La "Lettera aperta al compagno Lenin"
di Herman Gorter: 1920.
Dettagli e circostanze*
Serge Bricianer
La Rivoluzione d'ottobre travolse d'entusiasmo l'estrema sinistra tedesca (tra le altre), soprattutto i suoi elementi allora in via di rottura con le pratiche istituzionali. Certo, ad essa sembrava destinata al disastro se fosse rimasta isolata (Lenin di tanto in tanto lo diceva e ripeteva), ma essa confermava loro il carattere nefasto, per le azioni di massa, del "patto parlamentare con la borghesia)", e la necessità della costruzione di consigli - come indicava Otto Rühle nell'agosto del 1919 [1].
Eppure, due mesi più tardi, Rühle insorgeva contro le manovre scissioniste dei capi del KPD miranti, egli sosteneva, ad instaurare "una dittatura di partito (e non di "classe proletaria") come in Russia". All'origine di questo mutamento si trovava dunque una reazione a delle manipolazioni direttamente avvertite, piuttosto che ad una realtà remota e ancora poco nota. Un anno dopo, nel luglio del 1920, al suo ritorno da Mosca dove il KAPD lo aveva delegato per il II congresso dell'Internazionale Comunista, Rühle descriveva nel nuovo Stato russo, sorto da un "putsch pacifista", un "socialismo politico senza base economica" e sottoposto ad un "ipercentralismo di Partito", a una "burocrazia onnipotente", con "potere dei capi" e "culto della personalità" [2]. Secondo lui, questo primato del partitico era certamente giustificato nella Russia arretrata, ma non in Germania dove un proletariato più numeroso e più evoluto rendeva necessario "trasformare la nozione di partito in nozione di comunità federativa, nel senso dell'idea dei consigli" [3]. Questa era in quel momento, e tale rimase la tesi innanzitutto antistato e antipartito degli unitari dell'AAU-E.
Le analisi kapdiste dovevano in fin dei conti approdare a dei risultati analoghi, ma su basi notevolmente diverse. Infatti, queste analisi non mettevano affatto in causa il principio del partito, nucleo di militanti sperimentati, selezionati nell'azione, piccola formazione di élite, così come Gorter espone nella Lettera aperta. Questo principio, egli ricordava un po' più tardi, non era comune "sin dal 1903" a Lenin e alle sinistre olandesi, che rifiutavano di confondere le masse (che "inglobano sia i contadini sia i piccolo borghesi") e il "partito di classe proletario", accanendosi a mantenere la "purezza" di quest'ultimo? Al contrario, egli faceva valere, un'organizzazione che di colpo si vuole partito di massa si apre a non importa quali elementi, contratta per ampliare fatali alleanze e finisce con l'abbandonarsi al governo di burocrati [4].
Non è privo di interesse abbozzare la traiettoria seguita da queste analisi su due punti essenziali:
1) La questione russa [5] la tattica di alleanza delle classi, che dà l'ascendente alla classe il cui peso sociale è il più alto, aveva avuto come effetto, nelle condizioni russe, di fare dei "contadini poveri", dei piccoli proprietari terrieri, un "fattore decisivo". Giudizio che giunse poco dopo a confortare, agli occhi di Gorter, l'insurrezione di Kronstadt, a dominante piccolo-contadina, e l'eliminazione del "comunismo di guerra" a vantaggio del capitalismo privato a cui i bolscevichi consentirono con la NEP. La rivoluzione russa, sostenevano allora i rappresentanti teorici del KAPD, aveva assunto un doppio carattere [6]: proletario, nella misura in cui aveva avuto come punto d'appoggio i consigli operai, ma anche borghese, perché portata a prendere delle "misure capitaliste-democratiche", essa approdava ora alla preponderanza nella vita sociale degli elementi extra-proletari - i contadini, innanzitutto, ma anche gli affaristi e i burocrati. Ma soprattutto, aggiungeva l'internazionalista Gorter, la "miglior prova" che la rivoluzione russa, malgrado la sua duplice natura, era stata "fondamentalmente non proletaria", era anche il rifiuto opposto dai suoi dirigenti "all'aiuto dei proletari europei" [7].
Durante gli anni successivi si rinnovò, con le circostanze, un'analisi che nella sua fase finale poneva l'accento sulla "forma economica della Russia, il capitalismo di Stato, che è coinvolto nell'ingranaggio dell'imperialismo internazionale", in ragione dei patti e obbligazioni che esso contrae con gli altri paesi capitalisti" [8]. In quanto al potere di Stato, questo "apparato parassitario" si era "reso indipendente dalle classi che l'hanno sostenuto", reggeva una "forma di produzione statale" fondata sull'estorsione del plusvalore (Helmut Wagner, tesi 57). Oramai, precisava il G.I.C. olandese, la classe dominante si manteneva mettendo sotto pressione di volta in volta gli operai e i contadini; esercitava "la funzione di gestore dei mezzi di produzione, di acquirente della forza lavoro e di proprietario dei prodotti del lavoro".
Questo lento lavoro di chiarificazione porta sicuramente il segno del suo tempo, di un'epoca in cui i grandi tratti del regime nato dalla devitalizzazione dei soviet operai, rimanevano fluidi pur irrigidendosi a poco a poco. Per quanto imperfetto abbia potuto essere, si distingue tuttavia delle teorie che insistono ai nostri giorni a ritenere l'URSS un "paese socialista" o uno "Stato operaio degenerato", o anche un "ritorno" alle categorie classiche del capitale. Se ne distingue non soltanto per i suoi risultati, ma anche e soprattutto per il metodo che parte dalla situazione dei produttori immediati, e non da postulati che hanno come effetto o di travestire o di rimuovere il reale stato delle cose;
2) La questione del partito. All'inizio, il KAPD si definisce in modo indipendente, ma anche senza contraddire espressamente la definizione che l'I.C. dà al Partito comunista ("frazione più avanzata, più cosciente, (...) forza organizzatrice e politica che dirige, indirizza verso la giusta via il proletariato e il semi-proletariato") [9]. Se ne allontana tuttavia in quanto esorta gli operai a prendere essi stessi in mano la gestione delle loro lotte, inoltre a rompere con la "politica dei capi", che ricercano consensi elettorali a non importa quale prezzo. Da qui la nozione di "autocoscientizzazione del proletariato", e cioè lo sviluppo di una coscienza propria attraverso lotte selvagge a ripetizione, andanti sino al sollevamento armato, e che ha come agente le organizzazioni di fabbrica raggruppate in unioni extrasindacali [10]. In seguito il KAPD si considera come l'apparato organizzatore, il "punto di cristalizzazione in cui si compie il processo di conversione della conoscenza storica in volere militante"; intende così "creare le premesse soggettive della presa del potere politico da parte del proletariato" [11].
In questa prospettiva, le organizzazioni unioniste erano concepite come dei focolai di agitazione sottoposti all'apparato di partito. Da qui le frizioni e scissioni già menzionate, ed il loro ultimo frutto, la KAU. Quest'ultima, allo stesso tempo in cui diceva di rompere con "la teoria della lotta finale che trovava la sua espressione nel fatto che l'Unione rimaneva a margine della lotta concreta", si pronunciava per un intervento al contempo politico ed economico nei conflitti salariali [12]. Al contrario, il KAPD rimasto proclamava "La rivoluzione russa è stata scatenata dal partito bolscevico, non dai consigli operai" [13]. Detto in altro modo, nelle condizioni del momento "Non sono più le fabbriche che costituiscono i punti centrali della lotta di classe, ma gli uffici di collocamento per i disoccupati, le mense popolari, gli asili notturni (...). Bisogna imparare l'arte dell'insurrezione e militarizzare i militanti" [14]. All'interno stesso della KAU, alcuni rimanevano sostenitori di una "organizzazione capace di colpire forte senza la quale non ci può essere situazione rivoluzionaria, come lo dimostra la rivoluzione russa del 1917 e, in senso opposto, la rivoluzione tedesca del 1918" [15]. Ma a coloro che volevano "seminare disordini tra la borghesia e mantenere l'insicurezza dei suoi mezzi di oppressione" [16], altri ricordavano la cosa evidente che "La borghesia può sempre garantire la sua sicurezza attraverso dei mercenari; non è veramente posta in pericolo che per via di movimenti di massa [17]. Queste discussioni, a cui punta a volte l'ideologia dei marginali, non ricorda al lettore qualcosa della fine degli anni 70?
