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1 aprile 2013 1 01 /04 /aprile /2013 05:00

Le origini e la diffusione del patrismo in Saharasia

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Gli aspetti geografici dell'antropologia e della climatologia

 

zeus.jpgIl mio esame preliminare del comportamento e delle istituzioni sociali in un campione di 400 culture aborigene, del livello di sussistenza differenti intorno al pianeta, indicava che le più estremiste delle popolazioni patriste vivevano in un ambiente desertico (DeMeo 1980), benché ciò non sia un'esclusiva.

Un'analisi globale più sistematica e definitiva proveniente da 1.170 culture differenti confermò più tardi la connessione deserto-patrismo, ma dimostrò che la generalizzazione non era valida per tutte le terre semi-aride od anche i deserti iper aridi di estensione geografica limitata in cui il nutrimento e l'acqua potevano essere ottenuti compiendo un breve viaggio. Più ancora  abbiamo trovato che le regioni umide adiacenti i deserti più importanti ed i più iperaridi erano patristi di carattere, un fatto che più tardi fu spiegato con le migrazioni dimostrate delle popolazioni (DeMeo 1986, 1987).

I dati culturali utilizzati per questa analisi ulteriore erano stati presi nell'Atlante Etnografico di Murdock (1967), che non conteneva nessuna carta ed era composto esclusivamente di dati tabulari descrittivi sui popoli aborigeni viventi nelle loro regioni natali. I dati per l'America del Nord e del Sud come per l'Oceania rifletteva in una larga misura le condizioni degli indigeni pre-Europei. I dati di Murdock erano assemblati a partire da centinaia di fonti fidabili pubblicati all'incirca tra 1840 e 1960; i suoi dati erano stati esaminati in modo costruttivo da altri ricercatori e sono ampiamente utilizzati per testare una teoria della crescita culturale. Ognuna di queste 1170 culture individuali erano valutate separatamente (attraverso computer) secondo 15 diverse variabili che avvicinavano lo schema matrista-patrista dato preliminarmente [4]. Le culture esibivano un'alta percentuale di caratteristiche patriste (con un grado elevato di matrismo) ricevevano uno score debole appropriato. Delle latitudini e longitudini erano ottenute per ogni cultura ed una percentuale patrista regionale era estratta per ogni serie di 5° in 5° di latitudine e longitudine. La Figura 1, la Carta Mondiale del Comportamento, emerse da questa procedura (DeMeo 1986, Capitolo 4).

demeoA.gifFigura 1. La Carta Mondiale del Comportamento: Per il periodo all'incirca tra il 1840 ed il 1960, così come è riprodotta a partire dai dati culturali aborigeni forniti dall'Atlante Etnografico di Murdock (1967), con un'interpretazione storica minima.

 

I modelli sulla Carta mondiale del Comportamento erano corroborati indipendentemente da carte separate di ognuna delle 15 variabili utilizzate nella costruzione, e da carte di altre variabili correlate (mutilazioni genitali, deformazioni craniche del bambino, fasciatura) fornita nella discussione originale (DeMeo, 1986, capitolo 5). La Carta mondiale del Comportamento dimostra chiaramente che il patrismo non si trovava dappertutto e non era casuale nella sua distribuzione mondiale. Le culture del Vecchio Mondo erano più patriste di quelle dell'Oceania o del Nuovo Mondo. Inoltre, le zone del patrismo estremo nell'Mondo Antico si trovano in un vasto fascia estendentesi attraverso l'Africa del Nord, il Vicino Oriente e l'Asia Centrale. Il fatto che questo stesso territorio geografico racchiuda quel che oggi è il più esteso ed iperarido degli ambienti desertici che si trovano sulla Terra è del più grande significato.  

Le carte di fattori ambientali in relazione con le condizioni desertiche mostrano delle distribuzioni molto simili a quelle del patrismo estremo sulla Carta Mondiale del Comportamento. La Figura 2 è, ad esempio una carta che identifica i più iper-aridi degli ambienti desertici così come determinati dal rapporto di siccità Budyko-Lettau (Budyko 1958; Hare 1977). Questo rapporto compara il totale di energia di evaporazione disponibile in un ambiente dato con il totale della precipitazione. È un indicatore più sensibile di stress in ambienti aridi di quelli utilizzati in sistemi più standard di classificazione del clima, che inducono in errore coloro che pensano che tutti gli ambienti "desertici" siano simili per natura. Le carte identificanti altri estremi ambienti stressanti, come la variabilità più ampia di precipitazione, le temperature massime più alte mensilmente, le regioni senza vegetazione, le regioni di capacità molto debole per il trasporto, le regioni di suoli desertici e le regioni inabitate mostrano delle distribuzioni molto simili dei loro aspetti più intensi e più estesi all'interno del territorio patrista desertico estremo (DeMeo, 1986, Capitolo 2; DeMeo, 1987). Ho dato lo stesso nome Saharasia a questa espansione ampia di correlazione clima estremo e cultura.

 

demeoB.gifFigura 2: Il Rapporto di Siccità Budyko-Lettau

 

Messa in contrasto della siccità relativa delle diverse terre aride intorno al globo. I valori riflettono il rapporto  tra la precipitazione e l'energia di evaporazione; i valori 2 ricevono due volte più calore di evaporazione solare che l'umidità proveniente da precipitazione, mentre i valori 10 ne ricevono 10 volte di più.  

Gli aspetti geografici dell'archeologia e della storia  

Le distribuzioni strutturate sulla Carta Mondiale del Comportamento suggerivano che il patrismo si è sviluppato all'interno della Saharasia, forse soltanto nei periodi storici dell'antichità, dopo di che è stato trasportato verso l'esterno da popoli emigranti per raggiungere le regioni umide vicine. Il test di questa ipotesi riguardante il comportamento, le migrazioni ed il clima nei tempi antichi necessitava la creazione di una nuova base di dati composti di informazioni sulle condizioni climatiche antiche, le migrazioni delle popolazioni, i fattori sociali passati rilevanti il trattamento dei bambini, degli adolescenti e delle donne, così come le tendenze al dominio maschile, il dispotismo, la violenza sadica e la guerra. Una nuova base di dati contenenti più di 10.000 note specifiche individuali sull'epoca ed il luogo è stata sviluppata e riunita cronologicamente; ogni carta conteneva dell'informazione proveniente dalla letteratura archeologica o storica identificante degli artefatti e/o delle condizioni ecologiche per dei diti o delle regioni specifiche. Più di 100 fonti distinte autorevoli sono state consultate ed indicate per comporre questa nuova base di dati, che permetteva l'identificazione ed il raffronto delle condizioni antiche attraverso delle regioni geograficamente vicine per dei periodi di tempo simili. Le epoche ed i spazi di transizione culturale ed ecologica estesi, così come i modelli di migrazioni e di insediamento, sono stati identificati. La mia focalizzazione predominante era la Saharasia e le sue terre vicine umide Afro-Euro-Asiatiche, ma un totale significativo di dati era stato anche raccolto per l'Oceania ed il Nuovo Mondo (DeMeo 1985, Cap. 6 e 7 del 1986).

A partire dai modelli osservati in questa base di dati, ero in grado di confermare che il patrismo si è sviluppato innanzitutto ed in primo luogo in Saharasia, durante lo stesso periodo in cui il suolo subiva una transizione ecologica maggiore, passando da condizioni relativamente umide a condizioni aride, desertiche. L'evidenza di dozzine di studi archeologici e paleoclimatici indica che la cintura del grande deserto della Saharasia moderna era, antecedentemente ai 4.000-3.000 anni prima della nostra era, una savana di prateria semi forestale. Una fauna grande e piccola, come l'elefante, la giraffa, il rinoceronte e la gazzella viveva in queste praterie degli altopiani, mentre l'ippopotamo, il coccodrillo, il pesce, i serpenti e i molluschi si sviluppavano nei torrenti, fiumi e laghi. Oggi, la maggior parte di questo stesso terreno Nordafricano, Mediorientale e dell'Asia Centrale è iperarido e spesso sprovvisto di vegetazione. Alcuni di questi bacini ora asciutti della Saharasia erano allora pieni con livelli che andavano da poche decine di metri sino a centinaia di metri di profondità, mentre nei canyon e negli uadi scorrevano dei torrenti e dei fiumi.

Ma cosa ne è stato delle popolazioni che abitavano la Saharasia durante le epoche umide? L'evidenza è anch'essa chiara su questo punto: questi popoli primitivi erano pacifici, non armati, e matristi di carattere.Infatti, avevo concluso che non esiste nessuna prova chiara, innequivocabile o senza alcuna ambiguità dell'esistenza di un patrismo rilevante in qualsiasi parte della Terra anteriormente a 4.000 anni alla nostra era. Sono stati scoperti soltanto pochi esempi su scala regionale isolati nella documentazione archeologica, che sono interpretati nel contesto delle mie scoperte sulla Saharasia in un nuovo articoloUpdate on Saharasia [Aggiornamento sulla Saharasia], come cito successivamente.

Esistono tutavia delle notevoli evidenze per delle condizioni sociali matriste primitive. Queste conclusioni sono effettuate in parte a partire dalla presenza di alcuni manufatti di questi tempi più remoti, che includono: l'inumazione sensibile e accurata del defunto, indipendentemente dal sesso, con una richezza significativa relativamente uniforme; delle statue di donne sessualmente realiste; e una lavorazione artistica naturale e sensibile sulle pareti rocciose e sulle ceramiche che pongono in evidenza le donne, i bambini, la musica, la danza, gli animali e la caccia. Nei secoli successivi, alcune di queste popolazioni matriste pacifiche sono progredite tecnologicamente, ed hanno sviluppato delle territori agrari notevoli e non fortificati anche commerciali, soprattutto a Creta, nella Valle dell'Indo e nell'Asia Centrale Sovietica. L'inferenza del matrismo in questi tempi antichi è anche segnata dall'assenza di evidenze archeologica riguardanti il caos della guerra, dal sadismo e brutalità che diventa abbastanza evidente negli strati più recenti, dopo che la Saharasia divenne arida.

L'evidenza archeologica ulteriore include: delle armi da guerra, degli strati di distruzione, delle robuste fortificazioni, dei templi e delle tombe in onore a grandi sovrani, la deformazione del cranio del bambino, l'omicidio rituale delle donne nelle tombe o fosse degli uomini generalmente più attempati, i sacrifici di bambini in rituali di fondazione, fosse comuni con corpi mutilati e gettati alla rinfusa dentro di esse, stratificazioni di casta, schiavitù, gerarchia sociale estrema, la poligamia e il concubinaggio, determinati a partire dall'architettura, dalle ricchezze all'interno della tomba e da altre sistemazioni funerarie.

Lo stile artistico e il materiale del soggetto dei periodi aridi successivi cambia anch'esso valorizzando i combattimenti a cavallo, i cavalli, i carri, le battaglie ed i cammelli. Le scene di donne, di bambini e della vita corrente scompaiono. Le statue di donne naturaliste e il lavoro artistico diventano simultaneamente astratti, non realisti addirittura anche feroci, perdendo le loro qualità precedenti di gentilezza, di educazione o di erotismo; oppure spariscono del tutto sostituite dalle statue di divinità maschili o di re divini. La qualità del lavoro artistico così come gli stili architettonici decadono per quel che riguarda i siti del Vecchio Mondo durante tali epoche, seguiti negli anni successivi da motivi bellici e fallici (DeMeo 1986, Capitoli 6 e 7). Certo, non sono stato io per primo a notare l'esistenza di transizioni culturali nelle documentazioni archeologiche e storiche, oppure i potenti effetti del cambiamento ambientale sulla cultura [5]. Tuttavia, il mio lavoro fu il primo a presentare simultaneamente una visione d'insieme, ad essere dedotto sistematicamente e specifico sia nel tempo che nei siti.

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Arte sulle rocce parietali nel Nord Africa. Periodo Umido Neolitico di Cacciatori-Raccoglitori, 7000 a.C. circa. Periodo Umido Neolitico, Agricolo-pastorale, 5000 a.C. circa. Età arida del Bronzo di Guerrieri. Periodo dei Cavalli, Carri, Cammelli, 2000-500 a. C. circa.

 

Con poche speciali eccezioni, possiamo trovare la prima e più antica evidenza di queste condizioni sociali caotiche e del patrismo sulla Terra in quelle parti della Saharasia che cominciarono ad inaridirsi per prile, e cioè all'interno o molto vicine all'Arabia e all'Asia Centrale. Eccezioni speciali sono dei siti in Anatolia e nel Levante, che contengono un'evidenza un po' debole che suggerirebbe che un patrismo molto limitato deve essere esistito sin dal 5.000 avanti la nostra vera; ma questa evidenza esiste insieme ad un'altra che suggerirebbe una sotto fase anteriore arida in queste stesse regioni, con una tendenza complementare verso una migrazione e un pastoralismo nomade. Così, esse appaiono come delle eccezioni che confermano la regola: una forte desertificazione ed un trauma da carestia hanno potentemente turbato la struttura sociale matrista originaria ed hanno promosso lo sviluppo di comportamenti e di istituzioni sociali patriste; il patrismo veniva inoltre aggravato e intensificato da un abbandono della terra molto vasto, da assestamenti migratori e una competizione per le scarse risorse d'acqua.

 

La genesi del patrismo in Saharasia

 

Successivamente al 4.000-3.500 anni prima della nostra era, delle trasformazioni sociali radicali sono evidenti nella rovine di insediamenti precedentemente matriste e pacifiche lungo i fiumi nelle valli dell'Asia Centrale, in Mesopotamia e nell'Africa del Nord. In ognuno di questi casi, un'evidenza dell'accresciuta aridità e dell'abbandono di terra coincide con delle pressioni migratorie negli insediamenti dotati di presenza idrica, così come quelle delle oasi o dei fiumi esotici. L'Asia Centrale ha anche sperimentato un abbassamento nei livelli dei laghi e nei letti dei fiumi coincidenti con l'instabilità climatica e l'aridità, che stimolarono l'abbandono degli ampi bacini dei laghi o dell'irrigazione delle comunità agricole.

Delle colonizzazioni sul Nilo o il Tigri e l'Eufrate, così come nelle zone umide degli altipiani del Levante, dell'Anatolia e dell'Iran, sono state invase e conquistate da popoli che abbandonavano l'Arabia e/o l'Asia Centrale, che continuava ad inaridirsi. Nuovi stati centrali dispotici emersero successivamente. La tomba, il tempio e l'architettura di fortificazione, con l'evidenza di un omicidio rituale della vedova (oppure della della madre, quando esso è compiuto dal figlio maggiore), la deformazione del cranio, l'accento sul cavallo e il cammello, e la crescita del militarismo appaiono in seguito alle invasioni in quasi tutti i casi che ho studiato.

A mano a mano che questi nuovi stati centrali dispotici crescevano di potere, essi estendevano i loro territori, qualche volta per conquistare le tribù pastorali nomadi ancora presenti nella steppa instato di inaridimento. Alcuni di questi stati dispotici invadono periodicamente le terre umide adiacenti la Saharasia per estendere i loro territori. Essi conquistano sia le popolazioni locali nelle terre umide oppure, se non vi riescono, provocavano delle reazioni difensive tra di esse, la qual cosa può essere osservata nella conseguente apparizione delle fortificazioni, di tecnologia delle armi e da un livello intermedio di patrismo in queste regioni umide. Altri stati dispotici Saharasiani spariscono eventualmente dai libri di storia a mano a mano che l'aridità si intensificava e si inaridivano (DeMeo 1985, capitolo 6).


La Diffusione del Patrismo nei Paesi Limitrofi della Saharasia


Il Patrismo è apparso nei paesi limitrofi umidi della Saharasia dopo, e soltanto dopo che si era sviluppato nel cuore della Saharasia che si stava inarridendo. Con la progressione dell'aridità nella Saharasia, e con la risposta armata, patrista opprimeva in modo crescente le popolazioni saharaiane, delle migrazioni fuori dalle regioni aride ponevano sempre più tali popoli in contatto con le popolazioni più pacifiche delle terre limitrofe più umide della Saharasia. In modo crescente, le migrazioni fuori dalla Saharasia prendono posto sotto forma di invasioni massicce dei territori confinanti più fertili.

In queste terre limitrofe, il patrismo mise radici non grazie alla desertificazione o a causa dei traumi dovuti alla carestia, ma attraverso lo sterminio e la sostituzione delle popolazioni matriste originarie da parte dei gruppi patristi invasori, o attraverso l'adozione forzata di nuove istituzioni sociali patriste introdotte dai popoli conquistatori invasori. Ad esempio, l'Europa era invasa in modo continuo dal 4.000 prima della nostra era da popoli dell'Ascia come i Kurgan, Sciti, Sarmati, Unni, Arabi, Mongoli e Turchi. Ognuno di essi si sostituì all'altro facendosi la guerra, conquistando, saccheggiando e in genere trasformando l'Europa in senso  fortemente patristico. Le istituzioni sociali europee si orientarono progressivamente dal matrismo al patrismo, con le parti più occidentali d'Europa, soprattutto la (Grande Bretagna e la Scandinavia,svilupparono verso condizioni patristiche più tardi e sotto una forma più diluita rispetto al Mediterraneo o all'Europa orientale, che furono più profondamente influenzate dai popoli Saharasiani.

Attraverso il Vecchio Mondo, nelle parti più umide della Cina, delle condizioni matriste più pacifiche prevalsero sino all'arrivo dei primi invasori patristi estremisti, i Shang ed i Chou, 2.000 anni prima della nostra era. Delle invasioni successive degli Unni, Mongoli e altri avrebbero rafforzato il patrismo nella Cine umida. La cultura Giapponese rimase matrista un po' più a lungo, dato l'isolamento dovuto al Mar della Cina e l'area Coreana, sino all'arrivo dei primi gruppi patristi invasori dal cintinent Asiatico, come gli Yayoi, intorno al 1.000 avanti la nostra era. Nell'Asia del Sud, le colonie pacifiche, ampiamente matriste e guerrieri provenienti dall'Asia Centrale.

Il patrismo si estese in seguito in India e si intensificò durante i secoli successivi con le invasioni degli Unni, degli Arabi e dei Mongoli, provenienti dall'Asia Centrale. Il matrismo prevalse in modo simile nell'Asia Sud orientale sino all'assalto delle migrazioni e invasioni patriste successive, a volte per via terrestre altre per via marittima, a partire dagli stati patristi monarchici della Cina, dell'India, del'Africa e delle regioni Islamiche. Nell'Africa sub-sahariana un'evidenza disponibile suggerisce che il patrismo è dapprima apparso con l'arrivo dei diversi popoli migranti in direzione sud, all'incirca nell'epoca in cui l'Africa del Nord si inaridiva e venne abbandonata. Le influenze Faraoniche Egiziane, Cartaginesi, Greche, Romane, Bizantine, Bantù, Arabe, Turche ed Europee coloniali accrebbero il patrismo Africano negli anni seguenti (DeMeo 1985, Capitolo 6, 1986).

I modelli geografici nelle migrazioni, le invasioni e nella colonizzazione colpiscono molto. Due zone maggiori nel cuore del patrismo appaiono nei dati dopo il 4.000 prima della nostra era, l'una in Arabia e l'altra in Asia Centrale, le terre rispettive a partire dalle quali i popoli Semiti ed indo-ariani migrarono (Figure 3). Erano anche le prime parti della Saharasia a iniziare ad inaridirsi, benché altre parti della Saharasia cominciavano a prosciugarsi e a convertirsi al patrismo in pochi secoli. Un altro aspetto storico di queste irruzioni dal deserto di nomadi guerrieri possono essere osservati nelle Figure 4 e 5, che ritraggono i territori occupati in un momento e in un altro successivo rispettivamente dagli Arabi e i Turchi (Jordan & Rowntree 1979; Pitcher 1972). I territori di questi due gruppi, che furono gli ultimi di una serie di invasori provenienti dall'Arabia e dall'Asia Centrale, ricoprono totalmente al 100% la Saharasia desertica, espandendosi verso l'esterno nei paesi limitrofi più umidi.

demeoD.gifFigura 3. Percorsi di diffusione della cultura umana armata (complesso culturale patrista) nel Vecchio Mondo, per il periodo che inizia da 4.000 anni prima della nostra era. 1. Centro Arabico; Centro dell'Asia Centrale.

 

 

 

Figura 4. Zone influenzate o occupate dagli eserciti Arabi dal 632 d. C. (da: Jordan & Rowntree, 1979).
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Figura 5. Zone Influenzate o occupate dagli eserciti Turchi dal 540 d. C. (da: Pitcher, 1972).

 

Questi fatti geografici spiegano perché il matrismo era preservato su una grande estensione in queste regioni per la maggior parte distanti dalla Saharasia. Le regioni alla periferia della Saharasia (soprattutto le isole), come l'Inghilterra, Creta, la Scandinavia, l'Artico asiatico, l'Africa del Sud, l'India del Sud, il Sud Est Asiatico e l'Asia insulare, dimostrano una relazione storica ulteriore con una adozione del patrismo, e una diluzione conseguente del patrismo con delle istituzioni sociali matriste indigene preesistenti. A partire dalle più diverse fonti utilizzate per costruire la mia base di dati, la Figura 3 è stata sviluppata per suggerire dei modelli di diffusione del patrismo all'interno del Vecchio Mondo. I vettori sono soltanto una prima approssimazione, ma sono in accordo con gli studi precedenti con le migrazioni e la diffusione dei popoli. Questi modelli geografici, presi dalla letteratura archeologica e dalla storia, sono supportati in modo indipendente da un modello spaziale molto simile nei dati antropologici più recenti, come quelli forniti in Figura 1, La Carta Mondiale del Comportamento.

 

 

La diffusione del patrismo in Oceania e nel Nuovo Mondo

 

Queste osservazioni concernenti le migrazioni patriste devono essere estese allo scopo di includere la diffusione trans-oceaniche del patrismo proveneienti dal Vecchio Mondo, attraverso l'Oceania e probabilmente anche dal Nuovo Mondo. Una mappa delle vie suggerite è data nella Figura 6, che non attribuiscenessuna altra regione fonte per il patrismo se non la Saharasia. Quest'ultima mappa era derivata dalle diverse mappe presentate presentate in precedenza, compresa la Carta del Comportamento Mondiale, e così per le altre fonti fornite nella mia dissertazione. Una ricerca addizioanle sarebbe molto necessaria per confermare o chiarire queste vie suggerite. È significativo che il patrismo nelle Americhe era identificato nella Carta Mondiale del Comportamento innanzitutto tra le popolazioni che vivevano lungo le coste o tra quelle i cui antenati svilupparono le loro comunità patriste più antiche su delle regioni costiere.

