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Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.

Marxismo critico. Wertkritik. Anselm Jappe, Con Marx, contro il lavoro, da: "Critique de la valeur", ottobre 2009.

Con Marx, contro il lavoro

lavoro-lewis_Hine.jpg

Anselm Jappe

 

A proposito di Moishe Postone, Temps, travail et domination sociale. Une réinterprétation de la théorie critique de Marx [Tempo, lavoro e dominio sociale. Una reinterpretazione della teoria critica di Marx], trad. O. Galtier e L. Mercier, Mille et une nuits, Parigi, 2009, 591 pp.; Isaac I. Roubine, Essais sur la théorie de la valeur de Marx [Saggi sulla teoria del valore di Marx, Feltrinelli, Milano, 1976], trad. J.-J. Bonhomme, Éditions Syllepse, Paris, 2009, 335 pagine. 


Temps travail et domination socialeAssumendo come parola d'ordine la liberazione del lavoro, la fine dello sfruttamento, i marxisti tradizionali hanno trascurato il fatto che Marx conduce una critica non soltanto dello sfruttamento capitalista, ma del lavoro stesso, così come esiste nella società capitalista. Da allora, non si tratta di rimettere al centro il lavoro, ma al contrario di criticare il posto centrale assunto dal lavoro in questo sistema, in cui esso determina tutti i rapporti sociali. È questo l'oggetto della rilettura di Marx operata in Temps, travail et domination sociale [Tempo, lavoro e dominio sociale] da Moishe Postone.

 

Roubine.pngVi sono a volte delle felici coincidenze nell'editoria. Così, la collana Mille et une nuits (Fayard) ha pubblicato la traduzione francese di Temps, travail et domination sociale. Une réinterprétation de la théorie critique de Marx [Tempo, lavoro e dominio sociale. Una reinterpretazione della teoria critica di Marx] di Moishe Postone, pubblicato negli Stati Uniti nel 1993,mentre le edizione Syllepse hanno ripubblicato Essais sur la théorie de la valeur de Marx [Saggi sulla teoria del valore di Marx] di Isaac I. Rubin, la cui edizione russa risale al 1924 e l'edizione francese precedente (presso Maspéro, e esaurita da molto tempo) al 1978. Così il pubblico francofono ha in un sol colpo a sua disposizione due dei pilatri più importanti- si potrebbe quasi dire anche il punto di partenza e il punto di arrivo provvisorio- di una rilettura di Marx basata sulla critica del lavoro astratto e del feticismo della merce [1].

 

Isaak-Rubin-1910Eppure non si potrebbe immaginare vite così diverse da quelle di questi due autori: mentre l'Americano Postone, dopo degli studi di filosofia in Germania presso degli eredi di Adorno, trascorre piacevoli giorni come professore a Chicago, partecipa a numerosi colloqui su Marx e vede il suo libro tradotto in diverse lingue, la vita del Russo Rubin è stata drammatica: nato nel 1885, aderì alla Rivoluzione e divenne professore di economia a Mosca. Arrestato nel 1930 e condannato come "menscevico" a cinque anni di deportazione, è arrestato di nuovo nel 1937, quando il terrore stalinista è al suo culmine, e sparisce- non si sa nemmeno esattamente dove, quando ne come. Era allora sconosciuto in Occidente. Attraverso le misteriose vie della storia, un esemplare della sua principale opera giunse trent'anni più tardi tra le mani del militante d'estrema sinistra americano Freddy Perlman che la tradusse in inglese e la pubblicò nel 1969 presso la sua famosa casa editrice Black and Red. Questa traduzione in inglese servì da base alle edizioni pubblicate successivamente in diverse lingue europee, e alcuni altri libri di Rubin furono anche inseguito scoperti e tradotti. Tuttavia, con la generale diminuzione d'interesse per una lettura rigorosa dell'opera di Marx dopo gli anni 70, cadde di nuovo nell'oblio.