I "gruppi di affinità"
A ragione di una differenza di situazione storica, ma anche e soprattutto di orientamento, il gruppo olandese dei "comunisti internazionali" (in opposizione al "nazional-comunismo" più che per segnare una filiazione con gli IKP di un tempo), il G.I.C., ignorava questo genere di dibattito. Secondo esso, il vero realismo consisteva non nel polemizzare sui mezzi per provocare la rivoluzione, ma ad interrogarsi sui suoi scopi concepibili: l'assunzione da parte dei lavoratori stessi della gestione della produzione e della distribuzione in funzione di regole generali, base dell'associazione di produttori liberi ed eguali [18]. Inoltre, si faceva notare, gli indispensabili comitati d'azione non sorgevano su commando o grazie a qualche trucco ma dall'iniziativa stessa degli operai coinvolti, come diversi esempi recenti (1934) l'indicavano una volta di più. Questi movimenti, è vero, rimanevano "ancora troppo legati alle antiche organizzazioni"; da qui l'imperiosa necessità di "gruppi di discussione e di propaganda", dei "gruppi di lavoro" ideologicamente omogenei ma dediti verso il dibattito con altri gruppi dello stesso tipo e che, senza evitare lo "studio del movimento delle forze sociali", sfuggirebbero alla tutela dei capi, degli intellettuali. La loro missione era di servire da "organi generali di pensiero" alla classe operaia. Compito colossale in verità, e di cui il preambolo non poteva essere che delle azioni di massa in rottura tendenziale con le vecchie prassi e idee, delle azioni che avrebbero come effetto naturale di moltiplicare questi "punti di irraggiamento dell'idea di autonomia" [19].
Il G.I.C. - gruppo a maggioranza di operai autodidatti - doveva dispiegare un'attività intensa tra il 1926 e il 1940 (riviste teoriche, opuscoli di propaganda, bollettini di informazioni operaie), e dare il primo posto alla discussione, tanto nelle riunioni pubbliche, nei mercati, negli uffici di collocamento che con i diversi gruppi tedeschi antagonisti (e il piccolo gruppo americano degli IWW di Chicago, Mattick e i suoi compagni). Malgrado una notorietà apprezzabile all'epoca [20], rimase isolato.
"Feticismo delle masse?"
Da quanto precede, emerge che in nessun momento i comunisti dei consigli siano approdati in quel "feticismo delle masse" che, da Zinoviev [21], i leninisti, ufficiali o non, bene o male in arnese, che usavano delle procedure inqualificabili, si compiacevano di denunciare. E anche che malgrado dei segni di settarismo, evidenti nella pretesa di svolgere le avanguardie dell'insurrezione così come nella propensione a confondere intransigenza e intolleranza, essi hanno saputo evolversi senza abbandonare il grande principio di base, proveniente dalla critica pratico-teorica del vecchio movimento operaio, e orientato in primissimo luogo sulla chiarificazione delle coscienze.
Questo sviluppo - per non parlare del corso generale della storia - rende sicuramente caduco ciò che, nella Lettera aperta di Gorter, riguarda e la questione russa e la questione del partito [22]. Bisogna anche sottolineare, a proposito di quest'ultima, che la problematica della "doppia organizzazione" può molto bene risorgere come tale (durante un'eventuale fase di disgregazione dello Stato e dei valori ricevuti, nel quadro di tensioni sociali esacerbate: non è inconcepibile in questo caso che interi settori dell'edificio sindacale passino, in un paese o in un altro, a un "unionismo" di nuovo genere.
Comunque sia, un punto essenziale rimane: "gli operai dovranno fare la rivoluzione da se stessi", "non hanno nulla da aspettarsi dalle altre classi", "più l'importanza della classe aumenta, più quella dei capi diminuisce", e altre formule che Gorter non si stanca di ripetere, nel corso della sua Lettera aperta.
Non si tratta qui di "operaismo": Gorter non esita a qualificare le masse operaie come schivi politici. In piena guerra, aveva già mostrato come "per sopravvivere" l'operaio, "finché non è veramente socialista", lega il suo destino a quello del "suo nemico, il capitale nazionale, che lo nutre, gli dà da mangiare", come arriva a credere che "l'interesse del capitale nazionale è il suo" e a battersi per esso. Come infine, in periodo di prosperità, il bisogno di riforma per una classe operaia ancora debole, ignorante e esposta a tutti i colpi della sorte, aveva comportato la continua crescita di una burocrazia incaricata di rappresentare e dirigere una massa ridotta alla passività anche su questo piano. "I capi," dice Gorter, "non facevano che rafforzare il desiderio di guadagni crescenti - non di rivoluzione -, i soli allora ad animare le masse, (...). Gli operai di tutti i paesi avevano la testa piena dei belli piani che i riformisti preparavano per essi. Assicurazioni sociali, imposta sulla ricchezza, riforme elettorali, pensioni, che essi vantavano di poter ottenere con il sostegno dei liberali. Anche se non si arrivava a tutto ciò, si ottenevano comunque dei piccoli progressi... e ora, l'eguaglianza, la democrazia, sì, si avevano, ma nella morte sui fronti di guerra" [23].
Questa analisi lucida, Gorter la riprese più tardi, ricordando allora che i proletari si erano trovati per anni armati sino ai denti senza pensare tuttavia a sollevarsi contro i loro padroni e che "quando nel 1918 il proletariato ebbe come mai prima la possibilità di sollevarsi, si mise in movimento ma soltanto per restituire il potere alla borghesia" [24].
E tuttavia, senza proletariato, nessuna sovversione sociale. E niente società comunista anche, perché quest'ultima suppone la regolazione generale della produzione e della distribuzione del prodotto sociale totale da parte dei lavoratori stessi. Non, come nei paesi dell'Est, un sistema in cui l'operaismo ufficiale consiste, almeno in un primo tempo, a riservare l'accesso alle funzioni dirigenti a degli operai o figli di operai, e a formare così una nuova élite del potere, ma l'abolizione di queste funzioni. E meno ancora, come fu il recente caso della Cambogia, l'abolizione del salariato e del denaro ai quali gli alti quadri del Partito-Stato sostituiscono la ripartizione dispotica di razioni alimentari (un "comunismo di guerra" 100% rurale, votato ad essere tanto provvisorio quanto il suo predecessore storico), ma la creazione di modalità di ripartizioni "non più arbitrariamente fissate e sulle quali i lavoratori non possono nulla", ma al contrario determinate da essi con l'aiuto soprattutto dello strumento contabile appropriato" [25].
Questa è già la visione egualitaria - benché ancora concepita in termini di potere politico esclusivamente, e dunque troppo improntata di centralismo - da cui parte il Gorter di Lettera aperta quando combatte la nozione di dittatura di partito. Ecco che implica l'emergenza e l'espansione continua di una presa di coscienza dei nuovi mezzi da impiegare. È per questo che Gorter, alla fine della sua Lettera, contesta la tesi oggettivista secondo la quale la crisi economica basterebbe da sola a scatenare una rivoluzione. Quest'ultima esige molto più di la trasformazione radicale dello "spirito, la mentalità delle masse", inconcepibile senza forme di organizzazione che lasciano agli interessati stessi la possibilità di sviluppare la loro iniziativa propria e di cui prima di tutto resta una rottura categorica con le condizioni del capitale e dunque con la tattica democratica borghese, parlamentare e sindacale, che ne deriva.
Il conflitto che mette allora alle prese con Mosca una minoranza di comunisti est-europei prende certamente la sua origine nella volontà di indipendenza di quest'ultimi (e dunque nel loro rifiuto di una fusione con l'apparato dell'USPD - deputati, direttori di giornali e altri bonzi). In questo senso, lo si può accostare con le differenza odierne tra gli eurocomunisti e i PC al potere. Ma nel 1920 si trattava di optare per un principio di base contro un altro, non di abbandonare dei frammenti di ideologia (stalinista) diventati obsoleti nell'era dell'economia mista, per meglio preservare il principio di base, il principio del dialogo tra le classi e tutto il resto.
I rapporti KAPD - III Internazionale
La storia di questi rapporti si trova posta sotto il doppio segno del disprezzo e della manipolazione. Disprezzo del KAPD dove si faceva propria la linea strettamente extra-istituzionale alla quale, si pensava, il partito bolscevico si era tenuto nel 1917, e dove si prendevano sul serio le tirate bolsceviche contro il Parlamento, i sindacati e l'USPD così come la costituzione detta Sovietica della Russia. Ma anche manipolazione nella misura in cui, malgrado un disincanto crescente, si cercava di beneficiare dell'immagine di prestigio dell'Ottobre rosso e, forse, dei sussidi della Terza Internazionale [27].
Disprezzo anche a Mosca dove non si riusciva a credere seriamente a un rifiuto durevole dell'uso elle possibilità legali [28], e dove, viste da lontano, le due linee avendo coabitato all'interno del KPD-S sembravano essere abbastanza vicine. Ma anche e ancor più manipolazioni nella misura in cui il KAPD e le sue azioni offensive permettevano di disporre di un mezzo di pressione utile nel quadro dei trattati tedeschi-russi (iniziati sin dal 1919 da Radek) sempre rafforzando in Russia anche l'immagine della rivoluzione mondiale in marcia.
