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30 settembre 2015 3 30 /09 /settembre /2015 05:00

Il fascismo tedesco all’attacco

Helmut Wagner

I

La creazione della “Grande Germania” costituisce il punto decisivo del programma del fascismo tedesco e l’obbiettivo che esso persegue con più tenace fanatismo. Il graduale logoramento del Trattato di Versailles, la surrettizia “coordinazione” di Danzica, la conquista delle regioni tedesche dei Sudeti attraverso il partito di Henlei in Cecoslovacchia, e la lenta penetrazione nell’Austria, parallela al riarmo interno della Germania stessa, sono altrettante tappe della preparazione tedesca alla prima azione aperta. L'Anschluss con l’Austria fu programmato proprio in questo modo, anche se il momento dell’intervento decisivo fu determinato dagli eventi stessi: da un lato, la necessità di Hitler di contrapporre un decisivo successo esterno alla sconfitta interna subita in occasione del processo di Niemohller e alla parziale ribellione dei generali; e dall'altro la vittoria della politica esterna di Chamberlain in Inghilterra e la crisi governativa in Francia. Hitler riuscì a conseguire questo successo senza correre rischi di sorta; il che dimostra una volta di più la superiorità dell’aggressiva politica estera fascista - per la quale la preparazione bellica diventa il principale strumento di diplomazia imperialistica - nei confronti del tradizionale gioco politico portato avanti dalle potenze aderenti alla Società delle Nazioni.

Hitler ha abbandonato da tempo il tentativo di realizzare le sue vaghe idee socialiste, ma sarebbe del tutto inadeguato caratterizzarlo come mero “strumento” del grande capitale tedesco. Il fascismo tedesco va visto come un processo economico e politico che crea condizioni di esistenza qualitativamente nuove per il capitalismo monopolistico, il quale, dopo aver sfiorato il crollo nella crisi del 1929-1933, ha infine ceduto gran parte delle sue funzioni sociali e politiche all'apparato statale fascista, affidandogli il compito di abbattere quelle barriere della proprietà privata divenute ormai un ostacolo al suo ulteriore sviluppo. Questa trasformazione dell’ordine sociale in Germania dimostra ancora una volta che non esiste una situazione dalla quale il capitalismo non possa trovare una via d’uscita, e che il sistema capitalistico non “crollerà” automaticamente se gli operai, come accadde in Germania dal 1918, mancano di riconoscere la loro decisiva funzione sociale. L’imperialismo non è “la fase suprema” del capitalismo: questo è, invece, sempre in grado di imporre la sua persistenza con forme sempre più efficaci e violente. La teoria secondo la quale il socialismo è un risultato emanato dal processo di concentrazione capitalistico viene spesso fraintesa in senso meccanicistico, ma in realtà essa significa, dal punto di vista economico, che il capitale monopolistico richiede ad un certo punto del suo sviluppo l’abolizione delle barriere fra i gruppi monopolistici privati in concorrenza fra di loro e la creazione di una forma meno ristretta di organizzazione e di controllo. Con ciò non viene detto niente circa i contenuti sociali del progresso organizzativo richiesto dal capitale monopolistico. Se gli operai non completano questo processo in senso socialista, esso verrà completato dai fascisti in senso capitalista con l’aiuto dell’apparato statale totalitario che, lentamente e contraddittoriamente, si trasforma da capitalista complessivo meramente “ideale” in un capitalista complessivo in carne ed ossa, quale Marx, ai tempi della democrazia liberale, non poteva neanche sognare.

In questo senso il capitalismo di stato dell’Unione sovietica costituisce il principale modello economico ed “ideale” del fascismo tedesco. Una delle principali debolezze dell’opposizione antifascista tedesca ed internazionale è proprio la sua mancanza di una adeguata concezione di questo processo sociale di transizione. Pure, lo studio attento di questo evento e la conoscenza della concreta struttura del fascismo è mille volte più importante del moralistico “smascheramento” dei suoi oltraggi. Agli inizi del 1933, la classe dirigente tedesca, ormai sull'orlo della bancarotta economica e sociale, consegnò il potere statale al Partito nazionalsocialista; ma né il partito di Hitler né la borghesia tedesca erano allora coscienti delle conseguenze che un passo del genere avrebbe avuto. Hitler non poteva mantenersi al potere se non abolendo gradualmente gli ostacoli politici che, da un lato, bloccavano la sua politica di creare lavoro a spese del reddito medio e, dall'altro, frenavano il suo programma di riarmo forzato a spese dei vari interessi capitalistici privati. Egli perseguì, quindi, la classica politica di “un colpo al cerchio e un colpo alla botte”, liberando da una parte gli industriali tedeschi dalla pressione delle lotte operaie per sottometterli però, dall'altra, alla sua politica statale e militare. Un gruppo capitalistico dopo l’altro perdette così il potere di disposizione sul suo capitale e sui suoi prodotti, nel quadro del programma hitleriano di militarizzazione dell’industria tedesca che, nonostante le resistenze e le lacune ancora persistenti, sta per essere gradualmente portato a termine.

In questo nuovo assetto socio-economico la massimizzazione dei profitti costituisce ancora la base del sistema, ma gli imprenditori hanno perduto il potere di comando che il profitto aveva loro fin ad ora assicurato. Le funzioni classiche del capitale sono ora sotto il controllo dello stato, che ha asservito le forze produttive alla sua politica di preparazione nazionale totalitaria alla guerra. Questo processo è ben lontano dall'essere concluso o scevro di contraddizioni; il solo fatto che lo sviluppo continui a procedere sulla base del mantenimento, anche se in forme diverse, dell’appropriazione privata del profitto, dà origine a momenti di pericolosa tensione. Se, nonostante tutto, esso va avanti, ciò è dovuto, oltre che alla forza dell’apparato statale, soprattutto al fatto che la politica economica del governo favorisce direttamente e in maniera decisiva le grandi imprese edili e i tre grandi gruppi industriali: industria estrattiva, industria pesante ed industria chimica. La politica hitleriana del riarmo va anche incontro agli interessi immediati dei grandi monopoli che, già burocratizzati e spersonalizzati, non hanno da opporre grandi resistenze alla sostituzione dell’iniziativa privata con quella pubblica. Per queste industrie sono infatti assai più redditizie ordinazioni statali a lunga scadenza anche con un ristretto margine di profitto, che non guadagni più alti ma irregolari costantemente esposti alla minaccia di crisi capaci di mettere in pericolo i loro programmi di continuo ampliamento e rinnovamento degli impianti.

Così la politica economica fascista non è “agli ordini” del capitale monopolistico, nonostante quest’ultimo ne costituisca, in ultima istanza, l’asse portante. La posizione tenuta dallo stato fascista tedesco in relazione alla sua economia ne rafforza incommensurabilmente l’azione rispetto, ad esempio, alle possibilità che Roosevelt ha a disposizione, in quanto la centralizzazione di tutte le funzioni politiche nelle mani dell’apparato statale permette a quest’ultimo di sfruttare al massimo grado i mezzi e le riserve del paese. (Ciò spiega perché le catastrofi pronosticate da tanti osservatori che analizzano l’economia tedesca sulla base di parametri liberali non si siano verificate). Si può quindi a buon diritto affermare che il capitalismo di stato fascista è riuscito, almeno per il momento, ad allontanare considerevolmente il pericolo del crollo economico. Certo, l’economia totalitaria tedesca non si trova affatto in una posizione ideale. Che la produzione di surrogati non possa neanche lontanamente rimediare alla mancanza di certe materie prime indispensabili dal punto di vista bellico, e che sotto la cappa di piombo della dittatura siano ancora intatti spaventosi antagonismi tra le diverse forze sociali e gli stessi gruppi capitalistici, ben lontani dall'essere uniti, tutto ciò non è altro che l'altra faccia del processo più sopra descritto; e saranno probabilmente queste contraddizioni a fornire gli stimoli che porteranno infine, in una situazione di particolare tensione, all'esplosione del sistema nazionalsocialista. Ma attualmente il fascismo tedesco ha posto sotto controllo questi nodi conflittuali a tal punto da poter sfruttare, proprio come fa il sistema economico sovietico, soltanto i lati positivi della concentrazione economica e sociale. Il Putsch in Austria è stata una mossa importante non solo ai fini della stabilizzazione interna del sistema nazional-socialista, ma anche nel quadro della lotta dell’industria tedesca per la conquista dell’autonomia nel campo delle materie prime (viveri, legname, minerali estrattivi). È vero che non è stata chiesta l’approvazione della borghesia tedesca prima di compiere questo passo; ma la “Grande Germania”, preparata accuratamente sia dal punto di vista economico che politico ed oggi realizzata, spiana la strada all'espansione imperialistica del capitale tedesco verso il sud-est dell’Europa, e serve quindi a puntino gli interessi proprio della classe borghese. Se Hitler non si spinge troppo oltre come ha fatto Mussolini in Abissinia, se, cioè, valuta appena correttamente la situazione politica estera, in modo particolare la politica estera britannica, il “colpo” austriaco non spezzerà, bensì rafforzerà la catena dei suoi successi.

II

Il fascismo tedesco non fu creato nel 1933; le sue radici affondano nel fallimento della “rivoluzione” tedesca del 1918-1919. Gli operai capirono troppo tardi, e solo a livello di avanguardia, che il loro compito storico era di dare inizio ad un processo di socializzazione per distruggere le basi economiche della reazione industriale ed agraria. La codardia e l’ignoranza delle forze socialdemocratiche allora al potere impedirono l’adozione di quelle misure che avrebbero almeno permesso l’instaurazione di una vera democrazia parlamentare in Germania. (L’annientamento dei latifondi feudali avrebbe distrutto una delle colonne portanti del fascismo; l’abolizione degli Sande, accompagnata da una radicale riforma amministrativa avrebbe segnato la condanna a morte del particolarismo reazionario e del sabotaggio degli alti ufficiali; la creazione di una milizia popolare avrebbe sconfitto la reazione dei “corpi volontari” che, dopo aver combattuto come interventisti contro la Russia, continuarono a mettere le loro forze a disposizione di tutte le iniziative di repressione anti-operaia a livello nazionale). Hitler rafforzò notevolmente la sua posizione in Germania proprio emanando una serie di provvedimenti che sarebbe stato compito della repubblica approvare. Con l'Anschluss austriaco egli ha, ad esempio, realizzato l’idea della “Grande Germania” cara non solo ai democratici, ma anche ai socialisti tedeschi sin da prima della rivoluzione del 1848. Mentre Marx ed Engels, Bebel e Lassalle ponevano questa realizzazione fra i compiti della futura rivoluzione tedesca, Bismarck vi aveva rinunciato, accondiscendendo alla “Piccola Germania”, corrispondente agli interessi del re di Prussia. Sulla linea di Bismarck si posero anche i dirigenti della giovane repubblica tedesca, oltre che per indecisione ed ignoranza, anche per il fatto che per loro il problema prioritario era la sconfitta dell’offensiva operaia nell'interesse della borghesia tedesca e della reazione feudale. Ma un campo in cui la socialdemocrazia tedesca, che, nei primi mesi, aveva in mano i destini della repubblica tedesca, dimostrò in modo particolare la sua assenza di programma fu proprio quello della politica estera. Pure l'Anschluss, ratificato dall'85% della popolazione della smembrata Austria sotto la guida più radicale_ dei socialisti austriaci, sarebbe stato possibile anche senza il ricorso a mezzi rivoluzionari, con un minimo di coraggio democratico, attraverso un appello basato sulla “auto-determinazione dei popoli” tratto dai programmi di guerra e di pace dell’Intesa, e ciò molto prima che venissero imposti a Germania ed Austria i trattati di Versailles e di St. Germain. Di più, un governo tedesco forte di un risoluto programma interno e dell’appoggio di larghe masse chiamate a partecipare direttamente alla sua attuazione avrebbe sicuramente avuto molte più probabilità di sconfiggere la reazione dei generali francesi ebbri di vittoria, così come i freddi calcoli ed intrighi della diplomazia britannica. Un tale atteggiamento avrebbe consentito persino di respingere l’invasione che - quando furono occupati il Reno e la Ruhr - i tedeschi dovettero subire senza poter opporre resistenza e a tutto vantaggio della reazione. La storia delle rivoluzioni europee dal 1789 fino al 1917-1919 e, in negativo, l’attuale Guerra civile spagnola dimostrano che una politica interna nettamente rivoluzionaria è l’unica base sulla quale possa essere portata avanti una politica estera nettamente rivoluzionaria. Ci permettiamo qui di ricordare ai nostri lettori che non furono John L. Garvin e Lord Lothian i primi a chiedere una “Mitteleuropa tedesca” (“Observer”, 3/14, 5/16, 1937), bensì i memorandum_ dello stato maggiore inglese sulle condizioni di pace nel 1916, e in modo particolare quello di Sir William Robertson, in data 31 agosto, nel quale egli lodava il memorandum di Lloyd George degno, secondo la sua opinione, dell’intuizione “di un grande statista”, nella misura in cui riconosceva la necessità di conservare una forte Germania nell'Europa centrale, auspicando nel quadro della politica dell’“equilibrio del potere” l’Anschluss di Austria e Germania. Ciò egli affermava, non avrebbe “in alcun modo costituito uno svantaggio” per l’Inghilterra. Così Hitler deve il suo massimo trionfo in politica estera - l’Anschluss - così come la sua vittoria interna, alla debolezza e alla codardia dei padri della repubblica tedesca. E probabilmente è qui che va ricercata la ragione del rinnovato consenso da lui riscosso con questa mossa, dopo anni di malumore e di insoddisfazione fra tutti gli strati della popolazione, presso larghe masse del popolo tedesco.

