prerequisito per ogni espansione del "né Dio, né padrone" anarchico [10].

Osugi--Common_Peoples_Newspaper.jpgDetto altrimenti, se esiste in ogni società antiche premesse teoriche dell'anarchismo (Spartaco, La Boétie, forse Spinoza per quel che riguarda l'Europa), bisogna aspettare il XIX secolo per assitere alla sua elaborazione, la sua affermazione teorica e pratica (Godwin, Proudhon, Bakunin, la Prima Internazionale...). Da questo punto di vista, l'anarchismo si pone bene nel quadro generale del socialismo. Non è un caso se le sue formulazione più spinte ad un momento ed in un luogo dato corrispondono alla situazione storico-geografica particolare, esacerbata, di un paese particolare: l'Inghilterra industriale e liberale per Godwin, la Francia post rivoluzionaria e giacobina per Proudhon, il Biennio rosso e gli inizi del fascismo per gli anarchici italiani come Errico Malatesta, Luigi Fabbri o Camillo Berneri.

Il Giappone della prima metà del XX secolo si ritrova in questa configurazione? Si può ampiamente rispondere in modo affermativo. Ôsugi ha, da poco ad ogni modo, una sintesi originale in un momento in cui la società giapponese esce dal fermento dell'era Meiji prima di cadere sotto il giogo tennô-militarista. Tutte le tendenze socialiste giapponesi hanno cercato di dare un senso appropriato al loro ideale e di non essere in bilico con la loro epoca. Non hanno mancato di apportare la loro riflessione sull'evoluzione storica del Giappone e sulle possibilità di instaurazione del socialismo in questo paese [11].

Kotoku_shusui.jpgSu quest'ultimo punto, le analisi marxiste ed anarchiche divergono fondamentalmente, ricordiamolo. La prima si iscrive in uno schema storico meccanicistico, quasi determinista, non lasciando che molto poco posto alla libertà; è consegnata alle sue proprie contraddizioni generali perché sono dei paesi ancora molto rurali e molto feudali, come la Russia del 1917 o la Cina del 1949, che sono stati acquisiti al comunismo statale e non i paesi industrializzati al movimento socialista potente come la Germania o la Francia. La seconda non crede ad un movimento prestabilito della storia e non è, malgrado quanto lasciamo percepire alcuni prismi rousseauiani erronei, né ottimista né pessimista; valuta che l'umanità è capace di progresso così come di regresso, così come l'ha formulato il geografo anarchico Elisée Reclus (1830-1905) sulla scia del filosofo Giambattista Vico.

Questa concezione anarchica dà priorità all'azione diretta e volontaria, il che non implica che essa sia irragionevole, come l'hanno considerata i suoi avversari politici all'interno del movimento socialista. In Giappone, ad esempio, Sakai Toshihiko (1871-1933), Arahata Kanson (1887-1981) o Tazoe Tetsuji (1875-1908) hanno opposto alla pretesa impazienza anarchica l'efficacia, incarnata, secondo essi, dal parlamentarismo. Questa strategia gradualista e ragionevole" non ha tuttavia impedito ad un numero significativo dei suoi sostenitori di rinunciare puramente e semplicemente al socialismo, una volta aspirati dalla spirale politica [12]. Su questo punto, Ôsugi Sakae si è mostrato profetico, per lo meno lucido, quando rivolgeva queste parole molto dure agli intellettuali erettisi in avanguardia (Akamatsu, Abe, Suzuki, Kagawa...): "Quanti ne rimarranno ad essere degni di fiducia? (...). Tra questi esperti in erbe, rimangono ancora oggi dei socialisti, anche molti. Ma quando il temporale scoppierà ed il fulmine cadrà, questi uccelli non fuggiranno su di un albero o sotto un tetto, e quanti saranno? Nemmeno uno. Si potrebbe evidentemente utilizzarne qualcuno sino a quel momento. Ma questa gente, che ha una decente preveggenza, utilizzeranno gli operai piuttosto che essere essi stessi utilizzato. Mica matti!" [13].

Il movimento anarchico non fu esso stesso al riparo da certe derive, essenzialmente terroristiche. Spesso ispirate al nichilismo russo- la cui vicinanza psicologica e socio-politica è tanto più evidente che, come quest'ultimo, esse si sono verificate in una società rurale in via di modernizzazione in cui il tennô è assimilabile allo zar,- queste derive terroristiche sono state denunciate al suo interno. Una trentina d'anni dopo l'esperienza francese, che aveva visto gli anarchici impegnarsi nel movimento sindacale dopo il breve periodo degli attentati (1892-1894), il movimento giapponese conobbe una strada simile. Dopo l'"affare dell'alto tradimento" (1910-1911) e "dell'era d'inverno" (fuyu no jidai, 1910-1914), i suoi passi lo condussero da un populismo più o meno nichilistico all'anarco-sindacalismo. Questa svolta deve molto a Ôsugi Sakae, anche se le circostanze della sua morte rilanciarono, per un certo periodo, le idee di vendetta sociale.

 

VITALISMO E MONADOLOGIA IN ÔSUGI

Oishi-Seinosuke.jpgAl di là delle tappe del suo sviluppo industriale e della sua modernizzazione, il Giappone poneva all'anarchismo delle questioni specifiche in quanto all'evoluzione del sistema dei valori e all'adeguamento dei suoi principi ad una società malgrado tutto originale in rapporto alla culla europea dell'anarchismo. Ôsawa Masamichi, uno degli esegeti giapponesi di Ôsugi Sakae, evoca a questo proposito il dibattito che, nel 1907- anno che vide in Giappone la scissione tra la tendenza "parlamentarista" e quella che spingeva all'"azione diretta" (chokusetsu kôdô), - oppose due personaggi importanti: Tazoe Tetsuji, sostenitore della prima, e Ôishi Seinosuke [14], sostenitore della seconda [15].

kropotkin grTazoe insisteva sulla necessità di "creare un movimento spontaneo della nazione giapponese", relativamente indipendente dai grandi principi tracciati in Europa. Per lui, questa "spontaneità" giapponese doveva adottare il gradualismo parlamentare, il quale diventava teoricamente giustificato e praticamente indispensabile. Al contrario, Ôishi ricordava che i dirigenti giapponesi seguivano il modello dei loro omologhi occidentali (Bismarck, Rockfeller), e che il Giappone era ormai integrato nella corsa del mondo, il che induceva che il socialismo giapponese non doveva singolarizzarsi, ma applicare i principi enunciati da Bakunin e Kropotkin.

Per Ôsawa Masamichi, è Ôsugi che ha meglio ripreso questa problematica, approfondendola. Egli sottolinea a questo proposito il riorientamento che conobbe il pensiero di Ôsugi  durante la sua seconda prigionia a Chiba, per due anni, dal 1908 al 1910, per via della sua implicazione nell'"affare delle bandiere rosse" (17 maggio 1908). Come segnalerà egli stesso in seguito, Ôsugi si è allora messo a riflettere su se stesso e sul suo impegno. A ventitré anni, Ôsugi è ancora giovane, ma ha già vissuto molto. Sballottato dai frequenti spostamenti della sua famiglia, conobbe un'adolescenza ed una giovinezza turbolenti. Suo padre, militare e simpatizzante della Kokuryûkai, era un personaggio molto autoritario e un po' limitato, ma piuttosto insignificante e senza un grande ruolo nell'ambiente familiare. Nel 1902, quando Ôsugi ha circa diciotto anni, la morte precoce della madre temuta ed adorata lo colpì molto [17].

Molto presto, il giovane è attratto dalla compagnia femminile e dalle risse. È, infatti, un sentimentale che attribuisce molta importanza all'amore ed all'amicizia, tratto di carattere che non si smentirà e che gli varrà, come attesta la sua autobiografia, numerosi conoscenze e raramente anodine.

Bakunin.gifDestinato ad una carriera militare, che egli interruppe non senza coraggio, Ôsugi si trasferì a Tokyo, dove intraprese gli studi superiori. Scoprì il cristianesimo (1902), poi l'abbandonò rapidamente per interessarsi all'anarchismo (1903), grazie a Heimin-sha ed a Kôtoku. Nel settembre del 1906, sposò Hori Yasuko. Nella prigione di Chiba, Ôsugi soffre la fama ed il freddo, ma dispone di libri, ed è ciò l'essenziale. Passando lunghe ore a studiare, decide allora di andare oltre un assorbimento un po' rapido delle sue prime letture anarchiche- Kropotkin soprattutto che aveva cominciato a leggere durante la sua prima prigionia, a Sugamo, nel 1907. Si propone di approfondire le sue acquisizioni, tentando di ripensare ciò che deve esserlo. Per lui, la base indispensabile di ogni conoscenza poggia sulle scienze naturali, l'antropologia, poi la storia, discipline che impegnate a studiare la concatenazione logica tra i fatti. Egli scrive: "Più leggo e più penso, credo che la natura è qualche parte logica e la logica è completamente inscritta nella natura. Devo ammirare la natura poiché questa logica deve essere in modo simile inscritta nella società umana, che è stata sviluppata attraverso la natura" [18].

Secondo, Daniel Colson, l'idea di "natura" copre, nella filosofia anarchica, una "nozione tradizionale e corrente (...) designante la totalità di ciò che è" [19]. Non si tratta dunque della materia inerte, della semplice fisica o anche dell'ambiente, ma della "vita" nel senso di "movimento". È la stessa cosa per Bakunin: "[...] Poiché mi vedo costretto ad impiegare spesso la parola Natura, credo dover dire qui ciò che intendo con questa parola. Potrei dire che la Natura, è la somma di tutte le cose realmente esistenti. Ma ciò mi darebbe un'idea completamente morta di questa Natura, che si presenta a noi al contrario come movimento e vita [...], la combinazione universale, naturale, necessaria e reale, ma affatto predeterminata, né preconcetta, né prevista, di questa infinità di azioni e di reazioni particolari che tutte le cose realmente esistenti esercitano incessantemente le une sulla altre" [20].

Osugi--01.jpgDopo la sua prigionia a Chiba, Ôsugi Sakae redigerà diversi testi su questo tema della "vita" (sei), inseparabile, secondo lui, dall'io, dalla libertà e dall'azione. All'inizio c'è l'azione"  (Hajime ni koî ga ari), scriverà anche un po' più tardi citando la frase che Romain Rolland riprende dal Faust [21]. Esporrà l'essenziale delle sue concezioni in L'espansione della vita (Sei no kakujû), del luglio 1913. Vi si legge: "La vita può essere capita in un senso ampio ed in un senso stretto. Io, la prendo nel suo senso più stretto, come il principio della vita dell'individuo. L'essenza di questa vita non è altra cosa che l'io. E finalmente, l'io è un tipo di energia (chikara no isshu) che obbedisce alle regole dell'energia nella dinamica dell'energia. L'energia deve apparire non appena c'è movimento, azione (dôsa), perché esistenza di energia e movimento sono sinonimi: Di conseguenza, l'attività dell'energia (chikara no katsudô) è una cosa che non si può evitare. L'azione stessa è interamente nell'energia. L'azione è l'aspetto unico dell'energia. La logica necessaria della nostra vita ci ordina dunque di agire. E di svilupparci. Ciò non significa nient'altro che l'estensione nello spazio di ciò che esiste. Ma lo sviluppo della vita deve apportare anche la pienezza della vita. La pienezza giunge inoltre inevitabilmente con lo sviluppo. Di conseguenza, pienezza e sviluppo devono essere una sola e stessa cosa.  L'espansione della vita diventa dunque il dovere della nostra unica vita. Colui che soddisfa gli implacabili bisogni della sua vita è quello che agisce effettivamente di più. La logica necessaria della vita ci ordina di scartare, di distruggere tutte le cose che ostacolano l'estensione della vita. E quando giriamo la schiena a quest'ordine, la nostra vita, il nostro io, stagna si corrompe, si distrugge" [22].