Considerato retrospettivamente, il giudizio che ognuno dei campi presenti pronunciò sull'altro si è in fin dei conti rivelato fondato. "Ritorno puro e semplice alle pratiche socialdemocratiche" [29] dei PC nazionali burocratizzati e immobilisti; in Russia, crescita di un sistema nuovo di oppressione e di sfruttamento, rigorosa sottomissione delle sezioni della III Internazionale, agli interessi di Stato di questo sistema, si prediceva da una parte. Riduzione delle formazioni "estremiste" allo stato di sette politiche (nel senso di gruppuscoli "senza influenza"), e di cui la maggior parte dell'effettivo sarebbe stato recuperato presto o tardi, si diceva dall'altra. Sì, il pragmatico Lenin, come piegava uno storico (ex bonzo indipendente, poi KPD), "preferiva perdere i 50.000 operai del KAP piuttosto di accordarsi con esso e perdere così i 5 milioni di sostenitori dell'USPD" [30]. Ma, questi milioni, per farne cosa? Ahimè, ahimè! Delle pecore votate a sparire passivamente sotto il rullo compressore del nazismo.
Lo stato maggiore russo dell'I.C., l'Esecutivo di Mosca (e Karl Radek, suo missi dominici in Germania) aveva senz'altro favorito sottobanco le manovre scissioniste della cricca di Paul Levi (il capo del KPD-S), ma senza giungere sino ad approvarle pubblicamente. Meglio ancora, aveva senza reagire lasciato installarsi un "ufficio" (o "commissione") detta di Amsterdam, a maggioranza "estremiste", incaricato di coordinare le attività dei comunisti europei occidentali, un centro più virtuale che reale del resto, in ragione delle sue divisioni interne così come per la mancanza di risorse finanziarie.
Tuttavia, il putsch abortito del marzo del 1920, precipitò le cose: dopo diversi indugi, (a direzione del KPD-S garantita, in cambio di una promessa di "democratizzare la vita pubblica", una "opposizione leale" ad un "governo operaio", dichiarò di rinunciare con ciò "a ogni preparativo in vista di un'azione di forza" - mentre era in atto l'insurrezione dei minatori della Ruhr. Di colpo, le sezioni di città e i gruppi espulsi del partito in date diverse tennero un congresso si costituirono in KAPD (aprile 1920).
Questa volta, L'Esecutivo reagisce tanto più vivamente in quanto la data fissata per il congresso dell'Internazionale, nel luglio del 1920, si avvicinava. La sua "Lettera aperta ai membri del KAP", pur lamentando le offerte legali della Lega di Spartaco (nome corrente all'epoca del KPD-S, pone i kapisti a diffidare di "sottomettersi senza discussioni, come va da sé, nelle risoluzioni del II Congresso". Alle unioni viene rimproverato di spingere "gli operai d'avanguardia" ad abbandonare i sindacati in via di radicalizzazione accelerata (e come prova, si porta, l'accesso a posti dirigenziali di indipendenti e di comunisti, e di disprezzare le elezioni ai comitati di impresa istituiti dalla legge (contro l'adozione della quale il KPD aveva chiamato inoltre ad una manifestazione repressa in un bagno di sangue). Che gli unionisti rientrino nei sindacati! È inoltre riaffermato la necessità del parlamentarismo, perché "la nuova epoca, quella della rivoluzione proletaria, formerà dei parlamentari di nuovo tipo". E le campagne elettorali mettono in grado i militanti in grado di "propagandare le loro idee" e di conquistare con le municipalità rurali, "una grande influenza tra la classe dei piccoli e medi contadini" [31]
Sin dal mese di aprile, l'Esecutivo aveva dichiarato: "Il mandato dell'ufficio olandese ha perso la sua validità", e ritirato "i poteri affidati ai compagni olandesi". È in questa occasione, tra l'altro, che Pannekoek redasse il testo [32] di cui Gorter riproduce nella sua Lettera aperta i passaggi fondamentali. Allo stesso tempo, Lenin in persona entrava in lizza con il suo sin troppo famoso opuscolo L'Estremisno, malattia infantile del comunismo, destinato a diventare sin dal quel momento la bibbia dei PC. Come faceva notare Pannekoek, L'Estremismo" non apportava grandi novità", i suoi argomenti essendo "perfettamente identici a quelli che altri utilizzavano da molto tempo". (Senza dubbio si sbagliava un bel po' quando aggiungeva "La novità, è che ora Lenin li mette sul suo conto" [33]. Non si trattava in definitiva dell'ideologia delle sinistre della III Internazionale di cui l'Olandese era stato, anch'egli, a modo suo, un rappresentante teorico?
La lettera aperta di Gorter
Il grande rimprovero che Lenin faceva agli "estremisti" del 1920 era di "negare la legittimità del compromesso". Per illustrarne la necessità, non contento di delineare la storia del Partito russo al rango di pietra di paragone politica universale, mobilitava anche la sua.
Una domenica di gennaio del 1919, la vettura nella quale circolava il nuovo padrone della Russia era stata fermata, nei dintorni di Mosca da dei banditi che fuggirono con l'auto dopo essersi impadroniti, del denaro e dei documenti dei suoi occupanti. "Questa è bella!" esclamò Lenin dopo l'incidente. Incredibile, degli uomini armati che si lasciano rubare la loro vettura. Che vergogna. Ma il suo autista, che raccontò in seguito la storia [34], gli fece osservare, per discolparsi, che uno scambio di armi da fuoco sarebbe stato troppo rischioso, e non tardò a convincerlo della bontà del proprio parere.
Quindici mesi più tardi, il padre fondatore del bolscevismo traeva argomento da questo compromesso molto particolare, legato a un rapporto di forze per natura contingente, per proclamare la necessità dei compromessi in generale) - dei "buoni" compromessi negoziati da istanze centrali, va da sé, nel quadro del dispositivo politico borghese [35].
Gorter procede in tutt'altro modo quando evoca anch'egli un ricordo personale per illustrare la sua visione della politica operaia. Questa volta, ci si trova non in un'automobile, ma ad un congresso del PS olandese. E Gorter testimonia quanto "persuasivo e logico" gli sembrava allora il leader del partito, Pieter Troelstra, mentre celebrava i meriti di compromessi e di alleanze destinate a sfruttare i dissensi interni del campo borghese, e anche quanto lui, Gorter, ne era stato disorientato prima di chiedersi se una simile politica era adatta a consolidare la coscienza di classe presso gli operai, e di rispondere negativamente. Argomenti semplici e diretti, ma tanto rivelatori quanto le asserzioni di Lenin.
Dopo tutto, quest'ultimo non faceva a modo suo quanto Bernstein aveva già fatto aveva fatto [36]: esprimere in termini cinici - "usare, in caso di necessità, ogni stratagemma, ricorrere all'astuzia, alle procedure d'azione clandestine, tacere, nascondere la verità" [37] - una linea di condotta seguita da lunga data - "in caso di necessità", e cioè sempre - dai capi socialpatrioti ma accuratamente ricoperta da declamazioni demagogiche?
Redatta in una lingua senza affettazione, calorosa concreta, benché non esente da un trionfalismo ancora concepibile all'epoca, la Lettera aperta di Gorter era senza alcun dubbio in ritiro su alcune posizioni del KAPD (il KAP-Olanda non si costituì d'altronde ufficialmente che nel settembre del 1921). Apparve comunque a puntate nell'organo berlinese del giovane partito nell'agosto-settembre 1920 [38], ed in opuscolo durante il mese di novembre, dunque dopo il II congresso dell'I.C. Quest'ultimo aveva sottoposto l'ammissione dei partiti nell'Internazionale a ventuno condizioni che erigevano a principio l'entrismo nei sindacati, l'azione parlamentare e il centralismo democratico [39]. Aprendosi al contempo verso delle formazioni sino ad allora qualificate come opportuniste, al primo posto dei quali stavano gli Indipendentisti di Germania, il congresso diceva credere "possibile e desiderabile l'adesione all'I.C. "di organizzazioni come il KAPD, gli IWW nord americani e i comitati di base britannici (Shop Stewards Committees) che, per "inesperienza politica", non aderivano anora ai suoi principi [40] argomento burocratico per eccellenza [41], costantemente ripreso in seguito. Questo è il contesto immediato della Lettera aperta di Gorter.
Dopo la lettera aperta
Nel novembre del 1920, una missiva dell'Esecutivo venne una volta di più a mettere il KAPD nelle condizioni di dover aderire al KPD. Una delegazione Kapdista - Gorter, Schröder e Rasch (tesoriere dell'organizzazione) - parte per Mosca per spiegarsi davanti all'istanza suprema della III Internazionale.