III

L’Austria post-bellica era, come la Saar nel 1935, matura per l’Anschluss. Dopo la disintegrazione dell’Impero alla fine della Grande guerra, da questo grande corpo smembrato - originariamente composto da sette nazioni, con una popolazione di 56 milioni di anime - erano sorti, sulla base del principio alleato della cosiddetta autodeterminazione dei popoli, tanti staterelli nazionali, uno dei quali - una piccola regione montagnosa attorno a Vienna - venne ora chiamato Austria. Vienna, l’antica capitale di vasti domini, un tempo anello di congiunzione dei traffici tra l’Europa occidentale e quella sud-orientale, ed anche di per sé un importante centro industriale, perdette da un giorno all'altro le sue basi politiche ed economiche. Caduta la domanda del famoso legno austriaco, anche tutta la grande regione industriale a sud di Vienna, un tempo fiorente per l’industria di estrazione del ferro, divenne un’area depressa. L’Austria, il prodotto più infelice degli artefici della pace di Versailles, divenne così, a partire del 1919, una nazione condannata all'eterna miseria, tenuta artificiosamente in vita dalla reciproca pressione delle grandi potenze. Incapace di avere un’esistenza economica e politica autonoma, essa fu posta agli inizi sotto la “protezione” francese, ma quando la Francia, tributaria degli interessi inglesi, cominciò a perdere la sua influenza sulla Piccola Intesa e sulla zona danubiana, l’Austria tedesca divenne praticamente un protettorato dell’Italia che cercava di controbilanciare l’aggressiva avanzata tedesca, finché non fu escogitata la politica dell’Asse. Il prezzo che la reazione clericale austriaca dovette pagare per questa “protezione” fu l’abolizione della democrazia parlamentare, la violenta repressione del movimento operaio e la formazione di un cosiddetto “stato corporativo” sorretto esclusivamente dal clero cattolico, lo stato maggiore della Heimwehr (vassallo dell’Italia) e la borghesia ebraica. Il regime di Dollfuss-Schuschnigg, incapace sia di schiacciare completamente il movimento operaio illegale sia di fermare l’impetuosa avanzata del nazionalsocialismo, era stretto nella morsa di Germania ed Italia ed era destinato a crollare non appena si fosse allentata la pressione di una delle due parti. L’alleanza dell’Asse segnò il destino di Schuschnigg, con l’abbandono da parte dell’Italia di qualsiasi ambizione nei confronti dell’Austria. Col paese economicamente stremato dall’avventura abissina e dall'intervento in Spagna, Mussolini era costretto a venire a patti con l’Inghilterra; e solo l’alleanza col fascismo tedesco, pagata con l’abbandono dell’Austria, poteva ancora assicurargli la possibilità di trattare da una posizione di forza con la diplomazia inglese, che sarebbe ora diventata la principale beneficiaria della guerra spagnola del “duce” italiano. Ma anche così Mussolini fu indubbiamente colto di sorpresa dall’occupazione militare dell’Austria da parte della Germania, e adesso saprà come interpretare l’indirizzo di ringraziamento fattogli pervenire da Hitler nei termini seguenti: “Mussolini, non ti dimenticherò mai per questo”, né dimenticherà più; probabilmente, la dimostrazione di fiducia datagli da Hitler con l’invio di un forte distaccamento di truppe tedesche sul Brennero. Né potrà fare a meno di udire i portavoce ufficiali del partito nazionalsocialista nelle province alpine dichiarare apertamente e liberamente che l’Italia non “sarà in grado di rifiutare la restituzione alla Germania del Sud Tirolo quando si troverà ad aver di nuovo bisogno dell’aiuto tedesco per la sua politica estera. Esiste così nell’Asse una seria incrinatura, anche se è improbabile che si arrivi ad una rottura finché l’Italia non si riavrà, con l’aiuto inglese, dal suo attuale stato di debolezza. Ma nel frattempo la Germania potrà continuare, ancora per un certo numero di anni, a perseguire indisturbata i suoi obbiettivi di politica estera. La decisione della questione austriaca fu un affare esclusivamente italo-tedesco. Dietro pressione inglese, la Francia rinunciò alla risoluta difesa dei suoi interessi economico-imperialistici nella regione danubiana; e così, quando Schuschnigg chiese, di fronte alle minacce di Berchtesgaden, di tornare a Parigi, ottenne la platonica assicurazione che la lotta per l’indipendenza del suo paese godeva della “simpatia” incondizionata della Francia. I francesi temono il conflitto armato con la Germania fascista e credono di poter ottenere l’appoggio inglese solo allineandosi con la politica dell’Inghilterra, decisa a lasciare campo libero all’espansione tedesca verso il sud-est, come dimostra l’atteggiamento inglese nei confronti dei Sudeti, direttamente consegnati nelle mani di Hitler. I diplomatici francesi non sembrano capire neppure il semplice fatto che il Reno è la reale frontiera dell’Inghilterra, la quale, non potendo assolutamente tollerare un’avanzata tedesca verso il Mare del Nord, sarebbe in ogni caso costretta ad aiutare militarmente la Francia se gli eserciti tedeschi marciassero verso occidente. La Francia paga con pesanti sacrifici in politica estera ciò che potrebbe ottenere gratis dall’Inghilterra, come faceva giustamente notare alcune settimane or sono Robert Dell. In questo modo, l’imperialismo inglese si copre le spalle in Europa e può dedicare i suoi sforzi maggiori allo scacchiere politico per esso più importante, l’Estremo Oriente, dove l’invasione giapponese della Cina minaccia direttamente l’Impero. Mentre guadagna tempo per il programma di riarmo interno, l’Inghilterra contribuisce a creare nella Grande Germania un contrappeso decisivo nei confronti della Russia - la sua seconda grande rivale in Asia - e una minaccia per l’Italia e la Francia che costringe questi due paesi ad accettare i dettati inglesi, e tiene contemporaneamente lontana dalle proprie sfere di influenza, almeno per il momento, l’avanzata tedesca. Quanto tempo possa reggere questa complessa costruzione della politica di equilibrio di potere, può dirlo solo il futuro. In ogni caso, i metodi della politica estera nazista hanno dimostrato di possedere un insospettato potere “dinamico”, in quanto espressione della necessità di espansione di un capitalismo altamente organizzato sotto la direzione centralizzata di un potente stato militare per il quale l’avanzata imperialistica costituisce un’immediata necessità economica e sociale.

Il destino dell’Austria fu deciso da costellazioni di politica estera sulle quali essa non aveva alcuna influenza. Pure, l’Austria era matura per l’Anschluss non soltanto perché era stata abbandonata dalle grandi potenze, bensì anche in virtù del suo sviluppo politico interno. In questo stato, ormai incapace di esistere economicamente, crisi e pauperizzazione divennero un fenomeno talmente permanente che, come in Germania nell’inverno 1932-1933, quasi il 50% della popolazione aveva cominciato anche prima dell’Anschluss a guardare al nazionalsocialismo come all’unica via di salvezza: l’abolizione della disoccupazione ad opera della corsa agli armamenti, i salari ed il tenore di vita relativamente più elevati della Germania fascista facevano apparire altamente desiderabili le condizioni sociali del Terzo Reich agli occhi degli austriaci, proprio come accadeva anche ai tedeschi dei Sudeti. I piccoli contadini delle zone alpine, privati dei mezzi di sussistenza, divennero la base di massa interna del nazionalsocialismo che, grazie anche alla debolezza della dittatura clericalfascista, penetrò gradualmente all’interno dello Heimwehr, il corpo amministrativo, assicurandosi il controllo dell’esercito e della polizia.

L’Austria fu conquistata dall’interno non meno che dall’esterno. Al momento della caduta, Schuschnigg riconobbe che l’unica forza capace di evitare la sconfitta interna era il movimento operaio, e fece perciò un ultimo sforzo disperato, cercando di annullare il febbraio 1934 e di richiamare in vita i sindacati e la socialdemocrazia, affinché gettassero gli operai viennesi contro l’assalto fascista. Ma Hitler pose bruscamente fine a questo tentativo, e perfino gli ufficiali dell’esercito austriaco si rifiutarono di eseguire gli ordini del governo fallimentare di Schuschnigg. Ben più drammatica della dissoluzione del clerical-fascismo è, però, l’accettazione da parte dei sindacati, che conducevano le loro riformistiche battaglie in condizioni di semi-illegalità, e particolarmente da parte dei comunisti del Fronte popolare appoggiati dagli operai arretrati delle province e, benché in misura minore per la diversità della tradizione, da parte dei socialdemocratici, dell’appello di Schuschnigg alla lotta per “l’indipendenza dell’Austria” e le sue vaghe promesse di un futuro ripristino della democrazia nel paese. E, fatto ancora più grave, tutte queste forze erano pronte a farlo non mediante una propria azione autonoma, bensì all’interno del Fronte patriottico, a fianco della polizia e dell’esercito. La mancanza di scrupoli e di intelligenza politica illustrata dall’adesione a questo tipo di politica è un esempio significativo della estrema debolezza del movimento operaio europeo che, giunto ormai alla fine della sua parabola, è tuttora incapace di tirare le ultime conseguenze dai grandi trionfi del fascismo e dal crollo dei partiti e dei sindacati mitteleuropei, e tenta ora di salvarsi dietro le bandiere del nazionalismo. L’illegale movimento operaio austriaco era pronto a salvare il derical-fascismo dal fascismo tedesco. I comunisti ed i socialdemocratici italiani hanno lanciato un appello nel quale accusavano Mussolini di essere pronto a consegnare il suolo italiano a Hitler. I comunisti ed i socialdemocratici francesi chiedevano, e l’hanno adesso ottenuta, una unione nazionale coi gruppi più reazionari del capitale finanziario, i quali però, da parte loro, non avevano alcuna fretta di accettare questa “comunità del popolo”. I socialisti inglesi già pensano di appoggiare un governo diretto da quello stesso Eden che ha promosso la conquista dell’Abissinia, la sconfitta del Fronte popolare spagnolo, il riarmo del fascismo tedesco e la liquidazione della politica della “sicurezza collettiva”. I partiti operai dei piccoli paesi - di fronte a questi esempi e di fronte alla scomparsa degli ultimi bolscevichi russi noti a livello internazionale - non sanno far altro che assoggettarsi di buon grado alla politica della “unità nazionale”, della “pace sociale” e della “difesa della patria”. Il fatto che nell’attuale caos imperialistico europeo i piccoli stati vengano “traditi” dalle grandi potenze, che l’estinzione dello spirito rivoluzionario delle masse operaie e contadine spagnole richiesta dalla Russia non abbia portato nessun appoggio al governo del Fronte popolare da parte dei paesi imperialistici “democratici”, che non ci sia in Europa nessun’altra politica estera vincente se non quella fascista: tutto ciò non ha suscitato quasi nessuna reazione nella classe operaia; l’ha anzi spinta a stringersi ancor di più attorno alle bandiere delle varie borghesie nazionali e ad abbandonare perfino l’apparenza di autonomia che fino ad ora aveva conservato. Il movimento operaio europeo non ha ancora capito che solo una vera e militante Internazionale dei lavoratori può opporsi alle vittorie internazionali del fascismo e dei suoi sostenitori democratici. Per questo il fascismo determinerà, forse ancora per molti anni, il duro destino dell’Europa.

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30 settembre 2015 3 30 /09 /settembre /2015 05:00

Engels, editore di Il Capitale

 

Maximilien Rubel

 

Marx non ha lasciato un testamento scritto. Sembra che all'approssimarsi della sua fine, abbia dato a sua figlia minore delle istruzioni orali e designato Eleanor e Engels come "esecutori testamentari". Abbiamo già visto quale stimolante intellettuale Engels sapeva essere per il suo amico. Marx aveva potuto apprezzarlo anche come giudice letterario. E' Engels che, leggendo le prove del Libro I, aveva reclamato più esempi storici in appoggio dei risultati dialettici, criticato severamente la composizione del volume, le sue divisioni e suddivisioni, la mancanza di proporzioni dei cfapitolo, ecc. [1].

Marx aveva molte ragioni per rimettersi nelle sue mani. In tutto ciò che Engels ha detto a proposito delle carte inedite di Marx, non si può mancare di percepire delle impressioni mitigate. Dopo la pubblicazione del Libro I di Il Capitale, poteva pensare che i Libri successivi non avrebbero posto che dei problemi di forma. Alla vista della massa dei manoscritti, abbozzi, schizzi, di "due metri cubi" di statistiche americane e russe, grandi hanno dovuto essere la sua sorpresa e la sua delusione.

Zentralbibliothek Zürich Das Kapital Marx 1867.jpg

"Mi chiedi come sia stato possibile che mi abbia nascosto, proprio a me, a che punto fosse con il suo lavoro? E' molto semplice: se lo avessi saputo, non gli avrei lascisto un minuto di riposo; lo avrei sollecitato giorno e notte, finché l'opera non fosse del tutto compiuta e stampata" (Engels a Bebel, 30 agosto 1883).

Conosceva così male il suo amico? Pensava davvero che Marx avrebbe accettato di progredire sotto il suo pungolo? Scrivendo quelle righe, Engels ignorava ancora lo stato in cui Marx aveva lasciato i suoi lavori per i libri II e III. Se giudichiamo dalle sue lettere e le sue prefazioni, ha finito con l'arrendersi all'evidenza: gli appunti erano spesso informi.

Sin dall'inizio, il suo atteggiamento è ambiguo. Lo diventerà ancor più su un altro piano. Marx, che tardava a pubblicare il risultato dei suoi lavori, sapeva che Engels poteva incaricarsene, rimanendo fedele allo spirito di critica sociale che era loro comune [2]. Ora, Engels non ha osato sostituirsi al suo amico: se ne diceva incapace. Ha voluto fare in modo che Marx rimanesse "l'autore esclusivo" dei suoi scritti postumi, limitandosi a renderli presentabili, migliorandone lo stile soltanto se sentiva che Marx avrebbe fatto altrettanto. Non ha prodotto dei materiali per un'opera da costruire: non ha costruito l'opera a partire da questi materiali: le ha dato una facciata. Questa formula media ha dei meriti insigni e ci mostra degli scrupoli notevoli, un'estrema prudenza, una preoccupaziome di distinguere nettamente ciò che appartiene all'autore e ciò che proviene dal suo editore. Ha pure il suo inconveniente, perché fa passare come "Libri" compiuti ciò che non è stato altro  che un abbozzo, a volte disperati tantonamenti. Tre volumi, quattro "Libri", un "tutto artistico": l'augurio di Marx, che sognava di dare almeno i "Principi" della sua "Economia", non è stato compiuto, malgrado gli sforzi e la pietà del suo amico. Si può pensare che Engels ne abbia avuto coscienza. Sin dall'inizi ha constatato che il Libro II era costituito di abbozzi, di cui alcuni offrivano molte varianti. Ricopiarli, renderli leggibili, è stata una dura prova per i suoi occhi [3].

Non gli sono occorsi che due anni per pubblicare il Libro II. "Il secondo volume [si tratta probabilmente del secondo Libro] di Il Capitale mi darà molto da fare. La maggior parte del manoscritto data da prima del 1868 [ciò vale per il terzo Libro, perché il manoscritto del secondo data agli anni 1875-1878] e non è altro che un abbozzo. Il secondo Libro deluderà molti socialisti volgari; esso contiene quasi esclusivamente delle ricerche molto sottili e rigorosamente scientifiche su dei fatti che accadono all'interno della classe dei capitalisti stessi; dunque, nulla da cui si possa trarre delle formule fragorose e degli slogan" [4]. "Il secondo Libro è puramente scientifico e non tratta che di questioni da borghesi a borghesi; ma il terzo avrà dei passaggi che mi fanno dubitare della possibilità stessa di pubblicare in Germania sotto le leggi eccezionali" [5].

Vi è delusione in queste righe; esse possono essere anche un modo per consolarsi. Engels ha la sollecitudine di dire al lettore "che si tratta di un'opera di Marx" quella che egli pubblica; e che egli lo fa perché è il solo a poter "decifrare questa scrittura e quelle abbreviazioni" [5]. Dettando il manoscritto del Libro III, egli nota delle "forti lacune" nella seconda sezione; "la redazione, naturalmente, non è che provvisoria; ma sa dove va, e "questo basta" [6]. Ci tiene ad effettuare il suo punto di vista  e non detta che il giorno [7]. Il terzo Libro sarà meno deludente, pensò; apporterà dei "risultati decisivi", "rovescerà tutta l'economia e susciterà un enorme scalpore" [8].