 

marx karl, LevineTrent'anni più tardi, tutti i media sono d'accordo: Marx è di ritorno. La sua "morte" proclamata verso il 1989, non fu che un'ibernazione che non è durata che un decennio. Oggi, Marx è di nuovo all'onore nei colloqui; è stato eletto "il più grande filosofo della storia" dagli auditori della BBC; il Papa lo cita e milioni di elettori votano per dei partiti che si richiamano a lui. Ma cosa si nasconde dietro questa stupefacente resurrezione, inspiegabile per i seguaci di Popper, di Hayek e di Furet? La risposta sembra evidente: le devastazioni che il mercato scatenato produce, il divario tra ricchi e poveri che cresce di nuovo, la crisi economica che minaccia numerose esistenze, anche nei paesi "sviluppati". Marx appare allora come colui che lo aveva sempre detto: la moderna società non è assolutamente armoniosa, ma si fonda sull'antagonismo di classe, il lavoro è sempre sfruttato dal capitale, e coloro che non possiedono che la loro forza lavoro non possono resistere che associandosi in vista di ottenere una regolazione politica del mercato. Una tale critica del capitalismo non può che portare che a richiedere un nuovo modello di regolazione di tipo socialdemocratico e keynesiano (di cui la realizzazione resta abbastanza improbabile). La critica del capitalismo si fa più spesso in nome del lavoro: bisogna soprattutto che coloro che lavorano ricevano in cambio una giusta somma di denaro.

 

exit GermaniaQuesto "ritorno di Marx" sulla scena mediatica ed elettorale si è dunque rivelata essere soprattutto un ritorno del marxismo più tradizionale, appena riverniciato. Ma si sviluppano anche altre forme di critica sociale ispirate al pensiero di Marx. Da vent'anni, si assiste all'elaborazione di una critica del capitalismo centrato sui concetti di merce, di lavoro astratto e del feticismo che ne deriva. In Germania, il movimento della "critica del valore" si è formata a partire delle riviste Krisis (dal 1987) e Exit (dal 2004). Il suo autore più noto è Robert Kurz [2]. Moishe Postone [3] ha sviluppato nello stesso periodo, e indipendentemente, una lettura di Marx spesso simile. Le 600 dense pagine di Temps, travail et domination sociale rappresentano manifestamente la realizzazione di una vita, un'opera alla quale l'autore ha dedicato due decenni di riflessione. Molto rigoroso, questo libro riprende continuamente i suoi temi centrali, assumendo il rischio di una certa ripetitività. Poco preoccupato dell'eleganza delle sue formule, è sempre di una perfetta chiarezza e non evita nessuno dei problemi che solleva. In rapporto agli scritti di Robert Kurt, il libro di Postone ha un oggetto più ristretto: la reinterpretazione della teoria di Marx (che ha tuttavia, di sicuro, conseguenze più vaste). Ma su questo argomento, è già diventato un riferimento inevitabile, soprattutto nel mondo anglosassone: i marxisti "tradizionali", presi in considerazione ad ogni pagina del suo libro, si sono visti obbligati a discutere a lungo le sue tesi e tentare di confutarle [4].

 

La vera critica marxiana del lavoro 

postoneDov'è lo scandalum del libro di Postone? La sua interpretazione di Marx è spesso all'esatto opposto di quelle proposte durante più di un secolo da quasi tutti i marxisti (anche se egli instaura un dialogo, tuttavia molto critico, con Georg Lukács, Rubin, la Scuola di Francoforte e Lucio Colletti). La sua ricostruzione del "cuore" della critica marxiana [5] del capitalismo – che Postone distingue dalla critica che lo stesso Marx ha rivolto alle forme empiriche che il capitalismo ha potuto assumere durante il XIX secolo – si fonda su questa tesi: per Marx, il lavoro non costituisce il punto di vista a partire dal quale criticare il capitalismo: è esso stesso oggetto della critica. Fondandosi quasi esclusivamente sulla critica dell'economia politica formulata da Marx nelle sue opere della maturità - sopratutto i Grundrisse  [6]Il Capitale [7] – Postone afferma che Marx non ha tentato di stabilire delle leggi generali del divenire storico. Le sue analisi non si riferiscono che al solo modo di produzione capitalista: "L'idea che il lavoro costituisce la società e che è la fonte di ogni ricchezza non si riferisce alla società in generale, ma alla sola società capitalista (o moderna)" (p. 17). E' soltanto nella società che il lavoro diventa la mediazione sociale generale, perché non è che in essa che il lavoro possiede una doppia natura, nel contempo lavoro concreto e lavoro astratto.