Trotsky, incaricato di rispondere all'intervento di Gorter, che non è stato pubblicato, lo fa con il suo solito brio [42], in cui la canzonatura si coniuga al sofisma. Ostentando di non prendere in considerazione che la persona di Gorter, e non le concezioni del partito di cui quest'ultimo non era che un rappresentante, senz'altro il più prestigioso, gli rimprovera un "aristocratismo rivoluzionario" da "poeta" al quale "si trova immancabilmente associato il pessimismo" che lo conducevano a giudicare "imborghesite" le masse operaie d'Occidente. E anche ad adottare un punto di vista "geografico" che distingue tra colonizzati e coloni,senza tener conto del carattere universale della grande rivoluzione in corso, di dimenticare "il legame della rivoluzione proletaria all'Ovest con la rivoluzione nazional-agraria all'Est. Ora i kapisti, come si è visto, non contestavano affatto, al contrario, la necessità di questo "legame"; per essi, la "rivoluzione nazional-agraria" passava anche forzatamente attraverso lo stadio della dittatura di partito. Ciò che essi rifiutavano di ammettere, era l'estensione a Ovest industrializzato di questo modello, la creazione di una tattica democratico-borghese chiamata a sfociare un giorno su questa dittatura. Ai loro occhi, importava soprattutto il fattore della coscienza, della "emancipazione degli spiriti" (Gorter) sia per l'azione diretta che per la critica frontale dell'antico movimento operaio. E poiché le lotte di classi non si concepiscono senza forme d'organizzazione e di rappresentazione adattate al loro stadio di sviluppo storico, essi preconizzavano delle forme in rottura categorica con le antiche, dunque con il parlamentarismo, "strumento del primato dei capi", tattica inevitabile, sosteneva Pannekoek, finché "le masse si rivelano incapaci di decidere da se stesse", ma che "le bloccano nella passività, le vecchie abitudini di pensiero e le vecchie debolezze", un colossale fattore di integrazione all'universo borghese.
Trotsky si atteggiava anch'egli come critico acerrimo del parlamentarismo, ma per altre ragioni. Gli operai, accordava a Gorter, sopravvalutano il Parlamento, questo mezzo per ingannare le masse e farle addormentare, di propagare i pregiudizi, di rafforzare le illusioni della democrazia politica, ecc., ecc. Ma il parlamento è il solo rispetto a questo caso? I giornali, soprattutto quelli dei socialdemocratici, non distillano un veleno piccolo borghese? Dovremmo forse rinunciare alla stampa in quanto strumento dell'azione comunista sulle masse?". Strano ragionamento, si converrà, in bocca di qualcuno che, oltretutto, non cessava di burlarsi dell'insistenza di Gorter e dei suoi amici sulla necessità dell'azione di propaganda, la loro scelta risoluta a favore di un piccolo partito di agitatori selezionati che, Trotsky dixit, "lungi dal dedicarsi a dei compiti così volgari come le elezioni o la partecipazione alla vita sindacale, 'educherebbero' le masse a forza di discorsi e di articoli impeccabili". Aspettando la rivoluzione proletaria nell'Europa dell'Ovest, si doveva utilizzare la tribuna parlamentare per vincere "la superstizione degli operai verso il parlamentarismo e la democrazia borghese". Ma Gorter vi si rifiutava per un "timore delle masse" comparabile alla "loro paura di un personaggio virtuoso che non mettesse il naso fuori, nel timore di esporre la sua virtù a qualche sollecitazione". È con l'aiuto di un'immagine così del tutto traballante che egli rimproverava il suo avversario di "non vedere il nucleo del proletariato nascosto sotto la scorza del vertice burocratico privilegiato".
Pioggia di metafore che non rispondevano affatto alla questione di sapere se la riproduzione delle forme e comportamenti tradizionali, ma con una fraseologia da avanguardia, non induceva anch'essa un tipo di "educazione" determinata, in cui i "discorsi e articoli impeccabili" avevano del resto il loro posto ma anche il parlamentarismo e tutto ciò che genera di apatia di sottomissione, tanto quanto la conversione delle organizzazioni in pedine del gioco politico istituzionale. L'argomento schiacciante di Trotsky era tuttavia che Gorter "parla a nome di un gruppo molto piccolo e sprovvisto di influenza" [43]. Linguaggio da arrivista della politica...
La delegazione ottiene tuttavia, con grande furore dei capi del KPD-S, l'"ammissione provvisoria" del KAPD nella III Internazionale, in "qualità di partito simpatizzante con voto consultivo" - e invito reiterato a entrare nel KPD-S. L'idea era di isolare dalla base kapdista i dirigenti che si era data.
Nel racconto che fece più tardi del loro viaggio comune, Schröder annota l'emozione dell'"Olandese" che camminava nella terra del comunismo, "Piangeva e non lo nascondeva". Ma, al momento di lasciare la Russia, il "vecchio" che "non ha ancora sessanta anni ne dimostrava ora ottanta" [44]. Come dire la profondità del trauma subito da quest'uomo di cuore e non soltanto di testa! Di ritorno a Berlino, Gorter scriveva a una delle sue compagne di partito "Sono rimasto stupito nel vedere che Lenin non aveva in testa che la Russia e considerava tutto il resto esclusivamente dal punto di vista russa. Non è ciò che mi sembrava un tempo cosa ovvia il leader della rivoluzione mondiale. È il Washington della Russia [45]".
Questo Gorter l'aveva già evidenziato nella sua Lettera aperta, ma la constatazione teorica, per definizione, non potrebbe avere lo spessore umano del contatto diretto.
"L'azione di marzo".
Il grande patronato così come le autorità socialdemocratiche si applicarono, dopo gli avvenimenti di marzo 1920, a perfezionare il "ritorno alla normalità". Le reti di informatori furono rafforzate, le disposizioni legali antisovversione completate, un corpo di soldataglia semi legale (l'Orgesch) fu distaccato su intere regioni. La polizia era instancabile; così le "organizzazioni di lotta" kapdiste, e i loro depositi di armi, furono smantellate a Berlino (autunno 1920), nella Ruhr (inizio marzo 1921). Al KAPD, colpito da arresti a catena, ci si dedicava ad un lavoro di agitazione intensa, spesso nel quadro di scioperi selvaggi, mentre degli elementi assimilati al KAPD si costituivano in "bande armate" [46], o anche si dedicavano nel far saltare in aria con la dinamite monumenti e edifici pubblici. Da una parte e dall'altra ci si aspettava una prova di forza.
Quest'ultima ebbe luogo nella Germania centrale, nei distretti rossi di Mansfeld et de Halle-Merseburg (bastioni elettorali del VKPD, scaturito dalla fusione USPD- KPD), dove la durezza delle condizioni di vita e delle esazioni dei servizi di sicurezza padronali raggiungevano delle proporzioni senza precedenti, aventi come effetti naturali sabotaggi, appropriazione di materiale e scioperi selvaggi a ripetizione. Tensioni accumulate che l'ingresso di brigate speciali di polizia (sotto autorità socialdemocratica), incaricate di "ristabilire l'ordine", avrebbero portato al punto di esplosione.
Il movimento ha come epicentro le fabbriche Leuna (22.000 lavoratori, unioniste al 40%). Il 21 marzo, un'assemblea generale a maggioranza unionista costituisce un comitato di sciopero (selvaggio) paritario KAPD-VKPD. Il giorno seguente, diciasette centurie composte da giovani operai armati occupano i luoghi, disarmano e espellono la milizia padronale (200 uomini); le unità di polizia locale non si muovono, nell'attesa di rinforzi che arrivano presto (23 centurie di polizia e una batteria da campagna). Coscienti di andare ad un massacro, la maggior parte degli operai evacuano le officine con il favore della notte. Ignorano che un importante distaccamento operaio arriva da Lipsia alla riscossa. Alcune ore appena dopo la loro partenza, questi uomini riescono a forzare i cordoni di polizia e a prendere posizione all'interno del complesso industriale. Il 29, dopo bombardamento d'artiglieria, le forze di polizia danno l'assalto e riprendono possesso di Leuna. Le operazioni di sostegno lanciate nella regione ("presa di potere" locale, interventi di bande armate) soffriranno anch'esse della mancanza di mezzi di trasmissioni affidabili. (Secondo una fonte "ben informata", vi saranno nel complesso della regione 145 vittime tra i civili e 35 tra la polizia; 3.470 persone incarcerate e 1.346 fucili sequestrati) [47].
Il 24, nel momento in cui a Leuna il movimento era al suo apogeo, il VKPD, seguendo un piano la cui esecuzione era prevista per più tardi, lanciava in accordo con il KAPD un appello allo sciopero generale, poco seguito a ragione del veto sindacale (tranne nei cantieri navali di Amburgo e nella Ruhr dove ebbero luogo degli scontri sanguinosi). Il 31, eliminava le sue consegne di sciopero e di azione nelle strade.