Esso "produrrà l'effetto della folgore, perché tutta la produzione capitalista vi è analizzata nel suo concatenamento e tutta l'economia borghese ufficiale viene abbattuta". Giunta alla metà di questo Libro III, deve constatare tuttavia che "i capitoli più importanti si presentano in un disordine abbastanza grande - per quanto concerne la forma" [9].

Precauzione retorica, convinzione autentica? Resta il fatto che lo stabilimento del testo gli richiederà non "quattro mesi" come credeva, ma nove anni, e tanto più aridi in quanto un silenzio totale, sia della "scienza tedesca" sia degli ambienti socialisti, avrà accolto il Libro II. Il Libro III, egli spera, "forzerà" gli economisti tedeschi a parlare (lettera a Danielson, 13 novembre 1885). In verità, egli sa a presente che delle parti importanti del "abbozzo" del Libro III non sono che materiale grezzo, prodotto dalla "ricerca empirica" e non dall'eposizione astratta": queste due procedure, ci si ricordi, si distinguono formalmente, ma sono complementari nel metodo di Marx [10]. Così, si attendeva nella sezione V, il tema centrale del Libro III, il problema del capitale finanziario, dell'interesse e del credito. Engels non vi trova che un accenno nemmeno uno schema: semplicemente, un cumulo di note e di estratti [11].

Questo lavoro di Marx, terrà tuttavia a presentarlo come "un'opera di Marx". A un critico serio che glielo rimprovera, dà una risposta molto significativa. Si tratta di un processo di perequazione dei tassi di profitto differenti che sfocia oggettivamente (ma all'insaputa dei "protagonisti storici") ai tassi generali e medi del profitto: "Come si è realizzato questo processo di uniformazione? E' un punto molto interessante, però Marx non ha detto a proposito granché. Tutta il modo di concepire, presso Marx, non è una dottrina, è un metodo. Esso non offre dogmi già pronti, ma dei punti di riferimenti per un'ulteriore ricerca, e il metodo di questa ricerca. A questo proposito, vi sarebbe un lavoro da tentare, che Marx non ha fatto in questo primo abbozzo. [...] Infine, vi devo ringraziare per la buona opinione che avete di me, pensando che avrei potuto fare del Libro III un'opera migliore di quanto esso non sia. Non potrei condividere quest'opinione, e credo aver fatto il mio dovere lasciando Marx esprimersi nel suo proprio linguaggio , a rischio di esigere dal lettore un maggior sforzo di riflessione personale" [12].

Questa invocazione ostinata di un dovere di fedeltà letterale non è del tutto priva di contraddizioni. Un tale rispetto dei lavori preparatori non avrebbe dovuto condurre Engels a prendere in considerazione i manoscritti anteriori al 1861, come gli scritti del 1844-45, o i Grundrisse del 1857-58? Per l'originalità dello stile e del contenuto, questi lavori sono spesso superiori agli inediti del periodo successivo. Il suo atteggiamento dà luogo a un'altra domanda: perché non ha mai dato il minimo chiarimento sul piano della "Economia", lui che ne aveva seguito la minima messa a punto? Ignoriamo anche questo. Ma un'osservazione si impone: Engels ha preferito rieditare delle opere di Marx piuttosto che dedicare tutto il suo tempo e i suoi sforzi ai solo abbozzi e manoscritti di Il Capitale. Se non ha parlato del piano della "Economia", ha mostrato che a suo parere tutto era coerente nell'opera di Marx e che degli scritti precedenti offrivano già, su molti punti, la materia che si poteva ricercare nell'inedito.

E' così che si dedica a far leggere Lavoro salariato e capitale, le Lotte di classe in Francia, le Rivelazioni sul processo dei comunisti di ColognaLa guerra civile in Francia, la Critica del programma di Gotha: revisiona due riedizioni tedesche e la traduzione inglese del primo Libro di Il Capitale, compito che egli valuta anche meno importante della messa a punto degli altri Libri. A ben vedere, il suo lavoro di primo editore postumo è ammirevole. Il miglior omaggio che si possa dargli, è di poter seguire, per quanto ci è possibile, il suo cammino, di lavorare come lui sull'originale e sul materiale informe. E' anche riconoscere che una parte della "Economia" non è il tutto; che, anche portata a termine non sarebbe stato un sistema; che non abbiamo sotto gli occhi una bibbia marxista dal canone fissato per sempre. Equivarrebbe a sostituire l'indagine ai racconti. La cospirazione del silenzio ha lasciato il posto a una cospirazione brontolante: spezziamola e profaniamo il rosario, soprattutto durante le messe dei centocinquantesimo anniversario. Questi Libri, per grandi che siano, si elevano su dei frammenti dal tracciato completo... (…).

 

[Tratto dall'Introduzione al tomo II delle Opere di Karl Marx].

 
Note
 
[1] Marx a Engels, 27 giugno 1867.
[2] E' da Eleanor che Engels riceveva quest'ultimo messaggio dal suo amico (lettera a Bebel).
[3] Prima della sua morte, inizierà Bernstein e Kautsky a decifrare dei "geroglifici", per la pubblicazione delle Teorie sul plusvalore.
[4] A Kautsky, 18 settembre 1883.
[5] A Lavrov, 5 febbraio 1884.
[6] A Kautsky, 26 giugno 1884.
[7] A Kautsky, 23 maggio 1884.
[8] A Becker, 2 aprile 1885. Vedere anche la Prefazione del Libro II.
[9] Engels a Sorge, 3 giugno 1885.
[10] Postfazione di Il CapitaleOeuvres, t. I, p. 558.
[11] "Molte cose nuove e ancor più cose da terminare" (Engels a Schmidt, 1° luglio 1891).
[12] Colui che Engels ringrazia in questa lettera degna di nota, Werner Sombart, autore di un articolo sul Libro III, pubblicato nel 1894. Vedere anche Engels, Complément et supplément au Livre III du "Capital"Werke, vol. XXV, p. 903 seguenti; evita di rispondere alle critiche sollevate contro il suo lavoro di editore.
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26 settembre 2015 6 26 /09 /settembre /2015 05:00

IL MANIFESTO ROSSO DELLA COMUNE DI LIONE

 

Sei mesi prima della comune di Parigi, è a Lione che si crea il "Comitato Centrale di Salute della Francia", così come la "Federazione rivoluzionaria dei Comuni".

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REPUBBLICA FRANCESE

 

Federazione Rivoluzionaria

 

DEI

 

COMUNI

 

 La situazione disastrosa nella quale di ritrova il paese; l'impotenza dei poteri ufficiali e l'indifferenza delle classi privilegiate hanno posto la nazione francese sull'orlo dell'abisso.

 Se il popolo organizzato rivoluzionariamente non si affretta ad agire, il suo avvenire è perduto, la rivoluzione è perduta, tutto è perduto. Ispirandosi all'immensità del pericolo e considerando che l'azione disperata del popolo non potrebbe essere ritardata di un solo istante, i delegati dei comitati federati di salute della Francia, riuniti al Comitato centrale, propongono di adottare immediatamente le seguenti risoluzioni:

Articolo  - La macchina amministrativa e governativa dello Stato, essendo diventata impotente, è abolita.
Il popolo di Francia rientra nel pieno possesso di se stesso.
Art. 2. - Tutti i tribunali criminali e civili sono sospesi e sostituiti dalla giustizia del popolo.
Art. 3. - Il pagamento dell'imposta e delle ipoteche è sospeso. L'imposta è sostituita dai contributi dei comuni federati, prelevati sulle classi ricche, proporzionalmente ai bisogni di salute della Francia.
Art. 4. - Lo Stato essendo decaduto, non potrà più intervenire nel pagamento dei debiti privati.
Art. 5. - Tutte le organizzazioni municipali esistenti sono cassate e sostituite in tutti i comuni federati da comitati di salute della Francia, che eserciteranno tutti i poteri sotto il controllo immediato del Popolo.
Art. 6. - Ogni comitato di capoluogo di dipartimento invierà due delegati per formare la convenzione rivoluzionaria di Salute della France.
Art. 7. - Questa convenzione sio riunirà immediatamente nel Municipio di Lione, essendo questa la seconda città di Francia e quella che più ha portato energicamente potere alla difesa del Paese.

Questa convenzione appoggiata dal popolo intero salverà la Francia.

Alle Armi!!! »

 

— I 26 firmatari

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16 settembre 2015 3 16 /09 /settembre /2015 05:00

Ricardo Flores Magón

 

 

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[Traduzione di Ario Libert]

 

 

 

 

 

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12 settembre 2015 6 12 /09 /settembre /2015 05:53

Dizionario anticapitalista: "L'autogoverno".

 

Jacques Dubart


Il 9 agosto 2003, nello Stato messicano del Chiapas, l'Esercito zapatista di Liberazione Nazionale decretava la nascita dei 'consigli del buon governo' in cinque zone territoriali sotto il suo controllo. Si tratta di fatto di strutture di autogoverno", ci dice la Rete di informazione e di solidarietà con l'America latina (Risal).

La questione dell'autogoverno, dell'autogestione generalizzata potremmo anche dire, si pone quando un popolo in lotta prende i propri affari tra le sue mani e si organizza per gestire la vita quotidiana, mentre il potere capitalistico viene delegittimato, minacciato, destabilizzato o addirittura in via di liquidazione. L'autogoverno inizia con l'organizzazione delle masse in lotta per la loro liberazione e sfocia sulla progressiva strutturazione di nuove istituzioni politiche e la reintegrazione delle vecchie classi dominanti all'interno del corpo sociale, a mano a mano che viene instaurata l'eguaglianza economica all'interno della società.


Così, nato da una rivoluzione, e cioè all'interno di grandi mobilitazioni sociali, associate ad ampi dibattiti, al coinvolgimento del maggior numero tra le ex classi dominate, l'autogoverno è il contrario di una dittatura, anche se gli ex capitalisti, privati delle loro prerogative, sono temporaneamente esclusi dalle strutture politiche.

L'autogoverno è all'intersezione di due grandi strutture. Da una parte l'organizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici nelle unità di produzione autogestite dove essi decidono dell'organizzazione del lavoro, della distribuzione delle ricchezze create, degli investimenti necessari. D'altra parte l'organizzazione dei cittadini all'interno dei comuni per decidere le esigenze in termini di attrezzature e di servizi collettivi.

spartachismo, assemblea operai e soldati a Berlino, novembr

È una logica di democrazia diretta che instaura la preminenza della base della società nell'elaborazione delle politiche. Ma è anche la coordinazione federale di queste strutture di base, in modo bicefalo, per settore economico e per regione, per permettere le decisioni collettive al livello più adatto, non appena le questioni superano il quadro locale.

È una rottura con la logica statale. Le grandi decisioni risultano dapprima dai dibattiti alla base e i delegati, compresi e soprattutto a livello centrale, sono incaricati della loro attuazione. L'autogoverno si stabilizzerà attraverso nuove istituzioni politiche in coerenza con una società senza classi e senza Stato, proibendo la proprietà privata dei mezzi di produzione collettivi e favorendo dunque l'organizzazione collettiva della produzione.


Sin da subito è fondamentale sperimentare e popolarizzare i modi di funzionamento e l'organizzazione specifici dell'auto-governo della società, sia all'interno delle organizzazioni rivoluzionarie sia nel movimento sociale e in tutte le sue dimensioni. Questa sperimentazione può permettere di preparare la dinamica di autogoverno che può nascere da una crisi rivoluzionaria.

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

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19 agosto 2015 3 19 /08 /agosto /2015 15:59
Un editore per il socialismo libertario
 
Jean Michel Kay
 

La storia di una corrente politica non può mai limitarsi a quella delle sue organizzazioni, o allo studio della sua dottrina, a meno che esse non abbiano mai avuto la minima influenza al di fuori di se stessa. Ma è difficile identificare una tale corrente, se non si è dotata di nessuna organizzazione permanente e non ha prodotto nessuna dottrina strutturata. È tuttavia l'esistenza di una simile corrente che vi proponiamo come oggetto di ricerca, prendendo come filo conduttore l'attività di un editore militante a partire dagli anni 30 del XX secolo.

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Il campo di ricerca qui proposto è che in certi momenti della storia sociale contemporanea della Francia, e senza dubbio altrove in Europa, è apparso nel movimento sociale una corrente che supera l'antagonismo teoricamente paralizzante tra i sostenitori del "socialismo di Stato" e quelli del "socialismo senza Stato". Questa corrente non ha espressione organizzativa permanente; non ha teorici riconosciuti, non ha dato la luce ad una dottrina formalizzata. Il motivo che si darà per queste assenze è che questa corrente non è sorte che in periodi di forte mobilitazione, che non ha avuto che raramente il tempo di dotarsi di un'espressione politica propria, e che la teorizzazione di ciò che essa esprime non può essere realizzata che a posteriori.

Questa corrente, per comodità, la chiamiamo "socialismo libertario". Questo appellativo non ha legittimità storica; è utilizzata da Daniel Guérin come titolo della prima raccolta di testi attraverso il quale egli chiama alla riconciliazione coloro che chiama "fratelli gemelli, fratelli nemici" [1]; egli utilizzerà in seguito i termini "marxismo libertario", poi "comunismo libertario". Ma all'epoca in cui sarebbe apparso questo socialismo libertario di cui evochiamo l'esistenza, il comunismo libertario è senz'alcuna ambiguità l'obiettivo che si danno la CNT e la FAI spagnole, ed è essenziale non confonderli.

È attraverso l'esistenza sorprendentemente durevole di una casa editrice di tipo particolare, poggiante per cinquant'anni sull'attività di un uomo, René Lefeuvre, ma che gli è sopravvissuta, che pretendiamo affrontarla. Pensiamo che le caratteristiche di questa casa editrice - i Cahiers Spartacus – ne fanno un utile strumento per rivelare questa corrente e legittimarla come oggetto di studio. Elenchiamo queste caratteristiche:

 

* si tratta di una casa editrice militante, e cioè che persegue degli scopi politici precisi

* si tratta di una casa editrice senza scopo di lucro, e guidata dall'unica preoccupazione di pubblicare i testi che gli sembrano importanti di mettere a disposizione del pubblico a cui mira

* si tratta di una casa editrice indipendente, nel senso che non è sottoposta al controllo di un'organizzazione politica

* infine, si tratta di una casa editrice che vive di mecenatismo: di conseguenza, se essa non è sottoposta ad alcun criterio di rendimento e rimane indipendente da ogni organizzazione politica, non può vivere se non trova dei lettori che acquistano le sue pubblicazioni. Vedremo che non è sempre stato così.

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Il socialismo libertario di cui vogliamo parlare non appare come corrente politica che dopo la rivoluzione d'Ottobre. Essi si definisce ricavando le lezioni dalla rivoluzione del 1917 e dalle sue conseguenze; è antistalinista in un modo diverso di come lo sono gli anarchici, i trotskysti o anche i comunisti dei consigli, la cui esperienza è d'altronde praticamente sconosciuta in Francia durante l'epoca di cui stiamo trattando. Le sue opzioni politiche possono riassumersi così:

— L'evoluzione della società non può essere capita che attraverso l'analisi delle lotte di classe; gli antagonisti di classe, le crisi che subiscono le classi dominanti, non potranno essere eliminate solo se quest'ultime strappano il potere politico ed economico alle classi dominanti per esercitarlo se stessi.