Inoltre, è significativo che i popoli patristi antichi delle Americhe erano della stessa cultura per le quali altri hanno indicato, sulla base di materiale culturale, artistico o linguistico, una connessione precolombiana con gli stati patristi che navigavano sull'oceano e che appartenevano al Vecchio Mondo [6]. Tuttavia, un patrismo più limitato si è sviluppato indipendentemente in Oceania e nel Nuovo Mondo attraverso un meccanismo di deserto-carestia-migrazione simile a quello dimostrato per la Saharasia, probabilmente all'interno del Deserto Australiano, nel Grande Bacino arido dell'America del Nord, e/o del deserto di Atacama (DeMeo 1986, Capitolo 7).

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demeoF.gifFigura 6. Modelli suggriti di diffusione del patrismo intorno al mondo, prima di Cristoforo Colombo e della migrazione europea.

 

 

CONCLUSIONI

 

La teoria delle origini Saharasiane del patrismo armato è stata sviluppata secondo un esame geografico sistematico di dati archeologici, storici e antropologici. La cartografia di questi diversi dati è stata effettuata allo scopo di capire meglio la genesi del patrismo e testare la pertinenza predittiva delle ipotesi di base di partenza. Questo è stato compiuto attraverso l'esame delle dimensioni geografiche delle istituzioni sociali specifiche sia che intralciano gli impulsi di legami biologici di base madre-figlio e uomo-donna, o che indicano un livello elevato di dominio maschile, di gerarchia sociale e di aggressione distruttrice. In quanto tale, le ipotesi di base di partenza dello studio, e cioè la teoria sessuo-economica del comportamento umano, gli schemi matristi-patristi ed i legami causali tra la desertificazione e il patrismo sono stati inoltre verificati e rafforzati. Queste scoperte suggeriscono fortemente che le componenti innate del comportamento sono limitate negli aspetti diretti verso il piacere di vita e della vita sociale, che trasmettono un istinto di sopravvivenza e dei vantaggi legali alla salute per i figli in crescita, e lo sforzo per preservare l'unità sociale. Sono i comportamenti matristi e le istituzioni sociali che sostengono e proteggono le funzioni di legami tra i figli neonati e le loro madri, che nutrono il bambino attraverso le sue diverse tappe di sviluppo, e che incoraggiano e proteggono i legami d'amore e di eccitazione del piacere che si sviluppano spontaneamente tra i giovani maschi e femmine.

Da questi impulsi biologici diretti verso il piacere sono scaturite altre tendenze socialmente cooperative, e delle istituzioni sociali sostenitrice della vita e protettrici di vita. Si è dimostrato che tali impulsi e comportamenti, che sono filo bambini, filo donna, orientati verso il piacere e la positività del sesso, esistevano in modo predominante in tempi molto recenti e all'esterno dei limiti della cintura del desero Saharasiano. Tuttavia, erano all'inizio le forme dominati di comportamento e di organizzazione sociale ovunque sul pianeta, prima che la siccità del Vecchio Mondo non si verificasse. Data la nuova prova qui presentata, il patrismo, per includere le sue componenti di abusi infantili, di subordinazione della donna, di repressione sessuale e aggressività distruttrice, è meglio e più semplicemente spiegato come una risposta emotiva e culturale contratti dalle condizioni traumatiche della carestia che si sono sviluppate dapprima quando la Saharasia si è inaridita 4.000 anni avanti la nostra era, una risposta che si è estesa in maniera conseguente fuori dal deserto attraverso la diffuzione dei popoli colpiti e traumatizzati, e le loro istituzioni sociali alterate.

 

NOTE

 

[4] Le 15 variabili erano: Tabù sessuali della donna prima del matrimonio, Segregazione dei ragazzi adolescenti, Mutilazioni genitali dei maschi, Dote della sposa, Organizzazione familiare, Residenza maritale, Tabu sessuale post partum, Gruppi di Parenti, Discedenza, Eredità della terra, Eredità della proprietà mobilòe, Grande dio, Startificazione di classe, stratificazione di casta e di schiavismo.

[5] Il mio studio fu possibile soltanto grazie a precedenti eccellenti lavori di altri ricercatori scientifici. Oltre il lavoro di Reich, le mie idee sull etrasformazioni culturali e ambientali provengono in un'ampia misura dai lavori di Bell (1971), Gimbutas (1965), Huntington (1907, 1911), Stone (1976) e Velikovsky (1950, 1984), benché io assuma una totale responsabilità per le conclusioni e documenti qui presentati.


[6] Questa scoperta ricusa direttamente l'asserzione che tutti i popoli precolombiani del Nuovo Mondo siano arrivati emigrando attraverso lo Stretto di Behring durante i periodi di glaciazione intorno al 10.000 a. C. Se il patrismo fosse stato apportato nel Nuovo Mondo durante quest'epoca, sarebbe stato distribuito in modo omogeneo. La quantità e la qualità dei dati supportano l'idea che contatti precolombiani sono cresciuti in modo enorme in tempi recenti. Per un sommario di una tale evidenza, vedere il Capitolo 7 di DeMeo, 1986.

 

 

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Le origini e la diffusione del Patrismo nella Saharasia 01 di 02

Link al post originale:

http://www.orgonelab.org/saharasia_fr.htm

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10 marzo 2013 7 10 /03 /marzo /2013 06:00

Pierre-Valentin Berthier

Berthier

 

conquete du painFiglio di un conciatore di pelli, Pierre-Valentin Berthier, prima di aver conseguito la maturità, lasciò il collegio per non dover affrontare il consiglio disciplinare che stava per espellerlo. Fu dal 1926 al 1936, operaio conciatore nell'impresa famigliare a Issoudun: suo padre, artigiano, lavorava solo o, a volte, impiegava un amico. Nel 1932, fondò a Issoudun una sezione dei Combattenti della Pace, e nel 1934, passando per Parigi, prese parte al "lancio" del giornale di Fernand Planche la Conquête du Pain (Boulogne Billancourt, 45 numeri dal 13 ottobre 1934 al 13 dicembre 1935). Nel 1932 fu perseguitato in seguito ad un articolo apparso in Le Semeur de Normandie e "nel 1932-33 ebbe delle noie con l'autorità militare" in quanto obiettore di coscienza.

 

Nel 1936, P.-V. Berthier divenne giornalista, inviato a Issoudun per il quotidiano di Châteauroux, le Département de l’Indre. Questo giornale in cui Berthier non si occupava che delle cronache locali, fu liberale prima della guerra, filo Vichy durante l'Occupazione (in cui si chiamò), e comunista dopo la Liberazione (assunse a quest'epoca il nome di la Marseillaise du Berry). Nel settembre del 1951, Berthier fu licenziato e sostituito da un militante del Partito comunista. Durante la guerra di Spagna organizzò a Issoudun un meeting di sostegno alla CNT-FAI avente come oratore Aristide Lapeyre.

 

Sul periodo della guerra e dell'occupazione, P. V. Berthier ha lasciato la seguente testimonianza: "…La guerra sospese la mia attività di militante e di pubblicista libertario, ma conservavo dei rapporti epistolari con dei compagni Fernand Planche, Gérard de Lacaze-Duthiers e un corrispondente americano [1]… Ho mantenuto anche dei contatti permanenti con gli amici della regione come Marius Jacob e Louis Briselance. Sono stato in corrispondenza con Fernand Planche tutto il tempo in cui egli fu incarcerato alla Santé poi internato al campo di Maisons-Laffitte. Durante lo sbandamento, quando il 10 maggio il campo venne evacuato in colonna sulla strada, Planche fuggì e si rifugiò da me; vi si trovava all'arrivo dei Tedeschi e poté raggiungere Parigi prima della chiusura della linea di demarcazione (Issoudun era nella zona detta libera). Durante le ostilità non ho ceduto a nessuna pressione; ho anche rifiutato agli agenti di Vichy di utilizzare la vetrina del mio ufficio per presentarvi degli oggetti di propaganda... I miei colleghi mi informarono anche, a guerra finita, che avevo rischiato di essere arrestato dai Tedeschi a causa di un articolo in cui avevo lasciato intendere la poca sollecitudine della gioventù nel differire il STO (Service du travail obbligatorie Servizio del lavoro obbligatorio); la censura l'aveva per inavvertenza lasciato passare... Sul momento non ho sospettato il pericolo. Ma alla fine tutto questo non è che una piccolezza, il mio itinerario".

 

Grazie a Louis Louvet e dopo il suo licenziamento nel settembre del 1951, poté, sin dal dicembre 1951, lavorare come correttore alla tipografie Lang e La renaissance. Dopo tre mesi entrò presso Amiot-Dumont, casa editrice scomparsa nel 1956. Membro del sindacato autonomo dei giornalisti dopo la guerra, fu ammesso al sindacato dei correttori di Parigi il 1° marzo 1953 e lavorò in diversi giornali editi a Parigi tra cui Le Monde a partire da gennaio 1957 e alcune tipografie. Nel 1956, fu correttore (dal 2 agosto al 30 novembre) all'ONU-Ginevra. Parallelamente, dal 1951 a dicembre 1956, assunse anche la gestione di una libreria che era stata comprata da Rémy Désiré un amico d'infanzia.

 

Nell'autunno del 1952 fu a fianco di Charles Auguste Bontemps, Louis Chauvet, Robert François, Georges Glazer, René Guillot, Maurice Joyeux, Gérard de Lacaze Duthiers, Pierre Lentente, Louis Louvet, André Prudhommeaux e Georges Vincey, membri del comitato d'iniziativa fondatori del gruppo anarchico di libera discussione Centre de recherches philosociales che ogni sabato avrebbero organizzato dei dibattiti alla sala delle sociétés savantes de Paris.

 

Dal 1952 o 1953, P.-V. Berthier assicurava la redazione con un foglio settimanale su La République du Centre, a Orléans. Scriveva anche sul giornale settimanale della CNT in esilio Espoir (Tolosa n° 1, 7 gennaio 1962), e forniva dei servizi a diversi altri giornali (viaggio in Lapponia, viaggio in Canada, ecc.). A partire da gennaio 1957, lavorò al Monde di cui divenne titolare nel 1958 sino al suo pensionamento il 31 ottobre 1976.

 

on-a-tue.jpgCome scrittore, ha pubblicato alcuni libricini di versi, numerosi romanzi tra cui Sitting Bull nel 1952,  Mademoiselle Dictateur (1956),  La citadelle de Kouang-Si, ecc...— e si è visto attribuire dei premi tra i quali quello dei Coopérateurs, nel 1958, per  On a tué Mademoiselle Système  (1957). È anche l'autore insieme a J. P. Colignon di nove opere sulle particolarità della lingua francese che gli valse di collaborare anche sulle questioni di linguistica con la rivista Lettre(s) organo dell’ASSELAF. La sua testimonianza sulla sua vita di giornalista  durante la guerra, La cité dans le tunnel  del 2003, gli è valso il premio della città di Chateauroux.

 

Collaborò, come militante, oltre ai titoli citati con un gran numero di giornali e riviste: Almanach de la Paix pour 1934, Ce Qu’il faut Dire (1944-1948) di Louis Louvet, La Conquête du Pain (Boulogne Billancourt, 1934-1935) di Fernand Planche, Contre Courant (Parigi, 1950-1968), Contre Poison (Saint Céré, 1932-1933), C.P.C.A. (Villeneuve St Georges, 1978-1983), Défense de l’Homme (1948-1976) di Louis Lecoin e L. Dorlet, l’En-Dehors (prima del 1939), L’Homme et la Vie (Parigi, 1946), Le Libertaire (1944-1953) organo della FA, Le Libertaire (Le Havre, 1978-199?), Liberté (Paris, 1958-1971) di Lecoin, Le Monde Libertaire organo della FA a partire dal 1954, La Patrie Humaine (Parigi, 1931-1939), Pensée et Action (Bruxelles, 1945-1952) di Hem Day, Le réfractaire (Parigi, 1974-1983) di May Picqueray, La Rue (Parigi) rivista del gruppo Louise Michel, le Semeur de Normandie (Caen, tra il 1932 ed il 1939), Sources Libres (Nantes, 1953), Terre Libre (1936-1939), L'Union Pacifiste (a partire dal 1966, L’Unique (Orléans, 1945-1956), La Voix Libertaire (Limoges, 1929-1939),  la Voie de la Paix.

 

Pierre-Valentin Berthier, che si era sposato a Issoudun nel 1945 ed era padre di un bambino, è deceduto a Parigi il 6 maggio del 2012.

 

È anche l'autore della redazione di un dattiloscritto delle Memorie di Vandamme detto Mauricius che è stato depositato all'Institut français d’histoire sociale e di cui una copia è consultabile all'Istituto internazionale di storia sociale di Amsterdam (IISG). Un opuscolo di Céline Beaudet Rencontre avec Pierre-Valentin Berthier, court récit d’une vie et de rencontres d’un anarchiste individualiste è stato pubblicato da La Question sociale.

 

Opere:

Oltre che a quelle citate P. V. Berthier è anche l'autore di alcune biografie di libertari: 

- Gaston Couté, La vérité et la légende (Brochure mensuelle, 1936);

- Vie et portrait d’un anarchiste: Fernand Planche (pubblicato in Espoir dal 9 marzo al 6 luglio 1975);

- Mauricius et la calomnie (pubblicato in Espoir, dal 11 giugno al 29 luglio 1979);

Ha collaborato all'edizione di E. Armand. Sa vie, sa pensée, son oeuvre (Parigi, 1964, 498 p.).

 

Fonti: 

Archivi del sindacato dei correttori.

Lettera di P.-V. Berthier, 30 maggio 1973.

Y. Blondeau, Le Syndicat des correcteurs, op. cit.

Nota di J. Maitron in: Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier, op. cit.

Bulletin du CIRA, Marseille, n° 23/25, 1985, op. cit. (Témoignage de P. V. Berthier)

R. Bianco, Un siècle de presse, op. cit.

Contre Courant, année 1952. 

 

NOTE: 

[1] Si tratta di Ahrne Thorne, uno dei segretari di Emma Goldman a Toronto e ultimo editore del giornale yiddish Die Fraye Arbeter shtime.

 

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7 marzo 2013 4 07 /03 /marzo /2013 06:30
Fernand Claude Planche
Planche -Fernand

Molto presto orfano di padre, poi della madre, Fernand Planche fu adottato dai suoi nonni. Dopo aver lavorato come apprendista fresatore, fu posto, dietro sua richiesta, da suo nonno come apprendista molitore con il salario di 5 franchi alla settimana, un lavoro particolarmente faticoso consistente nel molare dei cristalli su delle mole poste sulla Durolle, piccolo fiume che scorre attraverso Thiers. Dopo la morte dei suoi nonni, lasciò all'età di 19 anni l'Auvergne per Parigi, poi effettuò il suo servizio militare a Digione poi nella Germania occupata come meccanico nell'aviazione.

le-libertaire.jpgAl suo ritorno nella regione parigina, cominciò a lavorare come coltellinaio e si mise a frequentare gli ambienti libertari. Assistette al III congresso organizzato dall'Unione anarchica (UA) a Levallois dal 2 al 4 dicembre 1922 e cominciò l'anno successivo a collaborare alla serie quotidiana del Libertaire. Durante le elezioni legislative della primavera del 1924, fu candidato astensionista sulla lista libertaria nella IV circoscrizione di Saint-Denis e Sceaux. Oppositore della linea piattaformista seguita dalla UA e sostenitore della sintesi anarchica, partecipò in seguito alla Association des Fédéralistes anarchistes (AFA) create l'8 gennaio 1928 e collaborò al suo organo La Voix Libertaire (Limoges, 1929-1939). Nel numero del 18 marzo 1933, parlò a favore della "casa anarchica" che doveva essere costruita a Parigi attraverso la mediazione di una cooperativa d'acquisto che doveva fornire il denaro necessario all'acquisto del terreno e la costruzione della casa. Risiedette durante quest'epoca al 42 rue de Meudon a Boulogne-Billancourt con la sua compagna Laure e vendeva ina una specie di bazar tutti gli strumenti da taglio e anche gli strumenti più diversi, essendo egli anche un riparatore ed arrotino.

voix_libertaire.jpgIl 20 e 21 maggio del 1934 assistette al congresso della Union anarchiste, detto congresso dell'unità, poi con Bidault, Thillon, P. V. Berthier, Rhillon, Louis Dorlet e Nadaud a quello dell'organo La Conquête du pain (Boulogne-Billancourt, 45 numeri dal 13 ottobre 1934 al 13 dicembre 1935), aperto a tutte le tendenze dell'anarchismo, di cui fu l'amministratore e uno dei redattori e di cui Bidault era il gestore.

conquete_du_pain.jpg

Al suo ritorno da Barcellona dove si era recato alla fine di luglio del 1936 e sempre rimproverando all'UA le sue tendenze al centralismo, partecipava, insieme a Roger Lepoil, Marius Ricros, Laurent, Voline, Prudhommeaux e Remy Dugne, alla fondazione della Fédération anarchiste di lingua francese (FAF) durante un congresso tenutosi a Tolosa il 15 e il 16 agosto del 1936 e divenne il segretario della Commissione amministrativa di questa organizzazione e redattore del suo organo Terre Libre (Parigi-Nîmes, 1934-1939) di cui sarà l'amministratore da marzo ad agosto 1937. Gli altri membri della Commissione amministrativa erano Emile Babouot (tesoriere), Moissan (tesoriere aggiunto), Andres, Perron, Sanzy, Baudon, Rieros, Prospero, Henri, Hertmann et Laurent.

terre_libre_1934.jpg


planche.krop.jpgNel 1939 fu arrestato ed incolpato di "complicità in diserzione" per aver redatto una parola di raccomandazione a un disertore. Internato preventivamente alla prigione della Santé, scriveva regolarmente a P. V. Berthier che raccontò più tradi sul giornale Espoir: "… nella mia corrispondenza, quasi ogni mattina, trovo la lettera proveniente da rue de la Santé, a Parigi. Le missive sono a volte abbastanza afflitte. L'inverno è giunto: l'inverno 1939-1940 è uno dei più feroci che si siano mai visti a memoria d'uomo; ovunque è neve e ghiaccio. Planche è in una cella non riscaldata. In lettere scritte da una mano che il freddo ha fatto tremare, al punto che faccio fatica a decifrarne alcuni passaggi, mi confidò la sua miseria: 'sono obbligato a percorrere il locale in lungo e in largo, e non è né troppo lunga né troppo larga, battendomi i fianchi e battendo i piedi per far circolare il sangue'. All'inizio della sua detenzione era alla VIII Divisione, cellula 34, e alla fine alla III Divisione, cellula 98. È dalla sua cellula che scrisse al Ministro della Giustizia per reclamare l'imputazione di colpa dal Prefetto di polizia, sostenendo che 'la sua lettera di raccomandazione non era stata che un debole aiuto a X... per disertare, mentre il passaporto consegnato dalla Prefettura di polizia gli era stato di ben maggiore utilità. 

BerthierLiberato dopo undici mesi, fu immediatamente "internato amministrativo" nel campo di Maisons-Laffitte (Seine-et-Oise) dove il governo di Daladier faceva internare "le persone suscettibili di nuocere alla Difesa Nazionale". Dopo l'evacuazione del campo il 10 maggio 1940, verso il sud della Francia, al momento dello sbandamento, e approfittando di un bombardamento durante il passaggio dalla Loira a Meung, riesce a fuggire e, con l'aiuto di una bicicletta rubata, percorre 120 km e raggiunse Issoudun dove si rifugiò presso il compagno P. V. Berthier dove era giunto il 18 giugno "ricoperto di polvere e di pulci". Poi, dopo aver ottenuto dal comune un'attestazione che specificava che le comunicazioni erano interrotte con il sud, e sempre in bicicletta, raggiunse Parigi prima della chiusura della linea di demarcazione e ritrovò la sua compagna. Il suo fascicolo per aiuto alla disserzione viene riaperto, e per sfuggire ad un nuovo arresto, sottoscrisse un assunzione per un anno come lavoratore volontario in Germania e partì per Berlino. Durante questo soggiorno viene condannato dal tribunale correzionale a 6 mesi di prigione (coperti dalla sua detenzione alla Santé) per "incitamento alla disobbedienza".

Al suo ritorno in Francia e in seguito a un bombardamento in cui il suo domicilio di Billancourt era stato colpito, venne allogiato nella terza circoscrizione di Parigi, 11 Cité Dupetit-Thouars dove il suo alloggio sarebbe presto servito da luogo di riunione e da nascondiglio per numerosi compagni: "Provvidenza dei militanti di estrema sinistra, dei clandestini e degli illegali, Fernand Planche viveva in un appartamento così oscuro che le lampade dovevano ardere tutto il giorno... Poiché era abituato a discutere molto prima della notte con i compagni che si recavano al suo domicilio, lui e la sua compagna si alzavano verso le 11 e andavano a dormire quando molti si svegliavano. Ad ogni pasto, degli scrocconi si invitavano d'autorità" (cf. P. V. Berthier in "Plume d'oie").