Le difficoltà sopraggiungono negli urti reciproci delle vite di ognuno. Si produce allora, secondo Ôsugi, una polarizzazione della società tra oppressori ed oppressi, tra padroni e schiavi. L'umanità sembra rassegnarsi, accontentandosi di cambiare padroni. Ma la rivolta contro questo stato di cose- che, in definitiva, ostacola l'estensione di ogni vita- è portata da una minoranza. I soprassalti della storia non devono più condurre a cambiare padroni, ma all'emancipazione di tutti e di ognuno.

Coeurderoy--disegno-di-Albin.jpgÈ in questo senso che Ôsugi afferma: "Ora che la realtà del dominio ha raggiunto il suo punto più alto, l'armonia non è la bellezza. La bellezza è nel caos. L'armonia è una menzogna. Il vero è nel caos. Non possiamo ora raggiungere l'espansione della vita che attraverso la rivolta. Non è che attraverso la rivolta che possiamo creare una nuova vita, una nuova società" (Zenshû, II, p. 34). Spesso citata a proposito di Ôsugi, questa frase- "La bellezza è nel caos"- non deve essere mal interpretata. Perché, come dice Daniel Colson, "nell'utilizzazione moderna e libertaria della parola, il caos cessa di rinviare ad un'origine temporale, superata da un avvenire lineare ed orientato dal tempo. Costituisce al contario il sostrato sempre presente di tutti i possibili di cui il reale è portatore [...]. Come molti testi libertari permettono di mostrare, da Cœurderoy a Bakunin, passando per Proudhon, l'anarchia o il caos a cui si richiama l'anarchismo non è affatto sinonimo di arbitrario, quell'arbitrario che serve da fondamento illusorio a tutte le utopia, ma al contrario di necessità, una necessità sola fondatrice della libertà anarchica nella misura stessa in cui essa esprime tutta la potenza di ciò che è" [23]. Ciò che, così come lo segnala ancora Daniel Colson, ricorda un Nietzsche che spiega come il "carattere dell'insieme del mondo è da tutta l'eternità quello del caos, in ragione non dell'assenza di necessità, ma dell'assenza d'ordine" [24].

Proudhon--di-Courbet--1853.jpgAltrimenti detto, Ôsugi attinge nel negativo dell'attuale umanità ciò che può essere il positivo della società. Società ed umanità sono vita, movimento, "dinamica" (dinamikku), per prendere un termine che sarà utilizzato da Ishikawa Sanshirô (1876-1956), uno degli anarchici giapponesi che proseguira la riflessione filosofica là dove l'aveva lasciata Ôsugi Sakae. Questa dialettica di non-risoluzione delle antinomie attraverso la sintesi si oppone risolutamente alla dialettica hegeliano-marxista in tre tempi. Ricorda quella di Proudhon- che Ôsugi non ha tuttavia letto, almeno quando  ha redatto L'Espansione della vita.

Tsuji-Jun--Traduzione-di-L-unico-di-Max-Stirner.jpgIn Il Sistema delle contraddizioni economiche del 1846, quest'opera tanto criticata da Marx, Proudhon scrive anche che "l'uomo è lavoratore, cioè creatore e poeta", poiché "produce dal suo profondo, vive della sua sostanza". Durante lo stesso passaggio, Proudhon suggerisce di tornare alla monadologia di Leibniz, a condizione che quest'ultima sia liberata dall'ipoteca divina. Quest'approccio, ripreso da Gabriel Tarde alla fine del XIX secolo, poi da Gilles Deleuze o Gilbert Simondon alla fine del XX secolo, pone in primo piano l'esistenza degli esseri individuali singolari, irriducibili ad ogni determinazione esterna: le monadi, capaci di aprirsi le une alle altre, dall'interno, di compenetrarsi reciprocamente e di selezionare, tra l'infinità dei mondi possibili, quello che conviene alla loro piena realizzazione.

La monadologia non ha nulla a vedere con la giustificazione dell'individualismo contemporaneo, che non è in realtà che un egoismo assoluto. Ôsugi Sakae strizza l'occhio a Max Stirner, figura dell'individualismo anarchico ed autore di L'Unico e la sua proprietà (1844), riprendendo il suo termine Unico (yu’itsu), ma se ne differenzia nella sua implicazione socialista. Egli fonda la sua procedura sull'individuo, in sinergia con "l'aria dei tempi" in Giappone che vede per esempio l'esordio del watakushi-shôsetsu* in letteratura, ma in una prospettiva sociale e collettiva, ciò che egli chiama "l'individualismo moderno" (kindai kojinshugi). Da qui la sua critica agli stirneriani giapponesi come Tsuji Jun (1884-1944) [25].

 

 [Traduzione di Ario Libert]  

 

Note

[1] Su Kôtoku Shûsui, vedere la bibliografia in lingua occidentale [Notehelfer (1971), Crump (1983) et Pelletier (1985)].

[2] Si tratta di Kamichika Ichiko (1888-1981), figlia di un medico erborista. Scrittrice e giornalista, raggiunge il movimento femminista Seitôsha nel 1912 ed aderisce al socialismo. Imprigionata per due anni in seguito a questo fallito tentativo di assassinio- che la storia ricorda con il nome di "affare di Hayama" o "della casa del tè di Hikage"-, Kamichika Ichiko esercitò la funzione di deputato socialista dal 1953 al 1969 e prenderà parte attiva alla legge contro la prostituzione del 1954. Sposa legittima di Ôsugi dal 1906, Hori Yasuko divorzia da quest'ultimo poco dopo il dramma. Itô Noe diventa allora la terza compagna di Ôsugi. Gli darà cinque figli (quattro femmine ed un maschio- Mako, Sachiko, Ema, Ruizu, Nesutoru - di cui due morti a tenera età). Kamichika Ichiko, che, benché poco prolissa sul soggetto nelle sue memorie del 1972, si mostra molto amareggiata di fronte a Ôsugi, non assité alla cerimonia funebre che riunì tutti gli intimi di Ôsugi alla fine del 1923. In compenso, Hori Yasuko, la sua prima moglie, vi pronunciò l'elogio di suo marito, effettuando al contempo una messa a punto della loro relazione.

[3] Komatsu Ryûji (1997).

[4] La rabbia degli anarchici sarà aggravata dal fatto che il capitano di gendarmeria responsabile dell'unità che commise l'assassinio, Amakasu Masahiko (1891-1945), non scontò che tre dei dieci anni di prigione ai quali fu condannato per il suo crimine. Liberato, si farà "onore" sul fronte della Manciuria, soprattutto durante l'Incidente della Manciuria del 1931, che iniziò la Guerra dei quindici anni.

[5] Kamata Satoshi (1997), p. 459.

[6] Testimonianza di Matsushita Yoshio, tenente dell'esercito attratto dal socialismo e che darà le dimissioni dalla sua funzione, ricordato da Yamakawa Kikue (1890-1980) nelle sue memorie (1956, p. 171).

[7] John Crump (1993), p. 78, sa Komatsu Ryûji (1972), p. 84.

[8] George Beckmann e Ôkubo Genji (1969); Stephen Large (1981).

[9] Una fine che lo stesso Ôsugi preconizzò. Dopo il colpo di pugnale di Kamichika Ichiko, ricordava spesso che era già stato seriamente ferito durante una rissa tra studenti durante la sua frequenza in una scuola di cadetti, e prediceva anche che giorno sarebbe venuto, in cui sarebbe stato ucciso da un poliziotto o un gendarme. Cfr. Thomas Stanley (1982), p. 107.

[10] "Proscritto dal Partito, perché non meno rivoluzionari di Vaillant o Guesde, anche risoluto sostenitore della soppressione della proprietà individuale, siamo inoltre ciò che essi non sono, dei rivoltosi da sempre, degli uomini senza dio, senza padroni e senza patria, i nemici irreducibili di ogni dispotismo morale o materiale, individuale o collettivo, cioè delle leggi e delle dittature- compresa quella del proletariato- e gli amanti appassionati della cutura di se stessi", Fernand Pelloutier, Lettre aux anarchistes, (dicembre 1899); cfr. Jacques Julliard, Fernand Pelloutier et les origines du syndicalisme d’action directe, Paris, Seuil, Points Histoire, 1985, 300 pp.

[11] Secolarizzazione che non fu che embrionale nei paesi islamici, il che spiega ampiamente il ritardo che vi prese l'anarchismo, ad eccezione parziale dell'Iran, del Libano e della Turchia.

[12] Per una presentazione in lingua occidentale dei dibattiti che agitarono i marxisti, possiamo rapportarci a Germaine Hoston, Marxism and the crisis of development in Prewar Japan, Princeton University Press, 1986, 406 pp.; The State, identity and the national question in China and Japan, Princeton University Press, 1994, 630 pp.; Le marxisme au Japon, Actuel Marx, 2, 1987, 218 pp.

[13] Se si mettono da parte i tenkô comunisti della metà degli anni trenta, alcuni di questi militanti sono passati anche dal socialismo al tennô-militarismo ed al nazional-socialismo.

[14] Iwayuru hyôronka ni taisuru bokura no waza. Hyôron no hyôron, [Il nostro atteggiamento di fronte a queste pretese critiche. Critica delle critiche[, Zenshû, VI, pp. 36-42, apparso in Rôdô undô, 1-3, gennaio 1920.

[15] Ôishi Seinosuke (1867-1911) è nato a Shingû (Wakayama-ken) da una famiglia di ricercatori. Medico, viaggiò molto (Oregon, Singapore, Bombay) e si interressò al socialismo a partire dal 1901. Frequentò la Heimin-sha, dove incontrò Kôtoku Shûsui. Scrisse numerosi articoli. Incriminato nell'"affare dell'alto tradimento" a seguito di false accuse, fu giustiziato.

 [16] Ôsawa Masamichi: Ôsugi Sakae et les problèmes posés par l’importation de l’anarchisme, [Ôsugi Sakae ed i problemi posti dall'importazione dell'anarchismo, presto verrà edito in Itinéraire].

[17] La morte di sua madre costituisce senz'altro uno dei passaggi salienti dell'autobiografia di Ôsugi, cfr. Byron K. Marshall, 1992.

[18] Ôsugi Sakae shokan-shû, Ôsugi Sakae kenkyû-kai, éd. Tôkyô, Kaien shobô, 1974, pp. 38-39.

[19] Alla voce Natura in Daniel Colson, Petit lexique philosophique de l’anarchisme de Proudhon à Deleuze, Le Livre de poche, Paris, 2001, 386 pp.

[20] Considérations philosophiques sur le fantôme divin, le monde réel et sur l’homme [Considerazioni filosofiche sul fantasma divino, il mondo reale e sull'uomo, [1870].

 [21] Rôdô undô to rôdô bungaku, []Movimento operaio e letteratura operaia], Shinchô, 10, 1921, Zenshû, V, pp. 59-77.

[22] Zenshû, II, pp. 30-34. Ôsugi utilizza qui il termine  katsudô che significa "attività". In giapponese, "militante" si traduce con katsudôka, oppure con "attivista". Si noterà la differenza con la semantica francese.

[23] Daniel Colson, op. cit, voce Caos.

[24] Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza (1881-87), § 109.

[25] Soprattutto in Kindai kojinshugi no shosô [Diversi aspetti dell'individualismo moderno], Zenshû, III, o in Yu’itsu-sha [Gli Egoisti], Zenshû III, articoli apparsi in Kindai Shisô en 1912.