Le conseguenze dell'azione di marzo
La repressione giudiziaria che seguì aggravò il declino accelerato dall'estate precedente delle diverse organizzazioni kapidiste, unioniste e anarco-sindacaliste. (Benché più di un leader di queste ultime avessero condannato un sollevamento che essi dicevano ispirato dal governo sovietico). Non c'è affatto bisogno di spiegare per spiegare questo declino di invocare un "esercito di agenti pagati dai bolscevichi" [48]. In verità, il ritorno alla normalità della primavera 1920 era dovuto soprattutto alla rapida sparizione di formazioni che, rifiutando per principio le pratiche parlamentari e sindacali, non potevano aspettarsi una ripresa in quanto forze sociali reali che da un rovesciamento della situazione, che non si verificò, malgrado gli sforzi dei kapidisti e assimilati.
Per contro, come appare retrospettivamente, la forma di organizzazione tradizionale del VKPD, aureolata dall'investitura di Mosca ma radicata sulle istituzioni legali, trovava nella vita quotidiana e nell'arena elettorale di che alimentare un'attività che erigeva a regola il minimo sforzo nella lotta e agiva come fattore supplementare d'integrazione mentale degli operai al sistema vigente. Non senza per giunta un adattamento del partito a questo stesso sistema che, tuttavia, lo teneva a margine a al quale serviva utilmente da spauracchio. Più di qualunque altra dello stesso genere, l'Azione di marzo doveva infatti iniettare al mito del "complotto comunista internazionale" la dose di realtà di cui aveva bisogno per funzionare.
Il 16 marzo, il ministro dell'Interno, proclamava lo stato d'assedio "non militarizzato" nella Germania centrale, dichiarava anche di vedere nelle agitazioni la mano non del PC in quanto tale, ma di "criminali internazionali, forse anche di spie e di provocatori che si fanno passare per dei comunisti" [49], (tesi ripresa oggi mutatis mutandis nella Repubblica Democratica Tedesca i cui ricercatori di Stato incriminano i "putschisti settari del KAP", "operai momentaneamente ingannati" o "provocatori prezzolati"). Sul posto, alla base, il VKPD rimase nell'insieme passivo. Ma al vertice, era tutt'altra cosa. L'Esecutivo dell'I.C., benché diviso su questo soggetto, non per questo non appoggiava a fondo i "preparativi pianificati" d'insurrezione. Non avevano forse inviato in Germania tre "tecnici" di alto livello? Moltiplicato istruzioni, incoraggiamenti, spedizione di fondi? Approvato la campagna che toccava il suo culmine nella stampa del VKPD dall'inizio di febbraio? La sua responsabilità nel disastro, la sua volontà di rilanciare il movimento in Germania per far deviare le tensioni che investivano allora il regime, cioè di pesare sul corso delle trattative tedesche-russe, sono cose verificate.
Avevano trovato dei sostegni nei circoli dirigenti del VKPD, tra gli adepti della "teoria dell'offensiva". Una frazione del vertice, ma non la maggior parte della base e dei quadri intermedi. Il che Gorter spiegava così "Quando un partito che opta per il Parlamento e per i sindacati invece di erigere il proletariato in forza rivoluzionaria, e in tal modo mina questo e indebolisce quell'altro, poi (dopo questi bei preparativi!) passa di colpo all'attacco e decide una grande azione offensiva di quel proletariato, che ha egli stesso indebolito, è di un putsch bell'e buono che si tratta sin dall'inizio
Detto in altro modo, da una azione decretata dall'alto in basso, che non è scaturita dalle masse stesse, e votata sin dall'inizio alla sconfitta [51].
Ben diversa, sottolineavano i suoi rappresentanti, era la tattica del KAPD. Per essi, la lotta in fabbrica mirava a "creare il clima necessario allo scatenamento di azioni di massa". Quest'ultime a loro volta dovevano portare all'occupazione dei luoghi di lavoro e, poi, sfociare in insurrezione armata. "Che il corso delle lotte si conformi esattamente a questo schema, è dubbio. Ma è sicuro che senza lotta diretta per le fabbriche, la rivoluzione non vincerà in Germania". La direzione del VKPD (tranne Levi e la sua banda) aveva visto nel sollevamento operaio "l'occasione di montare un'azione ad ogni costo", un "tentativo fittizio" di conquistare il potere politico. L'influenza del SPD e dei sindacati aveva mantenuto le "grandi masse" nella neutralità, persino ostili, verso "l'avanguardia militante". Ma era "vano volere spezzare questa influenza sul suo proprio terreno, quello delle azioni bidone parlamentari sindacali; Una lotta efficace non è possibile che alla radice del male, sul terreno delle fabbriche [52]. Questa era la tattica che Gorter (e i kapidisti) [53] intendevano con le parole "propaganda" e "educazione" [54] non gli esercizi di teorico solitario da camera ai quali Trotsky (e tutti quanti) si sforzava di ridurlo.
Naturalmente, i vertici burocratici dell'Internazionale, una volta verificatasi la sconfitta, ne diedero la responsabilità al capo (Paul Levi) del VKPD e alla sua banda), eppure avversario frenetico dell'Azione di marzo. Conformemente alla linea che gli fissava già una "lettera aperta" dell'Esecutivo (gennaio 1921), il che non ne costituì mai una contraddizione, il partito unificato tornò alla tattica di preparazione di un fronte unito con gli elementi del SPD che vi si mostravano disposti. Delle aperture in questo senso furono allora tentate ma invano, a livelli regionali. (Esse non diedero frutti che nel 1923 con gli effimeri uffici unitari di Sassonia e di Turingia).
Scrive a tal proposito Pannekoek, "così i comunisti del parlamento tedesco si apprestano a cooperare con i partiti socialisti. Così come la fusione della lega di Spartaco con gli Indipendenti ha necessitato di un adattamento al programma di quest'ultimi, allo stesso modo la cooperazione in corso di preparazione con i socialdemocratici acquisiti esigerà un adattamento e uno slittamento a destra [55]".
Come è ben noto, le cose andarono proprio in tal modo. Anche se l'SPD integrato a tutti i livelli dell'apparato di Stato declinò con costanza e disprezzo ognuno delle offerte di alleanza dei suoi rivali comunisti, anche se le concessioni fatte da quest'ultimi comportavano delle ondate di siluramenti e di espulsioni, sino al giorno in cui il KPD si trovò senza anima né energia, integralmente stalinizzato. Storia sinistra, storia destinata a ripetersi mutatis mutandis un po' ovunque nelle sezioni dell'Europa occidentale della III Internazionale.
Il III Congresso dell'Internazionale comunista
Il III congresso doveva porre fine al dialogo da sordi, iniziato dal 1919. All'improvviso, infatti, Zinoviev, pontefice supremo dell'l.C., fece sapere che l'Internazionale non tollerava l'esistenza di due partiti comunisti in un solo paese. Inoltre, equiparò i kapdisti e gli indipendentisti perché non allineati al VKPD. Gli altri portavoce bolscevichi abbondarono nello stesso senso, ma nel disordine dei "semi-anarchici" diceva Lenin (trattato come tale un tempo dai menscevichi), dei "menscevichi" rincaravano la dose su Trotsky (trattato come tale un tempo dai bolscevichi), ecc. ecc. Il tutto in mezzo ad un'ilarità comandata presso i congressisti e con grande uso di manipolazioni dell'ordine del giorno o di tante parole e altri vecchi trucchi. In queste condizioni, gli interventi appassionati ma sobri dei delegati kapdisti [56] apparivano soprattutto come un tentativo disperato.
Essi non ebbero più successo in quanto all'altro oggetto della loro presenza al congresso: "Il raggruppamento delle tendenze dell'opposizione all'interno dell'internazionale". I delegati della CNT spagnola e quelli dell'IWW nord americani trovavano che c'era c'erano a casa loro troppi partiti e non abbastanza sindacati. E i diversi gruppi dell'Opposizione operaia russa non si preoccupavano affatto, senz'altro, di fare causa comune con degli appestati, numericamente deboli per giunta. Da parte della KAP, la maggioranza dei militanti ritenevano che i contatti con le persone dell'Opposizione avevano dovuto aver luogo in segreto, nel cuore della notte: "Ecco", si diceva, "ciò che dà un'idea della sua forza reale" quando "la disciplina carceraria che regna in Russia" [57]. Così ci persuademmo che l'Opposizione operaia non poteva fare di meglio della "burocrazia bolscevica", visto "il rapporto di forze tra una enorme massa contadina e un debole proletariato", anche se si approvava di esigere l'attivazione delle masse" [58]. E poi come non infrangere quel principio della non-ingerenza che si chiedeva al partito russo di rispettare nell'Europa occidentale?