L-unique.jpg

armand.gifDopo la guerra Planche lavorò come rappresentante in coltelleria e partecipò alla ricostruzione della Fédération anarchiste (FA). Collaborò al Libertaire a volte con la firma di Fernand Granier, a L'Unique (Orléans, 1945-1956) di E. Armand e a Pensée et Action (Bruxelles, 1945-1952) di Hem Day. Poi scrisse diverse opere biografiche edite presso SLIM, fece ristampare L'unico e la sua proprietà di Stirner per cui scrisse la prefazione e aiutò il gruppo gli Amici di Volin a pubblicare La Rivoluzione sconosciuta.

hem-day.jpgRisiedeva sempre durante quest'epoca nel suo appartamento della III circoscrizione: "al terzo piano colmo all'inverosimile di libri di cui alcune pile si elevavano sino al soffitto, mentre la Geografia universale di Reclus occupava con i suoi venti e più voluni, tutta la parte superiore della credenza della sala da pranzo. Era rimasto lo stesso: la prigione, la persecuzione, l'esilio, non lo avevano cambiato. In compenso Laure aveva sopprotato meno i rigori della guerra" (cfr. P. V. Berthier).

pensee_action1946.jpg


Nel 1950 partiva con la sua compagna per la Nuova Caledonia con l'intenzione di fondare un piccolo mattonificio che si risolse presto in un fallimento, la natura della sabbia destinata alla costruzione dei mattoni non corrispondeva alla macchina che aveva portato con sé. La sua compagna, Laure, molto provata dalla guerra, non tardò ad essere internata presso l'ospedale psichiatrico dell'isola Nou dove morì. Fernand Planche riprese allora il suo mestiere di arrotino e orologiaio a Nouméa da dove collaborava al giornale di Lecoin e Louvet Défense de l’Homme. Pubblicò anche per tre anni un piccolo giornale ciclostilato, La Raison (Nouméa, 39 numeri da febbraio 1954 a marzo 1957) sottotitolato "Organo dell'associazione dei Liberi pensatori della Nuoca Caledonia e dipendenze" e diede anche alla radio alcuni dibattiti su Louise Michel, la Comune e l'anarchismo.

defense_homme_n4-1949.jpg

planche-Michel.jpgPoi tentò di praticare l'allevamento nel sud dell'isola, ma, sembra, in seguito a dei litigi con i Canachi dell'isola di Ouen, dovette rivendere la proprietà in perdita, Si diede allora alla pesca di conchiglie che vendeva per sopravvivere poi trovò un impiego come sorvegliante notturno . Sino al suo decesso, inviò ogni anno al compagno ungherese François Szücs, a Budapest, un sacchetto di conchiglie nella speranza di poterne ricavare un po' di soldi.

Fernand Planche è morto a Nouméa il 19 aprile 1974.

Opere:
Durolle (Ed. SLIM, 1948, 216 p.).

La vie ardente et intrépide de Louise Michel (Ed. SLIM, 1946, 250 p.).

Kropotkine (in collaborazione con Jean Delphy e incisioni di J. Lebedeff, Ed. SLIM, 1948, 200 p.).


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 Fernand Planche

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28 febbraio 2013 4 28 /02 /febbraio /2013 06:00

Il concetto di democrazia in Marx

MarxLevine1965.gif  

di Maximilien Rubel

 

1. Per una democrazia liberata dallo Stato e dal Denaro

 

La critica sociamarx_hegel--Levine.pngle, che costituisce la sostanza dell'opera di Karl Marx, ha, essenzialmente due bersagli: lo Stato e il Denaro.

È significativo che Marx abbia cominciato quest'opera critica prima di aderire al comunismo. Per pervenirvi, gli bastava concepire la democrazia come la via di una liberazione fondata su dei rapporti sociali profondamente modificati e, innanzitutto, di fornire la prova teorica dell'incompatibilità fondamentale di istituzioni come lo Stato e il Denaro con la libertà umana. Due compiti per i quali bisognava evadere dalla filosofia hegeliana: questa posizione si trova proclamata in due scritti che, redatti a qualche mese di distanza,   appaiono insieme negli Annali franco-tedeschi del gennaio 1844, quattro anni prima di Il manifesto comunista di cui essi presentano, in qualche modo, una variante in due componenti di stile filosofico. Si tratta della Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel, da una parte, e del saggio su La questione ebraica, dall'altra.

marx giornalistaTra questi due momenti della carriera letteraria di Marx si situano i suoi studi di economia politica ed il primo tentativo di una critica radicale delle teorie del capitale. Inediti sino al 1932, questi lavori hanno permesso di capire meglio i percorsi del suo pensiero. Tuttavia, mentre un'immensa letteratura è stata consacrata ai manoscritti parigini, detti economico-filosofici del 1844, non si conosce nessuna analisi in profondità dell'importante lavoro al quale Marx si era dedicato durante l'estate del 1843, nella suo studioso ritiro di Kreuznach, e che ci è giunto sotto la forma di un voluminoso manoscritto. Pubblicato per la prima volta nel 1927, questo testo, benché incompiuto, segna una rottura definitiva con la filosofia politica di Hegel. Pur denunciando violentemente l'illogicità e l'inganno di alcune tesi hegeliane sullo Stato e la monarchia, la proprietà e la burocrazia, Marx formula una concezione della democrazia in cui egli va molto oltre gli articoli che egli aveva pubblicato, alcuni mesi prima, nella Rheinische Zeitung per muovere guerra alla censura prussiana.

marx_engels_1844.jpgÈ un'opinione diffusa che diventando comunista, Marx abbandoni l'idealismo ed il liberalismo di cui testimoniano questi saggi polemici. Ma, a meno di supporre che la sua adesione al comunismo sia il gesto di un illuminato, è gioco forza vedervi l'approdo logico, naturale di questo stesso idealismo e di questo stesso liberalismo. La chiave di questa adesione, la troviamo sia nel manoscritto antihegeliano di Kreuznach sia nei due saggi menzionati sopra, pubblicati a Parigi. Da tutti questi lavori, emerge una convinzione che non abbandonerà più il ricercatore e l'uomo di partito: la democrazia non può trovare il suo compimento che in una società in cui gli uomini, liberamente associati, non alienano più la loro personalità attraverso false mediazioni, politiche ed economiche. Questa convinzione, Marx l'ha acquisita per mezzo di numerose letture, filosofiche e storiche, durante i suoi anni universitari a Berlino ed a Bonn (1840-1842).

spinoza-di-Levine.pngPer il nostro soggetto, conviene esaminare brevemente alcune di queste lettura: esse ci porranno sulla pista del cammino intellettuale che ha portato Marx dalla democrazia all'anarco-comunismo. In uno dei suoi quaderni di studio, che data al suo soggiorno berlinese, non troviamo meno di 160 estratti del Trattato teologico-politico di Spinoza. I passaggi annotati si riferiscono ai miracoli, alla fede ed alla filosofia; alla ragione ed alla teologia, alla libertà dell'insegnamento, ai fondamenti della repubblica, al profetismo, ecc. Tutto ciò, senza il minimo commento personale eppure, sulla copertina del quaderno, si può leggere: "Spinoza: Trattato teologico-politico, di Karl Marx, Berlino 1841".

Hegel.jpgCome si deve intendere quel titolo? Con esso, Marx sembra voler dire che egli aveva preso da Spinoza tutto ciò che gli sembrava necessario per costruire la sua propria visione del mondo dei rapporti umani. Affermava manifestamente la sua convinzione che la verità è l'opera di tutta l'umanità e noent'affatto di un unico individuo; la pensava su questo punto come Goethe, che egli ammirava, e che si era egli stesso presentato come un discepolo di Spinoza. Inoltre, Marx copia o fa copiare, in due quaderni, circa 60 estratti delle lettere del filosofo olandese. Scopriva in Spinoza, così come li trovava in se stesso, i motivi principali che lo incitarono a dare alla Germania il segnale della lotta per la democrazia. La repubblica democratica, la libertà umana sono in Spinoza gli elementi di un'etica razionale, di una concezione degli uomini e della felicità umana nel campo della natura e della società; vi si trova l'idea che l'individuo può raggiungere lal libertà con la coscienza, la conoscenza e l'amore. È da Spinoza, non da Hegel, che Marx apprese a conciliare necessità e libertà. E quando intraprese a demolire la mistificazione hegeliana, quando affrontò la metafisica dello Stato, definito come lo scopo della Ragione, era già preparato per affrontare i fondamenti reali dell'autorità politica: la proprietà e la burocrazia.

marx, il CapitaleVedremo successivamente i motivi che spinsero Marx a sviluppare il concetto spinoziano di democrazia, ad arricchirlo con un esame delle sue implicazioni sociali, o più precisamente a fondere la democrazia spinoziana con il comunismo, dopo aver scartato la metafisica dello Stato che l'aveva dapprima attratti verso Hegel. Benché Marx abbia respinto questa filosofia politica senza condizioni, sappiamo che cominciando a redigere Il Capitale farà ritorno verso la dialettica hegeliana: eufemismo, ironia forse, egli parlerà di "flirt". Affascinato da Hegel durante i suoi anni di studio, non se ne è mai liberato completamente, malgrado che si tratti di filosofia della storia. È da questa situazione ambigua che è nato il malinteso chiamato "materialismo storico".

contratto-sociale-Rousseau.jpgSpinoza diede a Marx ciò che quest'ultimo aveva cercato in Hegel, o nel Rousseau del Contratto sociale, e cioè l'opportunità offerta all'individuo di riconciliare l'esistenza sociale ed il diritto naturale, opportunità che la carta dei diritti dell'uomo e del cittadino non accordava che in virtù di una finzione giuridica. Il Trattato di Spinoza è su questo punto senza equivoco: "La democrazia nasce dall'unione degli uomini che godono, in quanto società organizzata, di un diritto sovrano su tutto quanto è in loro potere". Regime politico il meno assurdo, la democrazia è, "di tutte le forme di governo, la più naturale e suscettibile di rispettare la libertà individuale; perché nessuno abbandona il suo diritto naturale in modo assoluto. Essi lo traferiscono alla totalità della società di cui essi fanno parte; gli individui restano così tutti eguali, come un tempo nello stato di natura".

Se si vuole una prova letteraria dell'influenza di Spinoza sul primo penseiro politico di Marx, ecco un passaggio in cui si riconoscerà anche l'eco degli attacchi di Feuerbach contro Hegel: La democrazia è l'enigma reale, al popolo reale; essa è posta non soltanto in sé, secondo la sua essenza, ma secondo la sua esistenza, secondo la realtà, come l'opera propria del popolo. La Costituzione appare così com'è, un libero prodotto dell'uomo.

Feuerbach_Ludwig.jpgNel prosieguo della sua argomentazione, Marx si rifà a Hegel, secondo cui l'uomo proviene dallo Stato-demiurgo. Gli oppone la democrazia che parte dall'uomo, che fa dello Stato un oggetto, uno strumento dell'uomo. Parafrasando la critica della religione di Feuerbach, Marx ragiona sulle Costitizioni politiche: "Allo stesso modo per cui la religione non crea l'uomo ma è l'uomo che crea la religione, non è la Costituzione che crea il popolo ma il popolo a creare la Costituzione. La democrazia è, in qualche modo, per tutte le altre forme dello Stato, ciò che il cristianesimo è per tutte le altre religioni. Il cristianesimo è la religione per eccellenza, l'eccelenza della religione, l'uomo deificato considerato come una religione particolare. Allo stesso modo, la democrazia è l'essenza di ogni Costituzione politica: l'uomo socializzato considerato come Costituzione politica particolare... L'uomo non esiste a causa della legge, è la legge che esiste a causa dell'uomo: è una esistenza umana, mentre nelle altre (forme politiche) l'uomo è l'esistenza legale. Questo è il carattere fondamentale della democrazia".

Rheinische-zeitung.gifMarx porta qui degli elementi di sua propria invenzione, che non rientrano d'altronde nel quadro tradizionale della democrazia se non facendolo esplodere. Nessuna testimonianza empirica in appoggio, per il momento. Ne troverà più tardi, ed è allora che egli associerà al concetto della democrazia un altro concetto che egli ha tratto da esso, e cioè, la dittatuta del proletariato; in un caso come in un altro, si tratterà, ai suoi occhi, di una sola e medesima cosa: "l'autodeterminazione del popolo".

Quest'apporto dell'esperienza, Marx lo raccoglie nel suo ritiro di Kreuznach dopo aver lasciato la redazione della Rheinische Zeitung. Egli pone la sua inazione a profitto per studiare in profondità la storia rivoluzionaria della Francia, dell'Inghilterra e dell'America. È questo studio che lo convinse senza alcun dubbio che l'approdo normale ed inevitabile della repubblica democratica è nel comunismo, detto in altro modo "la vera democrazia in cui lo Stato politico sparisce".

 

2. La democrazia e il suo avvenire 

Hamilton--Men-and-Manners-in-America.jpgTroviamo, in un quaderno di studio del 1843, degli estratti del racconto di uno Scozzese che, visitando gli Stati Uniti, giunge a delle conclusioni più radicali di quelle di Tocqueville. Thomas Hamilton compì il suo viaggio nel 1830-31.La sua opera, Men and Manners in America, fu riedita due volte in poco tempo. Marx la lesse nel 1843 in una traduzione tedesca e ne copiò 50 passaggi, relativi ai problemi importanti dell'America: federalismo e suffragio universale, situazione legale e reale dei cittadini, conflitti di interessi tra il Nord ed il Sud; costituzione degli Stati della Nuova Inghilterra, ecc.

Tocqueville--Daumier.jpgCiò che sollecitò il suo interesse, è il modo in cui Hamilton comprende, o piuttosto avverte, le tendenze sociali nel funzionamento della democrazia americana. Con un curioso miscuglio di generosità liberale e di gusto aristocratico, l'autore descrive il partito repubblicane e federalista, la "rivoluzione silenziosa" cominciata quando Jefferson prese il potere, l'ascesa del "numero" in opposizione agli uomini di proprietà e di cultura. Tutto ciò testimonia di un buon fiuto storico, e Marx non poteva rimanere indifferente ai fatti notevoli riportati dallo Scozzese. Vi trova ciò che Tocqueville non aveva distinto: le potenzialità rivoluzionarie della democrazia americana.

Secondo Tocqueville, l'America offriva l'immagine stessa della democrazia, perché godeva di un'eguaglianza quasi completa delle diverse condizioni. In verità, temeva che la democrazia potesse esporsi a diventare la tirannide di una maggioranza; ma era essenzialmente ottimista in quanto alle prospettive sociali ed economiche dei regimi democratici.

New_York-old_engraving_Broadway.jpgHamilton, ha osservato alcuni aspetti della vita economica americana; vi ha scorto una tendenza che Marx considererà decisiva per il futuro dell'America: la lotta di classe. Ecco alcuni dei passaggi annotati da Marx in tedesco e tradotti qui dall'originale inglese. Hamilton discute con degli "Americani illuminati" sulle possibilità sociali offerte dalla Costituzione degli Stati Uniti, e constata che nessuna volontà viene a fungere da contrappeso "alla mancanza di lungimiranza della democrazia con la previdenza e la saggezza di una aristocrazia dell'intelligenza e della prudenza". Dà allora un esempio di ciò che egli chiama "evoluzione e tendenza dell'opinione presso gli abitanti di New York".

robber_barons.jpgÈ una città in cui i diversi ordini della società si sono rapidamente separati. La classe lavoratrice si è già costituita in una società che porta il nome di "Workies", in opposizione a coloro che, favoriti dalla natura o dalla fortuna, godono di una vita di lusso senza conoscere le necessità del lavoro manuale. Queste persone non fanno affatto mistero delle loro rivendicazioni e bisogna dare loro giustizia che sono poco numerose, benché energiche. La loro prima esogenza, è l'eguaglianza e l'universalità dell'istruzione.

È falso, essi dicono, sostenere che non esiste presentemente nessun ordine privilegiato, nessuna aristocrazia di fatto in un paese in cui si ammettono le differenze di educazione. Tutta una parte della popolazione, costretta al lavoro manuale, si trova forzatamente esclusa dalle cariche importanti dello Stato. Esiste dunque veramente, essi dicono, un'aristocrazia, e della specie più odiosa: l'aristocrazia del sapere, dell'educazione e dell'eleganza, che contraddice il vero principio di democrazia, l'eguaglianza assoluta. Essi si fanno forte nel distruggere un'ingiustizia così evidente dedicandovi tutta la loro attività fisica e mentale. Essi proclamano davanti al mondo che questa piaga deve sparire, in mancanza della qual cosa, la libertà di un Americano sarà ridotta allo stato di semplice vanteria. Essi dichiarano solennemente di non sentirsi affatto soddisfatti, finché tutti i cittadini degli Stati Uniti non riceveranno lo stesso grado di educazione e non avranno lo stesso punto di partenza nella corsa agli onori e cariche dello Stato. È una cosa impossibile, indubbiamente, e questi uomini lo sanno che educare le classi lavoratrici allo stesso grado dei più ricchi; il loro scopo una volta avveratosi, consiste nel ridurre i ricchi alla stessa condizione intellettuale di poveri (...). Ma coloro che limitano le loro considerazioni alla degradazione mentale del loro paese sono in verità dei moderati. Altri vanno ben più in là. Reclamano altamente una legge agraria e una distribuzione periodica della proprietà. Senza alcun dubbio, è l'estrema sinistra del parlamento "workie", ma queste persone sono contente di spingere sino in fondo i principi dei loro vicini meno violenti. Usano tutta la loro eloquenza per chiedere la giustizia e vanno in vettura, mentre l'altro va a piedi; rientrato dalla passeggiata, festeggiano con lo champagne, mentre tutto il suo vicinato deve, con sua vergogna, accontentarsi dell'acqua. Livellate soltanto la proprietà, essi dicono, e non vedrete più né champagne né acqua. Vedrete il brandy per tutti, e questa vittoria del consumatore val bene secoli di lotta (pp. 160-61).

Esaminando la politica operaia del governo americano nei confronti delle enormi risorse interne degli Stati Uniti, Thomas Hamilton non dubita affatto che quest'ultimi siano destinati a diventare una grande nazione manifatturiera. Ecco la sua previsione: "Imponenti città manifatturiere sorgeranno in diversi punti dell'Unione; la popolazione si radunerà in massa, e si vedranno maturare presto i vizi che accompagnano attualmente una tale specie di società. Milioni di uomini vedranno la loro sussistenza dipendere dalla domanda di un'industria particolare, e anche questa domanda sarà sottoposta ad una perpetua fluttuazione. Quando il pendolo oscillerà in una direzione, ci sarà un flusso di ricchezzza e di prosperità; quando girerà in senso contrario, ci sarà la miseria, l'insoddisfazione e il disordine attraverso tutto il paese. Un cambiamento nella moda, una guerra, la chiusura di un mercato straniero, mille incidenti imprevedibili e inevitabili si produrranno, che priveranno della pace le moltitudini. Un mese prima, esse profittavano di tutte le comodità della vita".

Ecco ora una predizione nel più bel stile marxiano: "Che ci si ricordi che è la classe sofferente che sarà, in pratica, depositaria di tutto il potere politico dello Stato; che non può esserci forza militare per mantenere l'ordine civile e proteggere la proprietà; e in quale angolo, mi piacerebbe che me lo ci dicesse, l'uomo ricco potrà trovare rifugio e porre al riparo la sua persona o la sua fortuna?".

Certo, nessuno degli "eminenti" interlocutori di Thomas Hamilton ha rifiutato di vedere che un tale periodo di disordine fosse inevitabile. Ma gli si rispondeva spesso che questi riprovevoli eventi erano ancora remoti, che per il momento il popolo non doveva affatto preoccuparsi a proposito delle afflizioni future. E il viaggiatore scozzese annotava: "Non posso comunque impedirmi di credere che il tempo della prova è molto meno lontano di quanto questi ragionatori immaginino per rassicurarsi; ma se si concede che la democrazia conduce necessariamente all'anarchia e alla spoliazione, la lunghezza del percorso che vi ci porta non ha grande importanza. È evidente che può variare secondo le circostanze particolari di ogni paese in cui si può farne esperienza. L'Inghilterra potrebbe fare il tragitto alla velocità della ferrovia. Negli Stati Uniti, essendo dati i grandi vantaggi che vi si trovano, le cose possono durare ancora una generazione o due, ma il terminus è lo stesso. Ci sono dubbi sulla durata, non sulla destinazione" (p. 66).

Diventato comunista, Marx non aveva che da iscrivere la parola comunismo là dove Hamilton scriveva "anarchia" o "spoliazione"; diventato economista, darà agli avvertimenti dello Scozzese un'armatura teorica nel famoso capitolo di Il Capitale che si intitola: "La tendenza storica dell'accumulazione del capitale".

Tocqueville ha trovato una formula generale, e un po' hegeliana, per congetturare questo compimento dei tempi. Vedeva il progresso dell'eguaglianza sociale un effetto della Provvidenza divina. 

 

3. Difesa e conquista della democrazia

Si sarebbe tentati di dire che Marx fu l'erede spirituale di Tocqueville e che porta questa nuova scienza della società in cui la dialettica della necessità storica prenderà il posto della credenza nella Provvidenza divina. Non ci preoccupiamo di porre di nuovo un problema che occupa un così bel posto nel dibattito sullo 'storicismo' di Marx. Ciò che abbiamo cercato di mostrare, è che nella formazione politica di Marx, esiste un legame stretto tra le sue convinzioni pre-comuniste e la sua adesione al comunismo; tra il Marx democratico e il Marx comunista; tra le prime opere, che non sono affatto economiche, in cui il comunismo prende semplicemente la forma di una veemente denuncia del culto del denaro (La questione ebraica, ad esempio), e Il Capitale, in cui è presente, benché spesso tacita, nello schema scientifico de sistema di produzione capitalista.

Vorremmo apportare a questa tesi un'ultima testimonianza. Nel 1850, sette anni dopo la sua adesionen al comunismo, e mentre militava come capo della Lega dei comunisti, Marx autorizzò Hermann Becker, membro della stessa Lega, a pubblicare una scelta dei suoi scritti in diversi volumi. La prima consegna fu edita a Colonia nel 1851. Vi si ritrovano gli articoli liberali e democratici degli Anekdota e della Rheinische Zeitung, il che significa che Marx non li considera affatto superati, e che la lotta per le libertà democratiche rimane il compito del giorno. Egli è convinto che le sue prime idee sulla democrazia contengano in potenza tutti gli elementi di questo umanesimo di cui il comunismo non è stato che un aspetto particolare; e questo Marx lo afferma nei suoi manoscritti del 1844, primo abbozzo del Capitale.

Due concetti separati, quello di democrazia e quello di comunismo, corrispondono presso Marx alla rivoluzione politica e alla rivoluzione sociale, e cioè alle due tappe della rivoluzione proletaria. La prima, la "conquista della democrazia" da parte della classe operaia, porta alla "dittatura del proletariato". La seconda, è l'abolizione delle classi  sociali e del potere politico, la nascita di una società umana.