* watakushi-shôsetsu, o shishōsetsu, è uno stile letterario giapponese in cui i romanzi sono narrati in prima persona ed incorporano elementi autobiografici, legato al filone letterario del naturalismo e sorto durante l'era Taishō (1912-1926), (N. d. T.). 

 

LINK al post originale:

Ôsugi Sakae (1885-1923)

 

Condividi post
Repost0
31 maggio 2010 1 31 /05 /maggio /2010 22:08

Per prima cosa, tengo a scusarmi con i miei pochi lettori per la brutalità delle immagini scelte per illustrare questo post, ma ritengo sia bene ricordare come gli stalinisti di ogni risma sino a poco tempo fa (e persino i nostalgici di oggi), illustravano ideologicamente il paese di Bengodi da essi edificato a prezzo di carneficine inimmaginabili e carcerazione sociale a vita nel loro cosiddetto paradiso socialista.

Detto ciò, non è senza orgoglio che presento un altro scritto inedito di quella mente fervida e ipercritica che fu Maximilien Rubel, datato 1946, (un vero pezzo da archeologia intellettuale) e quindi addirittura precedente l'inizio della grande stagione di Socialisme ou Barbarie, (su cui avremo modo di tornare prestissimo), con traduzioni di scritti da quella stessa rivista e saggi storico critici che illustrino quell'importante serbatoio di critica ed analisi storico-sociologica ed elaborazione ideologica, nonché la figura ed i contributi teorici di Rubel stesso.

 

 


 

 

 

Sul regime e contro la difesa dell’U.R.S.S.



di Cornelius Castoriadis



La politica rivoluzionaria che, un tempo, consisteva essenzialmente nella lotta contro gli strumenti diretti del dominio borghese (Stato e partiti borghesi), si è da molto tempo complicata con l'apparizione di un nuovo compito non meno fondamentale: la lotta contro i propri partiti che la classe operaia si era creati per la sua liberazione e che, in un modo o nell'altro, lo avevano tradito.
 
Questo processo di putrefazione permanente dei vertici ha assunto una tale importanza che è impossibile elaborare oggi una politica rivoluzionaria coerente ed efficace senza possedere una concezione netta della sua natura e della sua dinamica. L'esperienza fondamentale su questo punto si formula così: la socialdemocrazia, creata in un periodo in cui il proletariato e la borghesia erano le sole forze di polarizzazione, le sole fonti di potenza autonome sulla scena politica, non poteva tradire il primo per passare nel campo dell'altra, che seguendo una politica sempre più apertamente borghese.
 
Lo stalinismo per contro, per quanto abbia mostruosamente tradito la rivoluzione proletaria, non seguì non di meno una linea politica indipendente ed una strategia autonoma ed opposta a quella della borghesia, non meno che a quella del proletariato. Dove si trova la causa di questo fenomeno e come potremmo venire a capo degli ostacoli che crea alla rivoluzione? Dalla giusta soluzione di questo problema dipende tutto nel momento attuale. Ma questa soluzione è possibile solo se si parte dall'analisi realista e priva di ogni pregiudizio dottrinario della società in cui lo stalinismo si è pienamente realizzato e da cui trae la maggior parte della sua virulenza politica- della società sovietica.
 
 
 
I. La società sovietica

 

a: L'economia 

urss-20-218-.jpgSe è incontestabile che non si può comprendere la società sovietica se non analizzandone le basi economiche, non è meno vero che per lo studio delle sue basi è indispensabile sbarazzarsi di ogni formalismo giuridico. Sino ad oggi, infatti, si credeva aver detto l'essenziale su questa economia quando si menzionavano la nazionalizzazione e la pianificazione che ne costituiscono i tratti dominanti; poi, senza chiedersi quale significato reale hanno acquisito questi tratti nell'insieme dialettico della via sociale sovietica, si indicavano le parti corrispondenti al programma socialista e si gridava trionfalmente: per lo meno, le basi socialiste sussistono nell'economia sovietica.

urss.jpgUn abbozzo di ragionamento simile, che dimentica che le realtà sociali ed economiche si trovano molto spesso al di là della formula giuridica che le copre, avrebbe portato a riconoscere la realizzazione perfetta dell'eguaglianza civica nella democrazia borghese, la cui impostura è stata molte volte denunciata da Lenin; avrebbe portato ad ignorare anche lo sfruttamento che ha luogo nella società capitalista, poiché il diritto borghese ignora a parole il capitale, il plusvalore, ecc; ci avrebbe condotto dall'analisi economica materialista di Marx al giuridicismo dei classici e del XVIII secolo.  

urss-20-205-.jpgSi tratta dunque, nello studio dell'economia sovietica, come in quella di ogni altra economia, di sapere come si effettuano, attraverso ed al di là del camuffamento giuridico, la produzione e la distribuzione, altrimenti detto: chi dirige la produzione e, di conseguenza, chi possiede l'apparato della produzione e, chi ne trae vantaggio?

Le categorie sociali fondamentali tra le quali si svolgono i processi economici sono:

 -il proletariato, formato dall'insieme dei lavoratori che sono incaricati di un semplice lavoro di esecuzione;

  -l'aristocrazia operaia, che comprende l'insieme dei lavoratori qualificati;

 -la burocrazia, che raggruppa le persone che non partecipano al lavoro di esecuzione ed assumono la direzione del lavoro degli altri.

 

urss-20-219-.jpgEvidentemente, come sempre, i limiti tra queste tre categorie non sono rigide. Questa distinzione è essenzialmente basata su un criterio tecnico; ma questa base tecnica è necessariamente legata a delle conseguenze economiche, sociali e politiche. Perché su questa distinzione è fondata in URSS la soluzione dei due problemi capitali di ogni organizzazione economica: il problema della direzione della produzione e quello della sua ripartizione. 

urss-20-222-.jpgLa direzione della produzione è unicamente affidata alla burocrazia. Né l'aristocrazia operaia né il proletariato prendono alcuna parte a questa direzione. Questa direzione avviene, anche all'interno della burocrazia, in maniera dittatoriale, che non concede al burocrate medio che dei margini di iniziativa estremamente limitati in quanto alla concretizzazione della parte del piano che riguarda il suo settore. Questo in quanto alla forma. In quanto all'essenza, e cioè in quanto a sapere quali sono le direzioni che imprime il vertice burocratico al processo economico e quali sono le considerazioni coscienti, inconsce o imposte dalle cose che dettano, lo esamineremo dopo. 

urss-20-449-.jpgLe condizioni di validità della legge del valore (principalmente: proprietà ed appropriazione privata, contabilità separata di ogni impresa, libertà del mercato, ecc.) difettano nell'economia sovietica. D'altra parte, la pianificazione, combinata dalla statizzazione ed abbracciante l'insieme dell'economia, fa sì che l'automatismo economico è sostituito, all'interno di certi quadri molto generali, dalla direzione umana cosciente dell'economia. È per questo che possiamo dire che, nell'economia sovietica, della legge del valore non resta che questa formula molto generale, che il valore dell'insieme dei prodotti è eguale alla somma del lavoro astratto socialmente necessario alla loro produzione.

urss-20-691-.jpgA parte ciò, è l'arbitrio burocratico che regola la distribuzione, cioè che determina i salari; quest'arbitrio non conosce che due limiti economici obiettivi: per quel che riguarda il lavoro semplice, il salario non può essere inferiore al minimo vitale (limite inoltre estremamente elastico, come l'esperienza dei due primi piani quinquennali hanno dimostrato);- per quel che riguarda il lavoro qualificato, il salario si determina secondo la rarità relativa di questa specie di lavoro, tenendo conto dei bisogni del consumo o di quelli considerati come tali dal piano. A parte ciò, l'arbitrio burocratico regola tutto, legato evidentemente dalle leggi psicologiche di godimento ottimale da considerazioni di politica generale. All'interno della burocrazia, la distribuzione si fa seguendo i rapporti di forza, similmente al modo in cui si effettua la distribuzione del plusvalore totale tra i gruppi ed i trust imperialisti.

urss-20-414-.jpgLa dinamica di questa economia è caratterizzata dall'assenza di crisi organiche, effetto della pianificazione quasi completa. Il suo equilibrio, di conseguenza, non può essere messo in causa che dall'effetto dei fattori esterni, il che sembra dovere, se un giorno essa dovesse giungere a dominare il pianeta, conferirle una stabilità interna mai prima conosciuta nella storia.

Quando vogliamo definire questa forma economica diventa evidente che essa non presenta nessuna analogia con l'economia capitalista, perché, malgrado la persistenza dello sfruttamento e la monopolizzazione della direzione della produzione da parte di uno strato sociale, le leggi economiche vi sono forzatamente differenti; d'altra parte, dei quattro elementi fondamentali ed indivisibili dell'economia socialista e cioè:

 abolizione della proprietà privata;

 pianificazione;

 Abolizione dello sfruttamento;

direzione della produzione da parte dei produttori;

essa non presenta (e sotto forti riserve) che i primi due, i meno importanti; invece di avvicinarsi sempre più alla realizzazione di questi scopi fondamentali, l'economia sovietica li ha completamente abbandonati- senza avvicinarsi per ciò al modo di produzione capitalista. Né capitalista né socialista e nemmeno in marcia verso una di queste due forme, l'economia sovietica presenta un nuovo tipo storico, il cui nome poco importa in realtà quando se ne conosce la sostanza.

 

b: La politica

urss-20-477-.jpgIn quanto al regime politico, il suo carattere totalitario è stato molte volte descritto che è superfluo insistervi sopra. Bisogna semplicemente menzionare che questo regime, accanto alla dittatura poliziesca, comporta un'ascendente ideologico sulle masse, una "statizzazione delle idee", tale che essa autorizza a parlare di "alterazione della coscienza delle masse" nella società sovietica nel momento attuale.

 

c: "Stato operaio degenerato"

È chiaro che la denominazione di uno Stato di fatto è una semplice convenzione e che tutti i termini sono validi, a condizione che ci si intenda sul loro contenuto e che essi non comportino dei pericolosi malintesi attraverso i loro effetti politici. È da questo punto di vista che deve essere affrontato e condannato il termine "Stato operaio degenerato" impiegato a proposito dell'URSS. La struttura di quest'espressione implica che il fatto fondamentale dell'attuale realtà sovietica si trovi nel suo carattere di Stato operaio e che, per spiegare alcune sfumatura, si debba ricorrere alla nozione di degenerazione. Ora, non c'è nulla del genere. La degenerazione è da molto tempo superata poiché è giunta alla maturità completa; l'evoluzione è giunta a tal punto che, attraverso la creazione di nuove forme con dei nuovi contenuti, permette di afferrare il fenomeno nel suo attuale funzionamento per così dire "indipendentemente" dalla sua provenienza.

 

urss-20-279-.jpgLa statizzazione e la pianificazione svolgono oggi un ruolo fondamentale nell'economia sovietica; ma dire che, nel loro attuale contenuto, esse bastano a dare un carattere anche un po' "operaio" allo Stato sovietico; vuol dire attribuire un significato al diritto indipendentemente dal reale processo economico, è sostituire l'analisi economica marxista ad un giuridicismo astratto; è ancora separare l'economico dal politico in un modo schematico ed inaccettabile per lo studio dell'epoca attuale. Se la statizzazione in URSS basta per conferire a questo Stato il nome (preso con un significato attivo) di "Stato operaio in degenerazione", perché le statizzazioni di un paese borghese non basterebbero a conferirgli il nome di Stato operaio in gestazione?