Vana discrezione, lo abbiamo visto. Nell'ottobre 1921, per l'ultima volta, il Comitato esecutivo allargato dell'I.C. esortava i kapdisti a rinunciare al loro "settarismo, causa di dispersione delle forze" e gli unionisti a raggiungere i sindacati per "sottrarli all'influenza dei socialdemocratici". Terminava proclamando che era falso vedere, alla maniera dei "teorici del KAPD, teste infantili in politica [nell'Internazionale] uno strumento della politica dei Soviet". E l'Esecutivo rilanciava a proposito: "La Russia è il più potente degli avamposti dell'l.C." [59]. La famosa ideologia dell'"internazionalismo proletario, di già.
Da parte sua, il Comitato centrale del KAPD, nelle mani degli "intellettuali" del partito, decideva sin da luglio di rompere con l'I.C. (decisione ratificata dal congresso successivo di settembre) e lanciava la parola d'ordine di costituzione di una "Internazionale operaia comunista" (KAI). Quest'ultima era chiamata a "svilupparsi in modo graduale e organico, come ha fatto il KAPD"; sarebbe stata una "creazione della base", non del vertice [60]. Cosa contestata dalla maggior parte dei kapdisti, il futuro KAP-Berlino. In una situazione che non era realmente rivoluzionaria, essi sostenevano, i pochi gruppuscoli - bulgari, olandesi, inglesi - che essi erano in grado di riunire e che avrebbero formato una "Internazionale delle illusioni, non dell'azione"; sarebbe stata una "Internazionale dei capi", di "politicanti rapaci" preoccupati di abbellire l'immagine del loro marchio [61]. Denigrazione ad oltranza, molto in sintonia nelle polemiche dell'epoca, molto spesso più feroci verso i propri simili che nei confronti di nemici dichiarati. Ma anche la nuova "Internazionale" non visse in fin dei conti che sulla carta e finì con il corrispondere soltanto con l'indirizzo di una libreria di Amsterdam...
Gli unionisti, in quanto ad essi, e contrariamente agli anarco-sindacalisti, non ebbero mai dei contatti diretti con il Consiglio internazionale delle associazioni di mestiere e delle industrie, la cui costituzione (Mosca, estate 1920) fu il preludio a quella dell'Internazionale sindacale rossa (Mosca, luglio 1921). Vide la la loro opposizione di principio alla Zellentaktik, la formazione di "frazioni sindacali" interamente subordinate al Partito, ma vie anche una situazione fluttuante all'estremo, di numerose unioni e associazioni industriale variante nella loro affiliazione a questa o quella centrale (le più forti finirono tuttavia con l'allinearsi a Mosca).
A mo' di conclusione
A cosa serve epilogare - forse si dirà - sugli avvenimenti sopra schematicamente evocati? La prima - e la sola ancora sino ad oggi - convulsione rivoluzionaria proletaria in un paese sviluppato non è stata quasi subito svuotata della sua sostanza dagli sforzi congiunti del Capitale in armi e del Lavoro organizzato, le grandi masse rimanendo nel mezzo in riserbo, nel peggiore dei casi attivamente ostili? E i suoi sviluppi, per forza di cose più teorici che pratici, non sono scomparsi nelle nebbie della storia?
Ma, d'altronde, quella storia, la storia contemporanea non ha dimostrato anche che l'azione parlamentare e/o sindacale, per inerente che essa sia al capitalismo di mercato, era per matura fuori dalla possibilità di realizzare nei paesi sviluppati il suo progetto iniziale, la sua versione specifica del socialismo: l'abolizione della proprietà privata dei grandi mezzi di produzione e di scambio? E anche altrettanto chiaramente che, nei paesi meno sviluppati, questa stessa abolizione si accompagnava con la creazione di un nuovo sistema di oppressione e di sfruttamento non appena l'attività propria delle masse veniva ad essere soffocata con le buone o le cattive.
Sin da allora, e finché non si può adattarsi al mondo così come va ed alle sue istituzioni, non è meglio impegnarsi in cause più limitate senz'altro rispetto al progetto dei consigli operai, ma anche più realisti di esso? Più realisti, parliamone! Per limitarsi a questo, la lotta anti-imperialista extraparlamentare nelle metropoli non è sfociata, nella stretta misura in cui affrettò la fine delle guerre coloniali, ad un recupero finale da parte dei poteri di Stato coinvolti? Così come d'altronde ad un disinteressamento, ad un'indifferenza passiva, una volta acquisito il risultato almeno apparentemente?
È la stessa cosa, secondo modalità diverse, per altre cause prese in sé ma anch'esse fondate sin dall'inizio - le donne, i diritti democratici, la difesa dell'ambiente, ecc. Ed accade la stessa cosa, lo abbiamo visto, per la causa del Lavoro, finquando assume dei canali analoghi, le vie del dialogo interclassista. Non senza evidenti differenze quantitative e qualitative, la più piccola di quest'ultime non è altro che la lotta operaia racchiusa nel suo interno di ben altre virtualità. Non ha essa come spazio naturale il luogo di produzione, base stessa della vita sociale, e, per questo motivo, base della sua eventuale ricostruzione?
Anche piccole, le lotte operaie, che aprono delle nuove prospettive non sorgono che in quei rari momenti in cui i lavoratori, superando i loro vecchi riflessi di passività e di timore, si ribellano alla cieca contro se stessi, e cioè contro le organizzazioni, contro i capi che essi si sono dati, per prendere in mano, in modo certamente frammentario e provvisorio, la gestione dello sforzo comune, unitario. Allo stesso modo, ad una scala altrimenti più elevata, le fasi di affondamento parziale dei poteri esistenti, così come lo hanno rivelato più di una volta nel corso di questo secolo delle azioni din forza massicce e spontanee, approdano in forme di organizzazione e di rappresentazione di natura da permettere, nella loro tendenza, l'autodterminazione operaia, condizione necessaria dell'istituzione di un mondo infine retto da regole di produzion e di distribuzione egualitarie.
Qualunque esse siano, queste lotte dette autonome non avvengono, per lo meno prima del ritorno alla normalità, senza distaccare le masse dai valori di sottomissione e di rassegnazione che i movimenti del capitale e le pressioni dei suoi agenti coscienti o non, hanno come effetto di interiorizzare in esse. Allora, è un germogliare di iniziative, di confronti di idee, d'inventiva organizzativa. Uno stadio che è stato già più di una volta raggiunto, in piccolo così come in grande. Però mai superato e di cui nessuno, seriamente, non potrebbe pretendere che lo sarà un giorno.
Nessuna potenza al mondo potrebbe creare, con qualsiasi mezzo, "lo spirito generalizzatore e la passione rivoluzionaria" di cui Marx faceva già dei componenti indispensabili della "rivoluzione sociale" nei paesi sviluppati [62] - è capace di generarli soltanto una lotta accanita senza tener conto di nulla, diffusa in tutto un periodo storico, così come lo testimonia lo sviluppo di tutte le grandi rivoluzioni del passato.
Quindi, l'attesa passiva, fosse anche sotto l'aspetto positivista di testimonianze vissute o di descrizioni formali, non porta che alla sottomissione al reale immediato. Allo stesso modo, in certe condizioni, l'intervento pratico delle masse diventa una virtualità di sviluppo - anche se, nel caso in cui esso si concretizzasse, i suoi risultati rimanessero imprevedibili. E l'intervento teorico ne è indissociabile, se si vuole cosciente, pur situandosi fatalmente, in una provvisorietà che dura, a monte della pratica. Il che Gorter esprimeva nel seguente modo: "Non possiamo contare sulle condizioni materiali: dobbiamo stimolare l'autocoscientizzazione del proletariato. Per le cause materiali non possiamo fare molto, nemmeno attraverso il sabotaggio. Ma per le cause psicologiche, possiamo fare molto" [63]. Giudizio non troppo ottimista, il futuro doveva dimostrarlo, ma senza invalidarne la validità generale.
"L'uomo in generale è innanzitutto un essere pratico e finché può sopravvivere per mezzo di soluzioni pratiche, non ha bisogno di teorie sovversive per il futuro. Quando le lotte sono molto dure e restano malgrado tutto infruttuose, si è portati a ricercare le cause della sconfitta, il carattere degli ostacoli. Si fanno delle teorie" [64], diceva Canne Meijer, che a volte è stato chiamato "l'anima" del G.I.C. Ora il lungo periodo di crescita continua delle forze produttive e del progresso capitalisti, che sta volgendo al termine, era per definizione inadatto al necessario rinnovamento della teoria operaia, che analizza e generalizza delle pratiche, non sempre immediate senz'altro, prima di venire a sua volta a stimolare, orientare gli spiriti. Dato questo vuoto, e senza dimenticare il primato naturale del presente, conviene confrontarsi alle grandi azioni operaie del passato.