grundrisse01.jpgA causa della grande confusione che regna a questo proposito anche tra le persone considerate come dei marxisti titolati, bisogna sottolineare che il "lavoro astratto" in senso marxiano non ha nulla a che vedere con il "lavoro immateriale" e che il lavoro astratto e il lavoro concreto non sono due generi di lavoro distinti, né due fasi dello stesso lavoro. Nel capitalismo, ogni lavoro ha due aspetti: da un lato, è uno dei numerosi lavori concreti, che producono uno dei numerosi valori d'uso, ognuno diverso dagli altri. Ma ogni lavoro è allo stesso tempo un semplice dispendio di tempo di lavoro, di energia umana. Questo tempo speso non conosce che differenze quantitative: a volte si è lavorato un'ora, a volte tre. È questo dispendio di tempo che determina il valore di una merce. Il valore si presenta sotto la forma di una certa quantità di denaro. Il lato puramente temporale, astratto del lavoro non è dunque una semplice operazione mentale, ma diventa reale nel prezzo che decide finalmente del destino di una merce. Nella società capitalista, il lato astratto, e dunque monetario, prevale del tutto sul lato concreto, come l'utilità o la bellezza di un oggetto, il che significa anche che è l'aspetto temporale del lavoro a dominare. Nella società capitalista, gli uomini sono anche dominati dalle astrazioni.

marx, il CapitaleSecondo Postone, Marx aveva concepito la sua analisi del lavoro astratto, della merce, del valore e del denaro come una vigorosa critica di queste categorie che costituiscono la base del capitalismo - e di esso soltanto. Tuttavia, i marxisti tradizionali hanno creduto di vedere qui la descrizione di un fatto ontologico e transtorico, valido universalmente, e non si sono da allora più interessati che alla distribuzione di queste categorie, e dunque alla ripartizione del plusvalore [8]. Il mercato e la proprietà giuridica dei mezzi di produzione , con la strutture di classe ineguale che ne deriva, rappresentano per il marxismo tradizionale il livello più profondo del sistema capitalista, un livello che si nasconderebbe dietro l'eguaglianza apparente che regna nello scambio delle merci.

La critica di Marx, secondo Postone, è ben più radicale: per Marx, il mercato e la proprietà giuridica dei mezzi di produzione sono dei fenomeni dipendenti dalla sfera della distribuzione. Ora, la sua vera critica riguarda la produzione. La caratteristica principale della produzione nel regime capitalista è di essere strutturato dalla doppia natura del lavoro. La critica marxiana tende dunque a superare il ruolo stesso del lavoro nella società moderna. Nelle società precapitaliste, il lavoro è creazione di ricchezza materiale [9] dall'azione dell'uomo sulla natura, e questa ricchezza è in seguito redistribuita secondo delle relazioni sociali stabilite su altre basi oltre il lavoro (queste basi non essendo tuttavia necessariamente giuste, o razionali: esse possono ad esempio essere tratte dalla tradizione o da gerarchie stabilite esse stesse dalla forza). La ricchezza materiale, presa in sé, "non costituisce i rapporti tra gli uomini né determina la sua propria distribuzione. L'esistenza della ricchezza in quanto forma dominante di ricchezza sociale suppone l'esistenza di forme non camuffate per i rapporti sociali che la mediatizzano" (p. 230).

lavoro-Lewis-Hine-Midnight_at_the_glassworks.jpgNel capitalismo, il lavoro è per di più creatore di valore, dunque in grado di misurare gli apporti dei produttori particolari. Il valore è un rapporto sociale espresso attraverso delle merci, e le relazioni tra le merci dipendono dal rapporto sociale che esse incarnano. È ciò che Marx chiama il "feticismo della merce". La produzione di ricchezza materiale e di valore non coincidono del tutto: gli aumenti della produttività, dovuti alla tecnica, fanno sì che una quantità crescente di ricchezza materiale sia prodotta in meno tempo. Essa contiene dunque meno valore, perché quest'ultimo è determinato esclusivamente in funzione del tempo speso, e contiene dunque anche meno plusvalore e meno profitto.