 

urss_staline.jpgLa questione non è di sapere se ci sia statizzazione, ma per chi ed a profitto di chi è instaurata o mantenuta questa statizzazione. Se nella società capitalista classica la potenza economica rimane distinta dal potere politico e se lo appropria in quanto oggetto esterno ad essa, il processo storico ha rovesciato poco a poco questo schema: già durante l'epoca imperialista la distinzione, tanto reale quanto personale, del potere politico e del potere economico, appariva come caduco; nella società sovietica è impossibile persino concepirla. Una situazione tecnica ed economica determina una struttura politica, che, da questo momento, regge l'economia, mentre l'importanza dell'automatismo delle leggi economiche diminuisce sempre più. È per questo che il solo criterio permettente di dare una definizione sociologica dell'URSS è il seguente: chi detiene il potere politico ed a profitto di chi lo esercita? La risposta a questa domanda non può essere che la seguente: il potere politico (e di conseguenza, anche la potenza economica) è detenuta da uno strato sociale i cui interessi sono assolutamente contraddittori nella sostanza con quelli del proletariato sovietico e che esercita questo potere per i suoi propri interessi contro-rivoluzionari. Questo strato non ha nulla in comune con la classe operaia, né con la classe capitalista. Essa costituisce, così come lo Stato che essa dirige e che essa esprime, una nuova formazione storica.

 

 II : La politica rivoluzionaria in U.R.S.S.

 

a: Rivoluzione politica o rivoluzione sociale 

urss-20-478-.jpgLa strategia e la tattica della IV Internazionale e della sua sezione russa verso questo stato di cose deve essere nettamente ed interamente rivoluzionaria. La questione di sapere se possiamo definire in modo scolastico la rivoluzione da compiere in URSS come una rivoluzione politica o sociale presenta poco interesse, se ci rendiamo conto dei compiti da realizzare. Bisogna per di più comprendere che il fondo pratico di questa distinzione non si trova nella necessità di effettuare oppure non una trasformazione dei rapporti di proprietà, ma in questo: possiamo conservare l'apparato statale con dei semplici cambiamenti nel personale dirigente ed i posti di responsabilità (rivoluzione politica) oppure quest'apparato dev'essere spezzato e ricostruito di nuovo in forme nuove (rivoluzione sociale)? Ora, è evidente che è questo secondo caso che si presenterà in URSS quando la classe operaia rovescerà Stalin.

urss-3.jpgPoiché la struttura reale dello Stato sovietico non conserva essenzialmente nulla che possa differenziarlo in generale da non importa quale altro apparato storico di dominio da una classe sull'altra. Quando la rivoluzione sarà compiuta in URSS, bisognerà non soltanto sostituire il partito al potere con il nostro, non soltanto far rivivere o piuttosto rinascere gli strumenti del potere operaio, i soviet (perché i soviet di oggi non ne hanno che il nome), ma bisognerà creare anche dei nuovi strumenti di controllo, perché uno dei fattori favorevoli allo sviluppo della burocrazia consiste nel fatto che durante il periodo 1917-1923 la direzione bolscevica non ha potuto esprimere praticamente tutta la diffidenza che doveva ispirargli questa burocrazia. Quel che Trotsky chiama il secondo aspetto della rivoluzione permanente e che concerne la rivoluzione socialista stessa, il cambiamento continuo di pelle, deve trovare la sua applicazione anche nella regolamentazione dei rapporti politici e statali dopo la vittoria della rivoluzione.

b: Difesa dell'URSS e rivoluzione

urss-mascherine.jpgI grandi punti della strategia e della tattica rivoluzionarie rimangono dunque validi anche per la rivoluzione anti-burocratica, con riserva di adattamento adeguato. È quel che detta oggi imperiosamente l'abbandono della parola d'ordine della "difesa dell'URSS". Anche per coloro che ammettono l'esistenza di basi socialiste nell'economia sovietica, è chiaro che la salvezza finale di queste vestigia dipende dalla vittoria della rivoluzione su scala mondiale e che l'ostacolo n° 1 per questa vittoria si trova nella burocrazia staliniana. La lotta contro questa burocrazia costituisce dunque il compito fondamentale per il proletariato sovietico. Questa lotta in tempo di guerra è compatibile con la "difesa dell'URSS"? Evidentemente no. Sviluppare questa lotta significa ad esempio gli scioperi, le manifestazioni, minare l'apparato di repressione e inceppare il funzionamento in generale dell'apparato statale, provocare l'insurrezione nell'esercito, ritirare i reggimenti in rivolta dal fronte e farli marciare sulla capitale, ecc. La guerra, come la rivoluzione, è un blocco. Non si può condurre l'una che abbandonando l'altra. La "lotta sui due fronti" rileva della strategia da cattedra e non è mai esistita in pratica, perché inevitabilmente arriva il momento in cui l'una delle due lotte dovrà prevalere sull'altra.

urss-20-300-.jpgCi si chiede molto spesso: possiamo augurare la vittoria di un imperialismo sullo stalinismo, si può rimanere indifferenti al risultato della lotta che avrebbe come conseguenza di abolire le "basi socialiste" dell'economia sovietica? Si può rispondere molto facilmente domandando in cosa l'esistenza di queste basi costituisce oggi un fattore favorevole per lo sviluppo della rivoluzione mondiale. Si potrebbe anche evidenziare che queste obiezioni dimostrano una mentalità arretrata, che crede all'importanza distaccata di vittorie o di non-sconfitte locali ed isolate per venti o trenta anni, indipendentemente dal processo internazionale.

Ma il fatto essenziale si trova altrove. Si trova nell'ignoranza completa dell'ABC del marxismo di cui danno prova le persone  che credono che all'epoca attuale una rivoluzione in tempo di guerra sia possibile all'interno di un paese senza che ciò implichi un'alta temperatura rivoluzionaria mondiale e senza che la vittoria di questa rivoluzione trascini anche per gli altri paesi una crisi capace per lo meno di legare le mani ad un intervento contro-rivoluzionario. È nei fatti questa considerazione che ha dettato o che doveva dettare la nostra politica disfattista all'interno dei paesi in guerra contro l'Asse. È anche questa fiducia nelle nostre idee e nella solidarietà internazionale del proletariato che deve guidare la nostra politica in URSS.

Beninteso, non si tratta di sostituire ora e su scala internazionale la propaganda difensista con la propaganda disfattista. La parola d'ordine della "rivoluzione indipendentemente da ogni rischio di sconfitta" è una parola d'ordine che ha un significato principalmente per la sezione russa. Per l'Internazionale in generale sarebbe inopportuno e pericoloso sottolineare in un modo speciale e di farne un punto centrale di propaganda. Senza mai perdere di vista la solidarietà internazionale del movimento, il proletariato di ogni paese deve lottare contro i suoi propri carnefici. Quel che importa oggi per L'Internazionale, è di avere una concezione chiara della natura dello stalinismo e di sbarazzarsi della deprecabile confusione creata dalla coesistenza mostruosa delle parole d'ordine "rivoluzione contro la burocrazia" e "difesa dell'URSS".

 

Nota sulla tesi Lucien, Guérin, Darbout

 

urss-20-731-.jpgQuesta tesi, con delle conclusioni pratiche con le quali siamo d'accordo (abbandono del "difensismo", disfattismo rivoluzionario in URSS), presenta accanto a delle lacune (mancanza di giustificazione del disfattismo, mancanza di un saggio di legame organico tra il fenomeno  della degenerazione russa e la società capitalista), alcuni errori a nostro avviso molto essenziali perché se ne dicano poche parole.

Dopo aver, a giusto titolo, criticato il giuridicismo dovuto alla formula delle leggi invece di osservare la realtà economica, e dopo aver detto in sostanza che la collettivizzazione dell'economia sovietica non significa nulla a causa dell'espropriazione politica del proletariato, i compagni L., G., e D. scrivono a proposito delle nazionalizzazioni in Europa orientale "che esse non differiscono assolutamente da quelle che possiamo vedere in Europa occidentale". Ora, precisamente in questo caso è l'espropriazione politica della borghesia che rende queste nazionalizzazioni significative: la monopolizzazione, effettuata o in corso, del potere politico da parte dei partiti comunisti in questi paesi, rende la burocrazia staliniana padrona dei mezzi di produzione nazionalizzati, allo stesso modo, in generale, come lo è la burocrazia russa, benché in modalità diverse. Il che mostra ancora una volta che lo stalinismo persegue in questi paesi, sotto una prospettiva di breve i medio periodo, la politica che conduce su scala mondiale con una prospettiva di lungo termine, e cioè, una politica di assimilazione.

urss-20-211-.jpgIl che ci porta ad un altro errore fondamentale dei compagni L., G., e D., consistente nell'identificare l'antitesi stalinismo-imperialismo con non importa quale antitesi imperialista; il che implica un'indifferenza in quanto al regime interno dei paesi occupati dall'Armata rossa e alle differenze fondamentali, della proposizione  propria dei compagni, che presenta con quella dei paesi occupati dall'imperialismo; il che ci lascia completamente al buio quando si tratta di sapere perché lo stalinismo si appoggia, nella sua lotta contro gli imperialisti, sul movimento operaio degli altri paesi. I compagni comprendono perfettamente che il regime sovietico non è socialista e che non è obbligato per questo ad essere capitalista; perché non possono comprendere che la sua politica estera, per non essere rivoluzionaria, può ben essere non capitalista, e cioè anticapitalista? È per questo il termine "espansionismo burocratico" è di molto preferibile a quello di "imperialismo", sfumato in non importa quale modo.

 

Maximilien Rubel

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

 

  

LINK al post originale:
Sur le régime et contre la défense del l'U.R.S.S.

 

LINK interni:

Maximilien Rubel, Karl Marx e il socialismo populista russo, (1947)

 

 

LINK al progetto di scannerizzazione totale della rivista Socialisme ou Barbarie:

Socialisme ou Barbarie

    

 

Condividi post
Repost0
24 maggio 2010 1 24 /05 /maggio /2010 06:00

Repin.-Arresto-e-perquisizione-di-un-populista.jpg

 

Karl Marx e il socialismo populista russo

arton477.png

 

 Maximilien Rubel  

III. Una lettera senza conseguenze storiche

 

Ecco ora il testo definitivo della risposta che Marx diede a Vera Zasilich [23]:

 

8 Marzo 1881.

41, Maitland Park Road, London N.W.


 

Cara Cittadina,

Una malattia di nervi che mi aggredisce periodicamente negli ultimi dieci anni, mi ha impedito di rispondere prima alla vostra lettera de 16 febbraio. Mi dispiace di non potervi dare un esposto succinto e destinato alla pubblicità della questione che mi avete fatto l'onore di propormi. Da mesi ho promesso un lavoro sullo stesso tema al Comitato di San Pietroburgo. Tuttavia spero che alcune righe basteranno nel non lasciarvi alcun dubbio sul malinteso nei confronti della mia sedicente teoria.

Analizzando la genesi della produzione capitalista, sostengo: "In fondo al sistema capitalista c'è dunque la separazione radicale del produttore dai mezzi di produzione... la base di tutta questa evoluzione è l'espropriazione dei coltivatori. Non si è compiuta in modo radicale che in Inghilterra... Ma tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale percorrono lo stesso movimento (Il Capitale, ed. francese, p. 315).

La "fatalità storica" di questo movimento è dunque espressamente ristretta ai paesi dell'Europa occidentale. Il perché di questa restrizione è indicato in questo passaggio del cap. XXXII: "La proprietà privata, fondata sul lavoro personale... sta per essere soppiantata dalla proprietà privata capitalista, fondata sullo sfruttamento del lavoro altrui, sul salariato" (op. cit., p. 340).

