Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.
MARX LIBERTARIO
Maximilien Rubel
Si sa dunque ora che Marx non ha mai smesso di lavorare per la “rubrica” intitolata “lo Stato”. E’ infatti con una critica della morale politica di Hegel che egli ha cominciato la sua carriera di uomo di scienza “impegnato”, così come la ha terminata con un lavoro sulle prospettive rivoluzionarie nella Russia zarista. Soprattutto si sa che il primo progetto del “Libro sullo Stato” porta la data del 1845, quando Marx aveva appena scritto il primo abbozzo di una critica dell’economia politica. Trattare di un tema come “Marx teorico dell’anarchismo” senza sottoporre questo progetto al giudizio dei lettori e, più particolarmente, di quelli che non si stancano mai di accanirsi contro il “comunismo di Stato”, vuol dire privarsi di un argomento capitale. Ecco dunque gli undici temi scritti da Marx in un taccuino usato durante gli anni ’44-’47, non essendo possibile stabilire la loro data precisa:
I. La storia della genesi dello Stato moderno o la Rivoluzione francese. La tracotanza del politico (des politischen wesens): confusione con lo Stato antico. Rapporto dei rivoluzionari con la società borghese. Sdoppiamento di tutti gli individui in borghesi e cittadini (Bugerliche und Staatwesen).
II. La proclamazione dei diritti dell’uomo e la costituzione dello Stato. La libertà individuale ed il potere pubblico. Libertà, eguaglianza ed unità. La sovranità popolare.
III. Lo Stato e la società civile.
IV. Lo Stato rappresentativo e la Carta. Lo Stato rappresentativo costituzionale, o lo Stato rappresentativo democratico.
V. La separazione dei poteri. Potere legislativo e potere esecutivo.
VI. Il potere legislativo ed i corpi legislativi. Clubs politici.
VII. Il potere esecutivo. Centralizzazione e gerarchia. Centralizzazione e civilizzazione politica. Sistema federale e industrialismo. L’amministrazione pubblica e l’amministrazione comunale.
VIII. Il potere giudiziario ed il diritto.
IX. La nazionalità ed il popolo.
X. I partiti politici.
XI. Il diritto di voto, la lotta per l’abolizione (Aufhebung) dello Stato e della società borghese (13).
Marx si impegnò, nel febbraio del 1845, a cedere a un editore tedesco l’esclusività di un’opera in due volumi, che aveva per titolo Critica della politica e dell'economia politica (vedere prima). Si può dunque essere autorizzati ad affermare che lo schema precedente doveva servire all'autore, come quadro di riferimento per intraprendere i suoi studi. Molti dei temi enumerati erano stati già trattati negli scritti redatti da Marx prima dell’anno 1845, altri, invece, saranno oggetto dei suoi lavori durante tutta la sua attività di storico, di cronista politico e di polemista. “Il politico” sarà alla base dei suoi rapporti con gli anarchici affiliati alla Internazionale operaia.
All'elenco dei testi già menzionati, occorre aggiungere uno scritto polemico di una concisione e di una ironia tali che meriterebbe di essere citato per intero, in quanto documento conclusivo della teoria politica che si sviluppa da tutto l’insieme dell’opera marxiana e ne legittima la tensione strategica, finalizzata alla causa dell’anarchia.
Con un abile gioco di prestigio, Marx dà la parola a un difensore dell’“indifferentismo politico”, in modo che i discorsi citati, prima ancora di essere commentati, rivelano l’inanità del ragionamento sedicente anarchico. Basta modificare il carattere ironico del discorso fittizio, per giungere a ricostruire la concezione positiva del preteso “comunismo di Stato”: “La classe operaia deve costituirsi in partito politico, essa deve intraprendere azioni politiche, a rischio anche di urtare gli “eterni principi” secondo i quali la lotta contro lo Stato significa il riconoscimento dello Stato. Essi devono organizzare scioperi, lottare per salari più elevati o impedire la loro riduzione, al rischio di riconoscere il sistema del salario e di rinnegare i principi eterni della liberazione della classe operaia”.