Certo, sarebbe assurdo voler restaurare la tradizione del comunismo dei consigli, morta con il periodo che l'ha generato. Ma alcune delle nozioni elaborate da questo movimento conservano malgrado tutto un potere di chiarimento tanto più prezioso in quanto la possibilità di rivedere uno scontro di grandi proporzioni tra il nuovo e il vecchio non è affatto escluso nel periodo storico che si apre ai nostri giorni. In questo senso, e anche se i mezzi di diffondere queste nozioni rimangono irrisori, la Lettera aperta di Gorter, i suoi dettagli e le sue circostanze, permettono di gettare uno sguardo diverso sulle modalità e finalità concepibili di lotte operaie che lascerebbero infine il terreno della difensiva, inerente alle condizioni del Capitale, per occupare quello dell'offensiva.
Nota sul movimento "di base" in Gran Bretagna
All'origine dell'interesse per il movimento inglese provato dal Lenin di L'Estremismo, malattia infantile del comunismo dal Gorter di Lettera aperta al compagno Lenin, si trova non l'importanza pratica di questo movimento, ma il carattere chiave che allora si prestava all'Impero britannico e alla sua potenza industriale. Durante la guerra, soprattutto negli arsenali scozzesi e nelle miniere gallesi,si era sviluppato un movimento "di base", il Rank-and-File Movement, le cui forme organizzative - comitati di delegati di officina (Shop Stewards Committees), comitati di fabbrica (Shop Committees), comitati operai ed altri - erano di un tipo vicino alle organizzazioni di fabbrica, cari agli unionisti tedeschi. Altra parentela dei basiti inglesi, eretti contro le pratiche laburiste, intendevano "pensare da se stessi, sfuggire alle regole dell'obbedienza passiva, per riattivare il movimento operaio". Ma, nel loro spirito, i comitati dovevano essere "innanzitutto degli organi di lotta di controllo sulle condizioni quotidiane del lavoro" [65], e dunque perseguire gli obiettivi grosso modo cogestionari, centrati sulle questioni di salari, norme, assunzioni, ecc... in vista di superare le carenze dei sindacati di mestiere (e di Unione sacra). Finita la guerra, il Movimento deperisce rapidamente, insieme alle circostanze che l'avevano fatto nascere. Caduto sotto l'influenza del PC, sostenitore dell'entrismo nei sindacati, sparisce sin dal 1922.
Infatti di PC inglesi, ve ne furono due in origine. Il primo, investito da Mosca, proveniva soprattutto da un gruppuscolo socialista di sinistra (il BSP), vicino per linea politica e per ideologia agli indipendenti tedeschi; insieme ad alcuni altri gruppi, si costituì in PC il 1° agosto 1920 e si pronunciò allora, malgrado le esortazioni dell'Ufficio di Amsterdam (marzo 1920), per il parlamentarismo e per una domanda di affiliazione al partito laburista. L'altro partito, fondato il 9 giugno precedente (e di cui Gorter esalta qui sopra la creazione), combatteva a fondo questa linea; detto anche "PC oppositore", proveniva da un piccolissimo gruppo di suffragette, per la maggior parte dalle operaie dell'East End londinese [66]. Sosteneva delle lotte di quartiere e di officina e, inoltre, si trovava in contatto con Gorter e il KAPD.
La sua figura preminente era quella di Sylvia Pankhurst (1882-1960), ardente femminista a cui il suo attivismo durante la guerra e dopo aveva valso più di una condanna per "incitamento alla rivolta". Avendo incontrato Lenin a Mosca, nel luglio del 1920, si allineò alle sue concezioni e raggiunse con il suo gruppo il PC ufficiale [67]. Ma avendo rifiutato di sottoporre il suo giornale alla censura del comitato centrale, "che pretende," diceva lei, "di essere la dittatura del proletariato, mentre esso non ha alcun potere e che il proletariato rimane indifferente", fu esclusa dal partito. Senza per questo scoraggiarsi, Sylvia Pankhurst militò in comitati di disoccupati, mentre il suo gruppo, ancora ridotto, serviva da sezione fantasma alla KAI, prima di sparire del tutto allo stesso tempo del suo organo di stampa nel 1924 [68].
Serge Bricianer
* Herman Gorter, Réponse à Lenin. Lettre ouverte au camarade Lénin, Introduzione di Serge Bricianer, Spartacus René Lefeuvre, Paris, 1979.
[Traduzione di Ario Libert]
NOTE
[1] Citato da G. Mergner, Arbeiterbewegung und Intelligenz, Starnberg, 1973, p. 133-134
[2] Ibid. p. 145.
[3] Ibid. p.154-156.
[4] Cfr. Herman Gorter "Partei, Klasse und Masse", Proletarier, 4, febbraio-marzo, 1921.
[5] Documenti tradotti in francese: Herman Gorter: L'internationale ouvrière communiste (1922), Invariance, VII, 5, 1974; H. Wagner: Thèses sur le bolchevisme (1934), in: Korsch, Mattick et al.: La Contre-révolution bureaucratique [La controrivoluzione burocratica], coll. 10/18, n° 760, 1973; Position du G.I.C., l'internationale, IV, 27 et 28, aprile e maggio 1937; A. Pannekoek: Lénine Philosophe (1938), collezione Spartacus, série B, n° 34, giugno 1970, e antologia citata, III parte.
[6] Otto Rühle sosteneva, in quanto a lui ( Von der bürgerlichen zur proletarischen Revolution, Dresda 1924, p. 17), che "viste le sue condizioni storiche, la rivoluzione russa non poteva essere sin dall'inizio che una rivoluzione borghese". Da ciò la tendenza anche di alcuni settori dell'AAU-E a vedere nei consigli operai lo strumento della rivoluzione borghese. Non rimaneva che aspettare... lo "scatenamento delle energie assopite di tutti gli sfruttati" (Die Revolution, Heidenau, 4, 1926).
[7] Hermann Gorter: Die Internationale und die Weltrevolution, Die Aktion, XIV, 12, 1924, p. 324-325.
[8] Cfr. Sowjetrussland, die Wirtschaftkrise und die Revolution, Proletarier (Amsterdam), I, 1, febbraio 1933.
[9] Cfr. Risoluzione del II congresso dell'I. C. sul ruolo dei PC, in: Thèses, manifestes et résolutions de l'I.C., Parigi, 1934.
[10] Programme du KAPD [Programma del KAPD], (1920), in: La Gauche allemande, p. 6 e seguenti.
[11] Programm und Organisations-Statut der KAPD, Berlin, 1924, p. 19 e 13), "Conoscenza storica" designa qui, in primo luogo la teoria della "crisi mortale" imminente del sistema capitalista.
[12] Citato da H. M. Bock: Geschichte des "linken Radikalismus", in: Deutschland, Suhrkamp Verlag, n° 645, p. 145.
[13] Citato da Pannekoek in un articolo (maggio 1932) in cui, affermando ancora una volta che la presa del potere da parte di un PC (e la "dittatura dei grossi papaveri" che ne conseguiva) era concepibile in un paese a borghesia e proletariato deboli, non nell'Occidente industrializzato, riprendeva la nozione di "gruppi d'opinione"; Anton Pannekoek Partij raden, revolutie (J. Kloostermann), Amsterdam, 1970, p. 56 seg.
[14] Cfr. Desarmes (uno pseudonimo espressivo) "Unser Kampf gestern und heute", Proletarier (Berlin; ciclostilato clandestinamnt), 1, 1933.
[15] Cfr. Rätekorrespondenz (id. 2, nov. 1932).
[16] Zur Frage des individuellen Terrors; ibid.
[17] Ibid., 2.
[18] Cfr. H. Canne Meijer, Fondements de l'économie communiste, nel numero già citato di Informations Correspondance Ouvrières.
[19] Cfr. H. Canne Meijer: "Das Werden einer neuen Arbeiterbewegung" (1935), raccolta Mergner, p. 139-167, p. 160 seguenti. Per un'altra versione, più astratta di queste concezioni, cfr. Anton Pannekoek "Parti et classe ouvrière" (1936), antologia citata, p. 259 seguenti. Per i gruppi americani, vedere P. Mattick: "Les groupes communistes de conseils" (1939), in Intégration capitaliste et rupture ouvrière, EDI, Paris, 1972, p. 63 seguenti.
[20] Nel fantasma borghese, il gruppo dei radencommunisten appariva sia come una banda di utopisti litigiosi alla maniera di Marx (cfr. F. Kool Die Linke gegen die Parteiherrschaft, Friburgo, 1970), sia come un covo di terroristi (cfr. H. Schulze Wilde, in l'Express, 27-2-1958).
[21] Parlando dell'opuscolo di Pannekoek (1920), Zinoviev dichiarava "Vi troverete le masse erette in un feticcio che si tenta di opporre al partito in quanto tale" (cfr. Il Congrès de la III Int. comm., Pétrograd, 1921, p. 67).