Marx ha distinto tra rivoluzione politica e rivoluzione sociale, e si deve ricordarsene se si vuole capire i suoi comportamenti di uomi di partito. Non dobbiamo occuparci qui dei diversi aspetti della sua sociologia politica. Ricordiamo soltanto che lo sviluppo sociale gli sembrava sottoposto alle leggi storiche, e che le rivoluzioni sociali dipendevano dunque dalle condizioni, sia materiali sia morali. Questo processo è caratterizzato dalla crescita delle forze produttive, progresso tecnico da una parte, maturità della coscienza umana dall'altra. A dir il vero, la tesi di Marx (la coscienza sociale è determinata dall'esistenza sociale) contiene delle ambiguità per l'epistemologia. Quindi, conviene sottolineare in tutto ciò il carattere etico della tesi o del suo postulato su una coscienza proletaria.

All'idea di una rivoluzione a doppio motore, corrisponde il duplice aspetto del pensiero e dell'attività politica di Marx. Non mancano esempi che mostrano che la sua lotta politica assunse spesso un carattere allo stesso tempo esoterico ed essoterico. Così nel 1847, egli accetta la vice presidenta dell'Associazione democratica, a Bruxelles, pur diventando membro della Lega dei comunisti. Così, nel gennaio del 1848, egli redige il Manifesto comunista e, durante lo stesso mese, pronuncia un discorso sul libero scambio che sarà pubblicato dall'Associazione democratica. Allo stesso modo, nello stesso anno, l'anno della rivoluzione, fonda e pubblica a Colonia la Neue Rheinische Zeitung, sottotitolo: "Organo della democrazia", e si unisce con l'estrema sinistra della Lega, che denuncia il suo opportunismo. Nel 1847, scriveva: "Il dominio della borghesia fornisce al proletariato non soltanto delle armi del tutto nuove per la lotta contro la borghesia, ma anche una posizione del tutto differente in quanto partito ufficialmente riconosciuto". Diciotto anni dopo, Marx ed Engels faranno una dichiarazione pubblica in cui essi riaffermano la loro posizione del 1847 e denunciano gli errori del lassaliani, che ricercavano l'alleanza del proletariato e del governo reale di Prussia contro la borghesia liberale: "Sottoscriviamo oggi ogni parola della dichiarazione che fatta all'epoca".

Ad ogni periodo della sua carriera politica, vediamo Marx combattere instancabilmente per le libertà democratiche: all'inizio degli anni 50, a fianco dei cartisti; per tutta la durata del Secondo Impero, con centinaia di articoli antibonapartisti; con la sua lotta contro lo zarismo e contro il prussianesimo che ne è lo strumento; durante la guerra di Secessione, in cui prese le difese del Nord contro il Sud, a favore del lavoro libero contro lo schiavismo (nel 1865, in nome del Consiglio generale della I Internazionale, redasse un appello ad Abraham Lincoln, ricordando che un secolo prima l'idea di una "grande repubblica democratica" era per la prima volta scaturita qui, dando così impulso alla rivoluzione europea del XVIII secolo e facendo capire alle classi lavoratrici che la ribellione degli schiavisti doveva suonare là come la campana a martello di una crociata della proprietà contro il lavoro). Nel 1871, Marx elogiò la Comune di Parigi come la "vera rappresentante di tutti gli elementi sani della società francese, e dunque il "vero governo nazionale" allo stesso tempo che "il governo operaio", come "il campione coraggioso dell'emancipazione del lavoro", come l'antitesi del bonapartismo e dell'imperialismo, come "il selfgovernement dei produttori un governo eletto a suffragio universale responsabile e revocabile ad ogni momento. Era "la forma politica indine scoperta per realizzare l'emancipazione economica del lavoro".

Per citare un ultimo episodio, ricordiamo che "nel 1872 Marx fece escludere Bakunin dall'Internazionale, perché era convinto che l'anarchico voleva servirsene come di un paravento per imprese cospirative, in cui si sarebbe riservato egli stesso il ruolo di padrone assoluto. Vedeva nella società bakuninista segreta "la ricostituzione di tutti gli elementi dello Stato autoritario sotto il nome di comuni rivoluzionaire (...) l'organo esecutivo è uno stato maggiore rivoluzionario formato da una minoranza (...) l'unità di pensiero e d'azione non significa altro che ortodossia e obbedienza cieca. Perinde ac cadaver. Siamo in piena compagnia di Gesù".

 

4. La dittatura del proletariato

 

Marx non vantava volentieri i propri meriti di teorico sociale. Non pretendeva di aver scoperto né l'esistenza delle classi sociali né la lotta di classe di quest'ultime nella società moderna. Rivendicava tuttavia senza esitazione, la paternità di una dimostrazione originale, e cioè: 1. che l'esistenza delle classi, è legata a determinate fasi dello sviluppo economico; 2. che la lotta delle classi approda "necessariamente" alla dittatura del proletariato; 3. che questa dittatura conduce alla sparizione di tutte le classi in un società rigenerata.

Benché egli non ce lo dica espressamente, siamo in diritto di supporre che Marx attribuiva a queste tre tesi una validità scientifica, e che la dimostrazione aveva ai suoi occhi la portata di una costruzione logica, empiricamente verificabile.

Sarebbe facile elencare gli scritti, editi o inediti, nei quali Marx ha effettivamente tentato, prima del 1852, di "provare" le tre tesi divulgate nella sua lettera a Weydemeyer. Ci si accorgerebbe come egli fa appello, con giudizioso equilibrio, a due metodi simultanei: da una parte, l'analisi, la descrizione precisa, l'informazione seria; dall'altra, la deduzione, la sintesi valorizzante, e dunque la Sinngebung, etica.

In quanto al concetto di dittatura del proletariato, esso è strettamente legato ad una concezione dello Stato e delle forme di governo.

Ora abbiamo appena mostrato che Marx ha dato ampoio spazio, nella sua teoria politica, ai principi della democrazia in quanto conquista della borghesia e del proletariato nella loro lotta comune contro lo Stato feudale. Vi vedeva, senz'altro, la prima tappa di una lotta da proseguire oramai, all'interno anche di una società capitalista liberata dai residui del passato feudale, sino alla "conquista della democrazia" da parte della classe più numerosa e più miserabile. Legale o violenta (sappiamo che Marx non escludeva la possibilità di un di un passaggio del potere con l'aiuto del suffragio universale), questa conquista non poteva non conservare un carattere dittatoriale a tutte le azioni di classe. Ma questa volta, e, secondo Marx, per la prima volta nella storia dell'umanità, la dittatura era allo stesso tempo la democrazia nel vero senso del termine: la distruzione dello Stato e il regno del popolo; più esattamente. Il regno dell'immensa maggioranza su delle minoranze un tempo dominanti e possidenti. Qui, si inaugura la fase dell'emancipazione totale, detto altrimenti dell'utopia realizzata: la società senza classi. Marx lo sosteneva sin dal 1847, polemizzando contro Proudhon: La classe lavoratrice sostituirà, nel corso del suo sviluppo, all'antica società civile un'associazione che escluderà le classi ed il loro antagonismo, e non ci sarà più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il riassunto ufficiale dell'antagonismo nella società civile.

 

Conclusione

 

Non abbiamo fatto altro che sfiorare l'argomento, ma possiamo evidenziare da quanto detto alcune idee generali di cui ecco il riassunto:

1. Il concetto di democrazia si intende in Marx che relativamente alla sua concezione dello sviluppo sociale e in rapporto alle condizioni particolari della sua epoca. Come teorico e come uomo di partito, ha preso parte alla lotta di classe operaia e borghese per i diritti politici così come alla lotta per l'emenacipazione nazionale contro i regimi assolutistici e reazionari. Democrazia, liberazione nazionale erano gli scopi da raggiungere immediatamente, condizioni preliminari alla creazione di una società senza classi. Il primo scopo, la democrazia borghese, non era che un punto di partenza per il movimento autonomo degli operai; il suffragio universale era il mezzo legale per conquistare il potere politico, e questo potere stesso una tappa necessaria sulla via dell'emancipazione sociale.

L'idea di socialismo e di comunismo ha la sua origine nell'idea di una democrazia totale. Marx l'aveva incontrata in spinoza, e si ricorda della lezione per criticare la filosofia politica di Hegel e per respingere la sua teoria della burocrazia, del potere dei principi e della monarchia costituzionale. Aderendo al comunismo, Marx non rompeva affatto con la sua prima concezione della democrazia: la sublimava. Nel comunismo così come egli lo ha inteso, la democrazia è mantenuta, e essa si eleva ad un significato più alto.

2. Il primo risultato positivo dei suoi studi filosofici e storici, è quell'etica umanistica che ha tentato in seguito di fondare su delle premesse scientifiche. È per quest'umanesimo che ha abbandonato la speculazione filosofica a favore della teoria sociale e dell'azione politica. È soltanto dopo aver pubblicato la sua prima presa di posizione comunista che si mette alla scuola dei grandi economisti. Nella sua critica appassionata degli autori studiati, si mostra già in possesso dei criteri che l'autorizzano a denunciare la "infamia" dell'economia politica.

3. La democrazia significa per Marx, come per i giacobini della sua generazione, il governo del popolo per il popolo. Punto di partenza e medio, essa si trasfigura nella società senza classi, liberata da ogni potere statale, da ogni mediazione politica. In quanto scopo provvisorio, la democrazia deve realizzarsi contro il passato feudale ed assolutista attravesro la lotta comune della borghesia e del proletariato, ognuno compiente il proprio ruolo rivoluzionario specifico. Una volta raggiunto questo scopo, il proletariato è chiamato ad emanciparsi con i suoi propri mezzi e la sua emancipazione è quella dell'umanità intera. La democrazia acquisisce il suo vero significato quando essa è una lotta distruttiva e rinnovatrice.

Principale combattente, il proletariato è spinto alla sua azione "storica" dalle condizioni inumane della sua esistenza. La lotta di classe, questo fatto storico, diventa psotulato etico; il proletariato moderno deve organizzarsi in quanto classe, cosciente della sua "missione" rivoluzionaria. È così che Engels poteva scrivere: "Per il trionfo ultimo delle idee esposte nel Manifesto del partito comunista, Marx si fidava unicamente ed esclusivamente alla sviluppo intellettuale della classe operaia così come doveva necessariamente risultare dall'azione e dalla discussione comune".

4. Ciò che Marx chiama conquista della democrazia, e cioè la conquista del potere politico, è garantito per principio agli operai attraverso il funzionamento normale della democrazia che esclude teoricamente ogni violenza nella lotta per l'eguaglianza sociale. La violenza non è una legge naturale della storia umana; è un risultato naturale dei conflitti di classe che caratterizza le società dove le forze di produzione sono diventate delle forze di alienazione sociale. Finzione giuridica, la democrazia dissimula una dittatura reale, un rapporto da classe sfruttatrice a classe sfruttata, una separazione tra i diritti fondamentali e l'oppressione materiale. L'antitesi storica e morale di questo fenomeno permanente della storia passata e presente, è il governo reale dell amaggioranza, risultato normale dei conflitti sociali quando il suffragio universale si trasforma, come dice Marx, "da strumento di inganno in un mezzo di emancipazione". La democrazia apporta ai produttori, organizzati in sindacati e in partiti, i mezzi legali per conquistare il potere e operare progressivamente alla trasformazione di tutta la società, in vista di fondare "una associazione nella quale il libero sviluppo do ognuno è la condizione del libero sviluppo di tutti".

Se si fa astrazione delle ambiguità dell'insegnamento marxiano, si deve convenire che la critica sociale, così come abbiamo tentato di definirla ne esprime il valore permanente, o quel che potremmo chiamare il messaggio. Il "marxismo" - vocabolo che, altrimenti, designa un concetto irrealizzabile - non è concepibile che come un rifiuto dei sistemi politici contemporanei, o più esattamente come una critica sociale fondata sull'idea (o il postulato) di una democrazia liberata dallo Stato e dal Capitale. Se si intende così "il marxismo", si riconosce l'inutilità, persino la nocività di un termine che si è prestato a molte confusioni. La parola è superflua se si aderisce al senso che le prestiamo, con il che esso raggiunge l'etica comune al socialismo, all'anarchismo e al comunismo. Per quanto riguarda quest'etica, nessuna delle società esistenti può essere considerata come libera e umana, perché tutte sono sottoposte a gradi diversi, a regimi che sono la negazione della libertà e dell'umanità a cui Marx pensava quando parlava di democrazia.

"Bisogna", scriveva Proudhon nel 1840, "o che la società perisca, o che essa uccida la proprietà". Con Marx, egli direbbe oggi: bisogna, o che la società perisca, o che essa sopprima lo Stato e il Capitale. 

 

Maximilien Rubel

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

* Il tema di questo saggio fu trattato durante un corso pubblico all'Università di Harvard nell'aprile del 1961. Pur apportandovi delle modifiche, l'autore ha tenuto a conservargli lo stile dell'improvvisazione.

 

 

LINK al post originale:

Le concept de démocratie chez Marx 

 

LINK pertinente interno al blog:
Maximilien Rubel, Karl Marx e il socialismo populista russo, 1947

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25 gennaio 2013 5 25 /01 /gennaio /2013 06:00

Riproponiamo un brevissimo saggio, edito nel lontano 1982 sulla intelligente rivista di fumetti e altro intitolata "L'Eternauta" a firma Paola Pallottino, e concernente il singolare artista anarchico Flavio Costantini.

 

Flavio Costantini lo stregato

costantini.autoritratto.jpgAutoritratto di Flavio Costantini

 

Di Flavio Costantini, pittore e illustratore autodidatta, nato a Genova nel 1926, diplomatosi capitano di lungo corso e improvvisamente posseduto dall'arte al punto di abbandonare il mare di acque e sale, per navigare, prigioniero volontario della sua stanza piena di ritagli e colori, l'oceano della fantasia, si tengono attualmente a Milano due mostre contemporanee alla Libreria Internazionale Einaudi e alla Galleria Nuages, di serigrafie sugli anarchici e di ritratti a tempera e collage.

Bakunin2.jpgBakunin.


Stregato dalla storia dell'anarchia, della quale dal 1962 raccoglie tutti i possibili documenti per ricostruirne graficamente le vicende, Flavio Costantini, attraverso il rigore delle sue tempere che modulano il colore a tinte piatte, il contrasto del caratteristico contorno nodoso, filtro-aureola all'interno del quale si materializzano le figure di quei suoi anarchici, così strettamente imparentati agli oppressi raccontati da Kathe Kollwitz o da Ben Shahn, e con il sapiente apporto di evocativi elementi di collage, ne restituisce fatti e umori con l'appassionata del gesto di Passanante o di Ravachol.

Costantini---Ravachol_Sainte-Etienne.jpgRavachol.


Come un ragno paziente egli ricama le strutture metalliche belle époque, tesse i lividi orditi delle periferie inizio secolo, delinea, pietra per pietra, la rete del selciato dei quartieri anonimi, implacabili ragnatele nelle quali catturare e fissare per sempre il gesto anarchico. La funzionalità gelida e geometrica del disegno della facciata di un edificio o delle piastrelle di un pavimento di una palestra scolastica, la suggestione dei suoi reperti: vecchie etichette, manifesti e testate d'epoca, e la puntualità delle sue citazioni, dalla ringhiera di ballatoio all'edicola di giornali, dall'addobbo di sala per conferenze a quello del caffè Liberty, tutto concorre a delineare meticolosamente la realtà evocata con la minuzia ossessiva e spiazzante dei sogni, dove l'insistere di un particolare dilata e ribalta la prospettiva.

makhno2.jpgMakhno.


Accanto alla serie degli anarchici, in parte pubblicati nel 1970 da Mondadori per il volume Attentati anarchici dell'Ottocento, di Sergio Feldbauer e nel 1975 dalla Quadragono per Ravachol & Cia di Pietro Favari, nasce la prima serie di ritratti di uomini politici da Hitler a Khrusev, da Napoleone III a Roosvelt, e quelli di scrittori, da Brecht a De Amicis, da Wilde a Malraux, integrati adesso da altre venti opere.

kafka.JPGKafka.


La genesi di questi ritratti può essere agevolmente ricercata anche in quelle illustrazioni realizzate nel 1977 per l'edizione fuori commercio del Cuore per la Olivetti, dove con sottile ferocia Costantini presta alla maestra morta le fattezze di Matilde Serao e connota la fisionomia del maestro con quella lombrosionamente inquietante del Barbablù del secolo: Henri Désiré Landru.

roma.1926.jpg

Concludiamo osservando come questi ritratti a tempera e collage, si pensi al cuore-calamaio dal quale sgorgherà la deamicisiana linfa di sangue/inchiostro, o il sorriso con il quale Emily Dickinson esibisce, nel suo rebus di arte-lacrime-spine, le immagini della rosa e del fazzoletto cifrato e listato di scuro, rappresentano, coma analizza Antonio Porta, un cambio di dimensione; rispetto al gesto di pietra dell'anarchico: "Sono mobili e variabili, nessun gesto o movimento può essere bloccato. La scrittura, la poesia, sono il punto caldo della mobilità, lo scrittore o il poeta è di per sé un mutante" [1].

Errico-Malatesta-e-Michele-Angiolillo.jpgErrico Malatesta e Michele Angiolillo.


E se il discorso vale anche per gli scrittori di figure e per i poeti di immagini, nelle illustrazioni dello stregato Costantini: da Il cavallino di fuoco a Cuore, impercettibili metamorfosi reggono la strategia delle composizioni e l'equilibrio delle scene nella luminosità che amniotici sipari rendono liquida e impietosa fino alla misericordia.

petersburg15March81.jpgPietroburgo 15 marzo 1881.


 

NOTE

 

[1] A. Porta, Flavio Costantini, Galleria D'arte Niccoli, 1981.


 

Paola Pallotino

[cura iconografica di Ario Libert]

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18 gennaio 2013 5 18 /01 /gennaio /2013 06:00

"TERRA E LIBERTÀ" E LA RIVOLUZIONE SPAGNOLA

[1936-1937]

Terra-e-Liberta.jpgAnalisi delle possibili fonti del film

 

 



Ci sembra interessante provare ad indagare le possibili fonti di riferimento di un film capace di riflettere in modo così acuto e polemico sulla storia e dell’agire politico come Land and Freedom.

terra-e-liberta02.jpg

Partiamo innanzitutto dal titolo del film: come ricorda Claudio Venza "Tierra y Libertad" è il famoso slogan di Emiliano Zapata durante la Rivoluzione messicana del 1910-1911 ed era anche il titolo di alcune testate anarchiche, tra cui l’organo della FAI all’epoca della guerra.

tierra-libertad-zapata.jpgQuindi rappresenta bene l’aspirazione a risolvere il secolare problema della proprietà terriera, dell’emancipazione contadina e popolare, e ad affiancare questa necessità economica con la liberazione individuale e collettiva”. Va aggiunto che "Tierra y Libertad" è stato anche il nome di una milizia (anch’essa di ispirazione anarchica) attiva, fra il 1936 e il 1937, sia sul fronte di Madrid che in Catalogna.

tierraylibertad1888.jpg

L'attenzione del regista inglese è posta soprattutto su quel complesso (e straordinariamente affascinante, a parere di chi scrive) fenomeno che va sotto il nome di rivoluzione spagnola, che si sviluppò dal luglio del 1936 al giugno del 1937 parallelamente alla guerra civile, che vide il proletariato spagnolo (animato soprattutto dallo spirito delle organizzazioni anarchiche, FAI e CNT, ampiamente maggioritarie, e dalla cultura social-rivoluzionaria del POUM, piccolo raggruppamento radicale e combattivo) prendere in mano il proprio destino, e che fu stroncato dalla repressione staliniana. Alla sollevazione dei militari e dei fascisti, nel luglio del 1936 era infatti corrisposta in Spagna una vastissima insurrezione operaia: i comitati rivoluzionari avevano assunto di fatto un po’ ovunque il controllo della situazione nei territori in mano alla Repubblica.

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Manifesto di Helìos Gomez

 

La prima fonte evidente, pur se non accreditata a livello ufficiale, del film è Omaggio alla Catalogna di George Orwell, reportage-saggio affascinante quanto un romanzo pubblicato dall’autore di 1984 e di La fattoria degli animali nel 1938, subito dopo la conclusione drammatica e inattesa della sua esperienza diretta nelle file dei rivoluzionari che si battevano in Spagna. A quel tempo Orwell era un militante dell’Indipendent Labour Party, organizzazione d’ispirazione socialista rivoluzionaria (né socialdemocratica né marxista-leninista) che costituiva il principale referente a livello internazionale del POUM spagnolo, e proprio nell’ambito di una formazione armata del POUM, non a caso, si era trovato a combattere.

homage-to-catalonia.jpgA questo proposito va precisato che il POUM non era affatto un "partito trotskista", come erroneamente è stato spesso (anche in occasione dell’uscita del film) classificato: era nato infatti nel 1935 dall’unificazione di due formazioni minoritarie ma molto vivaci, la  componente della Izquierda Comunista de Espana (organizzazione ufficiale trotskista) guidata da Andrés Nin in aperta polemica con Trotsky (e da questi ripetutamente attaccato) e il Bloque Obrero y Campesino di Joaquin Maurin, di ispirazione buchariniana, e quindi sia antitrotskista che antistalinista. La convergenza di analisi fra Andrés Nin e Trotsky era stata evidente solo nel periodo (1930-33) immediatamente successivo all’affermazione della seconda repubblica in Spagna, ma la rottura definitiva fra i due aveva avuto luogo con la partecipazione del POUM al Fronte Popolare per le elezioni del 16 febbraio 1936.

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Torniamo a Omaggio alla Catalogna: è l’antiretorica (la demistificazione, l’abbassamento) a  fare del libro di Orwell uno dei testi più utili e interessanti per capire la storia del ‘900 (e non solo): il reportage intellettuale di una situazione di svolta epocale. Secondo Ezio Raimondi, George Orwell, insieme a Carlo Emilio Gadda, Elias Canetti, Louis-Ferdinand Céline e Karl Kraus, si inserisce pienamente nel panorama culturale che tende ad evidenziare, nel corso del ‘900, le falsificazioni della parola e ad utilizzare le armi della satira: "Gli scrittori satirici sono sempre scomodi – nota Raimondi – e la prima operazione del potere nei loro confronti è di dire che non sono satirici, ma che sono ‘arrabbiati’ per ragioni soggettive. Non si ama ciò che denuda, ma ciò che riveste, che nasconde. (…) Per condannare la retorica bisogna conoscerla: conoscere le insidie della parola. Ma in questa traversata ci si può perdere, perché ci si trova davanti al potere della parola. (…) Anche le verità, quando sono di moda, diventano false verità, perché anziché stimolare appiattiscono, nascondono. La retorica, come sostiene Gadda, va al recupero dell’etica incerta".

