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Storia e documentazione di movimenti, figure e teorie critiche dell'esistente storico e sociale che con le loro azioni e le loro analisi della realtà storico-politica hanno contribuito a denunciare l'oppressione sociale sollevando il velo di ideologie giustificanti l'oppressione e tentato di aprirsi una strada verso una società autenticamente libera.

Documenti storici. La dichiarazione anarchica di Londra (aprile 1916). Risposta del gruppo internazionale di Londra al manifesto dei Sedici, (aprile 1916).

La dichiarazione anarchica di Londra (aprile 1916)


Risposta del Gruppo anarchico internazionale di Londra al Manifesto dei Sedici

 

Presto saranno due anni che si è abbattuta sull'Europa il più terribile flagello che la storia abbia registrato, senza che nessuna azione efficace sia venuta a ostacolare la sua marcia. Dimentichi delle dichiarazioni di un tempo, la maggior parte dei capi dei partiti più avanzati, compresi la maggiora parte dei dirigenti delle organizzazioni operaie, alcuni per codardia, altri per mancanza di convinzioni, altri ancora per interesse, si sono lasciati assorbire dalla propaganda patriottica, militarista e bellica, che, in ogni nazione belligerante, si è sviluppata con un'intensità che basta a spiegare la situazione e la natura del periodo che attraversiamo.

In quanto al popolo, nella sua grande maggioranza, di la cui mentalità è formata dalla Scuola, la Chiesa, il reggimento, la stampa, e cioè ignorante e credulo, sprovvisto d'iniziativa, addestrato all'obbedienza e rassegnato a subire la volontà dei padroni che egli si dà, da quella del legislatore, sino a quella del segretario del sindacato, ha, sotto la spinta dei pastori dell'alto e del basso riconciliati nella più sinistra delle esigenze, marciato senza ribellione verso il mattatoio, trascinando con la forza della sua inerzia anche i migliori che si trovavano tra loro, che evitavano la morte per fucilazione rischiando la morte sul campo della carneficina.

Tuttavia, sin dai primi giorni, sin da prima della stessa dichiarazione di guerra, gli anarchici di tutti i paesi, belligeranti o neutri, tranne qualche rara eccezione, in numero così infimo che si poteva considerarli come trascurabili, prendevano nettamente posizione contro la guerra. Sin dall'inizio, alcuni dei nostri, eroi e martiri che si conosceranno più tardi, hanno scelto di essere fucilati, piuttosto che partecipare alle uccisioni; altri scontano, nelle carceri imperialiste o repubblicane, il crimine di aver protestato e tentato di svegliare lo spirito del popolo.

Prima del 1914, gli anarchici lanciavano un manifesto che aveva raccolto l'adesione di compagni del mondo intero, e che i nostri organi nei paesi in cui ancora esistevano. Questo manifesto mostrava che la responsabilità dell'attuale tragedia incombeva su tutti i governanti senza eccezione e sui grandi capitalisti, di cui sono gli emissari, e che l'organizzazione capitalista e la base autoritaria della società sono le cause determinanti di ogni guerra. E venivano a dissipare l'equivoco creato dall'atteggiamento di alcuni "anarchici sostenitori della guerra", più rumorosi che numerosi, tanto più rumorosi in quanto, servendo la causa del più forte, il loro nemico di ieri, il nostro nemico di sempre, lo Stato, era loro permesso, a loro soltanto, di esprimersi apertamente, liberamente.

Passarono dei mesi, trascorse un anno e mezzo e questi rinnegati continuavano tranquillamente, lontano dalle trincee, a lanciare appelli all'omicidio stupido e ripugnante, quando, il mese scorso, un movimento a favore della pace cominciò a precisarsi, i più noti tra di loro giudicarono di dover compiere un atto clamoroso, al contempo allo scopo di fungere da contrappeso a questa tendenza che voleva imporre ai governanti la cessazione delle ostilità, e perché si potesse credere, e far credere, che gli anarchici si erano allineati all'idea e al fatto della guerra.

Vogliamo parlare di quella dichiarazione pubblicata a Parigi, in La Bataille del 14 marzo firmata da Christian Cornelissen, Henri Fuss, Jean Grave, Jacques Guérin, Hussein Dey, Pierre Kropotkine, A. Laisant, F. Leve, Charles Malato, Jules Moineau, A. Orfila, M. Pierrot, Paul Reclus, Richard, S. Shikawa, M. Tcherkesoff, e alla quale ha applaudito naturalmente la stampa reazionaria.

Sarebbe facile ironizzare a proposito di questi compagni di ieri, addirittura indignarci per il ruolo svolto da loro, che l'età o la loro situazione particolare, o ancora la loro residenza, pone al riparo dal flagello e che, tuttavia, con una incoscienza o una crudeltà che anche alcuni conservatori dell'ordine sociale attuale non hanno, osano scrivere, allora che da ogni parte si vede la stanchezza e l'aspirazione alla pace, osano scrivere dicevamo, che parlare di pace nel momento attuale sarebbe l'errore più disastroso che si possa commettere e che sentenziano: Con coloro che combattono, riteniamo che non può esserci questione di pace. Ora sappiamo, ed essi stessi non lo ignorano, ciò che pensano coloro che combattono. Sappiamo ciò che desiderano coloro che vanno a morire per dirla meglio; pur non nascondendoci che le cause che generano la loro debolezza, li trascineranno forse a morire senza che essi abbiano tentato il gesto che li salverebbe. Noi, lasciamo i compagni di ieri ai loro nuovi amori.