In questo movimento occidentale si tratta dunque della trasformazione da una forma di proprietà in un'altra forma di proprietà privata. Presso i contadini russi si dovrebbe al contrario trasformare la loro proprietà comune in proprietà privata. L'analisi fornita in Il Capitale non offre dunque ragioni né a favore né contro la vitalità della comune rurale, ma lo studio speciale che ne ho fatto, e di cui ho cercato i materiali nelle fonti originali, mi ha convinto che questa comune è il punto d'appoggio della rigenerazione sociale in Russia; ma affinché essa possa funzionare in quanto tale, bisognerebbe innanzitutto eliminare le deleterie influenze che l'assalgono da ogni parte ed in seguito assicurarle le condizioni normali di uno sviluppo spontaneo.

Ho l'onore, cara Cittadina di essere vostro devoto.


 

Karl MARX


 

Possiamo facilmente constatare che, nella redazione definitiva della sua lettera, Marx si limita a rispondere una domanda precisa, in modo non meno preciso.

La comune rurale russa è fattibile? Questo era il problema sollevato da Vera Zasulich in nome del suo gruppo. Marx rispose affermativamente, conferendo alla soluzione da egli data al problema un carattere condizionale, non teoretico. Non approvava dunque i "marxisti" russi ai quali la sua interrogatrice faceva allusione [24]. Al contrario, la sua risposta non sembra mirare che a stimolare l'energia rivoluzionaria dei narodniki di cui ammirava il coraggio e l'abnegazione [25].

Ma se la soluzione proposta da Marx non aveva alcun carattere dogmatico e somigliava piuttosto ad un giudizio implicante un postulato etico- la soluzione essendo la rivoluzione- le supposizioni erano sostenute grazie allo studio delle "fonti originali" più importanti dell'epoca [26].

Nel gennaio 1882, dunque ad un anno appena dopo aver comunicato la sua risposta al gruppo dello Tchorny Pérédiel, redigendo con Engels la prefazione della seconda edizione russa di Il Manifesto del partito comunista, nella traduzione di Vera Zasulich [27], Marx condensò, in una ventina di righe, le sue opinioni sulla comune rurale russa e le sue prospettive nel senso definito anteriormente da lui come da Engels (nella sua replica a Tkacev): "il compito di Il Manifesto, era di proclamare la sparizione inevitabile ed imminente dell'attuale proprietà borghese. Ora, in Russia accanto ad un ordine capitalista che si sviluppa con una velocità febbrile accanto alla proprietà fondiaria borghese allo stato di formazione, constatiamo che più della metà del suolo forma la proprietà comune dei contadini. Una domanda si pone dunque: La comune contadine russa- forma, è vero, molto disaggregata già di proprietà comune primitiva del suolo- può trasformarsi direttamente in una forma comunista superiore della proprietà fondiaria? Oppure dovrà subire preventivamente lo stesso processo di dissoluzione che si manifesta nell'evoluzione storica dell'Occidente?- La sola risposta che si possa attualmente dare a questa domanda è la seguente: Se la rivoluzione russa diventa il segnale di una rivoluzione operaia in Occidente di modo che le due si completano, l'attuale proprietà comune russa può diventare il punto di partenza di un'evoluzione comunista".

Posti di fronte all'alternativa di Marx, i populisti emigrati a Ginevra ne scelsero non il primo termine, il quale riposa su una valutazione ottimista della "opportunità storica" offerta alla Russia di passare, con il concorso delle conquiste tecniche e sociali della rivoluzione occidentale, da uno stadio inferiore del comunismo agrario ad una forma superiore della proprietà sociale. Optando per il secondo termine di quest'alternativa, il quale implica una visione fondamentalmente pessimistica dei destini di una Russia pronta a passare sotto le "forche caudine" del capitalismo, gli ex narodniki erano decisi di non dare alcun peso alla risposta incoraggiante che aveva loro fornito Marx.

È precisamente quest'atteggiamento nuovo, segnato dalla svolta totale delle opinioni di Vera Zasilich e dei suoi amici, che ci dà la chiave del problema psicologico sollevato, come abbiamo visto all'inizio del presente saggio, da David Riazanov. Quest'ultimo fu colpito da un'assenza di memoria così flagrante presso coloro che avevano sollecitato i lumi di Marx su una questione da cui dipendeva, per impiegare l'espressione del loro porta-parola, "il destino personale dei socialisti rivoluzionari" della Russia. Ecco l'ipotesi che si potrebbe allora formulare attorno a questo oblio: quest'ultimo era, presso gli interroganti russi di Marx, una conseguenza psicologicamente necessaria della loro adesione al "marxismo", detto altrimenti: a quella teoria storico-filosofica-passe-partout che Mikhailovski aveva creduto poter dedurre dall'opera marxiana e di cui Marx stesso diceva che gli faceva "allo stesso tempo troppo onore e troppo vergogna",

Che diventando marxisti, si dimentichino i postulati essenziali del messaggio marxiano, non può che sembrare paradossale, se si considera che la storia, abbonda di esempi in cui l'apparizione di una personalità e di un pensiero di grande levatura fa nascere questo fenomeno così potentemente denunciato e così impietosamente sezionato da Sören Kierkegaard: l'ammirazione, atteggiamento di comodo il cui antipodo è l'imitazione, esigenza etica. Quando a sua volta Kierkegaard, così come il suo contemporaneo Marx- che egli ignorava, cercando, nel timore e nel tremore, ad essere il "contemporaneo" del Cristo- sia caduto vittima del complotto del tumulto dopo esserlo stato del silenzio, è del tutto proprio di un'umanità che, a forza di ricercare le soluzioni facili, ha perso persino il senso del problematico [28].


 

[Traduzione di Ario Libert]


 

NOTE

[1] Nel 1888, in un articolo intitolato Quale eredità rinneghiamo? Lenin definiva la teoria populista con le tre caratteristiche seguenti: 1° valutazione del capitalismo in Russia come un fenomeno di decadenza, di regressione...; 2° proclamazione dell'originalità del regime economico della Russia in generale e del contadino con la sua comune, il suo artel, in particolare..., 3° incomprensione del legame degli intellettuali e delle istituzioni giuridiche e politiche con gli interessi materiali di certe classi sociali (cfr. V. I. Lenine, Pages Choisies, a cura di P. Pascal, Parigi, 1926, t.1, p. 18)

[2] Vera Zasulic, avendo sparato, nel 1878, al prefetto di pietroburgo, che aveva fatto frustare uno studente, fu assolta da una giuria impressionata dall'opinione pubblica favorevole all'accusata.

[3] Su P. lavorov, vedere Rappaport, La Philosophie de l'Histoire [La filosofia della storia], Parigi, M. Rivière. Vedere anche K. Marx, Lettres à Lavrov[Lettere a Lavrov], in "La Revue Marxiste", maggio 1929.

[4] La lettera di Vera Zasulic a Marx, le quattro bozze della risposta fatta da Marx, allo stesso modo di questa stessa risposta- lettera, bozze e risposta essendo state scritte in francese- sono state pubblicate, vedremo in quali circostanze, da David Riazanov nella rivista dell'Istituto Marx-Engels di Mosca Marx-Engels Archiv, t. I, p. 309-342, edite nel 1925 a Francoforte sul Meno- Rieditate Karl Marx, Œuvres II, Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Parigi, 1968, p. 1556-1573.

[5] Nel testo riprodotto da David Riazanov si può leggere, a questo punto, la parola "voi".

[6] Essa fu edita, nel 1924, nel suo testo ed in facsimile, in "Materiali per la storia del movimento rivoluzionario", t. II, Tratto dagli archivi di Piotr Axelrod.

[7] Cfr. David Riazanov, Véra Zassoulitch et Karl Marx, in: Marx-Engels—Archiv, I, p. 310.

[8] Mir ou obchtchina: termini russi designanti la comune rurale ancestrale.

[9] Contre Boris Nicolaievski che vede la spiegazione della brevità della risposta di Marx nel fatto che quest'ultimo non aveva alcuna simpatia per il gruppo della Frazione Nera, preferendo a essi i populisti (sostenitori della frazione raggruppata intorno all'organo Narodnaja Volja), David Riazanov è del parere (e non possiamo che approvarlo) che soltanto la capacità lavorativa fortemente ridotta di Karl Marx- ne constatiamo le tracce negli abbozzi delle lettere - l'ha impedito di rispondere completamente del tutto come egli avrebbe desiderato. Non è meno vero che Marx era in rapporto con i populisti Morozov e Hartmann a cui, sin dal gennaio 1881, promise di redigere uno studio sulla comune contadine, su richiesta del comitato esecutivo della Narodnaja Volja. Sulla Frazione Nera, Marx si è espresso nella sua lettera a Sorge (5/11/1880) nei seguenti termini sprezzanti: "...i russi anarchici... che pubblicano a Ginevra Frazione Nera... formano il cosiddetto partito della propaganda in opposizione con i terroristi che rischiano le loro teste (per fare della propaganda in Russia - si recano a Ginevra! quale qui pro quo!). Questi signori sono opposti ad ogni azione politico rivoluzionaria. La Russia deve, con un salto, giungere al millennio anarco-comunista e ateo! In attesa, essi preparano questo salto con un dottrinarismo noioso di cui i sedicenti principi corrono per la strada dal fu Bakunin".

[10] Marx cita dall'edizione francese di Il Capitale. Ora, è interessante constatare che questa idea restrittiva non compare nell'edizione tedesca!

[11] Per il testo integrale della replica di Marx a Mikhailovski, vedere: Nicolai-on, Histoire du Développement économique de la Russie, Paris, 1902, p. 507-509. - Publicato anche dopo in Karl Marx, Œuvres II, op. cit., p. 1552-1555.

[12] Marx ha certamente presente la riforma agraria del 1861 "che legalizzavano le relazioni territoriali dell'obschina che esistevano in Russia da secoli in virtù del diritto consuetudinario" (Cfr. Nicolas-on, Histoire du Développement économique de la Russie, Paris, 1902, p. 1).

[13] Article nel New-York Times du 25/6/1853.

[14] Cfr. Il Capitale, I, p. 376 dell'edizione tedesca.

[15] Nel suo Contributo ad unacritica, del 1859, Marx aveva già cancellato il pregiudizio frequente presso gli slavofili, ed eretto in credo messianico da Herzen, "che la forma primitiva della proprietà comune è una forma specificamente slava, anzi esclusivamente russa". Ne segnala allora l'esistenza presso i Romani, i Germani, i Celti e, soprattutto, in India.

[16] Lewis Morgan, Ancient Society, 1877.

[17] "Un uomo non può ridiventare un bambino senza ritornare all'infanzia. Ma non si rallegra dell'ingenuità del bambino, e non deve egli stesso aspirare a riprodurre, ad un livello più elevato, la sincerità del bambino? Perché l'infanzia sociale dell'umanità, sul più bello della sua dissoluzione, non eserciterebbe, come una fase mai scomparsa, un'eterna attrazione? (Karl Marx, Introduzione alla critica dell'economia politica, 1857. Questo testo importante - le frasi precedenti si riferiscono all'arte greca - fu pubblicata, postumo da Karl Kautsky nel 1903.

[18] Alcuni mesi dopo la morte di Marx, Engels scoprì nella stanza da lavoro del suo amico, due tonnellate di materiali statistici russi. Ne espresse la sua amarezza in una lettera a Sorge, persuaso che questa massa di documenti aveva impedito Marx di terminare il tomo II di Il Capitale.

[19] Vedere la lettera di Jenny Marx a Frederich Engels, gennaio 1870.

[20] Marx a Danielson, il 22/3/1873- Passaggio tradotto dalla traduzione tedesca- la maggior parte delle lettere sono scritte in inglese- da Kurt Mandelbaum, Die Briefe von Karl Marx und F. Engels an Danielson, Leipzig, 1929. Vedere anche Marx-Engels, Correspondance - t. 12, tradotto per la cura di Gilbert Badia e Jean Mortier, Editions Sociales, Paris, 1989, p. 266-267.