Orwell--disegnato-da-Levine.jpgOmaggio alla Catalogna è anche, per l’appunto, il resoconto di un percorso etico e politico, che portò Orwell, come sottolinea Giovanni Zanmarchi "a vedere il socialismo come una realtà oggettivamente valida da un punto di vista umano e concretamente realizzabile sul piano pratico. I risvolti politici della guerra gli diedero però anche modo di comprendere come la conoscenza della realtà e il contatto con essa non siano né facili da raggiungere né tanto meno una garanzia della sua affermazione. Difendere la verità e la realtà diventa allora un dovere umano e morale, una responsabilità cui l’artista, che da esse ha tratto pienezza d'ispirazione, non può in alcun modo sottrarsi”.

Orwell-in-Spagna-con-Eileen-Blair-sul-fronte-di-Aragona.jpgOrwell in Spagna con Eileen Blair sul fronte di Aragona

 

Nel suo racconto dei fatti della rivoluzione spagnola che l’hanno visto impegnato, Orwell – come quasi sessant’anni dopo farà Ken Loach - sfrutta ogni opportunità per rendere, attraverso il punto di vista del suo protagonista-osservatore, il senso di una adesione intima, diretta, emotiva e insieme razionale agli eventi, e non concede nulla alla retorica, al dogmatismo, all’assolutismo ideologico, ma si mantiene al livello della realtà: “Non ho alcun amore particolare per il 'lavoratore' idealizzato quale si presenta alla fantasia del borghese comunista. Ma quando vedo un vero e proprio operaio, in carne ed ossa, in lotta con il suo nemico naturale, il poliziotto, allora non ho più da chiedermi da quale parte debbo schierarmi”. Orwell si sofferma soprattutto sui rapporti umani (lanciando, come fa Loach, un appello ai sentimenti quotidiani) e osserva i fatti con umorismo ed ironia, attestandosi quindi sulla linea (già praticata, fra gli altri, da Fielding e da Swift) del registro satirico, secondo le illuminanti definizioni di Frye: “L’atteggiamento del filosofo è dogmatico, mentre quello dello scrittore satirico è pragmatico: quindi la satira può spesso rappresentare il conflitto tra una scelta di tipi di comportamento tratti dall’esperienza e la sensazione che l’esperienza sia più importante di qualsiasi sistema di opinioni intorno ad essa”.

Orwell, BarcellonaBarcellona, Piazza dedicata a George Orwell
 

È l'esperienza a confermare in Orwell - come in David, protagonista del film di Ken Loach – l’ostilità nei confronti di una politica autoritaria e repressiva. Terra e libertà, infatti, come Omaggio alla Catalogna “oltre che il resoconto gaio e spensierato di una stagione estremamente felice, è anche la storia cupa e ocura di un tragico passaggio dall’innocenza all’esperienza politica”. Vistose analogie si possono riscontrare nella struttura del racconto presente nel libro di Orwell e in quella del film di Loach: il protagonista di entrambi i testi  segue gli stessi percorsi, dall’adesione immediata allo spirito della rivoluzione ai dubbi e ai ripensamenti, dalla constatazione della necessità di una lotta senza quartiere contro i soprusi e la normalizzazione fino alla fuga precipitosa e clandestina dalla Repubblica spagnola ormai in balia dei moderati e degli stalinisti ("Proprio i comunisti – scrive Orwell – impedivano la rivoluzione in Spagna; quando le forze di destra ebbero il sopravvento, i comunisti si mostrarono disposti a spingersi molto più avanti dei liberali nella persecuzione dei capi rivoluzionari").

 

collett, 04

A quale esperienza politica ci si riferisca è evidente dalla lettura dei saggi storici più significativi (non solo di quelli apertamente militanti) sul periodo preso in considerazione. Facciamo riferimento innanzitutto al testo fondamentale di Gabriel Jacksoni: "I mesi di giugno e di luglio (del 1936) videro in città e nelle campagne avvenimenti autenticamente rivoluzionari (…). Durante la seconda metà del 1936 nel territorio rimasto in mano al Fronte Popolare si effettuò la più profonda rivoluzione sociale che fosse avvenuta dal secolo XV. Principali caratteristiche di essa furono la passione per l’uguaglianza e l’affermazione dell’autorità locale e collettiva (…). Tutti gli operai andavano in giro armati e, in un paese a lungo dominato da una polizia brutale, quelle armi, spesso del tutto inservibili, erano più importanti come simbolo d’emancipazione che come strumenti di guerra. Affitti e servizi pubblici erano controllati da comitati di fabbricato, che comprendevano un membro per ogni partito del Fronte Popolare, ma erano ciò nondimeno interamente dominati, nei primi giorni, dagli anarchici. Spaziose abitazioni di ricchi scappati in Francia furono trasformate in scuole, orfanotrofi, ospedali. Pablo Casals donò 10.000 pesetas per il soccorso bellico e organizzò concerti gratuiti (come aveva fatto prima della guerra) nei sobborghi industriali. Le fabbriche furono per lo più occupate dagli operai. Alcuni proprietari furono fucilati, altri fuggirono, e pochi continuarono a lavorare nelle proprie industrie requisite, con lo stipendio corrisposto ai massimi dirigenti e ingegneri. Gli operai non perdettero il loro senso pratico: tram, autobus, servizi dell’acqua e della luce funzionavano normalmente; officine e autorimesse continuavano come al solito, disponendosi alcune anche a fabbricare bombe a mano, proiettili e corazze per automobili e autocarri diretti al fronte".

36cata agriculÈ un quadro della situazione pressoché identico a quello descritto sia da Orwell, con gli strumenti del linguaggio giornalistico-letterario, che da Loach con le sue immagini. E l'attenzione non può che concentrarsi sulla Catalogna, centro nevralgico della rivoluzione: “Fin dal 18 luglio  (del 1936, data del pronunciamento militare fascista – ndr) – nota Jackson - Barcellona era sempre stata la Mecca di gruppi rivoluzionari eterodossi. Proudhoniani francesi, anarchici italiani e balcanici, intellettuali menscevichi russi, vedevano tutti nella rivoluzione catalana l’esordio di una rivoluzione 'pura', antistaliniana (…). La stampa anarchica e del POUM esaltava le collettivizzazioni, giustificando al tempo stesso gli insuccessi nella produzione con la politica di Valencia (allora capitale della Repubblica – ndr), che boicottava l’economia catalana e favoriva la borghesia”. 

Interessanti anche le osservazioni di uno studioso attento come Paul Preston: “Per la CNT, il POUM e per l’ala sinistra del PSOE la rivoluzione proletaria costituiva il requisito essenziale per sconfiggere il fascismo. Quale fosse il punto di vista rivoluzionario lo esprime bene un adagio: ‘Il popolo in armi ha vinto la rivoluzione; l’armata del popolo ha perso la guerra’ (…). Gli sviluppi rivoluzionari che la guerra ebbe nei suoi primissimi giorni costituiscono una realtà che non è possibile ignorare: essi ebbero conseguenze di enorme portata sull’atteggiamento delle masse nei confronti dello sforzo bellico repubblicano e sul contesto internazionale in cui la Repubblica era costretta a muoversi.  La Spagna non era nuova agli scontri di classe. Nelle zone conquistate dai nazionalisti i conflitti furono soffocati con draconiane misure repressive. Vennero annientate non soltanto le organizzazioni operaie con i loro militanti, ma anche i partiti repubblicani borghesi. Nella zona controllata dalla Repubblica non ci fu una soluzione altrettanto brutale dei problemi di classe (…). Ma le contraddizioni fra repubblicani (borghesi e democratici) e socialisti moderati da un lato, e gruppi proletari rivoluzionari dall’altro rimasero un problema scottante”.

36coope cataloFu proprio così che si giunse all’esasperazione del conflitto nel campo repubblicano e al soffocamento della rivoluzione spagnola operato dalle squadre alle dipendenze della polizia politica sovietica e terzinternazionalista (come evidenziato da tutti gli storici e i ricercatori che abbiamo potuto prendere in considerazione e sottolineato dal film di Ken Loach). Nota Preston: "La CNT e il POUM si erano convinti che i sacrifici richiesti dai comunisti per sostenere la Repubblica borghese non servivano a influenzare favorevolmente le potenze europee. Franco offriva al capitalismo maggiori garanzie di quante avrebbe mai potuto darne la Repubblica. Per il POUM guerra e rivoluzione erano inscindibili. I comunisti scelsero come bersaglio il POUM perché non sopportavano le sue critiche da sinistra sul loro tradimento della rivoluzione in Spagna. Il PCE cominciò a sostenere che occorreva annientare il POUM e ad accusare chiunque criticasse i processi di Mosca di essere nemico dell’URSS, una ‘spia dei fascisti’, un ‘agente dei trotskisti’ (…). Salito Negrin al potere, i comunisti ripresero il processo di centralizzazione completando la distruzione del POUM (…). Il leader del Partido Obrero, Andrés Nin, fu arrestato, torturato brutalmente e poi flagellato a morte, in uno degli episodi più atroci della guerra civile (avvenuto il 22 giugno del 1937 – ndr). I goffi tentativi della propaganda comunista di sostenere che Nin era stato prelevato da una squadra di soccorso nazista non riuscirono a nascondere la verità: Nin era stato assassinato dalla NKVD, la polizia segreta sovietica. Gli altri dirigenti del POUM furono processati alla fine del 1938. Largo Caballero e gli ex ministri anarchici del governo da lui retto erano così indignati che si recarono da Azana, accusando Negrin di tradimento e chiedendone le dimissioni. Il presidente della Repubblica ignorò le loro proteste".

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Sappiamo tutti come andò a finire: il governo di sinistra di Largo Caballero fu costretto a dimettersi, il suo posto venne preso da un esecutivo moderato e rinunciatario con a capo Juan Negrin; la guerriglia delle milizie venne soffocata; si attenuò fino a scomparire l’entusiasmo popolare a favore della Repubblica (nel gennaio del 1939 Barcellona cadde sotto il dominio dei fascisti senza neanche reagire). Come nota amaramente Dan Kurzman: “Stalin non aveva interesse ad aiutare i suoi fantocci spagnoli a riportare la vittoria militare o a conquistare il potere politico. La Spagna gli aveva fornito due opportunità altrettanto convenienti: un campo di battaglia utile a fiaccare le energie di Hitler e un mattatoio adatto alla liquidazione dei rivali di sinistra. Ora era giunto il momento di lasciar vincere Franco, la vittoria del generalissimo dovendo servire a spianare la strada al trattato fra sovietici e nazisti”.

NinUtili ci paiono anche, per la ricostruzione del periodo e della tragica deriva della rivoluzione spagnola, le memorie di Abel Paz e la ricostruzione di Hans Magnus Enzensberger. Ma soprattutto si segnalano gli scritti e i discorsi del leader del POUM Andrés Nin, come quello pronunciato a Barcellona il 6 settembre 1936: “La lotta prosegue in tutta la Spagna. Deve forse la classe operaia, armi alla mano, difendere in questo momento la Repubblica democratica? La classe operaia catalana, quella spagnola, stanno forse facendo sacrifici enormi, spargendo il proprio sangue per tornare alla Repubblica del signor Azana? (…) Il problema della Chiesa sapete già come si è risolto: non rimane una sola chiesa in tutta la Spagna; ed anche il problema dei beni della Chiesa, della potenza economica della Chiesa è stato risolto con l’esproprio puro e semplice. La questione della terra si è risolta perché i lavoratori non se ne sono stati ad aspettare la soluzione dalla legge dei contratti di coltivazione o dall’Istituto per la Riforma agraria, ma perché i contadini hanno cacciato i proprietari e si sono presi la terra. (…) Ci dicono che ora abbiamo un obiettivo immediato: la lotta sui fronti; prima bisogna vincere la guerra, poi si vedrà. Queste due cose non si possono separare, non possono scindersi. Le guerre si vincono non solo tecnicamente. Tecnicamente, per la superiorità dell’armamento e per la disciplina, i militari avrebbero dovuto vincere il 19 luglio. Perché non è stato così? Perché noi avevamo ciò che i militari non hanno: la fede e la speranza in una nuova società. (…) Se la facciamo finita con il capitalismo, se orientiamo la rivoluzione in senso socialista, allora certo creeremo, stiamo già creando in Spagna, un movimento così impetuoso, una rivoluzione così profonda che contro di essa si infrangerà ogni tentativo della canaglia monarchica, fascista e reazionaria. Perciò diciamo che ogni concessione, ogni passo indietro, rappresenta un servizio reso al nemico”.

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Il 4 marzo 1937, sul giornale del PUOM “La Batalla” Nin scrive: “Il momento è grave e decisivo. In gioco c’è il futuro del proletariato. Il POUM ha lanciato più volte il grido d’allarme. Verrà ascoltato dalle altre organizzazioni rivoluzionarie?”. Lo stesso Orwell a questo proposito osserva: “Forse lo slogan del POUM e degli anarchici: la guerra e la rivoluzione sono inseparabili, era meno campato in aria di quel che possa sembrare”.

Quelle di Nin sono le medesime posizioni espresse da Camillo Berneri, intellettuale e militante anarchico di primo piano, sequestrato a Barcellona e assassinato dalle squadre staliniane il 5 maggio 1937. In un articolo in difesa del POUM pubblicato su “L’Adunata dei Refrattari” di New York il 1 maggio 1937 Berneri scrive: “Gridiamo oggi con tutta la forza dei nostri polmoni: basta! basta! Non è giusto che, per appetiti malsani, si voglia eliminare una organizzazione che ha lottato e che continua a lottare, insieme con gli altri, per il trionfo della Rivoluzione spagnola. (…) Un partito che ha avuto vari esponenti (Maurin, Etchebehere, José Oliver, Germinal Vidal, Pedro Villarosa, Louis Grossi, Louis Blanco, ecc.) caduti nella lotta e che occupa, nella proporzione tra i suoi quadri e le sue perdite, il secondo posto nella lotta contro il fascismo non può, senza che la verità sia velata e che si violi la giustizia, esser presentato come un’amalgama di vigliacchi e di ‘agenti di Franco-Hitler-Mussolini’, come continua a presentarlo la stampa del Komintern. Un partito che ha migliaia di uomini su vari fronti e che, specie in Catalogna, predomina in certe località, non è una forza trascurabile. Parlare, come fanno certi domenicani del PSUC, di sopprimere questo partito è, oltre che un delitto contro la libertà, un atto di sabotaggio contro la lotta antifascista. (…) Il 19 luglio 1936 il POUM fu a fianco della FAI e della CNT nell’eroica resistenza al putch militare-fascista ed organizzò delle colonne che si portarono su vari fronti (8.000 uomini) (…).

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Si dice, infine, che il POUM è contro il fronte popolare. In realtà quel partito è contro la tendenza che vorrebbe dissociare la guerra civile dalla rivoluzione sociale. (…) Oggi il POUM è una forza considerevole nella lotta antifascista e nella resistenza al soffocamento della rivoluzione, sì che le divergenze teoriche fra noi e lui sono ben poca cosa di fronte alle attuali e alle possibili convergenze sul terreno dell’azione. Molti motivi di critica, molte formule di agitazione del POUM aderiscono alla realtà e sono potenziatrici dello sviluppo della rivoluzione sociale spagnola”. Ken Loach in Terra e libertà sceglie consapevolmente la lettura del reale (della Storia) e la logica politica proprie della sinistra rivoluzionaria del tempo (minoritaria ovunque nel mondo tranne che nella Spagna degli anni ’30) così come della nuova sinistra nata dal ’68 e radicatasi soprattutto, sia a livello di elaborazione teorica che di attività militante, in Europa e negli USA.

terre-liberta.jpgNel film si possono riscontrare almeno cinque sottotesti: strutture narrative che, variamente intrecciate fra loro, rendono più solido e aperto il discorso dell'autore. Innanzitutto abbiamo il romanzo (cinematografico) di formazione: David, il giovane protagonista, parte da solo dalla Gran Bretagna per raggiungere una terra sconosciuta, dai tratti perfino selvaggi, di cui non sa quasi nulla, se non che il fascismo lì (come un po' ovunque nel mondo) costituisce una minaccia terribile, da contrastare direttamente. Qui troverà modo di maturare nella sua coscienza, di compiere esperienze uniche e fondanti per la vita intera. Capirà soprattutto che, per vivere bene (cioè per raggiungere la maturità, la condizione di adulti liberi), è necessario anche battersi sempre e in tutti i modi – perfino contro l’evidenza di una realtà avversa e i luoghi comuni spesso meschini della pubblica opinione – affinché prevalgano i diritti alla libertà, le ragioni degli affetti sinceri e della dignità di tutti gli esseri umani.

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Abbiamo poi il racconto sentimentale, costituito dal rapporto, articolato e complesso, fra David e Blanca, con toni prima lieti (la nascita dell’amore) e poi intensamente melodrammatici (lo scioglimento della vicenda). Quindi è presente la struttura del testo politico, didascalico (ma non retorico o manicheo) ed esemplificativo, rappresentato soprattutto nella lunga, avvincente discussione sulla collettivizzazione della terra, ripresa in piano-sequenza con mirabile lucidità dall’autore. Qui il dibattito teorico si traduce in prassi concreta (pratica dell’obiettivo, si sarebbe detto un tempo) e diventa realtà grazie all’intrecciarsi e al sovrapporsi di lingue, di esigenze, di indicazioni diverse. E qui emergono maggiormente le ragioni dell’elaborazione  che abbiamo voluto suggerire nel nostro riferirci alle fonti possibili per il film. Troviamo poi la ricontestualizzazione, data dalla cornice narrativa del film, cioè dalle sequenze ambientate nella contemporaneità e animate dalla presenza curiosa e vitale della nipote di David, che recupera la memoria e la coscienza politica del nonno perduto. Qui si esprime soprattutto il gusto pseudo-documentaristico del Loach che meglio conosciamo: una attenzione sincera e diretta alla realtà sociale e alla vita interiore dei personaggi, rese attraverso immagini scabre e sguardi intensi. Infine è presente il tema del dolore per lo scacco subito, evidenziato nella tragica sequenza del disarmo forzato della milizia del POUM: la macchina da presa di Loach qui riprende a distanza l’agitarsi forsennato dei militanti resi impotenti, rabbiosi, dall’autoritarismo ottuso di un potere che sfugge ad ogni richiamo all’umanità e alla lotta comune. I compagni di David, e Blanca fra questi, sono rappresentati come anime in pena, schiacciati dal peso di un destino inaccettabile.

Terra-e-libertà

L’amarezza per la sconfitta, la nostalgia di una stagione giovanile di lotte e speranze e il desiderio di far rivivere la memoria di quegli eventi in una nuova ondata di iniziative, densa di idee, di tensioni appassionate, di proposte, unisce noi spettatori di oggi (reduci da analoghe situazioni sviluppatesi negli anni '70 in Italia e altrove) all’esperienza degli Orwell, dei Paz, dei Nin, dei Berneri, dei tanti altri che combatterono in Spagna (come Carlo Rosselli e Buenaventura Durruti) e allo spirito di Ken Loach, che esplicita così i suoi intenti: “Noi vogliamo parlare ai nostri simili in un linguaggio chiaro e cercare con loro di prendere coscienza dei problemi del nostro tempo. Non si fa la rivoluzione con un film. Ma un film può essere una leva per sollevare l’inerzia delle cose o delle persone. Vogliamo essere utili per andare avanti: basta con i sensi di colpa degli intellettuali”.

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Ci piace chiudere con una nota dolente, ma al tempo stesso carica di aspettative (e forse perfino profetica rispetto  al rilievo che ha avuto il  film di Ken Loach), vergata da un militante anarchico cinquant’anni fa (e quarant’anni prima dell’uscita di Terra e libertà nelle sale): “Dobbiamo rallegrarci che qui e là si trovino compagni desiderosi di diffondere intensamente ciò che fu realizzato in Spagna col sorgere della rivoluzione il 19 luglio 1936”.



Pierpaolo Loffreda


 

[Ricerca iconografica a cura di Ario Libert]

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11 gennaio 2013 5 11 /01 /gennaio /2013 06:00

LENIN

Lenin Karpov

M. Nicolas Werth

"Compagni, il sollevamento kulako nei vostri cinque distretti deve essere schiacciato senza pietà. Gli interessi della rivoluzione intera lo esigono, perché ovunque la lotta finale con i kulaki è oramai scatenata. Bisogna 1°) Prendere (e dico prendere in modo che la gente lo veda) non meno di cento kulaki, riccastri, vampiri noti. 2°) Pubblicare i loro nomi. 3°) Impadronirsi di tutto il loro grano. 4°) Identificare gli ostaggi come abbiamo indicato nel nostro telegramnma ieri. Fate ciò in modo che a centinaia di verste nei dintorni, il popolo veda, tema, sappia e grida: strangolano e continueranno a strangolare i kulaki-vampiri. Telegrafate che avete ricevuto e posto in esecuzione queste istruzioni. Il vostro Lenin.

P. S. Cercate le persone più dure.

lenin-levine1.pngQuesto telegramma di Lenin, datato 11 agosto 1918, vero appello all'omicidio, fa parte di alcune migliaia di testi del fondatore dell'Unione sovietica che non sono mai stati inclusi in nessuna delle cinque edizioni canoniche delle "Opere complete" di Lenin, apparse tra il 1920 e il 1965. Dopo l'implosione dell'Unione sovietica e l'apertura dei suoi archivi, gli storici hanno avuto accesso ai testi del "Lenin censurato", del Lenin sconveniente per l'edificazione delle masse.

Diciamolo subito - la pubblicazione, tre anni fa, di un'ampia selezione di testi inediti di Lenin, non ha rivoluzionato la conoscenza che si aveva del fondatore del bolscevismo, della sua personalità come della sua azione politica - a condizione di darsi la pena di leggere la sua opera. Questi testi accentuano piuttosto alcuni tratti del personaggio, alcuni aspetti della sua visione della politica e del mondo, della sua impresa rivoluzionaria. Perché non furono pubblicati? Quali limiti varcavano?