lavoro-Lewis-Hine-skyboy.jpegIn una società postcapitalista, il lavoro non sarebbe più la misura della ricchezza sociale, dunque non strutturerebbe più i rapporti sociali. Una tale rivoluzione è effettivamente resa possibile oggi, secondo Postone, con la sostituzione del lavoro umano con le macchine, che fa sì che oramai la ricchezza materiale sia prodotta in piccola parte attraverso il tempo di lavoro diretto. Questo divario sempre più ampio tra produzione di ricchezza materiale e produzione di valore è la causa profonda della crisi del capitalismo. Quest'ultimo diventa semplicemente anacronistico in quanto alla sua base, il lavoro che crea valore, perde la sua importanza. "In altri termini, il superamento del lavoro concreto effettuato dal proletariata" (p. 51) in modo che "il sovraprodotto non è più creato dapprima attraverso il lavoro umano immediato" (p. 67). Per il marxismo tradizionale, al contrario, il lavoro è sempre, in ogni società, il principio che struttura la vita sociale. Nel capitalismo, questo ruolo del lavoro sarebbe occultato, mentre apparterebbe al socialismo gettarvi luce. Si tratterebbe dunque, in questa visione, di far trionfare il lavoro, concepito come eterno rapporto del lavoratore con la natura, su quelli che parassitano dall'esterno, in quanto proprietari dei mezzi di produzione. Da allora, si è potuto pensare che la collaborazione creata nelle fabbriche costituiva un modello per la società comunista, e che si trattava semplicemente di liberare il lavoro dal suo sfruttamento da parte dei capitalisti.

 

lavoro-Lewis-Hine-Child_coal_miners_-1908-.jpgAl contrario, Postone afferma che la "teoria dovrà contemporaneamente liberarsi dalle concezioni evoluzioniste della storia e dall'idea secondo la quale la vita sociale degli uomini si fonda su un principio ontologico che 'viene a sé' nel corso dello sviluppo storico: ad esempio, il lavoro nel marxismo tradizionale o l'agire comunicativo nei recenti lavori di Habermas" (p. 39). Non è che nel capitalismo che un solo principio omogeneo - il lavoro, non come insieme di lavori concreti, ma in quanto massa globale di lavoro senza qualità - regge tutta la vita sociale, ponendosi come obiettivo, naturale e eterno. Nelle altre società, le diverse sfere della vita obbediscono a delle logiche differenti, e i rapporti non "possono essere impiegati a partire da un unico principio strutturante e non annettono alcuna logica storica necessaria immanente" (p. 124). Esiste sempre qualche forma di"lavoro" come produzione di ricchezza materiale, ma non è che nel capitalismo che troviamo un lavoro che si basa e di mediatizza esso stesso, costituendo così una forma totale di mediazione sociale. Il problema non è il supposto carattere "strumentale" di ogni lavoro (come pretende Habermas), in quanto il rapporto con la natura. Non è "naturale" al lavoro produrre del valore, non è che il lavoro astratto a farlo, e quest'ultimo, in quanto "astrazione reale", e non come semplice generalizzazione mentale, non esiste che nel capitalismo.

lavoro-disoccupati.jpgNel capitalismo, non sono soltanto il rapporto con la natura, ma anche i rapporti tra gli uomini ad essere mediati attraverso il lavoro; questi due aspetti della vita sociale sono saldati. "La funzione sociale unica del lavoro sotto il capitalismo non può apparire direttamente come un attributo del lavoro perché il lavoro, in e per sé, non è un'attività socialmente mediatizzante; soltanto un rapporto sociale non camuffato può apparire come tale. La funzione storicamente specifica del lavoro non può apparire che oggettivata, che in quanto valore sotto le sue diverse forme (merce, denaro, capitale)" (P. 250). Così, le forme oggettivate del lavoro, la merce e il capitale, sono delle "forme astratte e impersonali [che] non velano soltanto ciò che si considera tradizionalmente come i rapporti sociali "reali" del capitalismo, e cioè i rapporti di classe; esse sono i rapporti reali del capitalismo che strutturano la sua traiettoria dinamica e la sua forma di produzione(p. 19-20).

