Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
XII
Sono molto in ritardo, questa sera, vero, mia piccola Pietra?
Ti dico il perché. Ma temo che tu mi chiami: “Sciocchino di un caro papino!”.
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*...*
Ti ricordi la tua ultima passeggiata, Passerottina, quella in cui cogliemmo delle pervinche così graziose e delle violette che profumavano tanto?
L'ora di un appuntamento d'affari si approssimava. Ti lasciai con la tua mamma a cogliere violette e pervinche e corsi verso la città.
Quando rientrai, finita la mia giornata, salisti sulle mie ginocchia, tu mi abbracciasti come sempre.
Ma avevi, quel giorno, una graziosa aria maliziosa. E maliziosa mi dicesti:
- Sai, papino, ci siamo perse
E, baciando le tue fresche guance sorridenti, dissi:
- Vi siete perse! Ah! Le mie due care sciocchine!
Allora scoppiasti in quel modo di ridere adorabile, in quel ridere chiaro come acqua di cascata, di quel ridere che non udirò più.
Poi il tuo adorabile ridere si fermò e gridasti:
- Vedi, mamma, te lo avevo detto che ci avrebbe chiamate: adorabili sciocchine!
E ridesti ancora. E ridesti a lungo! E riempisti la casa e il cuore di quel suono gioioso che non udrò mai più.
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*...*
Ah! se ridessi ancora, quanto rideresti oggi.
Perché, sulle colline, in un bosco dove ti ho colto queste pervinche blu e queste pervinche bianche, mi sono perso.
Quando sono riuscito a ritrovare la strada, mi credevo distante un chilometro ne ero invece a dieci.
Allora mi misi a correre.
Ma ebbi un bel da fare a correre, arrivai in ritardo. Scommetto che questo ti ricorda una favola che a volte ci recitavi; lo sai: la Lepre e la Tartaruga:
A nulla serve correre, si deve partire in tempo.
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E, come dicevi un tempo, era “completamente spassoso”, questo papà che si era perso come un bambino, questo papà che correva, questo papà che arrivava in ritardo.
Ma sai perché non ridevo correndo? È perché non puoi più ridere con la tua risata chiara come acqua di cascata. È perché non avevo abbastanza paura che tu mi chiamassi “Quello sciocchino del mio caro papino!”.
XIII
Mamma e papà
I tuoi giocattoli, i tuoi vestiti, tutto ciò che ti appartenne, è allo stesso posto. Una camera la cui porta, e le finestre, e le persiane sono chiuse. La tua mamma non vi entra mai, e, quando passa davanti alla porta, devia.
Io, non appena la tua mamma non può vedermi e sentirmi, entro in questa camera e apro, del tutto, le persiane e le finestre, perché tu amavi così tanto l'aria e la luce. E tocco i tuoi giocattoli. E tocco i tuoi vestiti. Apro e chiudo i cassetti del tuo negozio, e mi ricordo come delicatamente giocavi al piccolo mercante. Copro di baci la tua graziosa maglietta alla marinara, ma non con forza, tremando al pensiero di farle perdere la graziosa forma del tuo corpicino.
Ed è molto bello, tesoro, essere là noi due soli, nella grande luce.
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*...*
Quando, sulla strada, incontriamo uno dei tuoi piccoli amici, la tua mamma ha un sussulto e, per non vederlo cambia strada.
Io, con uno sguardo distante, sono il tuo piccolo amico e sorrido al suo sorriso.
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Nella casa del tuo piccolo amico Jacques, di fronte alla nostra casa di città, la tua mamma non va mai più.
Io, ci vado spesso, e prendo sulle mie ginocchia il tuo amichetto Jacques e lo bacio.
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E ci sono delle volte in cui credo che sia tu a stare sulle mie ginocchia, che sia tu che bacio.
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Da dove viene il fatto che uno stesso amore abbia degli effetti diversi? Da dove viene il fatto che ciò che mi consola la affligga?