In una nota confidenziale redatta nel dicembre del 1991, alcuni giorni prima della sparizione dello Stato fondato da Lenin, il Direttore dell'Istituto di marxismo-leninismo, dove erano piamente conservati i 30.820 testi autografi del Fondatore, spiegava perché 3.724 documenti non soltanto non erano stati pubblicati, ma non dovevano esserlo "nella presente situazione ed in futuro". Venivano avanzate tre considerazioni principali.

lenin-levine5-copia-1.pngUna parte di questi documenti mostravano a qual punto Lenin "aveva incoraggiato la sovversione rivoluzionaria e la violenza mirante a destabilizzare tutta una serie di Stati indipendenti" e "tentato di strumentalizzare delle tensioni nazionali o etniche". Un'altra parte dei documenti non pubblicati di Lenin incitavano troppo apertamente "una politica di terrore, di repressione e di epurazione su grande scala" contro gli strati più diversi della società e in momenti in cui nessuna minaccia pesava sul regime (ad esempio, all'inizio della NEP, nel 1922). Infine, un certo numero di documenti rivelavano degli "aspetti contraddittori" di Lenin - eufemismo che ci permetteremo di interpretare liberamente, insistendo, seguendo lo storico americano Richard Pipes, sulla mentalità poliziesca e cospirativa di Lenin, così come essa si svela con forza in questi testi inediti.

Intorno ad alcuni testi del "Lenin censurato", sono tre aspetti, indissociabili, del fondatore del bolscevismo che tenteremo di delineare ora: l'utopista della rivoluzione mondiale, il cantore del terrore e dell'epurazione, il poliziotto-cospiratore.

L'utopista della rivoluzione mondiale

lenin-levine3.pngUno degli inediti di Lenin più interessanti è il rendiconto stenografico del lungo discorso che egli pronunciò, a porte chiuse, il 20 settembre 1920, in occasione della IX Conferenza del Partito comunista. Lenin riconosceva senza problemi (ma chiedendo ai delegati di non prendere appunti) che l'invasione, tre mesi prima, della Polonia da parte dell'Armata rossa aveva come obiettivo non soltanto la sovietizzazione della Polonia, ma di destabilizzare tutta l'Europa, spingendo la rivoluzione "il più lontano possibile verso ovest". Per Lenin, sembrava chiaro, in quell'estate del 1920, che "la tappa difensiva della guerra contro l'imperialismo mondiale era terminata e che potevamo, dunque dovevamo, sfruttare la situazione militare per passare all'offensiva". Un telegramma inviato da Lenin a Stalin il 23 luglio 1920 chiarisce questo utopico "piano di sovietizzazione" dell'Europa in quei giorni di euforia: "La situazione nell'Internazionale comunista è splendida. Zinoviev, Bucharin ed io consideriamo che la rivoluzione in Italia deve essere attivamente e immediatamente spronata. A questo scopo, si deve soviettizzare l'Ungheria, e senz'altro la Cecoslovacchia e la Romania". Analizzata nel suo contesto, che qui non svilupperò, questo documento permette di capire le ragioni per le quali Stalin, Commissario politico dell'Armata rossa sul fronte sud, non impegnò le sue truppe in un'offensiva su Varsavia, inazione che Trotsky criticò aspramente in seguito, giungendo ad attribuire a Stalin il fallimento della presa di Varsavia e la successiva sconfitta della campagna polacca. In realtà, accecato dalle chimere della Rivoluzione mondiale, è Lenin, per il quale la Galizia era "la base strategica per partire alla conquista di tutti i paesi europei", che aveva ordinato a Stalin di tenersi pronto a marciare verso Budapest invece che su Varsavia, determinando così l'esito di questa campagna dell'estate 1920.

lenin-levine4.pngTorniamo al discorso di Lenin del 20 settembre 1920. Se riconosce un errore strategico, Lenin rifiuta di ammettere ogni errore politico "sul piano, più generale, della Storia". E improvvisa allora una grande lezione di prospettiva storica che riassumo molto rapidamente. La Grande guerra ha profondamente trasformato i rapporti di forza nel mondo. Sul lungo termine, il trattato di Versailles non è valido, e la Russia bolscevica dovrà sistematicamente operare per la sua distruzione. In questo compito, essa ha come collaboratore naturale la Germania, e più precisamente, "un blocco fatto di patrioti tedeschi estremisti e di comunisti". "Due forze contano oggi nella politica mondiale: una è la Società delle Nazioni, che ha prodotto il trattato di Versailles; l'altra, la Repubblica dei soviet, che ha già cominciato a scalzare il trattato di Versailles, più il "blocco contro-natura" dei Tedeschi". Come non pensare, leggendo queste righe, che esse portano in germe, al di là di Rapallo, il patto tedesco-sovietico del 23 agosto 1939? E che dire delle istruzioni date da Lenin, nel luglio del 1920, a Georgij Vasil'jevič Čičerin a proposito del progetto di trattato di pace con la Lituania - "Dobbiamo assicurarci innanzitutto di sovietizzare la Lituania per poi restituirla ai Lituani - se non che esse annunciano precisamente la politica che condurrà, venti anni dopo, nei confronti degli Stati baltici il "migliore dei discepoli di Lenin"?

lenin1924Come mostra questo sorprendente discorso inedito di Lenin, se l'obiettivo a lungo termine è chiaro - il rovesciamento dell'ordine mondiale - i mezzi per giungervi sono molteplici, e possono essere anche "contro-natura". La teoria non deve mai attenuare ciò che François Furet ha giustamente caratterizzato come "il senso straordinario dell'occasione, il fiuto per il potere caratteristico del genio di Lenin uomo d'azione". Senso straordinario dell'occasione - di cui Lenin ha dato prova, solo contro tutti, in aprile, poi nell'ottobre del 1917 (questi fatti sono naturalmente troppo noti per tornarvi sopra). Senso molto acuto anche del carattere eccezionale delle circostanze che lo avevano portato al potere e della fragilità dell'inversione storica che si era appena prodotta ("È il fatto di essere un paese arretrato che ci ha momentaneamente permesso di essere avanti"). Per Lenin, la Russia non è che l'oggetto di un esperimento cominciato su scala planetaria. In questo esperimento, due paesi sono chiamati a svolgere un ruolo fondamentale, la Russia e la Germania, "le due metà separate del socialismo", questi due paesi incarnano rispettivamente la realizzazione delle condizioni politiche e delle condizioni economiche del socialismo. Malgrado le ripetute sconfitte delle "forze rivoluzionari", Lenin rimase, sino alla fine della sua vita, convinto dell'ineluttabilità della caduta, a breve termine, del sistema capitalista. Nel 1922, nelle istruzioni che egli invia al suo ministro degli Affari esteri per "affondare la conferenza di Genova", termina con questa frase: "Da loro, tutto crolla. Fallimento bancarotta totale (India, ecc.). Tutto quel che ci resta da fare, è di spingere leggermente e come per caso quest'uomo barcollante - ma non con le nostre mani!".

lenin spazza mondoTra gli altri documenti inediti più significativi figura una direttiva confidenziale indirizzata da Lenin ai membri del politburo il 19 marzo 1922. Precisiamo che questo testo non è, propriamente parlando, un inedito. Uscita illegalmente dagli archivi del Comitato centrale, questa direttiva era stata pubblicata per la prima volta in lingua russa a Parigi, nel 1970, in Le Messager du mouvement chrétien. All'epoca, la sua autenticità era stata fortemente messa in dubbio: Lenin poteva veramente dar prova di una tale violenza e soprattutto di un tale cinismo - sfruttare la più terribile carestia che la Russia abbia mai conosciuto - sei milioni di morti - per "portare un colpo mortale" alla Chiesa ortodossa russa?

lenin e la guardia rossaRicordiamo brevemente il contesto. Nel febbraio del 1922, il governo bolscevico ha lanciato una grande campagna di confisca egli oggetti preziosi appartenenti alle chiese. La vendita di questi oggetti deve servire per venire in aiuto ai contadini affamati delle regioni del Volga. In realtà, già da molti mesi, le più alte autorità ecclesiastiche si attivano per soccorrere gli affamati, attraverso un Comitato panrusso di aiuto alle vittime della carestia, che raccoglie gli ultimi sopravvissuti di una società civile falcidiata da cinque anni di rivoluzioni e di guerre civili. Condotte manu militari, le operazioni di confisca danno luogo a numerosi incidenti. I più gravi scoppiano il 15 marzo 1922 a Chouïa, una piccola città industriale non lontana da Mosca. La truppa spara sulla folla dei fedeli che si oppone alla confisca degli oggetti religiosi. Lenin vuole vedere in questi incidenti il segno di una resistenza organizzata dalla Chiesa ortodossa, ultima istituzione indipendente dallo Stato-Partito bolscevico. Invia allora, al Politburo, una lunga direttiva di cui cito i principali estratti:

Lenin e i contadini di W. Serow"Appare perfettamente chiaro che il clero Cento Neri sta preparando un piano elaborato mirante a coinvolgerci in una battaglia decisiva (...). Penso che il nostro nemico stia per commettere un errore strategico monumentale cercando di trascinarci in una battaglia decisiva in un momento particolarmente senza speranza svantaggioso per esso. Per noi, al contrario, il momento è non soltanto eccezionalmente favorevole, ma è un momento unico in cui abbiamo novantanove possibilità su cento di colpire mortalmente il nemico alla testa con un successo totale e di garantirci delle posizioni essenziali per i decenni futuri. Con tutte queste persone affamate che si nutrono di carne umana, con le strade disseminate di centinaia, di migliaia di cadaveri, è ora e soltanto ora che possiamo (e di conseguenza dobbiamo) confiscare i beni delle chiese con un'energia indomabile, spietata, e ridurre ogni resistenza. È precisamente ora e soltanto ora che l'immensa maggioranza delle masse contadine può sostenerci o, più esattamente, può non essere in grado di sostenere il pugno di clericali Cento Neri e di piccoli borghesi reazionari (...). Così giungo alla conclusione che è il momento di schiacciare il clero Cento Neri nella maniera più decisa e più spietata, con una tale brutalità che se ne ricordi per decenni (...). Più il numero di rappresentanti del clero reazionario e della borghesia reazionaria passati per le armi sarà importante, e meglio sarà per noi. Dobbiamo dare una lezione a tutte quelle persone in modo tale che non penseranno nemmeno più a nessuna resistenza di qualunque genere per molti decenni (...)".

Lenin con contadini, 1959, di Evdokiya UsikovaIn conseguenza di questa direttiva, Lenin chiese di essere informato quotidianamente sul numero di ecclesiastici giustiziati. Nei mesi seguenti, circa 8.000 sacerdoti, monaci e monache furono passati per le armi, in modo sommario o in seguito ad un processo pubblico.

Questa campagna, che si svolge più di un anno dopo la promulgazione della NEP, la "Nuova politica economica" ritenuta chiudere la parentesi del "comunismo di guerra" e inaugurare nuovi rapporti, cordiali, tra il potere bolscevico  la società, si iscrive in realtà in una permanenza: quella della politica leninista del terrore e di epurazione del paese, del corpo sociale, da tutti i suoi "nemici", da tutti i suoi "elementi socialmente nocivi", da tutti i suoi "parassiti".

WhiteArmyPropagandaPosterOfTrotsky.jpgL'epurazione, in Lenin, va di pari passo con il terrore, un terrore che si spiega sulla durata (e non come fenomeno puntuale, dettato dalle circostanze), un terrore organizzato, che canalizza e trascende la violenza, senza la quale non c'è politica. Come scrive molto giustamente Dominique Colas, in Lenin, "la violenza è la verità della politica, il suo condensato, il rivelatore dei rapporti di forza, la prova in cui si separano rivoluzionari ed opportunisti, l'ordalia materialista". "La forza soltanto", afferma Lenin, "può risolvere i grandi problemi storici".

TrotskySlayingtheDragon1918.jpgIn tutti i suoi scritti, Lenin non ha cessato di esortare ad un'amplificazione della violenza sociale, forza motrice di una Storia interamente sottoposta alla lotta di classe. In occasione del XII anniversario dello scoppio della rivoluzione del 1905, Lenin tenne, davanti a un pubblico ridotto, una conferenza alla Casa del Popolo di Zurigo, la sua ultima città d'esilio. Si era nel gennaio del 1917, un mese prima della "rivoluzione di febbraio", un avvenimento che lo colse del tutto alla sprovvista. Nel suo discorso, Lenin si disse dispiaciuto che i contadini non avessero distrutto nel 1905 "che un quindicesimo delle proprietà, un quindicesimo soltanto di quel che avrebbero dovuto distruggere per sgombrare definitivamente la terra russa da quella putrefazione che è la grande proprietà fondiaria," prima di concludere: "Noi, i vecchi, non vivremo così a lungo per vedere le battaglie decisive della futura rivoluzione!".

trotskyannenkov.jpgUna volta giunto al potere, considerando che la guerra civile era la "continuazione, lo sviluppo e l'accentuazione naturale e, in alcune circostanze, inevitabili della guerra di classe", Lenin incoraggiò, ogni volta che l'occasione si presentava, "l'energia e il carattere di massa del terrore," non smettendo di insistere contro il "rammollimento" del popolo russo, e affermando molte volte: "Il nostro regime è incredibilmente tenero, è come kissel (una gelatina alle bacche) e non acciaio". "Trovare delle persone più dure" - il post-scriptum del primo testo di Lenin che ho citato all'inizio della mia comunicazione non è, sicuramente, casuale.

Violenza organizzata, canalizzata, il terrore deve permettere di "forzare" il corso della Storia in un paese segnato da un "debole sviluppo delle forze produttive" e del "passato fare tabula rasa". In un articolo pubblicato nel novembre del 1917 in La Vita Nuova, uno degli ultimi giornali non bolscevichi autorizzati a circolare in Russia sino all'estate del 1918, Maksim Gor'kij paragona Lenin ad un chimico che fa, in laboratorio, degli esperimenti sul corpo sociale. "La vita nella sua complessità è estranea a quest'uomo. Non conosce gli strati popolari. Non ha mai vissuto con il popolo, ma ha imparato, nei libri, come far sollevare le masse, soprattutto come eccitare furiosamente gli istinti delle folle. La classe operaia è per Lenin ciò che il minerale è per l'operaio metallurgico. È possibile, date le circostanze, fabbricare con questo minerale uno stato socialista? Tutto dà da pensare di no. Detto ciò, perché non tentare?"

Chimico o chirurgo?

solzhenitsyn-levine.pngPer Lenin, il compito essenziale sulla via del socialismo, del progresso, è l'eliminazione degli "elementi nocivi" del corpo sociale, la caccia ai "parassiti". Questo discorso igienista, che chiama permanentemente a sbarazzarsi delle "sopravvivenze della maledetta società capitalista", della "arretratezza delle campagne", dei "rifiuti dell'umanità", dei "membri irrimediabilmente marci incancreniti" si sviluppa con forza in un testo del dicembre 1917, Come organizzarre l'emulazione?, ammirevolmente commentato da Alexandre Soljenitsyn nelle prime pagine di Arcipelago Gulag.

stalin-levine3.pngLe masse organizzate e coscienti sono chiamate a "controllare, recensire, epurare la terra russa da tutti gli insetti nocivi, dalle pulci (furfanti)  dalle zecche (i ricchi)". "Qui, prosegue Lenin, si metteranno in prigione una decina di ricchi, una dozzina di furfanti, una mezza dozzina di operai che sparano alle spalle ( …). Là, si invieranno a pulire le latrine. Altrove, li si munirà, all'uscita dal carcere, di una carta gialla affinché il popolo intero possa sorvegliare queste persone nocive finché esse non si siano corrette. O ancora si fucileranno sul posto un individuo su dieci colpevoli di parassitismo ( …). Più si sperimenteranno dei mezzi di questo genere, e più rapidamente e sicuramente il socialismo vincerà, perché è nella pratica che si forgiano le armi più efficaci". Questo testo scritto in un momento in cui nessuna forza di opposizione, straniera o interna, minacciava il nuovo regime uscito dal colpo di Stato del 25 ottobre 1917, necessita di due commenti. Il primo - sull'animalizzazione del nemico, degradato a rango di parassita. Nei testi leninisti, i "kulaki", questi contadini un po' più agiati, e soprattutto più intraprendenti della media, non sono mai qualificati in altro modo se non come "vampiri", "scorpioni", "sanguisughe", "bevitori di sangue", "pulci". La stessa cosa accade con i "pope", i "borghesi" e i "ricchi". Si noterà anche, in Come organizzarre l'emulazione?, la stupefacente - ma oh quanto produttiva - distinzione tra le pulci (i furfanti) e le zecche (i ricchi). Devono essere epurati, infatti, non soltanto i rappresentanti delle classi nemiche, i "ricchi", ma anche gli "elementi nocivi, le canaglie, i furfanti, gli hooligan" infiltrati nelle fila del proletariato - in breve, i "falsi-operai", la derevenschina (i zotici, di cui Lenin ha orrore), che facciano parte della "aristocrazia operaia" o degli "elementi arretrati e politicamente privi di coscienza del proletariato". Un compito sicuramente erculeo, che giustifica una purga permanente, mai compiuta.

Vyshinsky.jpgScoprendo il bestiario leninista, come non pensare al bestiario staliniano, così come si disvela soprattutto nelle diatribe del Procuratore generale Andreï Vychinski, che qualificava i dirigenti bolscevichi della "Vecchia guardia leninista" oramai seduti nella gabbia degli accusati durante i grandi processi di Mosca del 1936-1938, come "lubriche vipere", "iene puzzolenti", "incroci mostruosi di porco e volpe?".

In Lenin, l'imperativo d'epurazione non si limita al corpo sociale. Si applica anche al Partito, allo Stato, alla burocrazia. Ma, a differenza del corpo sociale, al quale deve essere applicato un trattamento chirurgico, che può andare dalla eliminazione fisica all'internamento in un campo di concentramento o in una colonia di lavoro (è dall'estate del 1918 che datano i primi appelli di Lenin a "rinchiudere i kulaki, i pope, le Guardie bianche, le prostitute e altri elementi sospetti in campi di concentramento"), il trattamento applicato alla burocrazia e al Partito, è un "trattamento lento". Lento e minuzioso, perché il parassita infiltrato negli organi del Partito-Stato è, molto spesso, un mutante, un "falso comunista" (Stalin preferirà il termine di "uomo dalla doppia faccia"). "Che fare?" si interroga Lenin. "Lottare ancora e ancora contro questo sudiciume e, se riesce malgrado tutto ad infiltrarsi, pulire, spazzare, sorvegliare, pulire ancora e ancora".

stalin-levine.pngLa lingua francese non può affatto render conto della straordinaria varietà del campo semantico dell'epurazione nei testi di Lenin. Grazie al gioco, così ricco, dei prefissi ai verbi, dei suffissi e delle forme verbali nella lingua russa, questo campo porta tutte le sfumature possibili che vanno dalla "purga dolce" (si oserà dire quasi fraterna?) sino allo sradicamento totale, lo sterminio fisico.

Lasciamo, a questo stadio, lo scritto per la prassi. "Dispiegata su tutti i piani - internazionale, nazionale, economico e sociale", scrive non senza enfasi, l'autore dell'articolo "Lenin" sulla Encyclopedia Universalis, "l'attività rivoluzionaria di Lenin si vuole prassi". Per questo economista marxista, la prassi leninista trova la sua applicazione principale - e positiva - in due campi: la fondazione di un Partito unico nella Storia, la creazione di uno Stato unico nella Storia. Ma cosa ne è della pratica del terrore e dell'epurazione instancabilmente sostenute da Lenin? Senza tornare naturalmente ad una interpretazione strettamente intenzionalista di questo periodo straordinariamente complesso, di questo nuovo "Tempo dei disordini" come lo furono, per l'ex Impero zarista, gli anni dal 1917 al 1922, è inevitabile constatare che le direttive terroriste, gli appelli all'assassinio e all'epurazione lanciati da Lenin furono ampiamente applicati dalla "base", in un contesto di brutalizzazione senza precedente dei comportamenti sociali - una brutalizzazione conseguente alla Grande guerra e sicuramente anteriore alla presa del potere da parte dei bolscevichi. Ho sviluppato a lungo la questione della dinamica tra violenze sociale "dal basso" e terrore politico "dall'alto" nel mio contributo a Il Libro nero del comunismo. Mi limiterò qui a ricordare che le idee leniniste di controllo, di appello e di enfasi al lavoro (la maggior parte delle volte a compiti degradanti) dei "ricchi" furono molto ampiamente messi in pratica da comitati di quartiere in cui i plebei avidi di rivincita sociale davano la "caccia al borghese". Che il sistema degli ostaggi presi tra i byvchie ljudi ("gente del passato") si generalizzò, sin dai primi mesi del nuovo regime. Che il qualificativo di "pulci Guardie bianche" attribuito da Sergueï Kirov, il presidente del Comitato militare rivoluzionario di Astrakhan, agli operai in sciopero di questa città che protestavano contro l'arresto di militanti socialisti, "giustificò" il più grande massacro di operai commesso (nel marzo del 1919) da parte del potere bolscevico prima di quello di Kronstadt.

stalin-levine0.pngIn quanto alla chirurgia mirante a recidere le "membra irrimediabilmente marce ed incancrenite" del corpo sociale, essa fu sperimentata con la "decosacchizzazione", lanciata in seguito ad una risoluzione segreta del Comitato centrale del partito bolscevico, datata il 24 gennaio 1919: "Vista l'esperienza della guerra civile contro i Cosacchi," vi si poteva leggere, "è necessario riconoscere come sola misura politicamente corretta una lotta senza pietà, un terrore massiccio contro i ricchi Cosacchi, che dovranno essere sterminati e fisicamente liquidati sino all'ultimo". In poche settimane, migliaia di Cosacchi furono giustiziati. Il presidente del Comitato rivoluzionario del Don, incaricato dell'operazione, riconobbe che "abbiamo avuto la tendenza a condurre una politica di sterminio massiccia dei Cosacchi senza la minima distinzione sociale". È infine incongruo suggerire un legame tra la parassitofobia di Lenin e la gasificazione, nel maggio del 1921, di contadini insorti della provincia di Tambov, eseguita dal generale Tuchačevskij.