lavoro-Charlot.gifIl dominio di una classe su un'altra è ancora oggi considerata come il cuore della teoria di Marx dalla maggior parte di coloro che si dicono marxisti, compresi coloro che non attribuiscono più un ruolo predominante agli operai industriali. Secondo Postone, questo dominio è reale, ma non è che un fenomeno superficiale, appartenente alla sfera del mercato e della distribuzione. "Nell'analisi di Marx, il dominio sociale non consiste, al suo livello fondamentale, nel dominio degli uomini sugli altri uomini, ma nel dominio degli uomini da parte di strutture sociali astratte a cui gli stessi uomini danno vita" (p. 53-54). Le forme feticiste non mistificano il lavoro come vera fonte di ogni ricchezza, ma sono delle forme apparenti necessarie di una realtà in cui i rapporti delle persone sono dei rapporti tra cose. Postone torna così su tre concetti del marxismo "critico" (introdotti soprattutto da Georg Lukács in Storia e coscienza di classe, del 1923): la totalità, il soggetto e l'alienazione. La caratteristica del capitalismo, e soltanto di esso, è di avere una sostanza omogenea, una totalità, e cioè il lavoro. Questa totalità è dunque, secondo Postone, da abolire e non da realizzare. Il vero soggetto nel capitalismo non è né l'umanità né il proletariato, ma la forma oggettivata del lavoro: il capitale. Si tratta dunque di superare questo soggetto, e non di farlo trionfare: "L'appello alla piena realizzazione del Soggetto non significa che la piena realizzazione di una forma sociale alienata" (p. 125).

Non è la teoria della "morte del soggetto", ma l'affermazione di una vera soggettività non può costituirsi se non superando la forma-soggetto generata dal lavoro in quanto mediazione sociale oggettivata. Superare l'"alienazione" non significa allora restaurare un soggetto già esistente dietro delle mistificazioni, un soggetto che, anche oppresso e nascosto, si situerebbe, per essenza, oltre il rapporto capitalista. Per il marxismo tradizionale, il proletariato era un tale soggetto. Per il Marx di Postone, "superare l'alienazione significa abolire il Soggetto che si muove e si fonda esso stesso (il capitale) e la forma lavoro che costituisce ed è costituita dalle strutture dell'alienazione; ciò permetterebbe al'umanità di appropriarsi di ciò che è stato creato sotto una forma alienata. Superare il Soggetto storico permetterebbe per la prima volta agli uomini di diventare i soggetti delle loro pratiche sociali" (p. 331).

Si deve riconoscere che è il lavoro stesso ad essere alienato quando non è soltanto un rapporto con la natura, ma anche una mediazione sociale oggettivata: "Ogni teoria che pone che il proletariato in quanto Soggetto implica che l'attività costituente il Soggetto sia da realizzare, e non da abolire. Da cui deriva che l'attività stessa non può essere vista come alienata. Nella critica fondata sul "lavoro", l'alienazione si radica necessariamente fuori dal lavoro, nel suo controllo attraverso un altro concreto: la classe capitalista(p. 129).

 

Tempo astratto e tempo concreto

 

Postone dedica una lunga digressione storica alla nascita del "tempo astratto". Quest'ultimo non è "naturale", è la causa e la conseguenza dello sviluppo capitalista. Mentre il tempo concreto dipendente", tempo astratto, che nasce in Europa alla fine del Medio Evo e non esiste altrove, è un flusso vuoto, "una variabile indipendente; costituisce un quadro indipendente all'interno del quale il movimento, gli avvenimenti o l'azione avvengono. Questo tempo è divisibile in unità non qualitative, costanti, uguali" (p. 300) [10]. Il tempo astratto è dunque costituito socialmente (invece di essere, come voleva Kant, un a priori trascendentale), ma si presenta come un dato oggettivo. Domina i produttori e i capitalisti stessi, imponendo loro in quali tempio essi devono realizzare la loro produzione per non cadere al di sotto dello standard di produttività stabilito dalla logica temporale del valore [11]. Per illustrarlo, si può riferirsi a un esempio dato da Marx: dopo l'invenzione del mestiere del tessitore a vapore all'inizio della Rivoluzione industriale, il tempo socialmente necessario per produrre una data quantità di tela è scesa da un'ora a mezz'ora. L'artigiano tradizionale che continuava a impiegare un'ora per tessere la sua tela vedeva tuttavia il suo "valore" ridotto a mezz'ora, e crepava di conseguenza di fame. La tela era rimasta uguale come ricchezza materiale, ma in quanto ricchezza sociale, era ridotta della metà. La subordinazione dell'aspetto concreto della produzione alla sua sola dimensione temporale è per Postone l'"espropriazione" fondamentale che "precede logicamente il tipo di espropriazione sociale concreta associata alla proprietà privata dei mezzi di produzione", essa "fondamentalmente non ne deriva(p. 153).