[21] Artel, specie di associazione cooperativistica fondata sul consenso formale o tacito di artigiani eguali. Questa istituzione specificamente russa risale da un'antichità remota.

[22] In un articolo scritto su richiesta di Marx, Friedrich Engels, rispondendo alla Lettera aperta che gli aveva spedito il populista Tkacev sulle colonne Volksstaat (Zurigo, 1874), aveva già formulato la tesi condizionale sul futuro del socialismo in Russia, così come Marx l'espose in risposta a Mikhailovski e a Vera Zasulich. Pur ammettendo che l'esistenza del mir e dell'artel testimoniano la potente volontà di associazione del popolo russo, Engels si rifiuta di credere che questa sola volontà possa bastare per far passare la Russia, con un salto, e senza conoscere la tappa borghese, nell'ordine socialista. I contadini russi potrebbero evitare questa fase intermedia, e la comune rurale russa potrebbe elevarsi ad una forma sociale superiore, "se nell'Europa occidentale, prima della decomposizione totale della proprietà comunale, una rivoluzione proletaria trionfasse, fornendo al contadino russo le condizioni di questa transizione... Se la comune russa può ancora essere salvata e se un'occasione può essergli fornita nel trasformarsi in una forma nuova, realmente fattibile, è unicamente grazie ad una rivoluzione proletaria in Europa occidentale". Circa 20 anni dopo, Engels, nelle sue lettere a Danielson sarà molto più scettico rispetto a questa prospettiva, perché, precisamente, "l'Occidente non si era mossa" (Lettera del 17 ottobre 1893).

[23] Il testo e il facsimile dell'originale sono stati pubblicati in Francia, nel 1931, nel n°2 di "La Critique Sociale", (M. Rivière, édit.).

[24] In una delle copie di prova della sua risposta, Marx annotò a questo proposito: "I Marxisti russi di cui mi parlate mi sono del tutto sconosciuti. I Russi con i quali ho dei rapporti personali hanno, per quanto ne so, delle vedute del tutto opposte".

[25] Dopo l'assassinio di Alessandro II, Marx in una lettera a sua figlia Jenny Longuet, parla degli autori dell'attentato in questi termini: "Sono degli individui fondamentalmente abili, senza pose melodrammatiche, semplici, positivi, eroici... Essi si sforzano di mostrare all'Europa che il loro modo di agire è specificatamente russo, storicamente inevitabile, una forma di terremoto di Chio". In occasione di un meeting slavo per la celebrazione dell'anniversario della Comune, Marx e Engels salutarono l'attentato contro Alessandro II come un "avvenimento che, dopo lotte lunghe e violente, condurrà finalmente alla creazione di una comune russa".

[26] Maxime Kovalevski, autore di una monumentale Storia dello sviluppo economico dell'Europa sino agli inizi del capitalismo, è uno dei migliori storici della comune rurale, ne fu il difensore alla Duma contro la riforma agraria di Stolipin - fu un discepolo diretto di Marx che lo incoraggio a dedicarsi alle ricerche nel campo della storia economica. Marx conosceva la sua opera sulla proprietà comunale rurale e ne fece degli estratti. Alcuni mesi prima della morte, Marx leggeva anche: V. Vorontsov, Le sort du capitalisme en Russie.

[27] La prima traduzione russa del Manifesto era stata fatta da Bakunin, nel 1860.

[28] Sarebbe interessante esaminare alla luce delle presenti considerazioni la posizione teorica di Lenin all'interno della socialdemocrazia russa nei confronti del problema contadino. Se Lenin pretendeva, contro i narodniki (e contro Marx!) che la comune rurale russa non era un fenomeno naturale e spontaneo, ma una creazione del medioevo (vedere il suo articolo del 1897: Per caratterizzare il romanticismo economico) e che si doveva applicare alla "Santa Russia l'analisi del capitalismo e delle sue manifestazioni date dal pensiero europeo di avanguardia" (Quale eredità rinneghiamo?) - Lenin aveva proceduto in una simile analisi nella sua opera Sullo Sviluppo del capitalismo in Russia, sin dal 1899 -, egli si opponeva, all'interno del partito, alla sottovalutazione del ruolo rivoluzionario della classe contadina russa. Tuttavia, l'esame e la discussione di questo problema esce dal quadro che ci siamo posti nel presente saggio.


 

[Traduzione di Ario Libert]

Condividi post
Repost0
23 maggio 2010 7 23 /05 /maggio /2010 05:00

Repin.-Arresto-e-perquisizione-di-un-populista.jpg

 

Karl Marx e il socialismo populista russo

arton477.png

 

 Maximilien Rubel  

I. Storia di una dimenticanza storica

Plekhanov.jpg
All'inizio degli anni 80 del XIX secolo, la colonia dei rivoluzionari russi rifugiata a Ginevra accolse nei suoi ranghi molte nuove reclute che avevano svolta la loro militanza iniziale nel primo movimento socialista  che conobbe la Russia degli zar: il populismo (narodnicestvo) [1]. (Quattro di questi nuovi arrivati saranno, alcuni anni più tardi, i pionieri della socialdemocrazia russa di orientamento marxista: Georgij Valentinovič Plechanov, Pavel Axelrod, L. Deutsch e Vera Zasulich [2].
 
Axelrod.gifPrima della loro conversione al Marxismo, essi erano appartenuti ad una delle organizzazioni illegali del movimento populista che, nel 1879, dopo il mancato attentato dell'istitutore A. Soloviev contro Alessandro II, si era scisso in due frazioni: il gruppo detto Frazione Nera (Tchnorny Perediel) e quello di Volontà del popolo (Narodnaia Volia). Unanimi sullo scopo da raggiungere- il loro programma era insomma la realizzazione del socialismo agrario sognato da tutti gli ideologi populisti, da Herzen a Cernyševkij ed a Lavrov - essi erano in disaccordo sui metodi di lotta da impiegarsi nella prospettiva di rovesciare il regime zarista.

Lev-Grigoriyevich-Deich--alias--Leo-Deutsch.gifMentre il primo gruppo voleva rimanere fedele alle tradizioni populiste intensificando la propaganda nei villaggi e rifiutando di dare alla loro andata verso il popolo un significato politico, il secondo proclamava la necessità di entrare nella lotta diretta sistematicamente condotta  contro l'autorità, per accelerarne l'affondamento e raggiungere così un obiettivo politico importante: la convocazione di un'assemblea costituente.

Vera-Zasulich.jpgI quattro emigrati si erano uniti alla frazione dello Tchony Perediel. Espatriando, non pensavano di mettersi al riparo delle persecuzioni poliziesche e rinunciare alla lotta rivoluzionaria e non era un caso se essi avevano scelto la città di Ginevra come luogo di incontro. Tranne Pavel Axelrod, nessuno di essi aveva ancora raggiunto la trentina. Essi provavano il bisogno di istruirsi e di conoscere il movimento socialista occidentale il cui teorico di genio aveva acquisito nei mezzi universitari russi una reputazione prodigiosa. È a Ginevra che si era formata la sezione russa dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, sezione che, sin dal 1870, aveva incaricato Karl Marx di rappresentarla in seno al Consiglio generale di Londra. Certo, l'Internazionale aveva allora cessato di esistere, ma era noto che Marx continuava a intrattenere con gli ambienti rivoluzionari russi di Ginevra dei rapporti stretti e ad intervenire nelle polemiche tra i discepoli del defunto Bakunin ed i "marxisti".

Chernychevsky.jpgI giovani populisti parteciparono attivamente alle discussioni tra i diversi gruppi in un'atmosfera di libertà che essi non avevano conosciuto prima di aver abbandonato la loro patria. Un solo problema turbava i loro spiriti nutriti delle idee e dell'idealismo di Chernychevski (il cui messaggio era loro giunto dalle più remote profondità della Siberia), di Lavrov, di Mikailovski e di Tkatchev: i destini della Russia. La lettura del Capitale-tradotto in russo sin dal 1872- la censura zarista avendone autorizzata la pubblicazione, "benché l'autore fosse un socialista convinto, il rigore scientifico dell'opera lo rende difficilmente accessibile al lettore comune"- doveva far vacillare le nazioni dell'Occidente sulla via verso il socialismo. Non era logico che essi attribuissero a se stessi questa frase della prefazione del Capitale destinata al lettore tedesco, scettico in quanto allla sorte riservata al suo paese dall'"ineluttabile necessità" dello sviluppo capitalista, frase che terminava con l'adagio latino: De te fabula narratur, è la tua storia che racconto? E, qualche riga oltre, Marx non intendeva la Russia quando affermava che "il paese più sviluppato industrialmente non fa che mostrare al paese meno sviluppato l'immagine dell'avvenire che lo aspettava?".  E più in là ancora, non è della Russia che si parlava quando, tra l'altro, si leggeva: "Ogni nazione può e deve andare alla scuola dagli altri. Anche quando una società ha scoperto la legge naturale, che presiede al suo movimento... non può  né superare con un salto né abolire con dei decreti le fasi del suo sviluppo; ma può abbreviare e alleviare le doglie del proprio parto"?
 