Dzerzhinsky1919Per Lenin, "ogni buon comunista è un buon cekista". Dai testi inediti di Lenin risalta con forza la mentalità poliziesca del fondatore del bolscevismo. Nessun capo della Okhrana, la polizia politica zarista, ha perseguitato con tanta perseveranza e maniacalità gli intellettuali dissidenti. Lenin chiede a Felix Dzerjinski, il capo della Ceka, di fornirgli delle "liste complete di intellettuali che aiutano la controrivoluzione". Ordina a tutti i membri del Politburo di passare "almeno due o tre ore alla settimana" a spulciare le pubblicazioni letterarie allo scopo di reperirvi ogni segno di eterodossia. Il 17 luglio 1922 (è deliberatamente che scelgo dei testi leninisti del periodo della NEP), Lenin invia a Stalin un lungo memorandum, nel quale torna a lungo sulla necessità di "ripulire la Russia una volta per tutte".

Stalin-levine2.gif"Sulla questione dell'espulsione dalla Russia di menscevichi, social-popolari, KD (costituzional-democratici) ed altri", egli scrive, "ho alcune domande, perché questa operazione, cominciata prima della mia partenza in congedo, non è ancora compiuta. Allora, ben deciso ad estirpare tutti i socialisti popolari? Pechekhonov, Miakotin, Gornfeld, Petrischev e gli altri? Penso che essi dovrebbero essere tutti espulsi. Essi sono più pericolosi dei SR perché più astuti. E anche Potressov, Izgoiev e tutta la redazione dell'Economiste (Ozerov e molti altri ancora). Ed anche i menscevichi Rozanov (un medico, astuto), Vigdortchik (Migulo, un nome del genere), Liubov Nikolaevna Radtchenko e la sua giovane figlia (a quel che mi dicono, i più perfidi nemici del bolscevismo), Rojkov (incorreggibile, da espellere) […]. La commissione Mantsev-Messing dovrà stabilire delle liste di alcune centinaia di questi signori, che dovranno tutti essere espulsi senza pietà. Ripuliremo la Russia una volta per tutte (...). Ozerov, come tutta la redazione dell'Economiste, sono dei nemici spietati. Per tutti - espulsione immediata. Tutto ciò deve  finire prima del processo dei SR. Arrestatene alcune centinaia e senza dare spiegazioni – fuori signori! Così, tutti gli autori della Casa degli Scrittori, e del Pensiero di Pietrogrado. Kharkov deve essere frugata da cima in fondo, non abbiamo alcuna idea di quel che succede, siamo in un "paese straniero". Bisogna purgare rapidamente e farla finita prima della fine del processo dei SR. Occupatevi anche degli autori e scrittori di Pietrogrado (i loro indirizzi figurano in Le Nouveau Livre russe, 1922, n°4, p. 37) e anche la lista degli editori privati (p. 29)".

levine-trotsky.pngQuesta ossessione poliziesca traspare anche nelle innumerevoli istruzioni, estremamente dettagliate, date dallo stesso Lenin, riguardanti l'infiltrazione, da agenti della polizia politica, da delegazioni straniere recantesi in URSS: a questo riguardo, la creazione di una commissione speciale incaricata di infiltrare l'American Relief Association venuta a portare un aiuto decisivo alle decine di milioni di persone colpite dalla carestia, è molto rivelatrice dello stato di spirito di Lenin, persuaso che "il nemico straniero" usava gli stessi metodi di infiltrazione e sovversione così apprezzati dai bolscevichi. Uno stato di spirito profondamente segnato da trent'anni di vita cospirativa, fatta d'intrighi feroci, di dispute bizantine e di regolamento di conti, in un clima di intolleranza e di reciproca diffidenza. Giunti al potere, i bolscevichi non hanno cambiato nulla alla konspiratsia, il "principio cospirativo", al cuore della pratica politica bolscevica. Al più alto livello dello Stato-Partito, l'informazione rimane strettamente chiusa, e il sospetto delle regole, comprese - fatto notevole - all'interno del "primo cerchio" dei dirigenti bolscevichi.

cicerin.jpgI testi censurati di Lenin rigurgitano di notule acerbe e scortesi sui suoi collaboratori più vicini: Kamenev – un "povero tipo, debole, timoroso, che ha paura di tutto". Rykov – "un rompiscatole permanente". Trotsky - "un fanatico dell'organizzazione, ma in politica, assolutamente non affidabile". Gli storici hanno abbondantemente glossato sulla "collegialità" della direzione del Partito sotto Lenin, in opposizione alla dittatura personale imposta più tardi da Stalin. I testi inediti di Lenin tuttavia dimostrano che quest'ultimo si considerava come l'unico dirigente "politicamente affidabile", il solo in grado di consegnare un brevetto agli uni o agli altri. E non soltanto un brevetto in bolscevismo, ma in sanità mentale! Nel gennaio del 1922, nel quadro della preparazione della conferenza di Genova, il Commissario del popolo agli Affari esteri, Čičerin propone a Lenin di introdurre un emendamento minore alla Costituzione dell'URSS per "soddisfare le richieste americane di istituzioni rappresentative nella Russia sovietica". In cambio, egli spiega, gli Stati Uniti sono pronti a fornire un aiuto economico, particolarmente gradito mentre imperversa la carestia. Lenin, fuori di sé, scrive in margine: "??? Follia!", ed invia immediatamente una nota al Politburo, che indica che la proposta di Čičerin dimostra "che egli è malato, e molto seriamente. Bisogna inviarlo immediatamente, e di forza, in una casa di cura". Dibattuta in numerose riprese al Politburo, "l'affare Čičerin" finì piuttosto bene per l'interessato, invitato a "riposarsi". Due mesi più tardi, tuttavia, approfittando del passaggio a Mosca di una delegazione di medici tedeschi specializzati in patologie nervose, Lenin inviò una nota al segretariato del Comitato centrale proponendo che un "certo numero di compagni" fossero esaminati dagli specbucharin.jpgialisti tedeschi, assistiti da medici russi. La lista dovrebbe imperativamente includere, prosegue Lenin, Čičerin, Ossinski, Kamenev, Trotsky, Stalin e, senza alcun dubbio, molti altri".

Come ha dimostrato Dominique Colas, "il partito leninista è un dispositivo produttore di isteria". Lenin stigmatizza come isterici coloro che non si piegano ai suoi suggerimenti, non obbediscono alle sue parole d'ordine, resistono - Martov, il grande dirigente menscevico, sin dal 1903; Maria Spiridonova, la passionaria socialrivoluzionaria, nel 1918. Ma anche i bolscevichi – eccetto Lenin, naturalmente - sono colpiti dalla malattia, anche Boukhartchik, diminutivo affettivo attribuito da Lenin a Bucharin, il "favorito del partito", criticato aspramente, nel 1920, per aver effettuato sulla questione dei sindacati "una svolta più isterica che storica". Cospiratore, poliziesco, ipnotizzatore, Lenin non è innanzitutto, come suggeriva Maksim Gor'kij, quell'immenso misantropo di cui l'amore per l'Umanità si proiettava lontano verso il futuro, attraverso le nebbie dell'odio?".

lenin-mummiaAlla domanda "Chi tra Stalin o Lenin era il più duro?", Viatcheslav Molotov, il solo dirigente bolscevico che aveva servito questi due padroni, rispose, senza esitare: "Lenin, naturalmente!", prima di aggiungere "È lui che ci formato tutti". Se l'aura di Stalin è stata sbiadita dalla destalinizzazione, l'immagine di Lenin - rivoluzionario, stratega della presa del potere da parte dei bolscevichi, fondatore dell'Unione sovietica - non è stata affatto incrinata, né nell'URSS della perestroïka (l'obiettivo iniziale di Michail Gorbačëv non era un utopico "ritorno alle norme leniniste"?), né nella Russia di oggi, né nel mondo. Nessuna Statua di Lenin è stata rimossa in Russia, la mummia di Vladimir Il'ič continua a riposare nel suo mausoleo, e i liceali francesi imparano sempre a distinguere tra il "buon Lenin" che ha salvato la Russia sovietica della "controrivoluzione bianca, appoggiata dalle forze di intervento straniere" dal "malvagio Stalin", che ha governato il suo paese "attraverso il terrore". Quando giungerà il tempo della "delenizzazione"? E della condanna unanime dell'ideologia e della pratica dell'intolleranza e della violenza?

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M. Nicolas Werth

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

LINK al post originale:

Lénine

 

LINK pertinenti:

Marxismo libertario. Paul Mattick, La leggenda di Lenin, da: "Western socialist", 1935

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1 gennaio 2013 2 01 /01 /gennaio /2013 06:00

14 Luglio


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Da notare la scritta posta a sinistra del falso stemma inventato all'occasione da Steinlen su una strana bandiera tricolore: "Vivre en soiffant", invece di "Vivre en souffrant" e cioè "vivere soffrendo".  "Soiffant" è un termine gergale che indica una sete perenne che porta a bere di continuo e enormemente, praticamente un'ironica formula per indicare lo stato di ubriachezza. Sulla bandiera di destra, anch'essa legata come quella di sinistra su una bottiglia di vino nero circondata da allori, invece sta scritto: "Mourrir en degueulant" e cioè "morire gozzovigliando".

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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È l'aver troppo amato i militari che ha perso le mie primogenite, e me... non se ne esce fuori.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Vi sarà molto perdonato, figlia mia, perché avete molto amato (chi ama bene, paga bene) i sacerdoti e i militari.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA CARROZZA DELLO STATO


 

-Calmatevi, generale, lasciate che il popolo ci scuota un po', ciò lo diverte e finché si diverte, non siamo a terra.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PATRIOTTISMO

 

 

-Possiamo contare su di voi oggi, Joseph?

 

 

-La signora baronessa mi farebbe il torto di scambiarmi per uno sporco repubblicano! Come tutte le persone di buona famiglia, sono membro della P. F.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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COLLOQUIO NOTTURNO

 

-Infine, ecco una buona pistola posta sotto il naso della pezzente! -Questo popolo imbecille non ha mai sospettato che la nostra Chiesa sia una fortezza, la sua cripta una casamatta. -Siamo forti.

 


 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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COME NEL NOVANTATRÉ

 

-Le persone dabbene alla bruta ignorante: "non temere siamo qui!". -L'ufficiale: "Io per armarti". - Il Ricco: "Io per pagarti". -Il Giudice: "Io per proscioglierti". -Il Sacerdote: -"Io per assolverti".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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RAPPRESENTAZIONE GRATUITA


 

4 del mattino... più di nove ore di attesa.

 

-Poro popolo, nun t'entrerà mai nella capoccia, che sei tu, sempre tu, che paghi anche lo spettacolo gratuito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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RAPPRESENTAZIONE GRATUITA


 

ATRIO DELLA DANZA


 

 

-Cosa darà il nostro piccolo Georges alle sue gallinelle che hanno cantato così bene la Marsigliese per il suo lurido popolino?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L'AVVENIRE

 

 

LA GRANDE. -Il ballo è finito, i lampioni spenti. Su, via! Miei piccoli rifiuti, devo rifare le camere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ALLA RIVISTA

 

 

-Sapiate che ho trovato il vostro piccolo scherzo di Montélimar molto spirituale.

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ALL'ELISEO

 

 

-Ma cosa mi dite? I capitali emigrano? A posto mio, cosa fareste?


 

-Seguirei l'esempio dato da tutti i buoni francesi: farei filare la mia fortuna all'estero.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Li ritrovo i miei Farisei, i miei mercanti del Tempio, che battono moneta con il mio povero cuore di vagabondo e di rivoltoso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

 

LINK al post originale:

14 juillet

 

 

LINK pertinenti al presente post:

La visione di Hugo

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29 dicembre 2012 6 29 /12 /dicembre /2012 06:00

MANICOMI E PAZZI

 


di Aristide Delannoy

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COME VI SI ENTRA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Presentami l'amante di mio marito, saremo in due per farlo rinchiudere.

 

 


 

 

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-Eh! È dura, la medicina!... Venite dunque, conosco cinquanta franchi per voi: un certificato d'internamento da firmare.

 

 

 

 

 

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-Sì, signor Direttore, da cinque anni sono la vittima di un'odiosa macchinazione.

-So benissimo!... La vostra "idea fissa"!

 

 

 

 

 

 

 

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-A mio parere, non è mica pazza.

-Ma come "non è pazza"?... Con la sua fortuna, voler sposare un istitutore!...

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Comincio a trovare in voi più umanità nei confronti di questa povera pazza.

-Te credo... è incinta del capo-guardiano!...



 

 

 

 

 

 

 

 

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-ANDIAMO! SUVVIA! SCANZAFATICHE!

 

Regolamento del 20 marzo 1857

Art. 150- "Il lavoro è istituito nei manicomi come mezzo

di trattamento e di distrazione per i malati".

 

 

 

 

 

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LO SCEMO DEL VILLAGGIO

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Toh, ecco un povero diavolo che è stato internato arbitrariamente dal mio predecessore!

-Non era pazzo?

-No!... Ma lo è diventato.


 


 


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-È stato ritrovato il tizio evaso ieri?

-No, signor Direttore.

-Registrate la sua uscita per... miglioramento.

 

Regolamento del 20 marzo 1857.

Art. 24- "Il direttore segnala immediatamente al prefetto

le evasioni, incidenti, suicidi, ecc".

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Credo sia morto.

-D'ora in poi, evitate di metterli in acqua dopo i pasti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Il segretario vi manda a dire che la sua famiglia si oppone all'autopsia.

-Troppo tardi!... Ho appena finito.

 

Regolamento del 20 marzo 1857

Art.66- "I parenti sono informati del decesso e non si potrà

procedere all'autopsia, quand'essi avranno firmato un'opposizione scritta".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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-Giovanna d'Arco è sempre in cella?... Saranno sei mesi che non la vedo.

-Se il signor Direttore vuole vederla?

-No, è inutile!

 

 

 

 

 

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-Lo aveva detto che sarebbe evaso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

fous_p16_q9.jpg-Come se ne esce.

 

 

 

 

[Traduzione di Ario Libert] 


 

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Asiles et Fous

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9 dicembre 2012 7 09 /12 /dicembre /2012 06:00

La corrente calda della Scuola di Francoforte

Francoforte, Istituto di ricerca socialeFrancoforte. Istituto di Ricerca Sociale

 

di Alexander Neumann

 

bloch-Ernst.jpgLa crisi mondiale del capitalismo fa andare a pezzi gli schemi di pensieri rigidi e ben consolidati, provocando una ricerca di senso intensa, senza che un certo marxismo raffreddato possa apportare delle risposte. Parlo della "corrente calda" della Scuola detta di Francoforte, questo Wärmestrom, termine che è stato inizialmente utilizzato da Ernst Bloch per distinguere la polarizzazione storica del marxismo europeo, tra una corrente fredda, dottrinaria, economicista e calcolatrice, ed una corrente calda, interessata alla soggettività politica ed all'imprevisto. Parlo di una corrente calda della Teoria critica perché si oppone all'accademismo ed alla rinuncia filosofica che distingue le figure mediatizzate della Teoria critica, ad esempio come Jürgen Habermas. Quest'ultimo elimina la parte sovversiva dell'eredità (appoggiandosi su alcuni argomenti conservatori in Adorno Horkheimer).

habermasstudentiFrancoforte68.jpgInvito il lettore a consultare il programma fondatore dell'Istituto di Francoforte. Nel suo manifesto del 1922 per la fondazione di un "istituto di ricerche in scienze sociali", Joachim Gerlach, morto prima dell'inaugurazione ufficiale dell'Istituto di Francoforte di cui era il primo direttore, aveva fissato i seguenti temi: "Sciopero di massa, sabotaggio, vita internazionale del sindacalismo, analisi sociologica dell'antisemitismo, bolscevismo e marxismo, partito e massa, modi di vita dei diversi strati della società" [1].

OskarNegt.jpgL'orientamento dei "francofortesi" si è evoluto in seguito, soprattutto durante l'esilio americano, ma l'impulso fondatore comporta innegabilmente la doppia volontà di analizzare il marxismo in modo critico e di formalizzare una visione teorica radicale. Oggi questa corrente calda mantiene una discussione intorno ad autori riconosciuti mondialmente, come Oskar Negt, Alexander Kluge, Nancy Fraser, Alex Demiroviç, John Holloway e molti altri che sono stati introdotti nello spazio francofono attraverso "Variations", malgrado delle inerzie dell'ambiente [2].

spartachisti2.jpegSi tratta qui di mostrare che la Scuola di Francoforte non è un accademismo, ma una critica in atto della società, che trae la sua forza dalla rivoluzione dei Consigli del 1918, dalla decostruzione del fascismo di massa europeo, dall'esplosione libertaria del 68 e dal movimento contemporaneo che pensa che un altro mondo sia possibile.

68, 13mai1968La corrente calda promette di traboccare le classificazioni storiche ben ordinate che riducono le ramificazioni complesse e sovversive della critica a delle Scuole e degli Ismi. Ricordiamoci che l'appellativo di Scuola di Francoforte è stato imposto all'inizio dai detrattori conservatori della Teoria critica. Ricordiamo anche che la sigla del marchio di trotskysmo è un'invenzione infamante di Stalin, mentre l'anarchismo porta ancora le stigmati semantiche della sua nascita e che Karl Marx rifiutava di dirsi marxista mentre era in vita. Ragione per la quale non è facile definire il marxismo come una teoria critica [3]. Allo stesso modo non siamo obbligati di seguire Perry Anderson, che colloca Theodore Wiesengrund Adorno tra i fondatori della terza generazione di intellettuali marxisti d'Europa, nel suo celebre libro Il marxismo occidentale [4], allorché l'interessato si è opposto contro una simile reificazione ideologica per tutta la vita. La storia della Scuola detta di Francoforte resta tanto più opaca in quanto si ferma nel 1950, almeno per il lettore che consulta l'opera di riferimento di Martin Jay [5]. L'impressionante lavoro di Alex Demiroviç, che ne costituisce il seguito, sino ad una data molto recente non è stato ancora tradotto in francese e in italiano [6].

adorno5Il caso di Adorno chiarisce singolarmente il rischio di museizzazione che colpisce delle stature intellettuali eterodosse e trasgressive, dopo la loro morte. Il centenario di Adorno e le sue celebrazioni ufficiali, nel 2003, ha illustrato una procedura che mira a sistemare l'inclassificabile ed a definire accademicamente il suo pensiero del non-identico. Teorico rivoluzionario, genio del ventesimo secolo? Senza dubbio. Stranamente, questa idealizzazione del grande pensatore diserta la sua intenzione e partecipa alla neutralizzazione del suo potenziale critico. Ricondurre Adorno ad una statura umana è un modo di lottare contro la sua morte intellettuale.

Marcuse-tra-gli-studenti.-Berlino-1968-jpgÈ forse proibito interrogarsi sulle sue motivazioni pessimiste nel corso degli ultimi anni della sua vita, che generarono delle utopie negative a proposito della riuscita totale del capitalismo, proprio avanti l'esplosione del 1968? Sì, il grande teorico ha creduto di individuare un capitalismo che costruisce la sua propria forma sociale, senza errori [7]. A cosa serve tacere la depressione che lo attanagliava durante l'esilio americano? [8]. Perché negare il suo astio passeggero contro Herbert Marcuse, o il modo disinvolto con cui trattava il suo amico Walter Benjamin? Sì, Adorno era un uomo mortale, dunque imperfetto, ha insultato il suo concorrente Marcuse di essere un "fascista impacciato" [9] e suggerito a Benjamin di porsi al riparo, aderendo alla lega degli scrittori nazisti, ma tutto ciò non toglie nulla alla pertinenza esplosiva dei suoi concetti ed argomenti [10].

habermas-cartoonSì, Adorno ha fatto intervenire la polizia per espellere i guastafeste che occupavano l'Istituto di Francoforte nel '68. Le sue reazioni di fronte al movimento studentesco contestatario - a volte disorientato a volte impegnato [11] - non fanno parte di un carattere completo e contrastato? Gli eredi legali e simbolici di Adorno occultano questi elementi, benché quest'ultimi giungano a modo loro a rafforzare l'idea del non-identico, secondo la quale l'unità della teoria e della pratica è un compito sovrumano. Gli eredi partecipano così alla costruzione di un mito, invece di rendere il suo pensiero vivo. Mentre potrebbero ammettere gli aspetti aleatori della sua vita e lasciare libero corso alla ricezione delle sue idee, essi fanno il contrario: nascondere le ombre e controllare la circolazione dei concetti [12]. La tradizione strettamente accademica della Scuola di Francoforte, che merita il suo nome, si afferma oggi contro la critica radicale che ha costituito la sua eredità. Nel suo Agire comunicativo, Habermas accusa Adorno di minacciare le fondamenta delle scienze sociali, attraverso la sua critica del positivismo e della modernità! [13].

Axel_Honneth.jpgIl suo successore, l'attuale direttore dell'Istituto francofortese, Axel Honneth, si permette anche di cancellare i frequenti riferimenti di Adorno ai concetti marxiani, in occasione del suo centesimo anniversario, in un lungo omaggio che eppure è dedicato alla critica adorniana del capitalismo [14]. In questo senso, Honneth nega anche la critica del lavoro che Adorno formula esplicitamente [15], a motivo che la teoria marxiana sarebbe tanto desueta quanto la tradizione ideologica del marxismo, senza nemmeno darsi la pena di entrare nel dettaglio della sua critica dell'economia politica. Le attualizzazioni molto elaborate di altri autori della Teoria critica, come Gerhard Brandt, Oskar Negt e Rainer Zoll [16] riguardanti la critica del lavoro e i rapporti complessi dei salariati nel settore pubblico, non sono mai menzionati da Honneth.