 

La totalità capitalista non è la vittoria completa del tempo astratto, ma l'unità contraddittoria del tempo astratto e del tempo concreto. I progressi della produttività ridefiniscono l'ora sociale, che a sua volta ridefinisce il livello di base della produttività. È una corsa-inseguimento, un effetto "valanga" che crea da se - anche prima del dinamismo introdotto dall'opposizione delle classi - il carattere dinamico e unidirezionale del capitalismo. Né il rapporto tra l'uomo e la natura, né i rapporti sociali hanno necessariamente un tale carattere: le società precapitaliste tendevano a riprodursi a lungo identicamente. Contenendo questa dialettica delle due forme temporali, il capitalismo contiene anche una logica direzionale che crea anche, oltre ai disastri ai quali essa conduce, la possibilità di uscirne, a differenza delle forme sociali precedenti. È il dinamismo stesso del capitalismo che spinge verso questo superamento, e non un fattore esterno o un attore che, come il proletariato, è ritenuto far parte di un'essenza atemporale situata fuori della logica capitalista: "La dialettica delle forze produttive e dei rapporti di produzione [...] è dunque una dialettica delle due dimensioni del capitale, e non quella del capitale e di forze che gli sarebbero esterne" (p. 515).

 

Il "vero Marx"

 

Ci si può domandare perché Postone vuole assolutamente presentare la sua interpretazione di Marx come una restaurazione del "vero Marx", piuttosto che di ammettere l'ambiguità del discorso marxiano originale: se, con la sua critica delle categorie fondamentali della socializzazione mercantile, Marx è stato effettivamente in anticipo sui suoi tempi - all'epoca, queste categorie erano ancora ampiamente intrecciate ad elementi feudali -, rimane che, con un'altra parte della sua opera, Marx ha egualmente costituito le basi del "marxismo tradizionale". Robert Kurz ne tiene soprattutto conto, distinguendo un Marx "essoterico" e un Marx "esoterico": "Si tratta della parte della sua opera - quantitativamente molto ridotta - in cui egli analizza il valore, il nucleo quasi invisibile - soprattutto alla sua epoca - del capitalismo". È chiaro ad ogni modo che l'elaborazione parallela, a partire dal 1980, di forme simili di una critica basata sui concetti di "lavoro astratto" e di "feticismo della merce" indica che queste categorie sono diventate più direttamente visibili che in precedenza.

Il caso di Rubin è tanto più notevole, perché ha lavorato da solo ed è stato un precursore quasi inspiegabile. Quando si considera la poca chiarezza, già menzionata, che regna ancora oggi tra i marxisti intorno a nozioni come "lavoro astratto" e "feticismo delle merce", non si può che rimanere sbalorditi di fronte alla precisione di alcune analisi di Rubin, ancora più sbalorditive se si considera che non sembra aver conosciuto il "marxismo occidentale" che gli era contemporaneo (Storia e coscienza di classe, di Lukács, era uscito l'anno precedente l'edizione di Saggi sulla teoria del valore) e che i Grundrisse e gli altri manoscritti preparatori di Il Capitale non erano stati ancora pubblicati. Rubin comincia dicendo che la teoria del feticismo non è una bizzarria metafisica di Marx (come doveva sostenere ancora Althusser mezzo secolo più tardi), e nemmeno che designava una mistificazione dello sfruttamento, ma che costituisce piuttosto una teoria generale dei rapporti di produzione dell'economia capitalista. Essa si troverebbe anche alla base di tutto il "sistema economico" di Marx, e soprattutto della sua teoria del valore. Il feticismo non è soltanto un fenomeno di coscienza sociale, ma dell'essere sociale stesso, sostiene Rubin: nessun altro marxista della sua epoca vi era giunto, e si deve conoscere l'indifferenza e anche la confusione dei migliori tra di loro di fronte a questa questione per apprezzare l'acutezza di Rubin.