“Gli operai debbono unirsi nella loro lotta politica contro lo Stato borghese, per ottenere concessioni, a rischio di urtare principi eterni accettando compromessi. Non c’è motivo per condannare i movimenti pacifici degli operai inglesi e americani, così come le lotte dirette a ottenere un limite legale della giornata lavorativa, dunque tese a concludere compromessi con imprenditori che potranno sfruttare gli operai solo dieci o dodici ore, invece di quattordici o sedici. Essi devono sforzarsi di ottenere l’interdizione legale del lavoro in fabbrica delle ragazze che hanno meno di dieci anni, anche se, con questo mezzo, lo sfruttamento dei ragazzi al di sopra dei dieci anni non è affatto soppresso – dunque, nuovo compromesso che urta la purezza dei principi eterni!”.
“Gli operai debbono esigere che lo Stato – come accade nella Repubblica americana – sia obbligato ad accordare ai figli degli operai la scuola elementare gratuita, anche se l’insegnamento primario non è ancora l’istruzione universale. Il budget dello Stato essendo stabilito a spese della classe operaia, è normale che gli operai e le operaie imparino a leggere, a scrivere ed a far di calcolo grazie all'insegnamento di maestri remunerati dallo Stato, in scuole pubbliche, – poiché – è meglio negare i principi eterni che essere illetterati ed abbrutiti da un lavoro quotidiano di sedici ore”.
“Agli occhi degli “anti-autoritari”, i lavoratori commettono l’orribile crimine di violazione dei principi, se, per soddisfare i loro meschini e profani bisogni quotidiani e per rompere la resistenza della borghesia, conducono la lotta politica senza ritrovarsi davanti a mezzi violenti, mettendo al posto della dittatura della borghesia la loro propria dittatura rivoluzionaria” (14).
Marx non immagina affatto di indicare questa dittatura operaia come “comunismo di Stato”, nonostante egli impieghi una formula non sprovvista di una certa ambiguità, col dichiarare che il nuovo potere, “al posto di deporre le armi e di abolire lo Stato”, conserva in qualche modo la struttura di coercizione esistente “nel dare allo Stato una forma rivoluzionaria e transitoria”. Queste righe, scritte diciotto mesi dopo la sconfitta della Comune di Parigi, ci provano che, nella teoria politica di Marx, gli avvenimenti del 1871 in Francia non costituivano un’esperienza suscettibile di essere evocata per illustrare il concetto di “dittatura del proletariato”. Abbiamo segnalato, tuttavia, l’errore commesso da Engels a questo riguardo e anzi, consideriamo utile ricordarlo in questo post-scriptum – che è naturalmente lungi dall'esaurire il dibattito sul tema esaminato – con qualche passaggio di un nostro testo pubblicato nel 1971: “Engels non poteva ignorare che, per Marx, la dittatura del proletariato era una fase di transizione “necessaria” – nel senso storico ed etico – fra il sistema capitalista e il modo di produzione socialista, ‘negazione’ del precedente. La teoria politica di Marx – che egli avrebbe indubbiamente sviluppato nel Libro sullo Stato previsto nel progetto dell’ ‘Economia’ – si basa sul principio dell’evoluzione progressiva dei modi di ‘produzione’, ciascuno dei quali crea, nel suo sviluppo, le condizioni materiali e morali del suo superamento da parte del successivo. A causa dei suoi propri antagonismi sociali, il capitalismo prepara il terreno economico e sociale del suo cambiamento rivoluzionario che non ha nulla di un fenomeno accidentale: affinché possa realizzarsi la dittatura del proletariato, le condizioni oggettive e soggettive devono aver raggiunto un livello di sviluppo che renda ogni ritorno indietro impossibile. In altri termini, il postulato della dittatura proletaria esclude l’eventualità di un insuccesso. Una dittatura, per meritare il nome di proletaria, deve raggiungere quel tipo di società di cui essa ha posto le condizioni iniziali. La sua esistenza non può essere dimostrata se non a posteriori. Di conseguenza, l’insuccesso della Comune prova che non vi fu dittatura del proletariato e che non poteva esserci” (15).