— Lo Stato capitalista è lo strumento del dominio di queste classi dominanti; in quanto tale, esso deve essere distrutto; ma la sopravvivenza delle classi, le necessità dell'organizzazione delle attività sociali significano che delle istituzioni politiche rimarranno necessarie a differenti livelli geografici.

— La nazione è il quadro d'esercizio del potere della borghesia, non è esso che permetterà la costruzione del socialismo; il socialismo libertario è per essenza internazionalista.

— i sostenitori del socialismo libertario sanno che i sindacati sono diventati delle istituzioni della società capitalista; essi considerano tuttavia che in molti casi la partecipazione all'azione sindacale è il mezzo principale che i lavoratori hanno per prendere parte all'azione collettiva e gestire la lotta di classe.

— i partiti sono necessari per formulare analisi e proposte, darsi dei mezzi collettivi per la formazione e l'azione; ma nessuno può pretendere di esercitare da solo il potere: "La dittatura del proletariato non può essere esercitata da un solo settore del proletariato, ma da tutti i settori, senza eccezione. Nessun partito operaio, nessuna centrale sindacale ha il diritto di esercitare nessuna dittatura" [2].

Infine, i socialisti libertari non fanno della partecipazione o della non partecipazione alle elezioni e dell'esercizio delle funzioni elettive una questione di principio. Ma l'avvento e la permanenza al governo attraverso il processo elettorale di una coalizione di partiti, qualunque essa sia, non possono essere degli scopi in sé.

Un militante editore

Su richiesta di suo padre, artigiano muratore in un villaggio della Bretagna, René Lefeuvre diventa egli stesso muratore. Questa vita rurale non lo soddisfa; benché non abbia compiuto degli studi di scuola superiore, è un lettore assiduo e curioso. A 20 anni, dovendo effettuare il suo servizio militare, fa in modo di essere assegnato a Parigi, dove giunge nel 1922 e in cui risiederà - tranne che durante gli anni della guerra - sino alla sua morte avvenuta nel 1988.

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Per quel che ne sa, e malgrado l'immagine ributtante che ne danno i conservatori che influenzano l'opinione pubblica nella sua regione d'origine, è attratto dalla Rivoluzione russa e le realizzazioni dell'Unione sovietica. Legge il Bulletin communiste edito da Boris Souvarine, che ne dà conto ma che non dissimulerà i dibattiti che iniziano a lacerare il Comitato esecutivo dell'Internazionale, di cui è membro, e la direzione del Partito comunista sovietico.

L'esclusione di Boris Souvarine dal partito comunista francese, di cui era stato uno dei fondatori, e l'approfondimento da parte di quest'ultimo della sua comprensione della natura di classe del regime sovietico, contribuiranno al consolidamento da parte di René delle sue proprie concezioni politiche: appoggiandosi sulle nozioni di classe e di sfruttamento  utilizzate da Marx, Souvarine afferma sin dalla fine degli anni 20 che una nuova classe dominante sfruttatrice si sta costituendo in Unione sovietica attraverso il dominio sullo Stato. Denuncia inoltre l'invenzione da parte dei dirigenti sovietici di una dottrina leninista; infine, respinge ciò che avverte in Trotsky - di cui aveva difeso per principio il diritto di difendere delle posizioni differenti da quelle della maggioranza nell'esecutivo dell'Internazionale - come una volontà di riprodurre le analisi e il comportamento del PC sovietico [3].

René partecipò saltuariamente al Circolo comunista Marx e Lenin (Cercle communiste Marx et Lénine) creato da Boris Souvarine nel 1926, che raggruppava membri dell'opposizione o esclusi dal PC. Questo Circolo diventò nel 1930 il Circolo comunista democratico (Cercle communiste démocratique), che si diede come scopo di "mantenere, prolungare e vivificare la tradizione democratica e rivoluzionaria del marxismo" e di "ricercare attivamente i germi del rinnovamento del pensiero e dell'azione rivoluzionarie".

La sua dichiarazione d'intenti precisa ancora: "Con Marx e Engels anche, il Circolo si definisce democratico, intendendo con ciò soprattutto restaurare contro i falsi comunisti che la negano e i falsi socialisti che la degradano una nozione inseparabile dell'idea rivoluzionaria. I comunisti e i socialisti della scuola marxista hanno a lungo portato, in politica, il semplice nome di "democratici" prima di chiamarsi "socialdemocratici". La critica marxista della realizzazione del principio democratico in regime capitalista centra le contraddizioni della pratica, non il principio stesso, e dimostra l'impossibilità di acquisire una vera democrazia politica senza basarla sull'eguaglianza economica [4].

Sino al 1928, René lavora come artigiano muratore; poi grazie ai corsi per corrispondenza che ha seguito in Bretagna, ottiene un posto di commesso in un impresa di rivestimenti, il che gli libererà del tempo per altre attività. Aderisce allora agli Amis de Monde, e ne diventò il segretario. Fondato nel 1928 da Henri Barbusse, membro del Partito comunista dal 1923, Monde [5] doveva essere "un giornale settimanale di grande informazione letteraria, artistica, scientifica, economica e sociale che cercava di dare un quadro oggettivo dell'attualità". Ma la sua creazione è l'espressione di un disaccordo tra Henri Barbusse e L'Internazionale comunista del terzo periodo, quello in cui la socialdemocrazia, definita "socialfascista", è diventata il nemico principale.

Nel 1926, l'Internazionale aveva chiesto a Henri Barbusse di creare un'associazione internazionale degli scrittori rivoluzionari. A questo progetto, che non avrebbe riunito che degli scrittori membri dei partiti comunisti o già vicini ad essi, Barbusse oppone la creazione di un "centro di pubblicazioni" - molto più di un giornale - per giungere a un "raggruppamento intellettuale universale" [6]. Tra i contributori di Monde, troveremo dunque, oltre a degli autori comunisti, compresi sovietici, dei vecchi comunisti e anche dei socialisti, il che varrà a Monde una condanna durante il secondo congresso degli scrittori rivoluzionari che si tenne a Kharkov nel novembre 1930. Monde è accusato di essere "un giornale senza principi direttori, che sin dall'inizio, aveva assunto una posizione anti-marxista", di caratterizzarsi per il "confusionismo", di avere per collaboratori "degli agenti del trotskysmo, dei socialdemocratici, dei radicali borghesi, dei pacifisti", in breve di essere ostile all'ideologia proletaria. È da notare che, già nell'aprile del 1930, Pierre Naville, primo rappresentante ufficiale del trotskysmo in Francia, aveva qualificato Monde in Lutte de classes di "raccoglitore di rifiuti di ciò che gli ambienti politico-letterari piccolo borghesi producono di più malsano, di più confuso e in definitiva di più anti-proletario".

Monde non è dunque una pubblicazione del partito comunista, anche se Henri Barbusse non può tollerarvi delle denunce del regime sovietico. Agli Amis de Monde è assegnato un ruolo ambizioso: non soltanto di sostenere la diffusione del giornale, ma di contribuirvi attraverso delle informazioni, dei servizi. Quando, nel 1930, René Lefeuvre ne diventa segretario, questa associazione informale raggruppa circa 800 membri; Lucien Laurat [7], che fa parte della redazione di Monde.  Monde, anima un gruppo di economia politica che studia in particolare Il Capitale.

Gli Amis desiderano che altri gruppi, su altri temi, vengano creati, e René vi si dedicherà con tutte le sue capacità. Sempre alla ricerca per se stesso di nuove conoscenze, è anche appassionato dalla trasmissione delle conoscenze, attraverso l'educazione popolare, che saranno per lui il vero obiettivo delle sue edizioni. Si costituiscono allora dei gruppi che si dedicano agli studi sociali, alla storia del movimento operaio, all'architettura, all'esperanto, così come un gruppo teatrale; René organizza anche delle sedute di cinema, delle visite a delle gallerie d'arte.

Dopo due anni di funzionamento dei gruppi di studio, i loro membri vollero pubblicare in modo regolare il risultato dei loro lavori; René ne fu incaricato. Propose Spartacus come titolo di questa nuova pubblicazione; fu scelto Masses, in riferimento al New Masses americano.

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L'orientamento iniziale di Masses non poteva essere molto differente da quella di Monde e la dichiarazione d'intenti presente nel primo numero, datato gennaio 1933, affermava in particolare: "Una cultura rivoluzionaria si oppone alla cultura borghese. Nella grande lotta, questa cultura è un'arma". E anche: "Difenderemo, contro le calunnie borghesi, lo sforzo fatto dall'URSS per edificare una società senza classi, opponendo la verità alla menzogna".

Gli avvenimenti modificheranno in parte il progetto editoriale di Masses. Questo primo numero comprende degli articoli sull'architettura, la sociologia, il teatro, e dei testi sull'unità operaia. Il secondo numero pubblica inoltre un racconto di Rustico [8] nel quale l'autore dà conto delle azioni e dello stato d'animo dei militanti rivoluzionari comunisti di Berlino che egli ha raggiunto nell'ottobre 1932, persuaso dell'imminenza in Germania di uno scontro decisivo tra la reazione e le masse rivoluzionarie. Il terzo numero, datato marzo 1933, rende omaggio a Karl Marx per il cinquantesimo anniversario della sua morte con, in particolare, l'inizio di un'esposizione della tesi centrale di L'Accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg. Masses è una pubblicazione mensile di venti pagine, di formato medio, dall'impaginazione piuttosto ben spaziata, con alcune illustrazioni, una cura particolare è data a quella della copertina.

I redattori di Masses sono essenzialmente dei giovani membri dei gruppi di studio. Ma un cambiamento avverrà rapidamente nella composizione della redazione: nel maggio del 1933, Masses rende nota una comunicazione del Circolo comunista democratico (Cercle communiste démocratique) annunciando che Victor Serge, che viveva in Unione sovietica dal 1919, era stato arrestato. Faceva parte degli scrittori che sostenevano Monde. In luglio, Masses pubblica una lettera di una lettera di Victor Serge in cui espone i principi della sua opposizione al regime. René Lefeuvre richiede: "Che le fonti autorizzate facciano conoscere al proletariato d'occidente le ragioni che hanno valso a Victor Serge la punizione subita e perché gli si rifiuta da anni il passaporto che gli è necessario per uscire dalla Russia". Queste affermazioni sono le più moderate, se le si raffronta a quelli del Circolo comunista democratico. Nello stesso numero anche una nuova relazione di Rustico, sui mesi da gennaio a marzo 1933 che hanno portato alla vittoria dei nazisti, alla dichiarazione di fuorilegge del partito comunista e alla repressione dei suoi militanti. Masses non pubblica le lettere di lettere di Rustico nelle quali mette in causa le direzioni del partito comunista e dell'Internazionale; tutto ciò è troppo per i redattori membri del partito comunista. In un comunicato pubblicato da L'Humanité, denunciano le posizioni a favore di Victor Serge, pubblicate, secondo loro, contro il parere della redazione, e la "polemica relativa agli avvenimenti della Germania" e avvertono i lettori "che la rivista Masses è destinata a diventare uno strumento tra le mani dei controrivoluzionari". Essi dovranno allora lasciare la redazione.

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Nei numeri seguenti, compaiono delle nuove firme; sono quelle di militanti provenienti dalle opposizioni di sinistra del partito comunista, tra cui alcuni, come Marcel Body [9], hanno un'esperienza importante. Avendo Masses lanciato un'inchiesta sul fascismo tedesco, Kurt Landau vi apporta il suo punto di vista, così come lo fanno un rappresentante del SAP, e un altro dei gruppi comunisti operai tedeschi, proveniente dalle organizzazioni comuniste dei consigli. Masses diventa molto meno l'espressione dei gruppi di studi e soprattutto quella di militanti che cercano delle risposte alle sfide del momento. L'attualità, compresi i dibattiti all'interno della SFIO, e la riflessione teorica vi hanno un posto preponderante. Nel gennaio del 1934 – 15° anniversario – Masses pubblica l'ultimo articolo di Rosa Luxemburg e l'ultimo discorso di Karl Liebknecht. Nel maggio del 1934, così come aveva fatto per il tema del fascismo, la redazione lancia un'inchiesta sulla dittatura del proletariato e della democrazia, consegnando alla riflessione un estratto di La Rivoluzione russa di Rosa Luxemburg. Il contributo di Amilcare Rossi [10] esce sul numero seguente, il 18°, nel giugno 1934. Ma gli altri contributi non saranno pubblicati: sul numero 19, che sarà anche l'ultimo, è annunciato che saranno oggetto di un numero speciale che non è invece mai uscito.

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Se René Lefeuvre è stato costretto a sospendere l'uscita di Masses, è perché avendo perso il suo lavoro di commesso, non ha più avuto modo di pagarne le spese. Gli Amis de Monde sono stati colpiti dalla rottura tra comunisti e oppositori; Monde stesso, malgrado due primi anni prosperi, conosce delle difficoltà finanziarie. Inoltre, René ha trovato un nuovo ambiente militante: insieme ad altri redattori di Masses, ha aderito al partito socialista nell'agosto del 1934.

È a prima vista sorprendente che dei militanti rivoluzionari, che si richiamano al marxismo, entrino in un tale partito, il cui radicamento operaio è significativo soltanto in alcune regioni, e che si occupa soprattutto delle elezioni. Ma la SFIO ha subito alcune scosse importanti nel corso dei mesi precedenti: ha rinunciato all'alleanza con il partito radicale, che partecipa a un governo di Unione nazionale; la sua ala destra è stata espulsa, ma il dibattito sulla pianificazione che ha contribuito a introdurre nel partito conduce quest'ultimo a dibattere un programma d'azione. Inoltre, la corrente di sinistra, la Bataille socialiste, diretta da Jean Zyromski e Marceau Pivert, e favorevole all'unità d'azione con i comunisti, ha perduto la sua ala più pacifista. Inoltre, sentendosi impegnato in una competizione con i fascisti, si è messo a sviluppare nuove forme di organizzazione e d'azione: movimenti giovanili, gruppi di autodifesa in uniforme, gruppi d'intervento, rinnovo e diversificazione delle forme di propaganda. Infine, Trotski ha anche ordinato ai suoi sostenitori francesi, i bolscevico-leninisti, di entrare nella SFIO, il che essi fanno nell'agosto del 1934.