Lavrov.jpgI populisti si sentivano schiacciati sotto il peso del pesante apparato di ragionamenti scientifici con il quale Marx esponeva la legge bronzea dell'evoluzione sociale. Eppure,- la traduzione russa del Capitale non aveva come autori due populisti di chiara fama, Nikolai-on, (pseudonimo di Nikolai Danielson); e Lopatin, noti per la loro incrollabile fede nel genio eccezionale del contadino russo? Non era noto, inoltre, che Piotr Lavrov, militante intrepido nel corso degli anni 1860-70 dell'organizzazione populista rivoluzionaria Zemlia i Volia (Terra e Libertà), autore anonimo delle Lettres historiques écrites en Sibérie, la cui influenza era stata profonda sull'intellighentia, viveva,  dopo aver preso la strada dell'esilio e collaborato ai progetti dell'insegnamento popolare elaborarti dalla Comune del 1871, in intimità di Marx e  di Engels, a Londra, dove dirigeva la rivista socialista Vperiod! (Avanti!) nel migliore spirito del populismo [3]? E nella postfazione della seconda edizione del Capitale, così opprimente per ogni populista bruciante dal desiderio di vedere trionfare la sua causa, Marx non parlava di N. Chernychevski, apostolo e martire del populismo, come del "grande erudito e critico russo"?
Nikolai-Konstantinovich-Mikhailovsky.jpgNon è affatto improbabile che i nostri quattro populisti siano espatriati con il solo pensiero di trovare, a Ginevra, una risposta definitiva a tutti questi interrogativi sconcertanti e che, una volta in questa città, essi abbiano preferito sollecitare Marx, per ricevere la soluzione del problema che era la loro ragione di vivere e di lottare: la Russia può seguire la propria via rivoluzionaria  differente da quella del mondo occidentale e del suo mostruoso sistema economico?
Marx.jpgIl 16 febbraio 1881, Vera Zasulic inoltrò, a nome del suo gruppo, una lettera a Karl Marx in cui ricordò, innanzitutto, la grande popolarità  di cui godeva il suo Capitale in Russia, i cui rari esemplari sfuggiti al sequestro erano "letti e riletti dalla maggior parte delle persone più o meno istruite [4]" di questo paese. "Ma, scriveva, quel che ignorate probabilmente è il ruolo che il vostro Capitale svolge nelle nostre discussioni sulla questione agraria in Russia e sulla nostra comune rurale". Le idee di Chernychevski, lungi dall'essere state dimenticate dopo la sua partenza per l'esilio, conobbero al contrario un successo crescente. In quanto al problema della comune rurale: la vita e la morte del "partito socialista" russo dipende dalla soluzione che gli si dà. Da questo modo di vedere o da un altro [5], su questa questione dipende anche il destino personale dei nostri socialisti rivoluzionari". È vera Zasulic a porre l'alternativa seguente in cui enuncia con una perfetta chiarezza e con il massimo di concisione le prospettive teoriche dello sviluppo economico e sociale della Russia: "Delle due una: o questa comune rurale, affrancata dalle esigenze smisurate del fisco, dai pagamenti ai signori e dall'amministrazione arbitraria, è capace di svilupparsi sulla strada socialista, cioè ad organizzare a poco a poco la sua produzione e la sua distribuzione dei prodotti su basi collettivistiche. In questo caso il socialista rivoluzionario deve sacrificare tutte le sue forze all'affrancamento della comune ed al suo sviluppo.
Danielson.jpg"Se al contrario la comune è destinata a perire, non resta al socialista, in quanto tale, che dedicarsi ai calcoli più o meno malfondati per scoprire in quante decine d'anni la terra del contadino russo passerà dalle sue mani in quelle della borghesia, in quante centinaia di anni, forse, il capitalismo raggiungerà in Russia uno sviluppo simile a quello dell'Europa Occidentale. Dovranno allora fare la loro propaganda unicamente tra i lavoratori delle città che saranno continuamente diluiti nella massa dei contadini, la quale a seguito della dissoluzione della comune, sarà gettata sul lastrico delle grandi città alla ricerca del salario".
Das-Kapital.jpgLa lettera mette in seguito in gioco i Marxisti (sic!) che basando le proprie affermazioni sull'autorità del loro maestro, dichiarano che "la comune rurale è una forma arcaica che la storia, il socialismo scientifico, in una parola tutto quanto c'è di più indiscutibile, condannano a perire". Quando si obietta a questi sedicenti discepoli di Marx che quest'ultimo, in Il Capitale (tomo I), non tratta della questione agraria e non parla della Russia e che, di conseguenza, la condanna della comune contadina non potrebbe essere dedotta dalle teorie marxiane, la replica è la seguente: Marx l'avrebbe detto, se parlava del nostro paese. Terminando, Vera Zasulich chiede a Marx, con manifesta insistenza, di esporre, magari se non in modo dettagliato, almeno sotto  forma di lettera - che verrebbe pubblicata in Russia - le sue idee sul "possibile destino" della comune rurale e sulla "teoria della necessità storica per tutti i paesi del mondo di passare attraverso tutte le fasi della produzione capitalista".
Marx, ha risposto a questa lettera?
Marx-e-Lopatin.jpgTrenta anni trascorsero prima che questa domanda fosse posta per la prima volta: nel 1911, David Riazanov, ordinando le carte di Marx conservate da Paul Lafargue, scoprì diversi fogli in-ottavo pieni di una scrittura minuta, familiare al ricercatore sperimentato. Vi erano numerose cancellature, numerosi passaggi intercalati ed aggiunti, poi di nuovo cancellati. Riazanov comprese presto che si trattava di diverse brutte copie di una risposta scritta da Marx alla lettera di Vera Zasulic del 16 febbraio 1881. Una di queste brutte copie reca la data 8 marzo 1881 e sembrava essere la risposta definitiva di Marx.
Spinto da una legittima curiosità, Riazanov scrisse innanzitutto a Plechanov per chiedergli se avesse conoscenza di una risposta di Marx alla lettera di Vera Zasulich. Plechanov gli rispose di non saperne nulla. Il risultato fu identico, quando Riazanov pose la stessa domanda a Vera Zasulich e, probabilmente anche a Pavel Axelrod. Nessuno degli antichi membri del Tchony Perediel si ricordava più se Marx aveva risposto alla loro domanda che, come diceva Vera Zasulic nella lettera che aveva indirizzato in nome dei suoi amici, era per essi "una questione di vita o di morte".
Ora, non è che dodici anni più tardi che l'enigma fu risolto, la lettera di Marx essendo stata ritrovata negli archivi di Pavel Axelrod, a Berlino [6].
Engels.jpgChe gli antichi populisti e tra di essi la destinataria della lettera di Marx abbiano dimenticato in modo così definitivo il fatto che l'autore di Il Capitale aveva preso posizione nei confronti del narodnicestvo non può mancare di meravigliare. Così Riazanov si vede obbligato a riconoscere "che questa dimenticanza, proprio a causa del particolare interesse che una simile lettera doveva suscitare, possiede uno strano carattere ed offre probabilmente allo psicologo specialista uno degli esempi più notevoli dell'insufficienza straordinaria del meccanismo della nostra memoria [7].
Senza invadere il campo dello psicologo professionista, possiamo tuttavia formulare alcune ipotesi suscettibili di darci la chiave di un oblio che saremmo tentati di assimilare ad una cospirazione del silenzio.  
Tkacev.jpgMa prima  di azzardare una di queste ipotesi, potremmo, in tutta logica, supporre che la risposta che Marx aveva inviato alla sua interrogatrice non aveva fatto che confermare le argomentazioni per mezzo delle quali i "marxisti" russi di Ginevra, forti dell'autorità del loro maestro, avevano demolito le tesi o piuttosto le illusioni dei populisti. Questi ultimi non avrebbero, di conseguenza, appreso nulla di nuovo nella lettera di Marx che, diamo alla nostra supposizione il massimo di verosimiglianza- si sarebbero attenuti alle teorie scientifiche generali sviluppate nella sua opera principale. Questa supposizione sembra tanto più legittima in quanto sapiamo che, due anni appena dopo l'invio della Lettera di Vera Zasulich, quest'ultima ed i suoi amici del Tchorny Perediel erano diventati marxisti.
Così, nella prefazione che egli scrisse per la traduzione russa di Socialismo utopistico e Socialismo scientificodi Frederich Engels (Ginevra, 1884), Vera Zasulich segnala, con un tono di assoluta convinzione, l'irresistibile processo di disgregazione della comune rurale russa la cui autonomia ancestrale era visibilmente in fase di sbriciolarsi a profitto del contadino ricco, il kulak, facendo apparire la tendenza crescente verso un'accumulazione capitalista dovuta all'estensione della grande industria. Il destino della Russia essendo indissolubilmente legato a quello dello sviluppo dell'Europa occidentale, nulla poteva più arrestare questa decomposizione del mir [8], a meno che una rivoluzione socialista in Occidente, ponendo anche termine al capitalismo in Oriente, trovi ancora alcuni residui dell'antica proprietà comunale e li salvino dalla sparizione totale. Quest'ultima restrizione era, sotto la penna di Vera Zasulich, come unica concessione che era disposta a fare al populismo che aveva da poco abbandonato.  

Herzen-con-Ogarev.jpg

Da parte sua, Plechanov, nel suo libro Le nostre differenze del 1883, polemizzando con il populista Tkacev, ruppe deliberatamente con il suo passato di populista: era diventato, con Vera Zasulich e Pavel Axelrod, il fondatore della prima organizzazione marxista russa, il gruppo detto dell'Emancipazione del Lavoro da cui nascerà più tardi il partito socialdemocratico russo. Oramai, non è più il contadino che sarà considerato come il motore umano della futura rivoluzione russa, ma l'operaio delle città.

II. Abbozzo di una teoria dello sviluppo storico della Russia

Volgiamo ora la nostra attenzione verso le copie di prova della lettera-risposta di Karl Marx così come esse furono rese pubbliche nel 1925, ed esaminiamo se queste note contengono gli elementi di una teoria sullo sviluppo economico e sociale della Russia, e se questi elementi erano di natura a fornire una giustificazione teorica al rigetto delle concezioni populiste così come fu fatto dagli ex-populisti, diventati marxisti.  

Su quattro, tre sono molto più lunghe della lettera definitiva stessa, una, quella che reca la stessa data della lettera, è più corta di quest'ultima. Sulle tre copie di prova di grandi dimensioni, una è circa undici volte più lunga, e le due altre sono circa cinque volte più lunghe della lettera propriamente detta, contando le numerose ripetizioni [9]. 

Cerchiamo di evidenziare dall'insieme di questi abbozzi di una teoria sociologica dello sviluppo della Russia le principali tesi esposte da Marx in risposta alle domande formulate nella lettera di Vera Zasulich.  

1.- La genesi del capitalismo ed il problema dello sviluppo economico della Russia.  

Alexander_Herzen_by_Vallotton.jpgAlla base della genesi del modo di produzione capitalista, c'è, ricorda Marx citando il Capitale, "la separazione del produttore dai mezzi di produzione" e, più particolarmente, "l'espropriazione dei coltivatori". Questo processo si è compiuto sino ad ora, nel modo più radicale in Inghilterra, ma "tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale percorreranno lo stesso movimento".

Marx sottolinea con particolare insistenza il fatto di aver "espressamente" ristretto la "fatalità storica" di questo movimento ai paesi dell'Europa occidentale [10].  

Già nella sua replica a Nikolai Michajovskij, che egli redasse in francese nel 1877, e che si astenne a rendere pubblica - essa fu scoperta dopo la sua morte e pubblicata nel 1884- Marx si era opposto contro il tentativo dei suoi interpreti di presentare il suo abbozzo sulla genesi del capitalismo nell'Europa occidentale come una "teoria storico-filosofica del cammino generale, fatalmente imposto a tutti i popoli, qualunque siano le circostanze storiche in cui essi si trovino posti". Per confondere questi esegeti troppo zelanti, Marx aveva richiamato alcuni passaggi del Capitale che trattavano le sorti dei plebei dell'antica Roma. "Erano originariamente dei contadini liberi, che coltivavano, ognuno per proprio conto, le loro piccole particelle. Nel corso della storia romana, essi furono espropriati. Lo stesso movimento che li separò dai loro mezzi di produzione e di sussistenza implicò non soltanto la formazione di grandi proprietà fondiarie, ma anche quella di grandi capitali monetari. Così un bel mattino c'erano da una parte, degli uomini liberi denudati di tutto tranne che della loro forza lavoro, e dall'altra, per sfruttare questo lavoro, i detentori di tutte le riccezze acquisite. Cosa accadde? I proletari romani divennero, non dei lavoratori salariati, ma un mob fannullone più abietto degli odierni poor white dei paesi meridionali degli Stati Uniti; ed accando ad essi si dispiegò un modo di produzione non capitalista, ma schiavistico. Dunque, degli avvenimenti di un'analogia notevole, ma che avvengono in ambienti storici differenti, portarono a dei risultati del tutto disparati. Studiando ognuna di queste evoluzioni a parte, e comparandole in seguito, troveremo facilmente la chiave di questi fenomeni, ma non vi riusciremmo mai con il passe-partout di una teoria storico-filosofica la cui suprema virtù consiste nell'essere sovrastorica" [11].

È dunque nei paesi industrializzati, ed in nessuna altra parte, che la trasformazione dei mezzi di produzione individuali in mezzi di produzione "socialmente concentrati" e la sostituzione della proprietà privata capitalista alla proprietà privata fondata sul lavoro personale assumendo l'aspetto di un'implacabile legge storica.

In quanto alla Russia, non si pone la questione di una simile sostituzione, per la semplice ragione che l aterra posseduta dai contadini russi "non è e non è mai stata la proprietà privata del coltivatore" [12]. Di conseguenza, se esiste una necessità storica della dissoluzione del Mir, essa è indipende dalle leggi dello sviluppo economico in Europa occidentale. Affinché il capitalismo divenga anche il destino della Russia, bisognerà che la proprietà comune si trasformi in proprietà privata.