Il valore, il denaro e il capitale, non "velano" i rapporti sociali di produzione: li organizzano e diventano il vero legame sociale. Rubin si oppone anche alla ontologizzazione dello scambio di equivalenti: lo "scambio" non è una realtà transtorica, ma caratterizza il solo capitalismo. Tra le officine di una fabbrica, così come nei modi di produzione pre- o postcapitalisti, non vi è "scambio" basato su un'equivalenza del valore dei prodotti scambiati. L'oggetto vi circola sulla base dei rapporti che gli uomini hanno già costruito - non è lo scambio che crea questi rapporti. I rapporti di produzione tra le persone si stabiliscono sulla base della distribuzione sociale delle cose e in riferimento ad esse, ma non attraverso le cose stesse.

Nel capitalismo, è al contrario il movimento delle cose (dei fattori della produzione) che stabilisce i rapporti tra gli uomini. Rubin annuncia dunque chiaramente che una società basata sul valore, il denaro e il capitale è necessariamente feticista, nel senso in cui l'uomo è dominato  dai suoi propri prodotti. Sottolinea il ruolo centrale che ha per Marx, e soprattutto per la sua teoria del valore, la distinzione tra il processo tecnico-materiale (ciò che Postone chiama la "ricchezza materiale") e la sua forma sociale. Ricorda che non è il lavoro in quanto tale che crea il valore, ma soltanto il lavoro organizzato in una certa forma sociale: il lavoro astratto. Nel processo di produzione, il lavoro del produttore di merci è privato, concreto, qualificato e individuale, ma nel suo valore di scambio, questo lavoro diventa sociale, astratto, semplice e socialmente necessario. Tra queste quattro determinazioni, è il lavoro astratto che svolge il ruolo centrale, perché non è che così che il lavoro diventa sociale.

Se Rubin ha alcune difficoltà per determinare il senso della categoria marxiana di "lavoro astratto", riesce a giungere tuttavia all'essenziale: è precisamente il lavoro senza qualità, senza determinazioni sociali e storiche, il lavoro e basta che diventa nel capitalismo una categoria sociale e il centro della vita sociale. E' soltanto diventando astratto che il lavoro privato diventa sociale, ma così stanno le cose nel capitalismo. Nelle società precapitalistiche, al contrario, i lavori sono sociali nella loro forma naturale e particolare, come elementi necessari di un tutto, e non in quanto parti equivalenti di una massa di lavoro sociale indifferenziato.

Questa attenzione al carattere astratto e anonimo della coercizione esercitata dal valore - in un'epoca in cui il proletariato in senso classico era al suo apogeo, in Unione sovietica come altrove - conduce Rubin a vedere nell'ineguaglianza delle classi la conseguenza piuttosto che la causa del valore mercantile. Egli afferma che la teoria marxiana del valore non trascura totalmente le classi, ma che le tratta a partire dall'eguaglianza delle parti principali dello scambio. La teoria del valore, il cui punto di partenza è l'eguaglianza delle merci scambiate è indispensabile, assicura, per spiegare la società capitalista e l'ineguaglianza che vi regna. Così, negli anni 70 del XX secolo, si è visto gli autori delle prefazioni del libro di Rubin sentire la necessità di prendere le loro distanze di fronte a tali eresie.

Nel suo saggio "La sostanza del capitale", uscito nel 2004 sul primo numero della rivista tedesca Exit! da lui diretta, Robert Kurz pesa i meriti e i limiti rispettivi dei contributi di Rubin e di Postone. Se entrambi sono tra i rari autori a capire la centralità del concetto di "lavoro astratto" e a riferirlo alla sola società capitalista, essi conservano tuttavia ancora un concetto transtorico e ontologico del "lavoro". Eppure, non è che con la modernità che ci si è abituati a far entrare nelle attività umane le più disparate, e che obbediscono alle logiche temporali più differenti, nella sola categoria del "lavoro" e che si concepiscono tutte queste attività come una massa di "lavoro sociale". In una società postcapitalista, così come nelle società precapitaliste, il concetto stesso di "lavoro" non ha senso, perché non esiste che una molteplicità di attività che non possono essere riferite ad un'unica sostanza, omogenea, di cui esse sarebbero delle articolazioni. Kurz rimprovera a Postone di accontentarsi di analizzare il ruolo storicamente unico del lavoro nel capitalismo, senza porsi la questione di sapere se si può parlare di "lavoro" nel quadro di altre società.