Ma sono gli avvenimenti sanguinari del febbraio 1934 e le loro conseguenze che hanno convinto René e i suoi compagni ad unirsi all'organizzazione socialista. Il 6 febbraio, la mattina stessa della manifestazione antiparlamentare di estrema destra, Marcel Cachin scriveva su L'Humanité: "Non possiamo lottare contro il fascismo senza lottare anche contro la socialdemocrazia". Se, il 12 febbraio, i militanti di sinistra i erano uniti negli scioperi e nelle manifestazioni, non era grazie alle direzioni nazionali dei partiti. La Bataille socialiste, si dichiara favorevole all'unità. Nel maggio 1934, l'Internazionale comunista cambia politica, e sprona al fronte unico con i socialisti. Il 27 luglio, un patto viene firmato tra i due partiti. Aimé Patri [11], sull'ultimo numero di Masses, si inganna forse sulle ragioni di questo mutamento di rotta dell'Internazionale: "È la classe operaia francese che spontaneamente e manifestando con i suoi atti le sue aspirazioni unitarie che ha obbligato l'I.C. così come la sezione francese della I.O.S. a tenerne conto". Sia quel che sia, per i militanti, è la speranza di un'azione infine efficace, attraverso l'unità realizzata alla base, in comitati di vigilanza.

Pubblicando Masses, René Lefeuvre era stato formato alle tecniche dell'edizione dagli operai della stampa, e potrà oramai

 

 

avait été formé aux techniques de l’édition par les ouvriers de l’imprimerie, et il pourra désormais aussi gagner sa vie comme correcteur d’épreuves. En décembre 1934, avec des membres de la dernière équipe de Masses, il lance un hebdomadaire : Spartacus, pour la culture révolutionnaire et l’action de masse. Dans le premier numéro, il est précisé que Masses continue, mais uniquement sous forme de numéros spéciaux. Le premier de ces numéros – ce sera le seul – est une brochure sur la Commune de Berlin de 1918 – 1919 réalisée par André [12]. et Dori Prudhommeaux, contenant pour l’essentiel le programme de la Ligue Spartacus et le discours sur ce programme de Rosa Luxemburg. Pour René, il est essentiel de faire connaître les écrits politiques de Rosa Luxemburg, très peu traduits et diffusés en France. Cette préoccupation apparaît nettement dans les articles de Spartacus.

André Prudhommeaux, qui a été brièvement membre du parti communiste, a fait partie en 1929 - 1930 des « Groupes ouvriers communistes », inspirés par le communisme de conseils allemand, en relation avec Karl Korsch et rejetant le léninisme. Il a enquêté en Allemagne, y est allé chercher des documents ; en 1930, sa Librairie ouvrière, à Paris, a publié en brochure la Réponse à Lénine rédigée par Herman Gorter en 1920 pour réfuter les tactiques que l’Internationale naissante imposait aux partis communistes occidentaux. En 1933, il est l’un des animateurs en France du Comité de soutien à Marinus Van der Lubbe, l’incendiaire du Reichstag. L’effondrement du mouvement ouvrier allemand le fera s’éloigner des marxistes et devenir libertaire. À partir de 1936 il se consacrera à la défense de la révolution espagnole, en restant critique à l’égard de la participation de la CNT au gouvernement. Militant, éditeur et imprimeur (installé à Nîmes, il a fondé une imprimerie coopérative), il fournira à René des textes, des conseils pour l’organisation de ses éditions et s’emportera parfois devant la lenteur de celui-ci à les mettre en pratique.

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Spartacus ne tiendra pas le rythme hebdomadaire prévu ; en avril 1935, le huitième numéro reconnaît que Spartacus est au mieux un mensuel…Le dernier numéro, le dixième, paraît en septembre 1935 : il n’a que quatre pages et dénonce l’exclusion des trotskystes des Jeunesses socialistes, pour lesquelles il revendique l’autonomie par rapport à la direction de la SFIO.

En mai 1935, un traité d’assistance mutuelle est signé entre la France et l’Union soviétique. Staline « comprend et approuve pleinement la politique de défense nationale faite par la France… ». Le parti communiste s’aligne rapidement sur cette nouvelle orientation de l’Internationale, se réapproprie le drapeau tricolore et la Marseillaise. Le spectre d’une nouvelle Union sacrée qui, en 1914, a envoyé le peuple au massacre, resurgit.

Cette nouvelle situation politique aggrave les dissensions qui existent depuis longtemps au sein de la Bataille socialiste : sur l’unité avec le parti communiste, sur la défense nationale, sur les formes de l’action militante, Zyromski et Pivert représentent deux orientations distinctes. Pivert est contre une éventuelle réunification avec le parti communiste, il rejette la défense nationale en régime capitaliste. En octobre 1935, Marceau Pivert prend l’initiative de rassembler les courants de gauche de la SFIO : c’est la naissance de la Gauche révolutionnaire, qui se définit par des refus et une perspective – celle de la révolution socialiste – plus que par une doctrine, qui reste à préciser. Elle réunit divers petits groupes, dont celui des animateurs de Spartacus, des socialistes révolutionnaires, autrefois exclus de la SFIO parce que partisans de l’unité d’action avec le parti communiste, et des anciens de celui-ci. Surtout, elle attire les secteurs les plus jeunes, les plus combattifs, du Parti. Cette nouvelle tendance de la SFIO va se doter d’un bulletin mensuel du même nom, La gauche révolutionnaire ; René Lefeuvre en est chargé ; il en tiendra aussi la rubrique syndicale, au moment même où la CGT se réunifie.

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René a cherché à relancer Masses en remplaçant dans La gauche révolutionnaire les articles concernant la vie interne de l’organisation par des articles de doctrine ou d’histoire du mouvement ouvrier, mais cette formule a déplu à un certain nombre de militants. En 1934, il avait défini un programme de publication destiné à « armer idéologiquement les masses prolétariennes et les préparer à la lutte sur tous les terrains » : une revue comme Masses, paraissant plus fréquemment, rendant mieux compte des luttes quotidiennes et plus attrayante ; des brochures approfondissant les problèmes actuels ; des brochures d’histoire révolutionnaire. C’est au deuxième volet de ce programme qu’il va se consacrer. Non seulement il faut répondre aux nécessités de l’heure, mais la Librairie du travail [13], l’éditeur qui, depuis vingt ans, est une référence, un point d’ancrage pour les révolutionnaires, est en grande difficulté ; elle cessera d’ailleurs son activité en 1937. Les thèmes que vont aborder ces brochures, les Cahiers Spartacus dénommés « nouvelle série », sont effectivement brûlants : la réalité du régime soviétique, la perspective d’une nouvelle guerre, le soutien à apporter à la révolution espagnole.

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Le premier Cahier Spartacus, paru en octobre 1936, s’intitule 16 fusillés, avec pour sous-titre Où va la révolution russe ? Il contient des textes de Victor Serge, enfin libéré et rentré en France dans l’été ; le premier d’entre eux raconte le plus spectaculaire des procès de Moscou, qui a débouché sur l’exécution de Zinoviev, Kamenev, Smirnov et d’autres dirigeants bolcheviks. Ils sont suivis par deux textes s’élevant contre la politique de « non-intervention » en Espagne, et notamment contre le refus du gouvernement français de fournir des armes aux républicains espagnols. La brochure suivante, en novembre, offre, sous le titre Union sacrée 1914 -193… des extraits du premier volume du très important Le mouvement ouvrier pendant la guerre d’Alfred Rosmer qui vient de paraître à la Librairie du Travail. On y trouve aussi des textes sur l’unité syndicale et les collectivisations en Espagne, tirés de L’Espagne socialiste, organe en français du POUM, dont la Gauche révolutionnaire se sent proche ; et aussi un commentaire sur la parution du Staline, aperçu historique du bolchevisme, de Boris Souvarine, et de La révolution trahie de Trotski. Le mois suivant, sous une couverture des Cahiers Spartacus, on trouve la brochure de Jean Prader [14], Au secours de l’Espagne socialiste, également publiée par la Librairie du Travail. René Lefeuvre l’accompagne de l’autorisation de la publier donnée par Marceau Pivert, car Prader y critique l’attitude de la Gauche révolutionnaire, et aussi d’un cri d’alarme de Julian Gorkin du secrétariat international du POUM attirant l’attention sur les crimes que préparent les staliniens en Espagne. Cette brochure ne se contente pas de donner les arguments, et un point de vue, pour ou contre la politique de « non-intervention » ; elle aborde aussi la douloureuse question de l’attitude à adopter face à la guerre, question qui va miner les militants dans les années qui suivent.

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La brochure suivante contient la première édition en français depuis 1922 de La Révolution russe de Rosa Luxemburg dans une nouvelle traduction de Marcel Ollivier [15].. Viendront ensuite le programme de la Gauche révolutionnaire et sa réponse à la menace de dissolution dont elle fait l’objet, puis, en mars 1937, les textes sur la Catalogne révolutionnaire publiés au même moment dans ses Cahiers de Terre libre par André Prudhommeaux. Elle comprend un premier texte d’André et Dori Prudhommeaux sur l’armement du peuple dans la révolution espagnole, et Que sont la CNT et la FAI ?, un texte rédigé par le groupe DAS de Barcelone dans le but de contrecarrer la propagande stalinienne dans le mouvement ouvrier. En juin, Les Cahiers Spartacus publient sous le titre Le Guépéou en Espagne le témoignage de Marcel Ollivier sur les journées de mai 1937 à Barcelone. Jusqu’en novembre 1938, René publiera ainsi quinze brochures.

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Jusqu’alors, René Lefeuvre et ses camarades n’ont eu pratiquement aucun contact avec les anarchistes et leurs doctrines ; on rappellera que Rosa Luxemburg, dans ses écrits du début du siècle, n’avait pas de mots assez durs pour eux. René les trouvait difficiles à situer, leurs groupes étaient fermés. C’est la reconnaissance du rôle moteur joué dans les premiers mois de la révolution espagnole par les comités de la CNT et les nécessités de la solidarité révolutionnaire internationale qui amenèrent René à diffuser ces textes. En 1938, il publiera un autre Cahier de Terre libre, un recueil de textes de Camillo Berneri.

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Les désaccords grandissants entre la majorité de la SFIO et la Gauche révolutionnaire aboutissent à la dissolution de celle-ci en avril 1937 ; René prend en charge le nouveau mensuel de la tendance, les Cahiers rouges. Au congrès de Royan, en juin 1938, les animateurs de la tendance se résolvent à la scission et fondent le Parti socialiste ouvrier et paysan (PSOP). Pour René, et il n’est pas le seul, c’est un échec car le nouveau parti ne rassemble qu’une minorité de ceux qui soutenaient la Gauche révolutionnaire, dont l’influence allait croissant. Le PUP [16] ayant rejoint la SFIO après les élections de 1936, c’est le PSOP qui est désormais l’organisation française du Bureau international pour l’unité socialiste révolutionnaire, qui crée en septembre 1938 le Front ouvrier international contre la guerre, qui appelle au défaitisme révolutionnaire ; mais, comme Prader l’avait fait remarquer dans un numéro de Spartacus, cette position, prônée en son temps par Lénine, n’évite pas la guerre.

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René Lefeuvre assure alors l’édition de l’hebdomadaire du PSOP, Juin 36. En janvier 1939, il lance une nouvelle génération de Masses, dont il publiera trois numéros. Lors de la mobilisation, malgré une condamnation à six mois de prison pour les prises de position du PSOP, il est incorporé. Il sera fait prisonnier et passera cinq ans en Allemagne.

 

NOTE

 

[1] Jeunesse du socialisme libertaire, Marcel Rivière, Parigi, 1959.

[2] Andres Nin, dirigente del Partito Operaio di Unificazione Marxista (POUM), citato da René Lefeuvre nella sua presentazione dei testi di André e Dori Prudhommeaux riuniti con il titolo Catalogna 1936-1937Cahiers Spartacus, n° 6, marzo 1937.

[3] Su Boris Souvarine, vedere ad esempio Jean-Louis Panné, Boris Souvarine, Robert Laffont, Parigi, 1993.

[4] Cercle communiste démocratique (Circolo comunista democratico), Déclaration et Statuts, Librairie du travail, Parigi, 1931, citato da Critique sociale, Les vies de Boris Souvarine, www.critique-sociale.info, 2008.

[5] Su Monde, vedere ad esempio Bernard Frederik, Confrontation entre Henri Barbusse et le Komintern, Fondazione Gabriel Péri, 2006 e Guessler Normand, Henri Barbusse and his Monde (1928-1935), Journal of Contemporary History, 1976, 11.

[6] L'Associazione degli scrittori e artisti rivoluzionari (AEAR), sezione francese della Unione internazionale degli scrittori rivoluzionari, verrà infine nel 1933.

[7] 

 

 

 

 

 

ion internationale des écrivains révolutionnaires, sera finalement créée en 1933.

[7] Otto Maschl (1898-1973). Communiste autrichien, il est correspondant à Berlin de l’Humanité de 1921 à 1923 à la demande de Boris Souvarine, puis jusqu’en 1927 professeur d’économie à Moscou pour l’Internationale, avec laquelle il rompt.

[8] Hippolyte Etchebehere (1900-1936), militant révolutionnaire argentin, exclu du parti communiste en 1925 pour son soutien à l’Opposition de gauche. Responsable d’une colonne de miliciens du POUM, il meurt en août 1936 en combattant les franquistes. Son témoignage sur la prise du pouvoir par les nazis reste disponible (1933 : la tragédie du prolétariat allemand, Spartacus, Paris, 2003).

[9] 1894-1984. Typographe, il se passionne pour la lecture et apprend le russe ; il fait partie pendant la première guerre mondiale de la mission militaire française en Russie. En 1918, il refuse de participer aux opérations militaires contre les soviétiques et se joint au Groupe communiste français à Moscou. Il travaille plusieurs années pour l’Internationale puis, opposé au régime, revient en France en 1927 et après une année d’opposition à l’intérieur du parti communiste, il fonde à Limoges une Union des travailleurs révolutionnaires

[10] Angelo Tasca, l’un des fondateurs du parti communiste italien. Membre de l’exécutif de l’Internationale communiste en 1929, puis exclu. Il était membre du comité de rédaction de Monde.

[11] André Ariat (1904-1983). Enseignant, il avait été membre du parti communiste, puis de groupes d’opposition, du Cercle communiste Marx et Lénine et des premiers groupes trotskystes et dernièrement du groupe de la Gauche communiste, avec Alfred Rosmer et Kurt et Katia Landau.

[12] 1902-1968. Il donne à Masses quelques articles sous le pseudonyme de Jean Cello. Il utilisera également celui d’André Prunier

[13] Voir Marie-Christine Bardouillet, La Librairie du Travail, François Maspéro, Paris, 1977.

[14] Édouard Labin (1910-1982). Membre des jeunesses communistes, il en est exclu en 1930 ; Après un passage à la Ligue communiste, il rejoint le Cercle communiste démocratique. Il adhère à la SFIO en 1934.

[15] Aaron Goldenberg (1896-1993). Il est délégué par les Jeunesses socialistes au IIe congrès de l’Internationale, et participe ensuite au IVe congrès. Il travaille jusqu’en 1928 pour l’Institut Marx-Engels et l’Internationale, notamment avec D. Riazanov, B. Souvarine et V. Serge, et manifeste son opposition aux orientations et aux méthodes adoptées par cette dernière. Il s’éloigne ensuite du parti communiste

[16] Parti d’unité prolétarienne, formé en 1930 par l’union de plusieurs groupes d’exclus du parti communiste. Disposait dans certaines villes d’une implantation électorale non négligeable.