[22] Si lascerà da parte qui la tesi troppo superficiale del "capitale finanziario" come agente unificatore del capitale che Gorter, seguendo Hilferding, professa al pari di Lenin (e di Kautsky).
[23] Vedere il capitolo "Le cause del nazionalismo all'interno del proletariato", in H. Gorter, Der Imperialismus, der Weltkrieg und die Sozialdemokratie, Amsterdam, 1915, p. 54-72.
[24] Hermann Gorter (discorso al congresso del KAPD), in Kommunistiche Arbeiter-Zeitung, n° 232 (24-9-1921).
[25] Su questa discussione, che non ha nulla di nuovo, vedere soprattutto H. Canne Meyer: "Le mouvement pour les conseils...", op. cit., p. 21 e seguenti.
[26] Cfr. P. Mattick "Interview à Lotta continua", Spartacus, 11, ottobre 1978, p. 4, e "PCF et dictature", nel mio articolo, ibid., 6 juin 1977, p. 23.
[27] Secondo un rapporto di polizia riguardante il periodo di gennaio-marzo 1921, e citato (c0on le riserve d'uso) da H. M. Bock Syndikalismus und Linkskommunismus von 1918-1923 (tesi), Meisenheim/Glan, 1969, p. 259.
[28] Lénine (10-10-1919), in Oeuvres, t. 30, p. 51, aggiungendo tra parentesi questo riferimento significativo sulle condizioni della Russia zarista: "Come si esprimevano i bolscevichi nel 1910-1913".
[29] Cfr. Collectif KAPD, Der Weg des Dr Levi, der Weg der KPD, s.l.n.d. (1921), p. 26-28.
[30] Arthur Rosenberg Histoire du bolchevisme Paris, 1936, p. 190; [Tr. it.: Storia del bolscevismo, Leonardo, Roma, 1932].
[31] Cfr. la lettera dell'Esecutivo del 2 giugno 1920, in l'internationale communiste, 11 (juin 1920), p. 1909-1921.
[32] Cfr. Anton Pannekoek, Révolution mondiale et tactique communiste, (marzo-aprile 1920).
[33] Ibid, p. 200.
[34] Cfr. S.K. Guil, in Lénine tel qu'il fut, t. II, Mosca, 1959, p. 241-242.
[35] Cfr. Lenin, La Maladie infantile du communisme, le "gauchisme", Paris, 1968, p. 23-24; [Tr. it.: L'Estremismo, malattia infantile del comunismo, Opere scelte, vol. VI, Editori Riuniti, Roma-Mosca, 1975].
[36] Cfr. a proposito Kark Korsch, "L'orthodoxie marxiste", Marxisme et contre-révolution... (S. Bricianer éd.), Paris, 1975, p. 130-132.
(37) Lenin, op. cit.
[38] Kommunistische Arbeiter-Zeitung, n° 121 e seguenti In quel momento (inzi d'agosto), l'armata rossa, avendo cacciato i Polacchi dall'Ucraina, raggiunse la Vistola (prima di dover ripiegare in mancanza di mezzi logistici e di rinforzi). Il KAPD aveva tentato di sostenerla preparando una campagna di propaganda e d'azione (sabotaggi e operazioni di commando) che denunciata dall'USPD et le KPD dovevafermarsi bruscamente.
[39] Cfr. Thèses et manifestes de l'l.C., op. cit., p. 39 e seguenti.
[40] Ibid., p. 47
[41] Al V congresso dei sindacati tedeschi (1905), ad esempio, i propagandisti dello "sciopero generale" si facevano trattare come "anarchici e gente senza la minima esperienza".
[42] Cfr. Leone Trotsky: "Sur la politique du KAPD", l'internationale communiste, 17 (mai 1921). Traduco dall'edizione tedesca, pp. 4211-4224; Tr. it.: Trotsky, Risposta a Gorter, in: Dibattito sull'estremismo, Samona e Savelli, Roma, 1976.
[43] Di fatto, Trotsky designava così il picolo partito socialdemocratico olandese (costituito come PC sin dal 1918, nato dalla scissione del 1909, la cui causa immediata era stata la "questione agraria", e a quella di Lenin (cfr. Collected Works, t. 16, p. 140-144) era stata all'epoca applaudita sonoramente (contrariamente a Rosa Luxemburg, preoccupata a non "perdere il contatto con le masse").
[44] K. Schröder: Die Geschichte Jan Beeks, Berlino, 1929, p. 163 e 166.
[45] Citato da J. Clinge Doorenbos: Wisselend Getij, Amsterdam, 1964, p. 52.
[46] Vedere Allegato I, notizia "Plättner" e "Prenzlow".
[47] Cfr. Drobnig: Der mitteldeutsche Aufstand 1921, Lubecca, 1929.
[48] Cfr. Otto Rülhe: Fascisme brun, Fascisme rouge (1939), Ed. Spartacus 1975, pp. 36-37.
[49] Citato da H.M. Mayer: Die politischen Hintergründe des Mitteldeutschen Aufstandes von 1921, Berlino, 1935, p. 64.
[50] Vedere ad esempio: Kämpfendes Leuna (1915-1945), t. I, Berlino-Est, 1961, p. 242 e seguenti.
[51] H. Gorter: "Les leçons de l'Action de mars. Postface à la "Lettre ouverte à Lénine", in D. Authier et J. Barrot: op. cit. p. 323.
[52] Collettivo KAPD: op. cit., p. 31-32, 18 (note) e 25.
[53] "Ciò che diciamo," dichiarava al III Congresso dell'I. C., il kapidista Appel rispondendo alle affermazioni di Radek, "non è nato in Olanda, nel cervello e nell'alambicco del compagno Gorter, ma attraverso le esperienze della lotta che abbiamo condotto dal 1919", (cfr. raccolta Authier, p. 32; e così lo stesso Schwab rispondendo a Bucharin, ibid., p. 521.
[54] Assegnandosi come ruolo "un lavoro di educazione rivoluzionario su vasta scala", il KAPD si rifiutava a "rendere le masse operaie più limitate di quanto già non fossero" riprendendo per loro conto, così come sono, delle rivendicazioni parziali. Lungi da ciò, esso intendeva "allargare dei movimenti di questo genere con degli appelli alla solidarietà e esacerbarli di modo a far loro assumere delle forme rivoluzionarie e se possibile politiche" (cfr. le "Tesi 10 e 11 sul ruolo del Partito...," sottoposte al III Congresso, in Invariance, n° 8).
[55] A. Pannekoek, in De Nieuwe Tijd, 1921, p. 441; cfr. anche l'antologia citata, p. 219 seguenti.
[56] Si troveranno questi interventi nella raccolta Authier, La Gauche allemande, op. cit.; cfr. anche Invariance, 7 e 8.
[57] Cfr. l'unionista Wülfrath, in Ausserordentlicher offentlicher Parteitag des KAPD (11-13 sett. 1921); il comitato centrale del KAPD, che aveva le sue ragioni, vedeva al contrario nella Opposizione operaia un movimento di massa (cfr. Invariance, 7, p. 98, e soprattutto Adolf Dethmann ampiamente citato (senza nome dell'autore) in Soep : "Une IV Internationale ou une réplique de la III?" [Una IV Internazionale o una replica della III?], Bilan, giugno 1934).
(58) Collectif KAPD : "Vier Führer", Proletarier, I, 8, août 1921. Ce texte de réflexion sur le congrès focalise de manière caractéristique sur le point suivant : "Le discours des chefs russes ne traitait que des forces matérielles, économiques, mais passait sous silence les forces vivantes", "l'esprit et le coeur des ouvriers paralysés par leurs organisations, partis et syndicats".
(59) Cfr. An die Mitglieder der KAPD, Offener Brief der EKKI, Hambourg, 1921.
(60) Voir les extraits d'un manifeste de la KAI, in Invariance, 7, p. 95-101 (ici p. 101).
(61) Cfr. Die KAI. Räte-Internationale oder Führer-Internationale?, Berlin, 1922.
(62) K. Marx, Circulaire du Conseil général de l'AIT (janv. 1870).
(63) H. Gorter; discours cité plus haut, note 24.
(64) H. Canne Meijer: "Le problème du socialisme", Internationalisme (Paris, 40, déc. 1948, p. 41.)
(65) Cfr. J.T. Murphy: The Workers' Committee, Sheffield, 1918.
(66) Cfr. J. Klugmann : History of the CP of G.B., Londres, 1964, t. 1.
(67) D'où la note navrée que Gorter consacre à l'affaire dans la Lettre ouverte.
(68) Voir l'émouvante biographie qu'en a donné David Mitchell: Les Pankhurst. L'ascension du féminisme, Genève, 1971.