Ma ciò che vogliamo, ciò a cui teniamo essenzialmente, è protestare contro il tentativo che essi fanno, di inglobare, nell'orbita delle loro povere speculazioni neo-statiste, il movimento anarchico mondiale e la filosofia anarchica stessa; è protestare contro il loro tentativo di solidarizzare con il loro gesto, agli occhi del pubblico non illuminato, l'insieme degli anarchici rimasti fedeli a un passato  che essi non hanno alcuna ragione di negare, e che credono, più che mai, alla verità delle loro idee.

Gli anarchici non hanno dirigenti, e cioè dei condottieri. Inoltre, ciò che abbiamo qui affermato, non è soltanto che questi sedici firmatari sono un eccezione e che noi siamo la maggioranza, il che non ha che un'importanza relativa, ma che il loro gesto e le loro affermazioni non possono in alcun modo rapportarsi alla nostra dottrina di cui essi sono, al contrario, la negazione assoluta.

Non è qui il luogo di analizzare dettagliatamente, frase per frase, questa dichiarazione, per analizzare e criticare ognuna delle sue affermazioni. D'altronde essa è nota. Cosa vi troviamo? Tutte le stupidità nazionaliste che leggiamo, da quasi due anni, in una stampa prostituta, tutte le ingenuità patriottiche di cui un tempo si facevano beffe, tutti i luoghi comuni di politica estera con i quali i governi addormentano i popoli. Eccoli denunciare un imperialismo che ora scoprono unicamente presso i loro avversari. Come se fossero a conoscenza dei segreti dei ministeri, delle cancellerie e degli stati maggiori, essi i destreggiano con le cifre d'indennità, valutano le forze militari e rifanno, essi stessi, questi ex detrattori dell'idea di patria, la carta del mondo sulla base del diritto dei popoli e del principio delle nazionalità. Poi, avendo giudicato pericoloso parlare di pace, finché non si è, per impiegare la formula d'uso, schiacciato il solo militarismo prussiano, essi preferiscono guardare il pericolo in faccia, lontano dalle pallottole. Se consideriamo sinteticamente, piuttosto, le idee che la loro dichiarazione esprime, constatiamo che non vi è nessuna differenza tra la tesi che vi è sostenuta e il tema abituale dei partiti dell'autorità raggruppate, in ogni nazione belligerante, in Sacra Unione. Anch'essi, questi anarchici pentiti, sono entrati nella Sacra Unione per la difesa delle famose libertà acquisite, e non trovano nulla di meglio, per salvaguardare questa pretesa libertà dei popoli di cui si fanno i campioni, che di obbligare l'individuo a farsi assassino e a farsi assassinare per conto e a beneficio dello Stato. In realtà, questa dichiarazione non è opera di anarchici. Essa fu scritta da degli statisti che si ignorano, ma da degli statisti. E conseguenza di quest'opera inutilmente opportunista, nulla differenzia più questi ex compagni dai politici, dai moralisti e dai filosofi governativi, contro i quali essi avevano dedicato tutta la vita a combattere.

Collaborare con uno Stato, con un governo, nella sua lotta, foss'anche essa stessa priva di violenza sanguinaria, contro un altro Stato, contro un altro governo, scegliere tra due modi di schiavitù, che non sono che differenti superficialmente essendo il risultato dell'adattamento dei mezzi di governo allo stato evolutivo a cui è giunto il popolo che vi è sottomesso, ecco, certo, chi non è anarchico. A maggior ragione, quando questa lotta riveste l'aspetto particolarmente ignobile della guerra. Ciò che ha sempre differenziato l'anarchico dagli altri elementi sociali dispersi nei diversi partiti politici, nelle diverse scuole filosofiche o sociologiche, è il ripudio dello Stato, centro di tutte gli strumenti di dominio, centro di tutte le tirannie; lo Stato che è, per vocazione nemico dell'individuo, per il trionfo di chi l'anarchismo ha sempre combattuto, e di cui è fatto così buon mercato nell'attuale periodo, da parte dei difensori del diritto anch'essi situati, non lo dimentichiamo, da ogni lato della frontiera. Incorporandosi ad esso, volontariamente, i firmatari della dichiarazione hanno, allo stesso tempo, rinnegato l'anarchismo.

Noi, che abbiamo coscienza di essere rimasti nella linea retta di un anarchismo la cui verità non può essere cambiata per l'avvento di questa guerra, guerra prevista da lungo tempo, e che non è che la manifestazione suprema dei mali rappresentati dallo Stato e il capitalismo, ci teniamo a desolidarizzarci da questi compagni che hanno abbandonato le loro idee, le nostre idee, in una circostanza in cui, più che mai, era necessario proclamarle alte e fermamente.

Produttori della ricchezza sociale, proletari manuali e intellettuali, uomini dalla mentalità affrancata, siamo, di fatto e per volontà, dei senza patria. D'altronde, patria non è che il nome poetico dello Stato. Non avendo nulla da difendere nemmeno delle libertà acquisite che lo Stato non saprebbe darci, ripudiamo l'ipocrita distinzione delle guerre offensive e delle guerre difensive. Non conosciamo che delle guerre fatte tra governi, tra capitalisti, a prezzo della vita, del dolore e della miseria dei loro sudditi. L'attuale guerra ne è l'esempio evidente. Finché i popoli non vorranno procedere all'instaurazione di una società libertaria e comunista, la pace non sarà che la tregua utilizzata per preparare la guerra successiva, la guerra tra popoli che è in potenza nei principi d'autorità e di proprietà. Il solo mezzo per porre fine alla guerra, di prevenire ogni guerra, è la rivoluzione espropriatrice, la guerra sociale, la sola alla quale possiamo, in quanto anarchici, dare la vita. E ciò che non hanno potuto dire i sedici alla fine della loro dichiarazione, noi lo gridiamo: Viva l'Anarchia!

 

Il Gruppo internazionale anarchico di Londra

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