 

 

 

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14 agosto 2015 5 14 /08 /agosto /2015 05:00

Pietro Gori

Pietro Gori nacque a Messina il 14 agosto 1865 da Francesco, originario dell'isola d'Elba, cospiratore risorgimentale e comandante del presidio di artiglieria di Messina, e da Giulia Lusoni, discendente da una nobile famiglia di Rosignano Marittimo. Compiuti gli studi classici a Livorno, il Gori si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Pisa, dove fu allievo prediletto del grande criminalista Franco Ferrara.

Da studente abbracciò le idee libertarie e nel 1887 diede alle stampe l'opuscolo Pensieri ribelli (poi in Opere complete, La Spezia 1911-12; nuova ed. Milano 1947-48, come gli altri titoli citati) che gli valse un processo, nel quale fu difeso da Enrico Ferri, uscendone assolto.

Nel 1889 si laureò, con il massimo dei voti e la lode, con una tesi di sociologia criminale intitolata significativamente La miseria e il delitto. Nel 1890 il Gori fu arrestato a Livorno e condannato a un anno di carcere come istigatore del grande sciopero scoppiato il 1° maggio; il verdetto venne poi annullato dalla Cassazione quando il Gori aveva ormai scontato quasi per intero la pena. Sottoposto a uno stretto controllo di polizia, decise di trasferirsi a Milano, dove Filippo Turati lo accolse nel suo studio e lo aiutò nell'attività professionale, instaurando con lui un rapporto di stima e amicizia al di là delle profonde divergenze politiche.

Nel 1891, dal 4 al 6 gennaio, Gori prese parte al congresso di Capolago, promosso da Errico Malatesta e Amilcare Cipriani per dar vita al Partito socialista anarchico rivoluzionario, di cui divenne uno dei principali esponenti e propagandisti. Nello stesso anno tradusse e curò la prima edizione integrale del Manifesto del partito comunista Karl Marx e Friedrich Engels e fondò e diresse a Milano il periodico "socialista anarchico" L'amico del popolo: tutti i ventisette numeri del giornale vennero sequestrati procurandogli denunce e arresti. Sempre nel 1891 partecipò al congresso operaio di Milano come rappresentante della Federazione cappellai del lago Maggiore.

In quella sede Gori presentò un ordine del giorno in favore della linea libertaria, astensionista e antiparlamentare, che si contrapponeva a quello della maggioranza, guidata da Turati, favorevole al metodo legalitario e alla partecipazione socialista alle elezioni. Era il preannuncio di quel che avvenne l'anno successivo al congresso di Genova, allorché Gori rivendicò per gli anarchici la libertà di svolgere la loro propaganda tra i socialisti: "Perché - disse - ci mettete alla porta? Dove voi sarete, là vi seguiremo". Replicò Turati: "Voi non ci seguirete. Noi non vi metteremo alla porta. Soltanto noi siamo stanchi di voi e ci separiamo" (Zangheri, p. 477).

L'esito del congresso del 1892, che sancì la nascita del Partito socialista dei lavoratori italiani (poi Partito socialista italiano) e la sconfitta degli anarchici, amareggiò particolarmente Gori, il quale, contrario alle tendenze individualiste e al metodo violento, riteneva che il vero socialismo non potesse non essere anarchico. Nell'agosto 1893 partecipò al congresso internazionale socialista di Zurigo, al quale intervennero anche Turati, Anna Kuliscioff e Antonio Labriola e ne venne espulso, insieme con Cipriani. All'inizio del 1894 fu tra i fondatori della rivista La lotta sociale, la cui pubblicazione venne sospesa dopo il sequestro del primo numero.

In questo periodo Gori scrisse, oltre ad alcuni opuscoli propagandistici, opere poetiche (Alla conquista dell'avvenire, Prigioni e battaglie) e drammi teatrali (Senza patria e Proximus tuus) che ottennero vasti consensi di critica e di pubblico. Al tempo stesso si affermava come grande penalista dall'oratoria trascinante, protagonista di quasi tutti i principali processi politici che vedevano gli anarchici sul banco degli imputati.

Tra essi vi fu Sante Caserio, difeso da Gori davanti al tribunale di Milano prima che, il 24 maggio 1894 a Lione, pugnalasse a morte il presidente della Repubblica francese Sadi Carnot. Per quella difesa giudiziaria Gori, unico degli esponenti libertari più rappresentativi ancora in Italia, venne additato come ispiratore dell'attentato di Lione.

Per sfuggire all'ondata repressiva che investì gli anarchici anche Gori fu costretto a riparare all'estero. Si stabilì a Lugano, dove continuò a svolgere attività politica facendo della sua casa un ritrovo di altri esuli, tra i quali A. Cabrini e G. Podrecca. Dopo aver subito un misterioso attentato senza conseguenze, nel gennaio 1895 venne arrestato insieme con altri fuorusciti, trattenuto in carcere per due settimane e quindi espulso dalla Svizzera. Questa amara esperienza gli ispirò Addio Lugano, il più celebre tra gli inni da lui composti. Dopo brevi soggiorni in Germania e in Belgio raggiunse Malatesta a Londra e, al suo fianco, partecipò alle lotte dei lavoratori inglesi.

A Londra Gori tenne conferenze e strinse amicizia con noti esponenti dell'anarchismo internazionale come Piotr Kropotkin, Louise Michel, Sébastien Faure e Charles Malato.

Le persistenti difficoltà a procurarsi mezzi di sostentamento lo indussero ad accogliere l'invito dell'agitatore socialista olandese Domela Niewenhuis a recarsi ad Amsterdam, ma poco dopo, avendo problemi con una lingua completamente sconosciuta, decise di rientrare a Londra. Da lì s'imbarcò come semplice marinaio sulla "Neuland", navigando per i mari del Nord prima di approdare a New York, dove amici e compagni lo convinsero ad abbandonare la nave.

Iniziò allora un'intensissima attività di conferenziere e di propagandista politico attraverso le principali città degli Stati Uniti e del Canada. Tenne più di 400 conferenze, trattando di politica, poesia, cultura, filosofia, morale, geografia, facilitato dalla padronanza delle lingue francese, inglese e spagnola. A Paterson, roccaforte anarchica del New Jersey, contribuì alla fondazione della rivista La Questione sociale, pubblicò e fece rappresentare il bozzetto sociale in un atto Primo maggio.

la questione sociale

 

Nel luglio 1896 si recò a Londra per partecipare, quale rappresentante delle Trade Unions nordamericane, al congresso operaio internazionale che ripropose il duro scontro tra socialisti e anarchici e sancì la definitiva sconfitta di questi ultimi. Le amarezze politiche e il peso della frenetica attività concorsero al peggioramento della salute di Gori, minata dalla tisi. Subito dopo la conclusione del congresso venne colto da un grave esaurimento nervoso e ricoverato in un ospedale londinese. Grazie all'interessamento dei deputati G. Bovio e M. R. Imbriani poté rientrare in Italia per curarsi, ottenendo la commutazione della condanna al domicilio coatto, ancora pendente su di lui, nell'obbligo di risiedere all'isola d'Elba. Dopo una breve convalescenza, nel 1897 Gori si trasferì a Milano dove riaprì lo studio legale.

 

Tornò nelle aule di giustizia a difendere i suoi compagni di fede, tra i quali Malatesta, e riprese a collaborare con i giornali anarchici.

Nel 1898, all'inaugurazione del monumento ai martiri delle Cinque giornate di Milano, Gori, acclamato dalla folla, improvvisò un discorso non autorizzato; tale intervento figurò fra i principali capi d'accusa nel processo che seguì i moti popolari scoppiati nel corso di quello stesso anno. Il Gori venne condannato a 12 anni di carcere, in contumacia, dal momento che aveva già provveduto a espatriare. Raggiunta Marsiglia s'imbarcò per Madera e successivamente per il Sudamerica, soggiornando a Santos, a Rio de Janeiro e infine a Buenos Aires.

 

Qui tenne corsi di sociologia criminale all'università, fondò e diresse la rivista Criminologia moderna, alla quale collaborarono tra gli altri C. Lombroso, G. Ferrero ed E. Ferri. Fu tra i promotori della Federacion obrera regional argentina e, grazie al suo impulso, l'anarchismo argentino uscì dalla fase individualistica e venne definendosi come socialismo anarchico per volgersi infine verso il comunismo anarchico. Dopo aver tenuto acclamate conferenze anche in Uruguay, Paraguay e Cile, Gori, per incarico della Sociedad cientifica argentina, effettuò, insieme con il pittore A. Tommasi e il poeta C. Pascarella, una vasta esplorazione dell'Estremo australe, con esiti di grande interesse antropologico e geografico. Gori continuava intanto a interessarsi alle vicende italiane e quando, dopo il regicidio compiuto da Gaetano Bresci, montò una nuova ondata antianarchica scrisse l'opuscolo La nostra utopia, nel quale giustificava l'attentato.

Image illustrative de l'article Fédération ouvrière régionale argentine

 

Nel 1903, grazie all'amnistia che cancellava la pena del 1898, fece ritorno in Italia. Nello stesso anno fondò con Luigi Fabbri la rivista Il Pensiero, sulla quale ebbe modo di esprimere in modo organico la sua concezione del socialismo, dell'anarchismo e della lotta sindacale. Dopo aver compiuto nuovi viaggi in Egitto e in Palestina, sui quali riferì in un nuovo giro di conferenze, Gori, colpito anche da un malattia tropicale, si ritirò nuovamente all'isola d'Elba dove fu l'animatore dello sciopero dei minatori e tra i promotori della Camera del lavoro aderente all'Unione sindacale italiana.

 

Pietro Gori morì a Portoferraio l'8 gennaio 1911.

 

Giuseppe Sircana

 

 

Monumento a Pietro Gori al cimitero di Rosignano Marittimo

 

Fonti e Bibliografia

 

Oltre al già ricordato volume delle Opere complete, si veda ancora: Scritti scelti, a cura di G. Rose, Cesena 1968. V. Mazzoni, Pensieri. Ricordi ed opere di Pietro Gori, Pisa 1922; La vita e l'opera di Pietro Gori nei ricordi di Sandro Foresi, Milano 1948 (il volume comprende Ultime battaglie. Lettere e scritti inediti di Pietro Gori e Notizie biografiche su Pietro Gori di L. Fabbri); Commemorando Pietro Gori nel 40° della morteRoma, 1950; G. Manacorda, Il movimento operaio attraverso i suoi congressi (1853-1892)Roma, 1953, ad indicemA. Borghi, Mezzo secolo di anarchia, Napoli, 1954, ad indicem; C. Molaschi, Pietro GoriMilano, 1959 (nuova ed. Pescara 1999); E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, Milano, 1959, ad indicem; Rosignano a Pietro Gori, Cecina 1960; L. Cortesi, La costituzione del Partito socialista italianoMilano 1962, ad indicem; La corrispndenza di Marx e Engels con italiani 1848-1895, a cura di G. Del Bo, Milano 1964, ad indicem; A. Asor Rosa, Scrittori e popolo, Roma 1965, ad indicem; A. Angiolini, Socialismo e socialisti in Italia, Roma 1966, ad indicemG. Dinucci, Pietro Gori e il sindacalismo anarchico in Italia all'inizio del secolo, in Movimento operaio e socialista, XIII (1967), 3-4, pp. 289-301; L. Briguglio, Il Partito operaio italiano e gli anarchici, Roma 1969, ad indicem; Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo, Torino 1971, ad indicem; D. Perli, I congressi del Partito operaio italiano, Padova 1972, ad indicemV. Emiliani, Gli anarchici, Milano 1973, ad indicem; P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta (1862-1892), Milano 1974, ad indicem; R. Paris, L'Italia fuori d'Italia, in Storia d'Italia (Einaudi), IV, Dall'Unità a oggi, 1, Torino 1975, ad indicem; P. C. Masini, I leaders del movimento anarchicoBergamo 1980, pp. 115-125; Centro studi P. Gobetti - Istituto di storia della Resistenza in Piemonte, Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori, Torino 1980, ad indicem; O. Bayer, L'influenza dell'emigrazione italiana nel movimento anarchico argentinoin Gli Italiani fuori d'Italia, a cura di B. Bezza, Milano 1983, pp. 531 s., 537, 541 ss.; M. Antonioli, Pietro Gori o la breve stagione del del cavaliere errante, in Annali dell'Istitutodi storia della Facoltà di magistero dell'Università di Firenze, III (1982-84), pp. 109-133; A. Dadà, L'anarchismo in Italia: fra movimento e partito, Milano 1984, ad indicem; G. Ferro, Protagonisti del movimento socialismo socialista in Italia, Roma 1992, s. v.; M. Antonioli, Pietro Gori il cavaliere errante dell'anarchia, Pisa, 1995; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, II, Dalle prime lotte nella Valle Padana ai fasci siciliani, Torino, 1997, ad indicemIl movimento operaio italiano. Dizionario biografico, II, ad vocem; L. Bettini, Bibliografia dell'anarchismo, I, 1-2, Firenze, 1972-76, ad indicem.

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22 luglio 2015 3 22 /07 /luglio /2015 13:12
1872: Saint-Imier, culla dell'anarchismo

È qui che tutto è iniziato... La domenica del 16 settembre 1872 si è aperta nel borgo svizzero di Saint-Imier un congresso internazionale di cui si può dire, a posteriori, che segnò la nascita del movimento anarchico organizzato. Ma non fu un congresso anarchico.

Convocato in tutta fretta, dopo la scissione avvenuta alcuni giorni prima al quinto congresso dell'Associazione internazionale dei lavoratori (A.I.T) all'Aia, esso raccoglie una quindicina di delegati spagnoli, svizzeri, italiani e francesi, quest'ultimi residenti in Svizzera. Molti dei partecipanti provengono dall'Aia, dove insieme a Belgi e Olandesi hanno difeso la “dichiarazione della minoranza” a favore dell'autonomia e del federalismo. Son passati per Amsterdam e Bruxelles, accolti calorosamente dalle sezioni operaie di queste città, poi per Zurigo dove hanno tenuto una riunione con Bakunin, la sezione slava della città e alcuni Italiani.

Quest'ultimi avevano costituito una federazione dell'Internazionale, un mese prima, che aveva dichiarato immediatamente di rompere “ogni solidarietà con il Consiglio generale di Londra, affermando ancor più la sua solidarietà economica con tutti i lavoratori” e proponendo lo svolgimento di un “congresso generale anti-auroritario” in Svizzera. I Giurassiani avrebbero preferito un'Internazionale che raggruppasse i lavoratori di tutti i paesi e di tutte le tendenze; ma la maggioranza del congresso dell'Aia aveva espulso James Guillaume e cercò di espellere Adhémar Schwitzguébel: non restava che andare avanti separatamente.

Già l'anno precedente, la Federazione giurassiana aveva affermato la sua autonomia al congresso di Sonvilier (un villaggio vicino a Saint-Imier), che dichiarava che “la società futura non deve essere nient'altro che l'universalizzazione dell'organizzazione che l'Internazionale si sarà data” [1]. Malgrado questo riconoscimento del grande compito della AIT, ciò le varrà i fulmini di Marx e dei suoi amici del comitato centrale di Londra.