Perché tutto ciò che ti fa rivivere mi fa bene ed è così doloroso per lei?
Sei più morta per lei che per me, che nulla può darle la dolce illusione di essere ancora viva?
O il dispiacere che viene dopo, quando ci si dice che “non è vero”, è per lei più grande della felicità di credere per un secondo che sia ancora vero?
Io trovo che un secondo di felicità, è lungo, lungo, lungo!
Il mio amore per te, Passerottina, mi immerge in una follia molto dolce, sorridente, che mi fa sentirti sulle mie ginocchia quando non sei tu a stare sulle mie ginocchia, che mi permette di baciarti su delle guance rosa che non sono affatto le tue guance rosa; che rende vivo e pieno il vuoto immobile e penoso delle tue magliette.
Ricopro il presente doloroso con del passato gioioso; faccio sulle parole nere delle cancellature di luce.
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* *
Non capisci ciò che voglio dire, Passerottina. Eppure è così semplice.
Posso dire che ti amo molto, e anche la tua mamma.
XIV
La tua palla
Un giorno che ero partito per la città, ti avevo promesso di riportarti una palla se fossi stata molto buona fino al mio ritorno.
Ma ebbi molte cose da fare a Préville quel giorno. E quando si hanno molte cose da fare, si finisce con il dimenticare le più importanti. Dimenticai la tua palla.
Quando tu me la chiedesti, ti risposi che il mio uccellino mi aveva detto che eri stata un po' cattiva. Allora avevo lasciato la palla nella nostra casa di città e sarei andato il giorno successivo a prendertela, se tu fossi stata molto buona.
E piangesti un po', mio tesoro. Sai, me la prendo tanto di averti fatto piangere; e quando ci ripenso, piango!
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*...*
L'avesti il giorno seguente, la tua palla. Ma avevi già male alla gola. Non dovevi uscire. Ci giocasti, per un minuto, nella camera. Ma sollevava molta polvere dal tappeto.
Ti spiegai che questa polvere ti avrebbe fatto stare ancora di più male.
E mettesti la tua palla in un angolo. Avevi forse voglia di piangere. Ma fosti molto buona, non lo lasciasti vedere.
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*...*
Il giorno successivo, eri a letto, E non ti sei alzata che una volta soltanto. E, quella volta, potevi appena camminare. E non sei rimasta in piedi più di cinque minuti.
E, seguendoti, circondandoti con le braccia, pronto a sostenere il tuo cammino vacillante, sei andata all'angolo della tua camera dove dormiva la tua palla.
L'hai fatta rotolare all'altro capo della camera, L'hai fatta rotolare una volta, una volta soltanto.
Perché, subito, avemmo paura di farti affaticare, e ti facemmo mangiare un po' di tapioca e ti rimettemmo a letto.
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*...*
Un altro giorno, nel tuo letto, volesti giocare a palla.
E ti diedi la tua palla. Me la lanciasti, la presi; te le rispedii sul letto, affinché tu me la lanciassi di nuovo.
La tua mamma entrò in quel momento. Ci disse che eravamo due piccoli pazzi e che avremmo finito con il rompere qualcosa.
E tu ridesti un poco. Ma il tuo volto era pallido, le tue labbra che si aprivano per ridere erano molto pallide; e la tua risata era molto sommessa, perché non potevi parlare e ridere che a voce bassa, con voce soffocata, povero tesoro.
E io sorridevo nel vederti ridere. E io ridevo molto forte per farti ridere. Ma avevo delle lacrime agli occhi nel vedere così pallido il tuo sorriso e udire così poco la tua risata a voce bassa, a voce soffocata.
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*...*
Con i tuoi altri giocattoli, nella camera dove la tua mamma non entra mai, dorme, la tua palla che fu così poco la tua palla.
[SEGUE]
[Traduzione di Ario Libert]