Repin.-Studente-nichilista.jpg

2. - I tipi arcaici della proprietà comune.  

In quasi tutte le copie di prova, Marx fa allusione ai diversi tipi arcaici della comune rurale ai quali aveva sempre dedicato una particolare attenzione, le sue vedite a questo proposito evolvevano a mano a mano che studiava le opere degli specialisti in questa materia, come Haxthausen, Maurer, Henry Maine, Morgan, ecc. E così, egli ancor prima di aver letto questi autori, parla con poca simpatia del sistema di villaggio dell'India, vedendovi il fondamento del dispotismo orientale [13], mentre, in seguito, rimase ammirato davanti alla tenace vitalità di queste comunità di villaggio che offrivano, al contrario del caos della divisione sociale del lavoro ed al dispotismo della divisione manifatturiera del lavoro sotto il regime capitalita, "l'immagine di un'organizzazione del lavoro sociale conformemente ad un paino e ad un'autorità" [14].

È soprattutto dopo aver letto l'opera di Georg Ludwig von Maurer sulla comune tedesca che Marx concepì l'idea estremamente favorevole di questa istituzione arcaica, giungendo a vedervi la prefigurazione della futura forma dell'organizzazione economica e sociale. Questa svolta del suo pensiero si verifica nella sua corrispondenza con Engels, che egli mette a corrente sull'impressione lasciatagli dalla lettura di Maurer. Marx vi trovava una conferma delle sue proprie tesi, soprattutto che la proprietà privata è posteriore al comunismo primitivo; le forme di proprietà asiatiche ed indiane sono le prime in Europa. "In quanto ai Russi, l'ultima traccia di una pretesa of originality sparisce egualmente, anche in this line. Ciò che resta loro, è di conservare ancor oggi delle forme che i loro vicini hanno da lungo abbandonato" [15] (14 marzo 1868).

Poi, sempre a proposito dell'opera di Maurer: "Avviene per la storia umana quanto accade per la paleontologia. A causa di un certo judicial blindness, le migliori teste non si accorgono, per principio, delle cose che si trovano davanti al loro naso. Più tardi, giunto il momento, ci si accorge che i fatti non percepiti rivelano ovunque ancora le loro tracce. La prima reazione contro la rivoluzione francese ed i lumi che essa apportava fu naturalmente di giudicare tutto da un punto di vista medievale, romantico... La seconda reazione - quella che corrisponde all'orientamento socialista, benché i suoi rappresentanti eruditi non ne abbiano affatto coscienza- consiste nel guardare, oltre il medioevo, verso i tempi primitivi di ogni popolo. Questi ricercatori sono allora sorpresi di scoprire nei fenomeni più antichi i fatti più nuovi..." (25 marzo 1868).  

Morgan.jpgNegli abbozzi delle sue lettere a Vera Zasulich, Marx insiste sulle idee di Maurer, e cita Lewis Henry Morgan in appoggio della tesi secondo la quale la comune russa sia fattibile. Infatti, una delle circostanze favorevoli alla sua conversione è, secondo Marx, che il sistema capitalista occidentale- a cui essa ha avuto la fortuna di sopravvivere, quando era intatto- si trova- si trova oramai in stato di crisi permanente, crisi che non potrà finire che con la sparizione del sistema capitalista e con un ritorno delle società moderne al tipo "arcaico" della proprietà comune, forma in cui- come dice un autore americano [16], tutt'altro che sospetto in quanto a tendenze rivoluzionarie... - "il nuovo sistema" a cui la società moderna tende "sarà una rinascita (a revival) in una forma superiore (in a superior form), di un tipo sociale arcaico". E Marx aggiunge: "Dunque, non bisogna lasciarsi troppo spaventare dalla parola arcaico".

Così la posizione teorica di Marx nei confronti delle forme primitive del comunismo agrario, contrassegnata innanzitutto dall'apprezzamento negativo della loro importanza e delle loro virtualità, è evoluto, grazie ad una migliore conoscenza della letteratura concernente specialmente questa materia, verso una concezione nettamente positiva del loro ruolo nello sviluppo storico delle società umane. Questa evoluzione del pensiero di Marx si esprime chiaramente in una frase di uno dei suoi abbozzi in cui egli sostiene che "i popoli presso i quali (la produzione capitalista) ha avuto il suo maggiore esordio in Europa e negli Stati Uniti d'America non aspirano che a spezzare le loro catene sostituendo la produzione capitalista con la produzione cooperativa e la proprietà capitalista con una forma superiore di tipo arcaico della proprietà, e cioè la proprietà comunista" [17].

Repin--Unexpected.jpg

3. - Le prospettive della comune rurale russa.

Mentre si apprestava a rispondere a Vera Zasulich, Marx possedeva delle conoscenze estese sulla situazione economica e sociale della Russia. N. F. Danielson, uno dei principali teorici populisti- pubblicava i suoi articoli ed opere con lo pseudonimo di Nicoali-in- Traduttore di Il Capitale, era in Russia, il suo corrispondente più fedele e gli inviava regolarmente dei documenti- articoli di stampa, materiali, statistiche, opere, ecc. - che Marx aveva intenzione di utilizzare ampiamente per lo studio che pensava di dedicare alla teoria della rendita fondiaria, nei successivi volumi del suo Il Capitale [18] Tutti questi materiali erano in russo, e Marx si era messo a studiare questa lingua sin dal 1869, con un accanimento molto pregiudizievole per la sua salute, già molto compromessa [19]. A partire dal 1873, seguì attentamente le discussioni tra liberali e populisti a proposito dell'obscina e, a proposito di una polemica che aveva portato allo scontro, nel 1856, il filosofo liberale Georgij Vasil'jevič Čičerin ed il giurista slavofilo Bielïayev, Marx scrisse a Danielson: "Il modo in cui questa forma di proprietà si è creata (storicamente) in Russia è, naturalmente, una questione di second'ordine e non inficia in nulla l'importanza di questa istituzione... Inoltre, ogni analogia parla contro Čičerin. Come è possibile che in Russia quest'istituzione sia stata introdotta come una misura puramente fiscale, come un fenomeno accessorio della servitù, mentre ovunque è nata naturalmente ed ha formato una fase necessaria dello sviluppo dei popoli liberi?" [20].

Preparando la sua risposta ai rivoluzionari russi rifugiati a Ginevra, Marx notava con una singolare applicazione tutti gli argomenti favorevoli alle speranze ed attese dei populisti, non senza segnalare i pericoli che minacciavano la sopravvivenza della comune contadina russa. Quest'ultima, grazie ad un concorso unico di circostanze, è stabilita su scala nazionale e potrebbe svilupparsi direttamente come elemento della produzione collettiva nazionale, mettendo a profitto le conquiste economiche, tecniche e sociali dell'Europa occidentale. "Essa si trova così posta in un ambiente storico in cui la contemporaneità della produzione capitalista le presta tutte le condizioni del lavoro collettivo. È in grado anche di incorporare le acquisizioni positive elaborate dal sistema capitalista senza passare attraverso le sue forche caudine", e ciò tanto più facilmente in quanto in quanto possiede l'esperienza secolare del contratto dell'artel [21] suscettibile di affrettare la transizione dal lavoro parcellare al lavoro cooperativo. Molti caratteri specifici distinguono inoltre la comune russa dai tipi di comunità anteriori: non poggia come quest'ultime, sulla parentela naturale dei suoi membri; è dunque più capace di adattarsi e di estendersi al contatto con degli estranei. Poi, ogni coltivatore possiede la sua casa ed il suo cortile individuali. Infine, la terra arabile, pur restando proprietà comunale, si divide periodicamente tra i membri della comune contadina. Questi ultimi "ammettono uno sviluppo dell'individualità, incompatibile con le condizioni delle comunità più primitive".  

Tuttavia, questo dualismo inerente alla natura della comune contadina russa - da una parte: la proprietà comune del suolo, dall'altra: la proprietà (casa e cortile) esclusivo della famiglia individuale e l'appropriazione dei frutti - racchiude dei germi della sua decomposizione. Infatti, l'accumulazione progressiva della ricchezza mobiliare dovuta al lavoro parcellare "introduce degli elementi eterogenei provocanti all'interno della comune dei conflitti di interesse e delle passioni adatte innanzitutto a erodere la proprietà comune delle terre arabili, in seguito quella delle foreste, dei pascoli, terre marginali, ecc., le quali, una volta convertite in annessioni della proprietà privata, alla lunga le soccomberanno".

A tutto ciò viene ad aggiungersi l'influenza nefasta di un ambiente storico sempre più ostile allo sviluppo spontaneo della comune rurale, influenza in grado di poter precipitare la disgregazione di questa istituzione plurisecolare. Lo Stato russo opprime, dopo la cosiddetta emancipazione dei servi, questa comune da ogni specie di esazioni, cercando di acclimatare in Russia "come in una serra" le forme più sviluppate del sistema capitalista, a spese dei contadini.

Repin--rifiuto-della-confessione.jpg

4. - Un'alternativa fatale

Abbiamo visto che, nella sua replica a Mikhailovsky, rimasta inedita mentre era vivo, Marx si era opposto ad un'interpretazione abusiva della sua analisi del capitalismo occidentale e contro la tendenza a trasformare le sue teorie in una dottrina storico-filosofica universalmente valida. Da allora, aveva riassunto il risultato delle sue ricerche effettuate "durante molti anni" nella seguente formula lapidaria: "Se la Russia continua a proseguire lungo il sentiero seguito dal 1861, essa perderà la più bella occasione che la storia abbia mai offerto ad un popolo, per subire tutte le peripezie del regime capitalista". E poco dopo, aveva espresso questo ragionamento ipotetico nei seguenti termini: "Se la Russia tende a diventare una nazione capitalista sul modello delle nazioni dell'Europa occidentale- e durante gli ultimi anni si è data da fare molto in questo senso - non riuscirà senza aver preventivamente trasformato una buona parte dei suoi contadini in proletari; e dopo di ciò, condotta nel girone del regime capitalista, ne subirà le spietate leggi come altre nazioni profane" [22].

Nei suoi appunti per la risposta ai populisti, Marx presenta questa ipotesi sotto forma di un'alternativa, derivante dal carattere dal carattere dualistico "innato" della comune rurale: o "il suo elemento di proprietà prevarrà sul suo elemento collettivo, o questo si impone su quello. Tutto "dipende dall'ambiente storico nel quale essa si trova". Esiste dunque non una "fatalità storica" né in un senso né in quello opposto: né la dissoluzione della comune rurale né la sua sopravvivenza sono fatali, considerate isolatamente. Soltanto quest'alternativa lo è.

Ora, per decidere del probabile futuro della comune, Marx, fedele ai principi etici così come li aveva enunciati nelle sue Tesi su Feuerbach, sposta il problema dal campo della teoria in quello della pratica,- della pratica rivoluzionaria: "Qui non si tratta più, egli sottolinea, di un problema da risolvere; si tratta del tutto semplicemente di un nemico da battere. Non è più dunque un problema teorico... Per salvare la comune russa, occorre una Rivoluzione russa... Se la rivoluzione si fa al momento opportuno, se essa concentra tutte le sue forze, per assicurare il libero sviluppo della comune rurale, quest'ultima si svilupperà presto come elemento rigeneratore della società russa e come elemento di superiorità sui paesi asserviti dal regime capitalista". Una volta assicurate le sue nuove assise, la comune rurale russa "può diventare il punto di partenza diretto del sistema economico al quale tende la società moderna e cambiare pelle senza cominciare dal suo suicidio".

Condividi post
Repost0

Presentazione

  • : La Tradizione Libertaria
  • : Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
  • Contatti

Link