Max Nettlau [2] distingue in questo momento tre tendenze, o per meglio dire, tre sfumature tra gli anti-autoritari: “Cafiero e i suoi compagni volevano innanzitutto l'affermazione, la propaganda e la realizzazione delle idee anarchiche attraverso l'azione rivoluzionaria e non si preoccupavano affatto di coloro che professavano delle idee meno avanzate.

James Guillaume e i Giurassiani volevano la solidarietà di tutte le federazioni dell'Internazionale nella lotta contro il capitale e il padronato e l'autonomia di ognuna nella scelta delle idee e della tattica da seguire.

A Bakunin la propaganda e l'azione nel senso delle idee anarchiche erano care innanzitutto, ma si allineò alla tattica di non isolarsi dal resto, o piuttosto dal gran numero, dagli operai, purché la libertà di ciascuno fosse rispettata” [3].

Nettlau aggiunge che “dalle discussioni di Zurigo e del Congresso internazionale di Saint-Imier risultarono due organizzazioni internazionali, una pubblica, tra federazioni dell'Internazionale, che aveva come base la solidarietà economica e l'autonomia in fatto di idee e di tattica; l'altro segreto, tra le federazioni nettamente anti-autoritarie o anarchiche, o, più esattamente, tra quelle di quelle federazioni che erano già in relazioni private con Bakunin e i suoi compagni”.

Le risoluzioni

Le risoluzioni adottate a Saint-Imier sono note: la prima riafferma i principi di autonomia e di federalismo, “prima condizione dell'emancipazione dei lavoratori”; la seconda conclude un “patto di amicizia, di solidarietà e di mutuo sostegno” tra le organizzazioni rappresentate; la terza dichiara fieramente “che la distruzione di ogni potere politico è il primo dovere del proletariato” [4].

La quarta risoluzione è citata meno spesso: “la libertà e il lavoro sono la base della morale, della forza, della vita e della ricchezza dell'avvenire... Tuttavia il lavoro non può esercitarsi liberamente senza la proprietà delle materie prime e di tutto il capitale sociale, e non può organizzarsi se l'operaio, emancipandosi dalla tirannia politica ed economica, non conquista il diritto di svilupparsi completamente in tutte le sue facoltà. Ogni Stato, e cioè ogni governo ed ogni amministrazione delle masse popolari, dall'alto in basso, essendo necessariamente fondato sulla burocrazia, sugli eserciti, sullo spionaggio, sul clero, non potrà mai instaurare la società organizzata sul lavoro e sulla giustizia, poiché per la natura stessa del suo organismo è spinto fatalmente ad opprimere il primo e a negare la seconda […].

L'organizzazione libera e spontanea del lavoro dovendo essere quella che si deve sostituire all'organismo privilegiato e autoritario dello Stato politico, sarà, una volta stabilita, la garanzia permanente del mantenimento dell'organismo economico contro l'organismo politico... Lo sciopero è per noi un mezzo prezioso di lotta, ma non ci facciamo alcuna illusione sui suoi risultati economici. L'accettiamo come un prodotto dell'antagonismo tra il Lavoro e il Capitale, avente necessariamente come conseguenza di rendere gli operai sempre più coscienti dell'abisso esistente tra la Borghesia e il Proletariato, di rafforzare l'organizzazione dei lavoratori e di preparare, per mezzo delle semplici lotte economiche, il Proletariato alla grande lotta rivoluzionaria e definitiva che, distruggendo ogni privilegio e ogni distinzione di classe, darà all'operaio il diritto di godere del prodotto integrale del suo lavoro, e attraverso ciò i mezzi di sviluppare nella collettività tutta la sua forza intellettuale, materiale e morale.

La commissione propone al Congresso di nominare una Commissione che dovrà presentare al prossimo Congresso un progetto di organizzazione universale della resistenza,e dei quadri completi della statistica del lavoro nei quali questa lotta attingerà la sua luce”.

L'internazionale anti-autoritaria

Un anno più tardi, sarà uno dei temi importanti del congresso “federalista” di Ginevra, vero congresso operaio. Belgi, Olandesi, Spagnoli, addirittura alcuni Inglesi si aggiungono al nucleo iniziale, relazionano sui conflitti e i successi nei loro paesi, evocano la possibilità dello “sciopero universale”, mentre Guillaume, applaude, pensa che la statistica saprà sostituire la scienza del governo.

Per cinque anni, avente come unico principio un patto di solidarietà e di autonomia, come solo organo un ufficio di corrispondenza, le sezioni di mestiere e le federazioni si scambieranno delle informazioni, si sosteranno reciprocamente, affronteranno senza astio né preoccupazione di egemonia le questioni dell'organizzazione futura della società, della partecipazione o non alla politica, della propaganda e dell'azione, affrontare la repressione e le crisi economiche.

Il Le Bulletin de la Fédération jurassienne, [Bollettino della Federazione giurassiana] da quattro a otto pagine redatte spesso da operai orologiai, pubblicate in 600 copie nel villaggio di Sonvilier, diffonde delle corrispondenze dell'Europa e delle Americhe, la meta delle copie sono spedite all'estero; centinaia di lettere testimoniano la permanenza della sua attività [5].

File:Bulletin de la Fédération Jurassienne.png

Nascita dell'anarchismo…

Allo stesso tempo, parallelamente, l'idea di un movimento anarchico prende corpo. La parola circolava sia tra i suoi sostenitori sia tra i suoi avversari, l'Utopia faceva parte degli obiettivi di molti gruppi.

Nel settembre del 1871, la Federazione spagnola dell'Internazionale dichiarava “che la vera repubblica democratica federale è la proprietà collettiva, l'anarchia e la federazione economica, e cioè la libera e universale federazione delle libere associazioni di operai agricoli e industriali” [6].

Nella primavera del 1873, sono gli Italiani che affermano che “l'anarchia, per noi, è il solo mezzo affinché la Rivoluzione sociale sia un fatto, affinché la liquidazione sociale sia completa, […] affinché le passioni e bisogni naturali, riprendano il loro stato di libertà, compiendo la riorganizzazione dell'umanità sulle basi della giustizia” [7].

Vecchi compagni in compenso, come Benoît Malon, affermano l'impossibilità del “programma anarchico”. Ma Guillaume svi si oppongono fermamente: non vi è teoria anarchica, c'è una teoria collettivista, egli sostiene. Le federazioni del Belgio e dei Paesi Bassi abbondano in questo senso.

In Svizzera...

Nel febbraio del 1876, in un testo edito a Ginevra, François Dumartheray annuncia la prossima uscita di un “libello che tratta di comunismo anarchico”. È la prima volta che apparirva questo termine.

Il 3 marzo 1877, Élisée Reclus dà a Saint-Imier una conferenza sull'anarchia e lo Stato: dopo aver ridotto al loro reale valore le menzogne borghesi sulla parola “anarchia”, spiega il significato scientifico di questa parola, e come dobbiamo rapportarvici. Ha passato in rassegna le diverse forme di Stato – lo Stato teocratico, monarchico, aristocratico e infino lo Stato popolare -, e ha dimnostrato come quest'ultimo, “volendo il governo del popolo per il popolo, sfociasse nelel sue conseguenze logiche, se fosse stato realmente praticato, nell'anarchia […], quell'orizzonte di libertà che desideriamo per la società umana”.

Eccoci qua: anarchici, e fieri di esserlo [8]. In cinque anni, dal settembre del 1872 all'estate del 1877, il movimento anarchico ha assunto la sua identità e una vita propria. Qualificare come anarchici dei movimenti o dei militanti anteriormente a quet'ultima data è dunque un anacronismo.

Tutto è accaduto in Svizzera, grazie anche all'accoglienza di stranieri e di rifugiati politici nel paese: una situazione che, ahimè, è molto cambiata nel corso del tempo, e non soltanto nei confronti degli anarchici.

e fine dell'Internazionale

L'Associazione internazionale dei lavoratori, in quanto a esse, è moribonda. Il ramo “centralista” ha tenuto un ultimo congresso fantasma a Filadelfia, nel 1876; il ramo “federalista”, dopo un tentativo di riunire l'insieme del movimento operaio a Gand, nel 1877, si stanca dei congressi e delle corrispondenze.

Questi anni vedono anche la formazione dei partiti socialisti di tutte le sfumature e dei sindacati riformisti, il ripiegamento sulle organizzazioni nazionali, il passaggio di militanti da una corrente all'altra.

In quanto agli anarchici, fieri di esserlo, danno la priorità ai loro gruppi, al loro movimento dove tutto resta da inventare. Alche qui, occorrerà una lunga gestazione e molti tentativi.

Che senso ha oggi ricordare tutto ciò? Se non vi fosse stato il congresso di Saint-Imier nel settembre del 1872, non ci sarebbe stata la riunione internazionale anarchica che si sarebbe svolta in questo stesso villaggio, non ci sarebbe stata la cooperativa Espace noir (Spazio nero) per accoglierci. Anche se il movimento attuale non un granché a vedere con quello di più di un secolo fa: Schwitzguébel, che predicava la temperanza, sarebbe stato infastidito dalla quantità di birra che vi è stata consumata; Malatesta, che organizzava delle insurrezioni, sarebbe stato deluso nel vedere cos'è diventata l'ideologia “insurrezionalista”; Max Nettlau vi avrebbe trovato più speranza? Egli scriveva nel 1922: “Se si vuole cercare di trarre profitto dagli insegnamenti di Saint-Imier nel 1872, si potrebbe cercare di ristabilire una vera Internazionale su questa base:

solidarietà nella lotta economica contro il capitalismo;

solidarietà nella lotta contro l'autorità, lo Stato;

solidarietà nel rifiuto assoluto della guerra e delle oppressioni nazionaliste;

autonomia completa sul terreno delle idee e della tattica, il che implica il non intervento negli affari degli altri e il rifiuto di ogni monopolio e di ogni dittatura”.

Marianne Enckell (Centro internazionale di ricerche sull'anarchismo, Losanna).

La Prima internazionale

1864: Conferenza di Londra, adozione del Preambolo.

1866: Primo congresso a Ginevra, adozione degli statuti.

1867: Congresso della Lega per la pace e la libertà, poi 2° congresso a Losanna.

1868: 3° congresso a Bruxelles.

1869: 4° congresso a Basilea.

1870: Nessun congresso per via della guerra tra Francia e Prussia.

1871: Nessun congresso per via della repressione seguita alla Comune di Parigi; conferenza a Londra.

1872: 1-8 settembre, 5° congresso all'Aia in Olanda; 15-16 settembre, Congresso anti-autoritario a Saint-Imier (Svizzera).

1873: Due congressi a Ginevra, quello del ramo anti-autoritario seguito da quello del ramo detto centralista.

1876: Ultimo congresso del ramo centralista a Filadelfia.

1877 Ultimo congresso del ramo anti-autoritario a Verviers.

1922: Il 15 settembre, commemorazione del cinquantesimo anniversario del congresso di Saint-Imier. A dicembre, un congresso a Berlino rifonda l'Associazione internazionale dei lavoratori, anarco-sindicalista.

 

NOTE

[1] Circolare a tutte le federazioni dell'Internazionale, La Révolution sociale, Ginevra, 14 dicembre 1871.

[2] Max Nettlau (1865-1944), militante anarchico austriaco e storico dell'anarchismo.

[3] Max Nettlau, “Les Origines de l’Internationale anti-autoritaire”, Le Réveil anarchiste, Ginevra, 16 settembre 1922 (anno XXII, n° 597). Il giornale sarà presto accessibile in rete sul sito del Cira.

[4] Bulletin de la Fédération jurassienne n° 17-18, 15 settembre 1872 (di fatto, 1° ottobre 1872).

[5] Gli archivi della Federazione giurassiana sono soprattutto conservati ad Amsterdam (Istituto internazionale di storia sociale), e in parte anche a Neuchâtel (Fondi James Guillaume, Archivi dello Stato di Neuchâtel).

[6] Citato da Mathieu Léonard, L’Emancipation des travailleurs, [L'emancipazione dei lavoratori], Parigi, 2011, p. 293.

[7] Bulletin de la Fédération jurassienne, 1° aprile 1873.

[8] Amedeo Bertolo, “Venezia e dintorni”, Volontà, 3/1984.

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19 luglio 2015 7 19 /07 /luglio /2015 05:00

I meriti di Roman Rosdolsky. A proposito di "Genesi del Capitale di Karl Marx"

Anselm Jappe

 

È raro ai nostri giorni vedere un lavoro marxista essere tradotto, venduto, letto e discusso, trentaquattro anni dopo la sua prima pubblicazione. Eppure, è esattamente quel che accade oggi in Brasile con "Genesi e struttura del "Capitali" di Karl Marx" [1]. Malgrado si tratti di un libro molto erudito, quest'ultimo non vale unicamente come semplice archivio storico, ma costituisce anche una guida molto attuale per capire l'opera di Marx.

Le poche informazioni biografiche disponibili sull'autore ci fanno credere che la sua vita non è stata particolarmente fortunata: sembra essere stato sempre la persona sbagliata nel posto sbagliato. Nato nel 1888 in Galizia, una regione storica della Polonia), aderisce alle idee socialiste durante la prima guerra mondiale. Collabora all'edizione delle opere complete di Marx e Engels a Mosca quando Stalin decide, nel 1931, di porre fine a questo progetto. Trovandosi in Polonia durante l'occupazione nazista, è fatto prigioniero in un campo di concentramento e emigra infine negli Stati Uniti dove, all'epoca, la vita non era molto facile per un erudito marxista. Ricorda ad esempio la difficoltà nel reperire dei testi da studiare.

Rimane sconosciuto durante la sua vita e muore nel 1967, poco prima della rinascita mondiale di un marxismo intellettuale eterodosso che lo avrebbe probabilmente affascinato. Il suo libro, al quale ha dedicato evidentemente molto tempo, almeno 20 anni, di solitarie meditazioni, è stato pubblicato in Germania nel 1968 e in seguito tradotto in molte lingue. Ha fortemente influenzato la parte teorica più avanzata della nuova sinistra.

Il merito personale di Rosdolsky è tanto più notevole in quanto egli non poteva appoggiarsi su alcun lavoro marxista dell'epoca e ha piuttosto fondato le sue conclusioni sulla sola lettura dei testi di Marx. Di fatto, il suo libro non è nemmeno un'interpretazione, ma piuttosto un esame molto vicino del testo. Rosdolsky scompare quasi del tutto dietro il suo oggetto di studio; pochi marxisti sono stati così vicini a Marx, attraverso analisi minuziose vertenti al contempo sulla critica dell'economia politica e le aspirazioni filosofiche e politiche.

Il libro di Rosdolsky esamina un grande manoscritto di Marx, scritto nel 1857/58, i “Grundrisse”. Pubblicato per la prima volta nel 1939, ebbe all'epoca un impatto limitato, considerato come un semplice schizzo o uno schema del “Capitale” e, di conseguenza, di minor importanza di quest'ultimo.