Nancy FraserNella sua polemica con Nancy Fraser, che gli rimprovera di respingere "ogni critica dell'economia politica", Axel Honneth si vede obbligato a tacere gli autori che abbiamo appena citato, in un silenzio assordante [17]. Mentre il direttore dell'Istituto francofortese sottolinea la legittimità della rivolta dei quartieri popolari del novembre 2005 e il sollevamento contro il CPE* del 2006, che egli qualifica come "lotta di riconoscimento" [18], non riconosce l'apporto dei suoi pari [19]. Mi sembra difficilmente concepibile dissociare un movimento contro un contratto di lavoro, il CPE, dalla critica del lavoro e del salariato. Si tratta, forse, di liberare l'Istituto di Francoforte dalla Teoria critica" [20]. In Francia, Honneth si presenta oggi come un "habermassiano di sinistra", mentre Habermas afferma il suo proprio postulato "conservatore" sulla stampa tedesca. Un conservatore di sinistra? Le notevoli esposizioni filosofiche di Honneth sul riconoscimento e la reificazione [21] guadagnerebbero senz'altro in forza se si lasciasse portare da una vasta corrente critica, invece di chiudersi in un'impossibile esclusività [22]. Chi può preferire il canale al fiume?

Hollywood.jpgAdorno ha insistito sul legame teorico tra la critica dell'economia politica, di ispirazione marxiana, e la comprensione dell'insieme delle reificazioni del mondo moderno, soprattutto l'industria culturale [23] o dello spettacolo. Infatti, la critica dell'industria hollywoodiana e dei mass media si ispira direttamente al concetto di "feticismo della merce" che si trova esposta nel Capitale [24]. La corrente calda della Teoria critica ha prolungato questo slancio verso una messa in discussione dei limiti sociali della comunicazione, dello spazio pubblico e delle rappresentazioni culturali, mentre Habermas si sforza di tagliare il ponte con questa parte dell'eredità adorniana, nel suo Agire comunicativo. Honneth riprende questa posizione, quando prende cura di limitare il campo di ricerca all'aspetto morale dei conflitti sociali, opponendo il riconoscimento morale alla ridistribuzione delle ricchezze. Nella sua polemica politico-filosofica con Nancy Fraser, Honneth protesta precisamente contro il collegamento che la femminista new-yorkese propone, tra la critica della struttura sociale del capitalismo contemporaneo, e la comprensione delle motivazioni culturali o etiche dei movimenti socuali che cercano di farsi asoltare all'interno di questa società [25].

castoriadis.jpegInfatti, i giovani in rivolta contro la "cattiva vita", nei quartieri popolari e le università francesi, nel 2006, mostrano molteplici complementarietà e sovrapposizioni [26]. La corrispondenza, tra la questione della giustizia sociale e le motivazioni di ordine etico, è anche una delle tesi di Oskar Negt in Travail et dignité humaine [Lavoro e dignità umana], pubblicato nel 2001 [27]. Allo scopo di mantenere la posizione habermassiana, Honneth si sente obbligato ad aggirare la corrente calda della Teoria critica, e di attaccare al suo posto alcuni autori defunti del marxismo francese, il che egli fa smontando gli argomenti di Althusser e di Castoriadis [28].

02 Revolution-spartakiste-le-5-janvier-1919Se, l'indomani della rivoluzione tedesca dei consigli del 1918, la Teoria critica e il marxismo rivoluzionario mostrano una certa penetrabilità, la comprensione del fascismo e l'esperienza dell'esilio dissociano definitivamente i due percorsi. Già Benjamin, eppure vicino ad alcuni dissidenti comunisti, formula delle critiche inammissibili per il marxismo [29]. Quest'ultimo si vede in seguito affogato, o per lo meno polarizzato intellettualmente, dall'esistenza dello stalinismo e dell'Unione sovietica, mentre la Teoria critica afferra i tormenti di questo mondo amministrato. La comprensione del nazismo e di Auschwitz supera di molto le spiegazioni marxiste della condizione di classe [30]. Mi sembra problematico identificare il marxismo occidentale con una teoria critica, o inversamente la Teoria critica con una specie di marxismo illuminato.

benjamin_levine.pngL'avvertimento di Walter Benjamin del 1940 mostra a qual punto il marxismo tradizionale è incapace di svolgere il ruolo di una Teoria critica: "Nel momento in cui i professionisti della politica, in cui gli avversari del fascismo avevano riposto le loro speranze, sono a terra, attribuendo la loro sconfitta al tradimento della loro causa, si tratta di far uscire la giovane generazione politica dai lacci nei quali i primi l'avevano legata. La nostra considerazione parte dall'idea che la credenza psicorigida di questi politici nel progresso, la loro fede in un "assise di massa", così come la loro subordinazione servile e un apparato di partito incontrollabile, costitiscono tre aspetti di una sola e stessa cosa. Questo accostamento mira a rendere comprensibile a qual punto ci costa abbandonare il nostro pensiero abituale, al servizio di un concetto di storia che evita ogni complicità con quello che questi politici continuano a difendere" [31].

nazismo.jpgIn modo manifesto, il marxismo dottrinario resta oggi impantanato nella ripetizione, senza parlare di quei vecchi marxisti o nuovi filosofi che hanno fatto causa comune con la barbarie stalinista verso la metà del XX secolo. Vedo come prova il fatto che le organizzazioni votate a portare i temi dottrinari del marxismo si nascondono oramai pubblicamente. I comunisti non fanno più campagne in quanto comunisti, i trotskisti non si dicono più trotskisti e i socialisti si vergognano del socialismo. Si deve constatare per forza che l'integralità delle organizzazioni di colorazione marxista fanno i duri d'orecche. Ripetono le traversie dei partiti di massa, attraverso una "azione sottomessa e comandata" [32]. In altri termini, il marxismo tradizionale si inscrive in quell'agire strumentale che la Teoria critica ha radicalmente posto in questione. Secondo Benjamin, la fiducia cieca nel partito è una delle principali cause del disastro, della vittoria del nazismo [33]. Marx, che non era marxista, aveva previsto la catastrofe, ricordando che la storia poteva saldarsi con il naufragio di tutte le classi coinvolte nella lotta. Il Manifesto comunista ne parla esplicitamente: "Der gemeinsame Untergang der kämpfenden Klassen" [34]. Durante il nazismo, sia il proletariato sia la borghesia crollano pubblicamente, politicamente, culturalmente, cancellandosi di fronte a un collettivismo barbaro. Benjamin aveva colto questa minaccia sin dal 1923: "La storia ignora il cattivo infinito che si trova nell'immagine di due guerrieri in lotta perpetua". Aveva annunciato che in assenza di un'uscita dall'alto, tutto era perduto. La vittoria del nazismo, la guerra mondiale, Auschwitz, gli hanno tragicamente dato ragione.

ungheria1956.jpgDopo la Liberazione, marxisti di partito e conservatori si sono trovati d'accordo per occultare la critica trasgressiva dei francofortesi. Eppure, Adorno e Horkheimer discutono nel 1956 i contorni precisi di una versione contemporanea del Manifesto comunista [35]. Si tratta di un testo attraverso il quale i due autori cercano allora "di farsi carico delle condizioni attuali", e cioè l'esperienza del fascismo, dello stalinismo e gli effetti apolitici della sociatà di massa, di cui hanno fatto conoscenza durante il loro soggiorno negli Stati Uniti. Conviene precisare che le discussioni preparatorie alla redazione di questo Manifesto intervengono dopo la denuncia pubblica dei crimini di Stalin da parte del nuovo capo del cremlino, in piena guerra fredda, mentre il terrore maoista imperversa ancora in Cina. In Europa, il 1956 segna lo schiacciamento della rivoluzione dei consigli ungherese, da parte dei carri armati sovietici. Adorno e Horkheimer decidono infine di affrontare gli aspetti teorici di questi enormi problemi, temendo di essere coinvolti in una bufera ideologica, distruttrice e sterile. Le loro critiche, portate dalla corrente calda della Teoria critica, emergono dieci anni più tardi pubblicamente, attraverso il movimento di protesta degli studenti tedeschi, che prende avvio alla fine degli anni sessanta.

68retour_moutons.gifL'avvento del 68 permette una prima riappropriazione della Teoria critica, quando gli studenti e i salariati insorti (parigini, berlinesi o praghesi) aprono i libri dei "francofortesi", sino ad allora rimasti confidenziali. La critica del mondo amministrato conduce a una messa in questione delle forme burocratiche dello Stato sociale e del carattere apolitico delle organizzazioni di massa. L'analisi del feticismo della merce, dell'industria dello spettacolo e dei mass media scuote le rappresentazioni reificate. L'analisi della personalità autoritaria attualizza le intuizioni sociologiche di Freud; giunge a scuotere le forme di comando e di disciplina, dall'impresa alla scuola, passando attraverso il partito. Le prime analisi del fascismo (Wilhelm Reich, Franz Neumann, Erich Fromm) che mostrano il potenziale regressivo di alcuni movimenti di massa, circolano di nuovo.

muro-berlino.jpgPoi, grazie all'implosione dello stalinismo seguita alla caduta del muro di Berlino nel 1898, degli autori viventi della teoria critica sono discussi di nuovo. L'opera di Negt e Kluge che comprende quasi mille pagine, Histoire et subjectivité rebelle [Storia e soggettività ribelle], è ristampata in edizione economica nel 1992, poi rilanciata nel 2001. Il libro predice il crollo del socialismo burocratico e crede che un altro mondo sia possibile: "La delusione di fronte al principio della realtà non comporta per forza l'adattamento dei comportamenti. È probabile che gli esseri umani non giungerano a sparire seguendo questo principio, incapaci di riconoscervi una speranza utopica che ha potuto esistere all'inizio del XIX secolo, o nei romanzi di Jules Verne. Così, esiste una società capitalista o anche la società della RFT, senza che i principi capitalisti o "socialisti" giungano ad impadronirsi degli spiriti" [36].

papa_pinochet.jpgLa situazione attuale, rende credibili i discorsi dei positivisti e conservatori, secondo i quali l'emancipazione non sarebbe considerabile, o accredita la critica dell'azione strumentale, con le parole dell'emancipazione? La caduta del muro sarebbe la prova che il realismo mercificatorio e burocratico avrebbe trionfato? Si ignora allora i criteri d'azione dei capi della RDT, decima potenza del mercato mondiale. La dittatura cinese, condizione della dinamica capitalista attuale, testimonierebbe della morte della critica democratica e libertaria formulata da Marx e i suoi successori francofortesi? Lo schiacciamento militare della democrazia sociale cilena da parte del Generale Pinochet, organizzatore di un capitalismo senza ostacoli, sarebbe un modello di modernizzazione?

Manager e Direttori di risorse umane globalizzate, che profittano dell'implosione del socialismo sovietico per valorizzare il loro proprio modo di agire, ignorano davvero che l'industrializzazione forzata, il controllo del lavoro, l'accumulazione economica, il culto dell'emulazione e l'introduzione del concetto di "capitale umano" datino dall'era di Stalin? Ovunque, le retrograde accuse portate contro l'idea di emancipazione, in nome del severo bilancio eretto contro il marxismo dottrinario, tacciono gli argomenti della Teoria critica. Ecco alcune piste che indicano che la Teoria critica è attuale e viva...

 

[Segue]


 

Alexander Neumann

 

 

[Traduzione di Ario Libert]

 

* Il CPE (in francese Contrat Première Embauche, contratto di primo impiego) era un tipo di contratto proposto per legge in Francia per entrare in vigore nell'aprile 2006 e che come punto saliente offre la possibilità ai datori di lavoro di licenziare senza giustificazione i lavoratori con meno di 26 anni nei primi due anni di impiego. Il governo, che ha proposto tale legge nella persona del primo ministro Dominique de Villepin, ritiene che in tal modo si potrà sconfiggere la cronica disoccupazione giovanile. La legge ha incontrato le resistenze degli studenti, dei sindacati, degli attivisti di sinistra e di molta parte dell'opinione pubblica, che non vedono con favore la maggiore precarietà lavorativa che si verrebbe a produrre ed evidenziano la possibilità dell'instaurarsi di una minore tutela dei lavoratori e delle fasce più giovani della popolazione. Contro il CPE si sono svolte nei primi mesi del 2006 numerose proteste di piazza in più di 150 città francesi. A partire dal mese di marzo le proteste sono diventate sempre più forti ed eclatanti, contemplando l'occupazione di più della metà delle Università francesi fra cui la Sorbona e proteste degenerate in guerriglia urbana. Il 28 marzo 3 milioni di persone sono scese in piazza per lo sciopero generale organizzato dai sindacati, paralizzando così l'intero paese. Altre proteste e altri scioperi hanno continuato a bloccare il paese nei giorni successivi. Il 10 aprile il presidente Jacques Chirac ha deciso di ritirare il CPE a causa delle forti pressioni interne al suo stesso partito, preoccupato per le dimostrazioni di piazza sfociate in guerriglia urbana e di rimpiazzarlo con un dispositivo per favorire l'ingresso dei giovani in difficoltà nel mondo del lavoro.

 

NOTE

 

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[1] Citato da Detlef Sigfried, Das radikale Milieu, Deutscher Universitäts-Verlag, Wiesbaden, 2004.

[2] Oskar Negt, L’espace public oppositionnel, Testi scelti, introdotti e tradotti da A. Neumann, Payot et Rivages, coll. Critique de la Politique, 2007; Nancy Fraser, "Théorie de la société et théorie de la justice" (colloquio con Estelle Ferrarese) in: A. Neumann / J. M. Vincent (Dir.), Sciences sociales et engagement, Syllepse, 2003; John Holloway, "Un mouvement contre et au-délà", in: Mouvement social et politiques de la transgression (Dir. A. Neumann), éd. Parangon, 2006; Alex Demiroviç, "Liberté et humanité" (trad. A. Neumann), Variations N. 6, printemps 2005; John Holloway, "Adorno au milieu de la fôret lacandon" (colloquio con A. Neumann), Variations N. 8, autunno 2005; Oskar Negt e Alexander Kluge, "Ce que le mot prolétariat signifie aujourd’hui", Variations N. 9-10, primavera-estate 2007. 

[3] Vedere Antoine Artous, Le marxisme comme théorie critique, Syllepse, 2006.

[4] Perry Anderson, Il dibattito nel marxismo occidentale, Laterza, Bari, 1976; tr. it. di Considerations on Western Marxism, New Left Book, Londra, 1972.

[5] Martin Jay, L'immaginazione dialettica, Einaudi, Torino, 1979; tr. it. di The Dialectical Imagination. A History of the Frankfurt School and the Institute of Social Research, 1923-1950, Boston-Toronto, 1973.

[6] Alex Demiroviç,  Der non-konformistische Intellektuelle. Die Entwicklung der Kritischen Theorie zur Frankfurther Schule, Suhrkamp, Francfort am Main, 1999. [Il lettore italiano può avvalersi dell'altrettanto ponderoso studio di Rolf Wiggershaus, La Scuola di Francoforte. Storia. Sviluppo teorico. Significato politico, tr. it. di Die Frankfurter Schule, München, 1986; Boringhieri, Torino, 1992 (n. d. T.)].

[7] Vedere Negt/Kluge, Geschichte und Eigensinn, 2001.

[8] Vedere Alex Demiroviç, op.cit.

[9] Lettera a Horkheimer datata 13/5/1935. Detlev Claussen, Adorno. Ein letztes Genie, Fischer, 2004, p.220.

[10] Lettera di Adorno a Benjamin datata 5 aprile 1934, in: Correspondance Adorno-Benjamin, éd. La Fabrique, 2003, p.82; vedere anche la ricca prefazione iniziale di Enzo Traverso "Adorno et Benjamin: Une correspondance à minuit dans le siècle", pp. 7-41.

[11] Adorno accetta il dibattito pubblico con il movimento attraverso l'SDS (gioventù socialiste), recandosi alla sua occupazione di Francoforte nel 1967. In seguito, partecipa alla convergenza del principale sindacato (IGM), dell'SDS e dei professori di sinistra, durante la campagna del 1968 contro delle leggi eccezionali. Vedere Detlev Claussen, Adorno. Ein letztes Genie, Fischer, 2003; Alex Demiroviç, op.cit.; Oskar Negt, 68-Politische Intellektuelle und die Macht, Steidl, 1998.

[12] L’accesso dei biografi e ricercatori nel fondo degli archivi Adorno è strettamente controllata, i diritti d'autore riguardanti le traduzioni verso lingue straniere sottoposte a criteri evidentemente ideologici. Così, la prefazione di Traverso alla Correspondance Adorno-Benjamin (op.cit.) ha dovuto essere ritirata, quando invece i diritti d'autore a proposito di Écrits sur le nazisme di Adorno sono stati rifiutati a un'altra casa editrice parigina.

[13] Jürgen Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Vol. 1, Suhrkamp, 1981, p. 517: La critica adorniana approderebbe "a una valorizzazione completa delle scienze sociali".

[14] Axel Honneth, "Skizze der Gesellschaftstheorie Adornos" in: Dialektik der Freiheit (collettivo), Suhrkamp, 2006.

[15] Vedere ad esempio Adorno, "Freizeit" in: Kulturkritik und Gesellschaft II, Suhrkamp, 1997, p. 647.

[16] Si tratta eppure di ricercatori di primo piano, formatisi alla scuola di Francoforte. Vedere Gerhard Brand, Arbeit, Technik und gesellschaftliche Entwicklung, Suhrkamp, 1992; Joachim Backhaus, Dialektik der Wertform, éditions ça ira, 1995; Oskar Negt, Arbeit und menschliche Würde, Steidl, 2001; Rainer Zoll, Was ist Solidarität heute?, Suhrkamp, 2001. La lista non è esaustiva.

[17] Axel Honneth/ Nancy Fraser; Umverteilung oder Anerkennung. Eine politisch-philosophische Kontroverse, Suhrkamp, 2003, pp. 274-280.

[18] Vedere Axel Honneth "Le CPE bat en brèche les attentes de reconnaissance du travailleur", Le Monde, 2 avril 2006; Honneth, Kampf um Anerkennung, Suhrkamp, 1998.

[19] Nella sua polemica "politico-filosofica" con Mancy Fraser, Honneth espone estesamente, perché la Teoria critica non avrebbe trovato alternative alla tesi di Habermas, che riduce l'esperienza dei salariati a un fenomeno apolitico. Nancy Fraser, Umverteilung oder Anerkennung. Eine politisch-philosophische Kontroverseaser/Honneth, Surhrkamp, 2003, pp. 276-282.

[20] Detlev Claussen constata che  l'impresa di "storicizzazione della vecchia Teoria critica nega l'unità del secolo breve, il ventesimo, che corrisponde ad un'esperienza comune dell'insieme delle teorie critiche", in: Utopie und Arbeit (Dir. Freytag/Hawel), éd. Humanities, Francfort, 2004.

[21] Vedere Honneth, La réification, testi raccolti e tradotti da Stéphane Haber, Gallimard, 2007.

[22] Il tentativo di Honneth di presentarsi come l'erede legittimo della Scuola di Francoforte appare anche, nel 2004, nel lancio della sua rivista WestEnd (luogo geografico ell'Istituto fondatore a Francoforte), il cui sottotitolo riprende il nome che la rivista dell'Istituto portava prima della guerra (Zeitschrift für Sozialforschung).

[23] La prima versione di Dialettica dell'Illuminismo di Adorno e di Horkheimer, redatta negli Stati Uniti, comporta dei riferimenti espliciti al Il Capitale di Marx, che spariscono nella versione edita nel 1944.

[24] Vedere Jean-Marie Vincent, Critique du travail, PUF, 1987.

[25] Fraser si duole della dicotomia teorica che "identifica la politica a favore della ridistribuzione ad un orientamento di "classe", mentre la politica a favore del riconoscimento si trova legata a un orientamento della "identità". Quest'ultima è a sua volta rapportata ai conflitti legati alla sessualità, al genere, se non alla "razza". Questo tipo di connessione teorica porta anche ad un vicolo cieco", Fraser/Honneth, op. cit. p.21. Vedere anche Nancy Fraser, Qu’est-ce que la justice sociale? Reconnaissance et redistribution (testi raccolti, tradotti e prefatti da Estelle Ferrarese), La Découverte, 2005.

[26] Le rivolte del 2005 e il movimento contro il CPE testimoniano entrambi di un rifiuto della precarietà sociale e di un senso d'ingiustizia, che intreccia delle motivazioni sociali e morali. Numerosi studenti delle scuole medie e liceali delle scuole della periferia si sono inoltre uniti alle manifestazioni contro il CPE. Vedere ad esempio Alain Bertho, "Grondements de bataille", in: Varitions - Revue internationale de théorie critique, Lione, autunno 2006; Jock Young, "To these wet and windy shorts", in: The Vertigo of late modernity, Sage, NYC, 2007.

[27] Negt, op.cit.

[28] Vedere la sua critica ad Althusser; Honneth, "Anerkennung als Ideologie?" in: Westend; Neue Zeitschrift für Sozialforschung. N.1, Francfort, 2004, p. 51, così come la sua critica ontologica di Castoriadis in Honneth/Fraser, op.cit., p.277.

[29] Vedere Michael Löwy, Avertissement d’incendie. Une lecture des thèses sur le concept d’histoire, PUF, 2001, p. 82: "La rimessa in causa, da parte delle tesi, dell'ideologia del progresso, è molto più profonda e va molto più lontano delle idee critiche (delle) correnti marxiste dissidenti".

[30] Vedere il primo capitolo della presente opera.

[31] Traduciamo, allo scopo di rendere esplicitamente i termini "massa" e "concetto di storia" utilizzati da Benjamin, benché la traduzione francese già esistente ci sembri corretta (Walter Benjamin, sul concetto di storia, in: Œuvres III, Gallimard, Paris, 2000, p. 435). Benjamin, "Über den Begriff der Geschichte" in: "Sprache und Geschichte, Reclam, Stuttgart, 2000, p.147.

[32] Jean-Marie Vincent, "Face au parti ouvrier", in: Max Weber ou la démocratie inachevée, Le Félin, 1998.

[33] Vedere Walter Benjamin, Sul concetto di storia (Tesi X) in: Œuvres, Seuil, 2001.

[34] Karl Marx, "Manifest der kommunistischen Partei" in: Frühschriften, Kröner, 2005.

[35] Vedere Detlev Claussen, Theodor W. Adorno, ein letztes Genie, Fischer, 2003, pp.267-69.

[36] Negt/Kluge, Geschichte und Eigensinn, Suhrkamp, 1993, p. 895.


 

LINK al post originale:

Le courant chaud de l'École de Francfort 

 

LINK pertinenti:

Jan Spurk, Sul futuro delle teorie critiche. Proposte eretiche per farla finita con la doxa

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  • : La Tradizione Libertaria
  • : Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
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