Tuttavia, le differenze tra Rubin, Postone e Kurz sembrano di poca importanza di fronte a ciò che li separa dai marxisti tradizionali per i quali la sola forma di emancipazione nel capitalismo è e resterà sempre la lotta tra i gruppi sociali costituiti da questo stesso capitalismo, senza che sia mai affrontata una critica delle categorie fondamentali. Nelle loro repliche alla critica del valore, essi hanno già dimostrato la pertinenza dell'aneddoto riportato da Kurz nel suo articolo: un contadino chiede a un ingegnere di spiegargli il funzionamento di una macchina a vapore. L'ingegnere fa degli schemi e gli mostra dove si mette il combustibile, dove esce il vapore, come il calore diventa movimento e tutto il resto. Il contadino lo ascolta e dice infine: "Ho capito, ma dov'è il cavallo?".

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Articolo apparso in La Revue internationale des livres et des idées (Rili), n° 13, settembre-ottobre 2009.

    

 

* Anselm Jappe insegna filosofia. È soprattutto l'autore di Guy Debord; Les Aventures de la merchandise. Pour une nouvelle critique de la valeurLes Habits neufs de l'Empire: remarques sur Negri, Hardt e Rufin (con Robert Kurz); L'Avant-garde inacceptable - Réflexions sur Guy Debord.

 

NOTE

 

[1] Mi permetto di ricordare che il mio libro Le aventures de la marchandise. Pour une nouvelle critique de la valeur (Parigi, Denoël, 2003) dava un ampio spazio all'uno e all'altro.

[2] Alcune delle sue opere sono state tradotte Lire Marx (Parigi, La Balustrade, 2005) è un'antologia commentata degli scritti su Marx, Avis aux naufragés (Parigi, Lignes, 2005) e Critique de la démocratie balistique (Parigi, Mille et une nuits, 2006) sono delle raccolte di articoli. Il Manifeste contre le travail del gruppo Krisis (Parigi, Lignes, 2002, UGE, 10/18, 2004) ha conosciuto un'ampia diffusione.

[3] Di lui, era già uscito in francese Face à la mondialisation, Marx est-il devenu muet? (La Tour d’Aigues, L’Aube, 2003) che riunisce tre saggi di cui uno (Logique de l’antisémitisme) era precedentemente circolato in alcune traduzioni francesi.

[4] Costoro gli hanno anche dedicato un intero numero della rivista marxista inglese Historical Materialism (n° 12, vol. 3, 2004) e un importante colloquio a Londra.

[5] "Marxiano" (riferito a Marx stesso) è dunque qui da distinguersi da "marxista".

[6] L'opera preparatoria di Il Capitale, scritto nel 1857-1858, pubblicato per la prima volta nel 1939, ricca di intuizioni non sempre sviluppate in Il Capitale (pubblicato nel 1867) e di cui lo studio ha ispirato, a partire dal 1960, numerosi studi tra i più innovativi  dell'opera di Marx.

[7] E' da notare tuttavia che Postone non suppone affatto una qualche "rottura epistemologica" tra il primo e il secondo Marx.

[8] La pianificazione non è il contrario del capitalismo, ma soltanto del mercato; essa è sempre una forma di distribuzione del valore.

[9] Questo concetto di "ricchezza materiale" include, naturalmente, i servizi e i prodotti "immateriali". Comprende tutti i valori d'uso e si oppone alla "forma-valore". Una casa e un'ora di insegnamento sono, in questo senso, entrambe delle "ricchezze materiali".

[10] Queste analisi sono sicuramente da accostare a quelle sviluppate da E. P. Thompson in Temps, travail et capitalisme industriel, edito nel 1967 sotto forma di articolo. Questo testo fa ammirevolmente notare le conseguenze della trasformazione del tempo vissuto in tempo astratto, precisamente misurabile, in vista del suo massimo rendimento. Postone lo cita inoltre a pagine 298 del suo libro.

[11] Ne deriva quest'altra evidenza: finché la "ricchezza sociale" è determinata dalla spesa diretta del tempo di lavoro, la crescita economica, anche senza mercato né proprietà privata, genererà inevitabilmente degli aumenti di produttività molto superiori alla crescita della ricchezza sociale, con le conseguenze ecologiche che ne derivano.

 

[Traduzione di Ario Libert]

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