Il libro di Rosdolsky è quindi il primo esame organico del “Grundrisse”, il suo grande merito è di mostrare come questo manoscritto deve alla dialettica hegeliana della forma e del contenuto, in particolare quando si tratta del valore. È per questo rilievo che Rosdolsky può essere considerato – anche se rimane prudentemente, su numerosi aspetti, nel marxismo tradizionale [2] – un precursore di coloro che oggi mettono in discussione la merce, il lavoro, il valore e il denaro, lo Stato, il mercato e la politica, ecc.

Desideriamo porre l'accento su alcune delle sue migliori analisi. Egli riprende soprattutto una categoria ancora ignorata all'epoca, quella del “lavoro astratto”, e sottolinea che essa non è identica a quella di “lavoro necessario”, perché si rivolge all'aspetto quantitativo del problema piuttosto che al suo aspetto qualitativo. Rosdolsky è stato non soltanto uno dei primi a porre in evidenza l'importanza del valore in Marx, ma ha anche molto bene riassunto il suo ruolo nei differenti livelli dell'analisi di Marx.

La sua acuta coscienza della dialettica tra la forma e il contenuto l'ha portato a una piena comprensione della “contraddizione tra l'impulso illimitato di valorizzazione del capitale e il potere limitato di consumo della società capitalista” (Rosdolsky, edizione tedesca, p. 393). Distanziandosi qui esplicitamente dal marxismo tradizionale, egli ammette di conseguenza l'impossibilità di far corrispondere uso concreto e valore astratto.

A differenza del marxismo tradizionale, Rosdolsky non vede nelle contraddizioni apparenti della realtà capitalista delle semplici mistificazioni, ma l'espressione di contraddizioni reali. Ciò è molto importante per capire il feticismo della merce non come un fenomeno che appartiene unicamente alla sfera della coscienza, ma come un fenomeno ben reale.

Opponendosi in modo esplicito ai “manuali di economia marxista”, Rosdolsky afferma che il feticismo della merce e la formazione del denaro sono “i due aspetti diversi di una sola e stessa realtà: nella produzione mercantile, “la capacità della merce ad essere scambiata” esiste “a fianco di essa, come un oggetto […], come qualcosa di distinto da se stessa”, “non immediatamente identica” ad essa; il valore deve dunque autonomizzarsi di fronte alle merci” (Rosdolsky, edizione francese, p. 180). In altri termini, Rosdolsky riscopre il fatto che, per Marx, il raddoppiamento della realtà sociale costituisce il fondamento della logica del valore.

Ciò che è incredibile per l'epoca, prima del 68, è anche il fatto di ricordare che Marx non ha scritto una “economia politica” perché si tratta anche di una categoria feticcio. La differenza tra la genesi storica e la genesi logica del capitale è stata presentata negli anni 70 da altri come l'ultimissima scoperta, mentre era già stata posta in evidenza da Rosdolsky [3].

Quest'ultimo sottolinea anche che l'accumulazione primitiva è un elemento costitutivo del rapporto capitalista e, di conseguenza, che è “contenuta nel concetto di capitale”; il capitolo del “Capitale” sull'accumulazione primitiva non è dunque soltanto una digressione storica, come credeva anche Rosa Luxemburg (Rosdolsky, edizione francese, p. 358).

Rosdolsky non si avventura quasi mai sul terreno delle conseguenze pratiche della teoria marxista. Ma ha scoperto quegli aspetti di Marx che ispirano oggi i tentativi per rompere con la logica del valore. Rosdolsky non è forse mai stato così attuale di quando ha posto in risalto – è stato probabilmente il solo a farlo – l'importanza di quelle pagine dei “Grundrisse” che annunciano che lo stesso sviluppo del capitalismo distruggerà il valore – e dunque il lavoro - come fondamento della società capitalista. Oggi, numerosi sono quelli che cercano quelle pagine. Egli le chiama, con una passione giustificata, le “riflessioni che - malgrado Marx le abbia scritte più di cento anni fa – non potete leggere oggi che con emozione perché esse contengono una delle visioni più audaci dello spirito umano” (Rosdolsky, edizione tedesca, p. 500).

 

Anselm Jappe

Fortaleza (Brasile), 10 febbraio 2002

(Apparso sulla rivista "O Povo", Fortaleza, Brasile)

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

NOTE

[1] In Francia, soltanto il primo tomo è stato tradotto e edito come Roman Rosdolsky, La Genèse du "Capital" chez Karl Marx. I. Méthodologie. Théorie de l’argent. Procès de production (tr. Dal tedesco di Jean-Marie Brohm e Catherine Colliot-Thélène), François Maspéro, 1976 (il secondo tomo sembra essere stato tradotto integralmente da J.-M. Brohm ma non è mai stato pubblicato sinora).

[2] Per la critica del valore, il “marxismo tradizionale” (Postone) o il “marxismo del movimento operaio” (Kurz), designano un marxismo che fa una critica del capitale dal punto di vista del lavoro, e che lascia dunque da parte la critica marxiana del valore, del denaro, della merce e del lavoro, accettando tacitamente o esplicitamente la loro eterna esistenza. Questo marxismo accettando il quadro muto della produzione capitalista, non cerca allora che a promuovere la distribuzione di queste stesse categorie, invece di mettere in questione il valore della merce e dunque il lavoro, come principio regolatore come principio regolatore della produzione e della vita sociale.

[3] Per un riassunto su questa questione vedere Anselm Jappe, “Les Aventures de la marchandise. Pour une nouvelle critique de la valeur” [Le avventure della merce. Per una nuova critica del valore], Denoël, 2003, pp. 89-95.

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15 luglio 2015 3 15 /07 /luglio /2015 05:00

Storia della corrente comunista libertaria

Una manifestazione durante gli anni 70.

Periodo di formazione (1872-1901)

1872: il congresso di Saint-Imier, dopo la scissione della Prima Internazionale, è considerato come uno degli atti fondatori del socialismo antiautoritario.
1883: A Lione, il processo dei Settanta è il primo processo spettacolare condotto contro l'anarchismo.

1893-1900: Contro la socialdemocrazia, convergenza con il socialismo antiparlamentare. Mentre il socialismo riformista, sul modello tedesco, impone il proprio modello nella Seconda Internazionale, l'anarchismo si allea con la sinistra socialista per proporre un'altra via.
1898: una prima vittoria contro gli antisemiti. Il Caso Dreyfus vede un'ondata reazionaria in Francia, cementata dall'antisemitismo, il militarismo e il cattolicesimo. I rivoluzionari contendono la strada all'estrema destra, e infliggono loro un'umiliazione nel gennaio 1898.

Osmosi con il sindacalismo rivoluzionario (1901-1913)

1906: la Carta di Amiens determina l'orientamento sindacalista rivoluzionario della CGT.
1907: il congresso anarchico internazionale cerca di chiarire le relazioni con il sindacalismo, e chiama alla creazione di federazioni anarchiche unite da un'Internazionale.

GIF - 6.9 ko1909: L'esecuzione di Francisco Ferrer solleva le masse contro la Chiesa cattolica. La morte del grande pedagogo anarchico ha una risonanza nel mondo intero. In Francia, l'immensa dimostrazione del 17 ottobre 1909 segna una svolta nella pratica francese della manifestazione di strada.
1910: Morire a Biribi! Salviamo Rousset! Il caso Aernoult-Rousset, in cui si coinvolge tutto il movimento anarchico, sindacale e socialista, pone in luce la barbarie delle colonie militari del nord Africa (Chiamati Biribi).
1911: la Rivoluzione messicana è comunista? È la domanda che agita il movimento libertario francese, e non soltanto, nel 1911-1912.
1911: Agadir, la guerra è già qui. La crisi marocchina dell'estate spinge l'Europa sulla soglia della guerra. Mentre il movimento operaio manifesta per la pace, gli anarchici minacciano chiaramente di “sabotare la mobilitazione” in caso di guerra.
1912: La CGT in sciopero generale contro la guerra. La guerra dei Balcani minaccia di incendiare tutto il continente. Mentre i socialisti organizzano un grande congresso pacifista a Basilea, anarchici e sindacalisti rivoluzionari preparano uno sciopero generale contro la guerra, il 16 dicembre 1912.
1913: Inizi di ammutinamenti nelle caserme. Il movimento operaio si oppone al progetto di allungare il servizio militare a tre anni. Dopo un'ondata di proteste tra i coscritti nel maggio 1913, il governo se la prende contro gli !antipatrioti”. Gli anarchici rimproverano allora la direzione della CGT di aver capitolato davanti alla repressione.

Opposizione alla guerra (1914-1918)

1914: Si poteva evitare la guerra? Nel luglio 1914, mentre la CGT è indebolita da due anni di repressioni e di sconfitte, il movimento operaio rivoluzionario è superato dalla rapidità degli eventi. La Federazione comunista anarchica si disgrega.

Perdita di influenza nel movimento operaio (1919-1934)


JPEG - 8.3 ko1919: I “grandi capi” della CGT sabotano la rivoluzione. Gli scioperi della metallurgia parigina, in giugno, potevano essere il preludio di una rivoluzione proletaria? È ciò che pensano gli anarchici e sindacalisti che criticano la direzione oramai riformista della CGT.
1922: A Saint-Étienne, gli “anarco-sindacalisti” perdono la CGTU. Nel dicembre del 1921, la CGT crolla e i sindacati fondano la CGTU. Ma al suo interno, libertari e filocomunisti si oppongono sul progetto sindacale. I primi sono posti in minoranza al I congresso confederale, nel giugno 1922, a Saint-Étienne.
1926-1927: Il caso Sacco e Vanzetti. Mentre l'Unione anarchica è emarginata dal PCF, essa svolge un ruolo propulsore in una grande campagna politica per salvare due anarchici italo-americani dalla sedia elettrica.
1927: l'anarchismo tenta il rinnovamento. Il congresso dell'Unione anarchica adotta la Piattaforma organizzativa dei comunisti libertari proposta da Makhno, Archinov e i libertari russi in esilio. Ma questo sforzo di chiarificazione non basta a risolvere la crisi dell'UA.

Ritorno in Francia e speranze deluse (1934-1939)


JPEG - 9.1 ko1934-1937: gli anarchici e il Fronte popolare. Dopo aver partecipato all'unità d'azione antifascista nel 1934, l'Unione anarchica denuncia, nel Fronte popolare (PS-PCF-Partito radicale), la preparazione di una nuova unione patriottica sotto gli auspici del patto Laval-Staline.
1936-1939: gli anarchici francesi di fronte agli errori della rivoluzione spagnola. La scelta strategica della CNT di entrare nel governo repubblicano provoca vivi dibattiti nel movimento libertario internazionale.
Alle origini della bandiera rossa e nera. Le sue origini sono molteplici, ma sembra che la bandiera rossa e nera sia stata inventata dalla CNT nel 1931, e popolarizzata nel mondo intero all'epoca della Rivoluzione spagnola.
1938: Gli anarchici, né “pro Monaco” né “anti Monaco”. Nel settembre 1938, la Germania nazista, l'Italia fascista, La Francia e il Regno Unito si accordano, a Monaco , per smembrare la Cecoslovacchia, in nome “della pace”. In Francia, contro i “difensisti” e i “pacifisti integrali”, l'Unione anarchica mantiene la sia linea pacifista rivoluzionaria.
1939: La SIA non abbandona la lotta. In sostegno ai brigatisti spagnoli, gli anarchici francesi hanno animato una struttura antifascista di massa – sino a 15.000 aderenti uomini e donne: la Solidarité internationale antifasciste (Solidarietà internazionale antifascista, SIA).

Guerra fredda e decolonizzazione (1945-1962)

1947: Lo sciopero Renault infiamma la Francia. Poiché il PCF è al governo, la CGT impedisce ogni conflitto sociale in nome della ricostruzione della patria. Un gruppo di operai rivoluzionari – anarchici, trotskisti, consiliari -riuscirà tuttavia a far fermare l'officina Renault di Billancourt, scatenando la lotta di classe nel resto del paese.
1948: Gli anarchici si uniscono di malgrado alla CGT-Forza operaia. Contro la CGT-Mosca e la CGT-Washington (Forza operaia), gli anarchici cercano di sviluppare la CNT. Poi, più ampiamente, un polo sindacalista autonomo. I loro scacchi successivi li conduce infine a unirsi alla CGT-FO, dove essi ed esse beneficano di un margine di manovra.


GIF - 7.6 ko1953: la Federazione anarchica si trasforma in Federazione comunista libertaria al termine di una lunga lotta di tendenza che ha opposto i sostenitori della Sintesi ai sostenitori della Piattaforma, sostenuta da Georges Fontenis.
1954: insurrezione algerina dell'”Ognisanti rossa”. La Federazione comunista libertaria è la prima organizzazione francese, insieme a un partito trotskista, a impegnarsi a fianco degli indipendentisti. Uno dei suoi militanti, Pierre Morain, sarà il primo prigioniero politico francese della guerra d'Algeria. La FCL scomparirà sotto i colpi della repressione, così come, nella stessa Algeria, il Movimento libertario nord-africano.
1955: una scissione della FCL, i gruppi anarchici di azione rivoluzionaria (GAAR), animati da militanti come Guy Bourgeois, si impegnano essi stessi nella lotta anticolonialista. Conosceranno successivamente una originale traiettoria, molto caratterizzata dall'antimperialismo.

Dinamica degli “anni 68” (1968-1980)


GIF - 7.1 ko1968: Dopo un decennio di marasma, il movimento anarchico si risolleva. Il sollevamento generale di maggio-giugno 1968 dà un nuovo impulso all'estrema sinistra. L'Organizzazione rivoluzionaria anarchica (ORA) viene a formarsi. Ad essa si unisce un militante che avrà una grande influenza sul comunismo libertario contemporaneo: Daniel Guérin.
1976: In seguito a un'esclusione dell'ORA, si costituisce la Union des travailleurs communistes libertaires (Unione dei lavoratori comunisti libertari).
Mentre la prospettiva di una rivoluzione imminente si allontana, la UTCL investe la sua energia nelle sinistre sindacali eredi del Maggio 68.

Periodo contemporaneo (1981 ai nostri giorni)

1986: I coordinamenti degli scioperanti apre una nuova era. Gli anni 1986-1989 sono caratterizzati da un ritorno in forza dell'auto-organizzazione delle lotte, appoggiate soprattutto dalla sinistra CFDT, di cui la UTCL è parte notevole. Alla fine la CFDT escluderà i suoi sindacati combattivi, qualificati come “pecore nere”, che in seguito formeranno i sindacati SUD.
1991: Fondazione di Alternative libertaire. Al termine di un processo di aggregazione (dal risultato modesto), la UTCL e il Collettivo giovani libertari si auto dissolvono all'interno di una nuova struttura: Alternative libertaire, dotata di un mensile che, anch'esso, ha la sua storia peculiare.
1995: Alternative libertaire nella lotta. Il movimento del Dicembre 95 è l'occasione, per i militanti uomini e donne di AL, di spingere all'auto-organizzazione deigli scioperanti e alla rottura nei confronti della confederazione CFDT.

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Presentazione

  • : La Tradizione Libertaria
  • : Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
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