Accordando all'opera di Marx un posto eminente fra i contributi a una teoria dell’anarchismo, noi ci sforziamo di preservare l’eredità intellettuale dei pensatori rivoluzionari del XIX secolo. La nuova teoria nascerà da un movimento rivoluzionario su scala mondiale, senza il quale la “legge economica del movimento della società moderna” – che Marx affermava di aver rivelato – avrà la meglio sull'istinto di sopravvivenza e di conservazione della nostra specie. Laddove questa legge dipende dall'analisi scientifica del modo di produzione capitalistico – che sembra tuttavia lontano dall'aver raggiunto il termine del suo sviluppo – l'imperativo categorico della rivoluzione proletaria s’inscrive in quell'etica dell’anarchia di cui Kropotkin ci ha lasciato i prolegomeni (16).
[Traduzione di Marco Melotti]
NOTE
13) Cfr. Marx-Engels, Werke, Berlino (RDA), vol. III, p. 537. I punti da VIII a XI sono indicati con 8′, 8″, 9′ e 9″.
14) Cfr. K. Marx, L'indifferenza in materia politica, pubblicato su l’“Almanacco Repubblicano”, 1873, in Karl Marx e Friedrich Engels, Critica dell'anarchismo, a cura di Giorgio Bakhaus, Einaudi, Torino 1972, pp. 300 e segg. [N.d.r.: Rubel ricorre qui a un classico detournement sul testo marxiano, peraltro dichiarandolo apertamente].
15) Introduzione a Jules Andrieu, Note per la storia della Comune di Parigi nel 1871, Parigi, Payot, 1971, edizione curata da M. Rubel e L. Janover. Il volume sarà ripresentato dall'editore di “Spartacus”, Rene Lefeuvre.
16) Pierre Kropotkin, L'Etica, traduzione dal russo con un'introduzione di Maria Goldsmith, Stock+Plus, Parigi 1979. A un secondo volume è affidato il testo inedito di una bozza di cui la traduttrice riassume il filo di pensiero direttivo, pp. 8 e segg.
E’ utile segnalare uno studio italiano, in cui le tesi qui presentate ricevono chiarimenti complementari: Bruno Bongiovanni, L'Universale pregiudizio. Le interpretazioni della critica marxiana della politica, La Salamandra, Milano 1981. Va qui chiarito che Rubel definisce questo suo articolo come “post- scriptum”, in quanto proprio come tale esso è stato pubblicato, alla fine del 1983, su “Les cahiers du vent de chemin”, rivista di tendenza marxista-libertaria, rappresentando un logico completamento di un più corposo saggio che l’autore diede alle stampe molti anni fa, con il titolo di Marx teorico dell'anarchismo, all'interno di una ricca antologia di suoi brani, pubblicata a Parigi nel 1974, con il titolo di Marx critico del marxismo. Si noti, nel merito, che la traduzione italiana di tale opera di Rubel ha visto la luce soltanto nel 1981, per i tipi della Cappelli, e rappresenta a tutt'oggi (per quanto risulta a chi scrive) l’unico scritto rubeliano comparso nel nostro paese, oltre a un secondo articolo, Tesi su Marx oggi, stampato su “Quaderni del NO“ n. 2, nella primavera del 1986, e a un breve contributo, Riflessioni sull'utopia e sulla rivoluzione, comparso nel volume collettaneo, curato da Erich Fromm, L'umanesimo socialista, pubblicato dalla Rizzoli, nel 1975.